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Speciale AFGHANISTAN

 

La distruzione dei Buddha e le menzogne di regime
di Francesca Marino

Tutto è cominciato qualche mese fa quando, nell’agosto 2000, il museo nazionale di Kabul è stato simbolicamente riaperto al pubblico per tre giorni. "Vogliamo che i turisti ritornino a visitare il nostro Paese" aveva dichiarato il ministro della Cultura Abdul Rahman Hotaki, e il governo dei Taliban sembrava aver capito che la via per attirare in Afghanistan i turisti stranieri passava, necessariamente, attraverso il patrimonio artistico e culturale del Paese. O, almeno, di quella parte che oltre vent’anni di guerra avevano lasciato più o meno intatta. La riapertura del museo di Kabul aveva, quindi, un forte significato simbolico e faceva seguito a due decreti a tutela del patrimonio artistico emessi dal capo del governo mullah Omar: il primo, a protezione delle due famose statue dei Buddha di Bamiyan dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità; il secondo, contro gli scavi archeologici illegali. Tutta l’operazione mirava anche a tranquillizzare gli esperti delle organizzazioni internazionali preoccupati per la scomparsa dal museo di Kabul di numerose collezioni di inestimabile valore e per le ripetute minacce di distruggere i famosi Buddha. Le due gigantesche statue risalgono al V secolo d.C., e sono state scavate nella collina rocciosa che sovrasta la cittadina di Bamiyan, a circa 200 km dalla capitale Kabul. Nel 1998, durante la presa della città da parte dei taliban, la testa di una delle due statue era stata gravemente danneggiata, e attualmente i due capolavori dell’arte buddhista sono adoperati come deposito di munizioni. Dal museo nazionale di Kabul sono, invece, spariti in più riprese pezzi di inestimabile valore, come una collezione di monete dell’antica Grecia o degli antichissimi manufatti in avorio. Riapparsi in seguito sul mercato clandestino delle opere d’arte a Peshawar, a Tokyo e addirittura a Londra. Voci di corridoio sostengono, inoltre, che la maggior parte dei più pregevoli manufatti dell’arte buddhista afghana si trovi nella citta pakistana di Quetta, in casa dell’ex-leader afghano Ahmed Galiani. Due bellissime statue si trovano sicuramente a Peshawr, nell’abitazione dell’ex-ministro degli Interni Nasirullah Babar, considerato il ‘padre dei Taliban’ all’epoca del governo di Benazir Bhutto. In ogni caso, per dimostrare la loro buona volontà e la serietà dei loro impegni, i Taliban avevano intrapreso anche il restauro di uno dei più famosi complessi architettonici di Herat: il Musallah, una delle meraviglie del mondo antico, descritto dal poeta lord Byron come "il più bell’esempio di uso del colore nell’architettura". Anche la madrasa o scuola coranica del sultano Hassain-e-Baiqara, che risale al XV secolo, e il vicino Giardino delle donne che contiene la tomba di un’eroina nazionale, dovevano essere riportati agli antichi splendori. Nell’ambito di questo nuovo interesse per la tutela del patrimonio artistico, mullah Omar aveva anche richiesto alla regina d’Inghilterra la restituzione del famoso diamante Koh-i-Noor che, prima di essere appartenuto a un maharaja indiano, aveva fatto parte per più di un secolo del tesoro della corona dei re afghani. Il governo dei Taliban era inoltre intervenuto, in novembre, nella strana faccenda del ritrovamento di una mummia egiziana in una casa di Quetta. La mummia, antica di duemila anni, era stata oggetto di una contesa tra governo pakistano e governo iraniano che ne reclamavano entrambi il possesso. A complicare la faccenda era intervenuto Sher Zaman Taizai, famoso intelluttuale di etnia pashtun, dichiarando che la mummia sarebbe invece stata di provenienza afghana. Lo testimonia un articolo pubblicato in agosto dallo scrittore russo Alaflatovih, in cui si parlava di ben sette tombe ritrovate durante una spedizione archeologica in Afghanistan effettuata qualche anno fa. L’articolo era corredato da fotografie in cui Taizai avrebbe riconosciuto la mummia. Immediatamente, il ministro della Cultura Qudratullah Jamal aveva reclamato il possesso della mummia dichiarando che era stata trafugata nella cittadina di Nimroz, ai confini con l’Iran, nel corso di un combattimento. In quell’occasione, Jamal aveva inoltre dichiarato che il governo di mullah Omar stava vuotando l’ormai semi-distrutto museo nazionale di Kabul con l’intenzione di ricollocare i reperti che rischiavano di essere danneggiati dalle intemperie invernali. E aveva respinto con sdegno le accuse di quanti insinuavano, preoccupati, che l’improvviso interesse mostrato dai Taliban per il loro patrimonio artistico avesse in realtà uno scopo molto meno nobile. Infatti, tra quanti erano a Kabul in quei giorni circolava già il sospetto che in realtà i Taliban volessero soltanto distruggere indisturbati tutti i manufatti non-islamici presenti nel Paese. "Si tratta soltanto di propaganda nemica", aveva dichiarato Jamal "invece abbiamo perfino richiesto degli appositi preparati chimici per meglio preservare le opere d’arte" e aveva ancora una volta ribadito le buone intenzioni del governo e l’emanazione, da parte del mullah Omar, di una serie di decreti a salvaguardia del patrimonio artistico. Al principio di febbraio era però circolata la notizia che alcuni zelanti Taliban, in un momento in cui sia il direttore che il vice-direttore del museo di Kabul si trovavano all’estero, si erano introdotti nell’edificio distruggendo una dozzina di statue e causando un danno di inestimabile entità. Il governo aveva ancora una volta negato ogni addebito, ma non era stato permesso né ai giornalisti né agli esperti delle Nazioni unite di entrare nella costruzione per verificare di persona l’accaduto. Adesso, mullah Omar ha ordinato la distruzione di tutti i manufatti non islamici presenti in Afghanistan, compresi i Buddha di Bamiyan. E proprio durante la visita a Kabul di una delegazione internazionale che doveva incontrare i leader taliban per discutere della conservazione del patrimonio artistico e che comprendeva, tra gli altri, l’ambasciatore italiano e l’ambasciatore greco in Pakistan. Il capo dei Taliban ha dichiarato che "le statue che rimangono in vari luoghi del Paese devono essere distrutte….perché rappresentano gli dèi degli infedeli" sentenziando inoltre che "C’è un solo Dio" e, pur essendo consapevole della perdita per il patrimonio artistico e culturale del Paese, "le statue devono essere distrutte così da non poter essere adorate né adesso né mai più". Le immediate proteste della comunità internazionale sono, per il momento, cadute nel nulla. E nessuno riesce a spiegarsi il repentino voltafaccia del governo dei Taliban. A meno che, come insinua qualcuno, i Buddha non siano in realtà già stati distrutti, così come le opere d’arte all’interno del museo di Kabul. In fondo, i combattimenti intorno a Bamiyan infuriano da settimane e l’ex-caserma sciita caduta nelle mani dei Taliban si trova proprio di fronte alle statue. Mentre sarebbe però facile incolpare della distruzione dei Buddha la fazione rivale dello Hezb-i-Wahadat che aveva riconquistato Bamiyan per qualche giorno (vedi articolo), sarebbe arduo addossarle la stessa responsabilità per lo scempio compiuto all’interno del museo di Kabul. Una possibile spiegazione è che siano stati proprio i Taliban a causare danni ancora imprecisati ai Buddha, durante la recente riconquista di Bamiyan, e che la fatwa (editto) del mullah Omar serva semplicemente a nascondere il misfatto. Sembra infatti poco credibile l’ultima dichiarazione del leader talibano: "La distruzione delle statue è un ordine dell’Islam, e io ho preso questa decisione alla luce di una fatwa emessa dagli ulema (capi spirituali) e dalla Corte suprema dell’Afghanistan. La legge islamica è la sola legge a cui io obbedisco". Ed è giusto che un musulmano rispetti la Shari’a, ma da essa non risulta che la fede in Allah imponga la distruzione delle opere d’arte o religiose. Nessuno ha toccato quei Buddha durante l’invasione musulmana che portò l’Islàm fino in India. Per esempio l’impero moghul, islamico ma molto più raffinato e tollerante del regime talibano, ha anzi conservato magnificamente gli edifici sacri e le statue delle altre religioni. Si pensi allo stupa buddhista di Sarnath o agli innumerevoli templi hindu rimasti intatti fino a oggi. In questa vicenda la storia e la logica mostrano che non si è trattato di fede, ma di menzogne di copertura.

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