Speciale Tibet

Buddhismo in pillole

Siddharta

Il principe Siddharta, della famiglia Gautama, nacque attorno al 567 a.C. Crebbe e fu educato a Kapilavastu (nell’odierno Nepal), la capitale del regno dei Sakya di cui era erede al trono. Secondo la tradizione, il giovane principe visse nella completa osservanza delle regole di vita stabilite dall’induismo. Studiò i Veda, fu istruito alla guerra perché apparteneva alla casta khsatriya (dei nobili e dei guerrieri), prese moglie ed ebbe un figlio. All’età di ventinove anni, dopo aver vissuto i primi due stadi di vita dello studio e del lavoro (artha), dell’amore e della famiglia (kama), decise di intraprendere la via della dottrina (dharma) e dell’ascesi. Alcuni testi buddhisti che si riferiscono a questi avvenimenti riportano che Siddharta decise di rinunciare alla sua condizione di principe e padre di famiglia quando, durante una passeggiata nel giardino della reggia, vide un vecchio, un ammalato e un cadavere che gli rivelarono la caducità dell’esistenza. A quell’epoca la società indiana attraversava un periodo di decadenza, al pari dell’induismo che andava perdendo il suo contenuto religioso e diveniva sempre più uno strumento di potere per la cosiddetta casta sacerdotale dei brahmani. Anche Siddharta risentì di questo stato di cose e seguì l’esempio di altri religiosi e mistici che, sottraendosi all’autorità dei Veda, avevano preferito l’ascesi e la pratica dello yoga nella solitudine delle montagne himalayane. Essi non formavano comunità religiose e si autodefinivano liberi da vincoli (Nirgantha o Samana). Per circa sei anni Siddharta si sottomise a rigide pratiche ascetiche che gli permisero di eguagliare, in poco tempo, anche i Samana più anziani. Egli fu considerato un guru ed ebbe un seguito di cinque discepoli. Ma quando le lunghe meditazioni e gli altrettanto lunghi digiuni lo ridussero quasi in fin di vita, Siddharta comprese l’inutilità di tali privazioni e ricominciò a nutrirsi. I discepoli lo abbandonarono e, delusi, andarono a Benares. Il loro ex-maestro, invece, continuò per la sua via passando dall’ascesi alla contemplazione. Fu così che un giorno a Bodhgaya , seduto sotto un albero (pippal o bodhinanda), conseguì l’illuminazione. Dopo essere rimasto per sette settimane in meditazione con il viso rivolto a oriente e il corpo poggiato al bodhinanda, Siddharta si recò a Benares a trovare i suoi cinque discepoli e il cugino Ananda per comunicare loro l’avvenuta illuminazione. Tutti insieme si recarono nella vicina Sarnath ove venne pronunciato il primo sermone sul Dharma (la dottrina). Siddharta fu riconosciuto come maestro e venne chiamato il Buddha, il Risvegliato, o Sakyamuni, il Saggio della stirpe dei Sakya.

Il Dharma

Le Quattro Nobili Verità

Nel discorso di Sarnath il Buddha enunciò le cosiddette Quattro Nobili Verità:

sofferenza
causa
soppressione
via

Con ciò si intende che il mondo è dolore, che in esso vanno ricercate le cause della sofferenza umana e che questa può essere soppressa seguendo la (propria) via che conduce all’Assoluto (nirvana). La liberazione dal dolore avviene grazie al superamento dell’ignoranza delle Quattro Nobili Verità.

La Catena dei Dodici Anelli

Una delle leggi più importanti è quella della cosiddetta Catena dei Dodici Anelli, che stabilisce i nessi causali tra le varie componenti del mondo fenomenico:

l’ignoranza
l’apparenza
la coscienza
il nome e la forma
i sei sensi
il contatto
la sensazione
il desiderio
l’attaccamento
l’esistenza
la nascita
la vecchiaia e la morte

L’Ottuplice Sentiero

Questa catena condiziona non solo la vita presente, ma anche quella passata e quella futura, seguendo la legge del karma e delle reincarnazioni. Per spezzare la Catena dei Dodici Anelli, interrompendo così il ciclo delle rinascite, bisogna osservare la rettitudine e l’attenzione nelle otto esplicazioni della volontà individuale, l’Ottuplice Sentiero:

l’opinione
la decisione
la parola
la condotta
l’esistenza
lo sforzo
l’intelletto
la concentrazione

Seguendo questo sentiero si eliminano gli errori delle precedenti reincarnazioni e si dissolvono inoltre i cinque aggregati che formano l’io (cioè i quattro elementi naturali più l’elemento psichico).

I due Veicoli

A partire dal III secolo d.C. il buddhismo cominciò a espandersi verso sud, in seguito alla conversione alla dottrina buddhista dell’imperatore Ashoka, re di un impero che comprendeva molti territori del centro e del sud dell’Asia. Il buddhismo originario si divise così in due grandi scuole suddivise, a loro volta, in numerose correnti:

Hinayana o "piccolo veicolo": è diffusa soprattutto nello Sri Lanka, oltre che in Birmania, in Thailandia, nel Laos e in Cambogia. Rappresenta un tentativo di riportare l’insegnamento del Buddha alla semplicità originaria. In sostanza, i seguaci di questa corrente ritengono che solo i monaci possono raggiungere l’illuminazione. Non considerano Buddha un dio, ma solo un maestro di perfezione morale. Si dedicano alla predicazione, allo studio dei testi canonici, alla venerazione dei luoghi legati alla vita di Buddha. Questa ritiene inutili i riti, le devozioni, i simboli e i sentimenti religiosi.

Mahayana o "grande veicolo": permette la salvezza anche al laico, in forme meno rigide. Pone l’accento sul concetto di compassione, per cui colui che è vicino al Risveglio rinuncia a diventare un illuminato e, per pietà, si limita a rimanere un bodhisattva, un risvegliato potenziale che ha il dovere morale di aiutare chiunque ricorra all sua misericordia. Ben presto i bodhisattva divennero oggetto di culto e di venerazione.

Testi Canonici

I testi sacri riconosciuti come autentici dal Buddismo sono raccolti in due Canoni denominati, in base alle scritture usate, Pali e Sanscrito.

Il Canone Pali (del I sec. a.C.) è chiamato anche Tripitaka, perché raggruppa il corpus in tre parti (o "Tre canestri": i libri di ogni raccolta, scritti su foglie di palma, potevano essere contenuti in una cesta). Rappresenta una sintesi delle dottrine predicate dal Buddha (o a egli attribuite) e delle teorie elaborate dalla scuola Hinayana. La prima cesta (Vinaya) comunica le regole da osservare nelle comunità monastiche; essa si compone di tre raccolte di libri: sono talmente voluminosi che per leggerli tutti, al Concilio di Rangoon (1954), ci vollero 169 sedute in 46 giorni; la seconda cesta (Sutra) parla delle conversazioni di Buddha coi suoi discepoli ed è il doppio della prima; la recita dei sutra è la base del culto e della meditazione di monaci e laici. Il loro linguaggio è poetico, le composizione sono ritmiche, molto convincenti le spiegazioni di difficili tematiche spirituali e psicologiche. Questa cesta contiene anche 547 leggende relative alle esistenze precedenti del Buddha; la terza cesta (Abhidarma) fornisce la spiegazione dei principali dogmi del Buddismo contenuti appunto nel Sutra (metafisica). Questi testi sono stati composti da ignoti autori dal III al I sec. a.C. e sono ad uso degli specialisti.

Il Canone Sanscrito, nato circa sei secoli dopo la morte del Buddha, varia molto, come suddivisione e denominazioni, da Stato a Stato. Esso sostanzialmente è legato alla scuola Mahayana. Questa tradizione, i cui testi sono molto estesi, sostiene che Buddha avrebbe riservato la parte più sottile della sua verità alle generazioni posteriori. Tra le numerose scritture del Mahayana meritano d'essere ricordate La sutra della perfetta sapienza e, soprattutto, il Libro tibetano dei morti.

 

Il Buddhismo Tibetano

Le prime penetrazioni buddhiste in Tibet furono respinte dalla vecchia religione del luogo: il Gcug. Il sovrano tibetano veniva adorato come un dio, i sacerdoti più eminenti (bon-po o gsen) costituivano il suo governo, e i rituali paraticati erano di tipo sciamanico: sacrifici animali, rituali magici e divinatori, profezie in stato di trance. Da questa antica religione nacque in seguito il Bon (o religione Bon-go), dal nome degli antichi sacerdoti gcug. Verso il X secolo d.C., i missionari buddhisti riuscirono a trovare dei punti di contatto tra la dottrina mahayana da loro professata e la religione Bon, e si stabilirono definitivamente in Tibet. Si sviluppò così il cosiddetto Vajrayana o "veicolo di diamante", che inglobò molte divinità induiste, spesso associate ai bodhisattva, e molte tecniche di yoga indiano, in particolare quelle di origine tantrica. In Tibet si sviluppò un’importante scuola astrologica legata alla medicina, che è ancora oggi praticata e insegnata da alcuni monaci nel centro tibetano di Dharamsala, in India. Molti rituali e usanze bon-po, come la danza sacra in maschera, le cerimonie con il tamburo sciamanico, le scritte sulle pietre, sulle bandiere e sui mulini di preghiera, entrarono a far parte della liturgia buddhista. Dottrinariamente, l’insegnamento buddhista in Tibet si scisse in due sette principali fondate sulla dottina del vuoto (ston-pa) e sulla dottrina del puro pensiero (sems), che si diffenziavano tra loro sostanzialmente per la maggiore o minore presenza di culti e rituali tantrici nella loro pratica liturgica. La più antica di queste sette è quella detta dei Berretti Rossi, mentre la seconda è detta dei Berretti Gialli. I Berretti Rossi si divisero a loro volta in tre grandi sette: Kagyu-pa, Ningma-pa e Sakya-pa. Alla setta dei Kagyu-pa appartiene il Karmapa Lama. Alla setta dei Berretti Gialli, detta anche Gelug-pa, appartengono invece tutti i quattordici Dalai Lama, incluso quello attuale.

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