Origini della Sicilia costiera...

I primi ad aver esercitato una reale influenza in Sicilia furono i Greci. Vi erano stati i Fenici prima, ma di essi niente in Sicilia è rimasto. Mentre i Greci hanno lasciato molto, e non solo come reperti archeologici. I coloni arrivati dalla Grecia nell’VIII secolo a.C. erano agricoltori. Erano diventati troppi nella madrepatria, non vi era più terra sufficiente per tutti, e venivano dunque a cercarla in Sicilia. Siracusa, Catania, Messina, Naxos, Agrigento, Gela, le città da loro fondate, erano città contadine, ma avevano anche funzioni commerciali: il fatto che fossero sul mare, in posizioni strategiche, sta a dimostrare che esse dovevano in qualche modo controllare le vie del commercio per mare. Ogni città aveva esteso la sua influenza all’interno. Erano indipendenti tra loro e dalla madrepatria, con la quale presto gareggiarono per potenza e splendore. L’indipendenza fu causa della loro grandezza ma anche della loro rovina. Si trasformò, infatti, in rivalità e poi in aperto conflitto. Siracusa era divenuta la colonia più potente e ambiziosa, tanto da far ombra alla stessa Atene. Il contrasto di Siracusa con Messina fece sì che intervenissero i romani, che nel 274 a.C. conquistarono l’isola. Son passati più di duemila anni da allora. Ma è un fatto che la vocazione commerciale dell’isola si impernia ancora negli stessi luoghi dove era sbocciata per impulso dei Greci.... Sicilia interna L’altra Sicilia - la Sicilia interna, del latifondo - nasce durante il lungo dominio romano durato fino all’827 d.C. Non fu un bel periodo per l’Isola. L’orgoglio e l’individualismo precedenti furono profondamente mortificati: per Roma, la Sicilia divenne soltanto una colonia interna il cui unico compito era di fornire grano. Il suolo dell’isola fu così sottoposto a uno sfruttamento intensivo che conosceva soltanto una monocultura: quella del grano. La Sicilia doveva esportare solo grano; tutto il resto le sarebbe venuto da fuori. Ma non fu soltanto il suolo ad essere sfruttato. Le terre vennero tutte dichiarate demanio pubblico, di proprietà dello Stato, e concesse in affitto ai cavalieri romani che le facevano coltivare da schiavi venuti dall’Asia. Le genti dell’isola vissero per secoli in condizioni di miseria. Abbandonarono le città costiere per rifugiarsi nell’interno. La civiltà dei commerci sembrava finita: nasceva una civiltà rurale, fatta di piccole concentrazioni di case circondate dalle campagne.

La Sicilia araba: un antico splendore che brilla ancora

Ma la civiltà dei commerci era destinata a rifiorire con gli Arabi. La conquista araba fu molto lenta e contrastata: durò quasi un secolo, dall’827 al 902. Al contrario dei Romani e al pari dei Greci, i musulmani non dominarono mai completamente l’isola, in quanto la loro influenza, se fu fortissima a occidente, fu precaria e superficiale nella zona ionica. E’ una costante della storia siciliana che vale la pena di segnalare: come già dimostrava il periodo greco, la Sicilia sembra conoscere i suoi tempi migliori quando vengono valorizzate le particolarità delle singole zone, e non quando, come fecero i Romani, le si vuole applicare uno schema unico che non distingua tra le diverse realtà di cui l’isola e fatta. Con gli Arabi rinacquero le città, specie Palermo che divenne celebre per la bellezza dei suoi edifici, dei suoi giardini, delle sue moschee. Il suo porto divenne il centro dei commerci del Mediterraneo. Ma accanto ai commerci, rifiorì anche l’agricoltura. La monocoltura del grano imposta dai Romani aveva spossato il suolo. Gli Arabi introdussero nuove piante come il limone e l’arancio, il gelso, il gelsomino, il cotone, la palma, la melanzana. Inventarono sistemi di irrigazione che aumentavano la produttività della terra. Tramite sapienti leggi di successione ereditaria, riuscirono a dividere le grosse proprietà in appezzamenti più piccoli. Come di solito avviene, alla rinascita economica si accompagno una rinascita culturale. II loro influsso e ancor oggi forte: basti pensare alla cucina siciliana, o alla sua attuale agricoltura, intensiva, specializzata e ben articolata tra agrumi e primizie, che deriva direttamente dai giardini arabi. Ma, ancora una volta come era avvenuto con i Greci, la valorizzazione delle particolarità locali condusse alcune città a lottare per sopraffarsi. In questo modo fu facile per i Normanni, alla fine dell’XI secolo, la conquista della Sicilia.

La Sicilia feudale e quella dei "baroni"

Ancora oggi in molti dialetti dell’isola la parola "feudo" serve a designare una grossa proprietà terriera. La trasformazione dell’economia siciliana in regime feudale avviene proprio con i Normanni. A reggere i latifondi sono i "baroni" creati da Ruggero II: e ancora oggi è detto "barone" il proprietario terriero più in vista di ogni paese. Ma feudalesimo non vuol dire di per se arretratezza. La sapiente amministrazione normanna rispetta e chiama a collaborare tutte le comunità dell’isola: latini, greci, musulmani. II risultato e un periodo d’oro per la Sicilia, destinato a influire profondamente sulle sue strutture socio-economiche. I guai iniziarono più tardi, nel XIII secolo, quando tutta l’economia fu sottoposta a controllo statale e, di conseguenza, la borghesia commerciale che si era arricchita con l’attività dei porti andò in rovina. Con il passaggio sotto gli Angioini di Francia (1266) Palermo non fu più capitale: sede del governo era Napoli. II fatto fu per tutta la Sicilia quasi il simbolo evidente di un declassamento. Ma la sollevazione del 1282 (i "Vespri siciliani") ebbe come unico frutto il passaggio a un’altra dominazione: quella degli Aragonesi. Ma la Spagna è lontana, e a governare l’isola sono in realtà i baroni. II sistema feudale si rafforza e, mentre in Italia nascono i Comuni e una borghesia cittadina, in Sicilia è la campagna a prevalere sulle città che appaiono sempre più spopolate. La scoperta dell’America contribuì ad aggravare le condizioni dell’isola. II perno degli interessi spagnoli si andava spostando dal Mediterraneo verso l’Atlantico, e i baroni - privi di qualsiasi controllo da parte del potere centrale - trasformano i feudi in veri e propri staterelli in cui spesso vige il sopruso contro i contadini indifesi. II sistema del latifondo ha peggiorato le condizioni dell’agricoltura, e la Sicilia adesso non riesce più a produrre neppure il grano sufficiente alla sua gente. Ma alla fine del Cinquecento anche l’isola viene investita dalla rivoluzione del commercio del grano che sta squassando l’Europa. I baroni si rendono conto che bisogna produrre di più e vendere meglio. II risultato sarà da una parte la fondazione di città rurali come Vittoria, Bagheria, Scordia, Menfi, Grammichele, Avola, tutte dall’impianto regolare, geometrico; dall’altra, la nascita di una nuova istituzione: la masseria. II massaro prende in affitto, pagando in natura, dal barone un pezzetto di terra, in genere il più scomodo, e lo coltiva assoldando dei giornalieri. Rimarrà questa, fino a pochi anni fa, la struttura fondamentale dell’agricoltura siciliana. A trarne vantaggio saranno soprattutto i massari, a spese dei contadini.

Da "Il grande libro della Sicilia" - A. Mondadori Editore