CORTINA-ARTE | |
(..........) Né
è raro il caso, andando per acquisti alla “Casa del caffè” di
vedersi portare sulla bilancia i neri chicchi dentro una ceramica
preziosamente modellata e dipinta da Toni Furlan, così come è
possibile essendo invitato presso una famiglia amica di bere
l’aromatica bevanda in coccetti dello stesso autore o trovare al
centro della tavola apparecchiata ninfee galleggianti su altra sua
ceramica a figura di foglia autunnale. Ho
cercato più volte durante le mie soste cortinesi dl definire l’arte
di Toni Furlan nel giro di un discorso esauriente. Scultore istintivo,
sebbene denunci una duplice coincidenza poetica che lo imparenta per
echi lontani, tuttavia individualissimi, a certe figurazioni di Campigli
e a taluni caratteri di Martini, incastona questa aurea sillabazione in
parole così dichiaratamente sue che il discorso si snoda personale e
sicuro con una grazia morbida inconfondibile, sia che egli s’affidi
alle preziose colature della ceramica sia che denudi in un puro
modellato le capacità di costruire e comporre. La
scultura a gran fuoco ha tali parentele con la pittura che si richiede
al ceramista la padronanza anche di quest’arte avvalorata da quel
tanto di avventuroso, anzi di favoloso che è imposto dalle mutazioni
della muffola. In tal senso Furlan ha vinto una prova superba, generando le due
figure che fiancheggiano l’ingresso dl un noto albergo (il Corona) e
che rappresentano l’Ospitalità e la Musica. Lo scultore ha il merito
della invenzione del segno con cui diversamente si ritma ogni
personaggio, e l’Ospitalità pare concentrarsi nella morbidezza del
paniere che regge i pesci dell’offerta allorché il gesto rimonta nel
largo ovale delle braccia chiuse. L’altra è così che non solo si
riconosce per lo strumento che graziosamente regge ma anche e perché
tutto Il suo aspetto è di arnese musicale. Il
pittore si è congiunto allo scultore in tal modo che i sapori
conchigliacei della tavolozza conservano l’alito e quel correre del
fuoco nella materia che si fa sotto di essa come un sangue. A
contrasto, o se più vi piace, a completamento del pittore scultore sta
lo scultore di vasto respiro. I
due monumenti funerari del quieto cimitero di Cortina limitano le
concessioni coloristiche a quella parete di bronzo nero scalpellata come
pietra e posta contro un fondo niveo. Sul bronzo si aprono due squarci:
nel basso le dolenti, in alto il Cristo poggiato sulla croce disegnata
dall’ombra del suo corpo. Il passo dl queste pie donne, la ritmazione
delle braccia che creano una centina di legamento ripresa dopo una
cesura con lo stesso gusto dl geometrie dal gesto della donna in pianto
sono mezzi espressivi d’una commozione poetica che ha agito
sull’artista istintivamente. Ma
l’intuizione è ancora più nitida dove la stele funeraria contiene
tra il blocco serrato della pietà ed il dolce Cristo crocefisso il volo
sfrecciante dell’anima. Qui è la Deposizione che va guardata
attentamente. Il movimento delle teste intorno alla madre che regge il
Divino Figlio sulle ginocchia è una variazione musicale di mezzo tono
chiusa nel motivo uguale del soggolo e a destra e a sinistra il braccio
della mano che regge il braccio del Cristo è motivo che si ripete in
simmetrie geometriche più chiuse o più aperte, ma comunque tali da
dare all’insieme il senso di un blocco primitivo senza sfori. Da
questo monolite del dolore sfreccia l’anima e Il Cristo pare ascenda
quasi muovendo per misericorde attrazione l’altro volo. E’
logico che uno scultore siffatto possa dare alla ceramica i caratteri
della «vestizione della sposa» o di «confidenze». Perché oltre
tutto in «confidenze» le due figure sono connaturate ad una
materia così preziosa che diremmo indescrivibile; si ve dal grigio
alle trasmutazioni più impensate del corallo e l’atteggiamento è in
una misura che si scioglie nel tempo senza condanna di immobilità. Altrettanto
può dirsi per la «vestizione della sposa», dove il senso affettuoso
del racconto è dato da un ripetersi di motivi a cerchio. Del resto è
un modo di comporre che Furlan predilige. Poiché a cerchio sono
disposti i dottori nella «Disputa con Gesù» (un pezzo tutto dorato a
riflessi viola) e a cerchi successivi «le femmine» appena accennate in
una materia siderale, e così vive da fare il senso dell’ozioso
cicaleccio. Entro una quinta a circolo agiscono i personaggi femminili
della «visitazione» e un cerchio descrive il loro abbraccio, così
come a cerchio sono le «donne canore» della Tavernetta. Altrove
come nelle decorazioni del Fogher egli si è servito, per mettere in
valore i diversi frammenti, di una bava radente di luce che scava nella
stessa ceramica la sua nicchia sorgiva. E
questo in un’alternanza d’ombre aggiunge effetto ad effetto.
Altrove come all’Ariston ha giocato per le patine sull’unica corda
dell’oro violaceo, riuscendo a dare il senso di una tavolozza festosa.
Altrove, infine, come alla Tavernetta, ha posto incontro luce maschere
diversamente atteggiate facendo uscire Il getto del chiarore
scaturente da lampade occulte per occhi e bocca o ha creato quel tappeto
ceramico di foglie autunnali, che è opera di autentica poesia. Furlan
ama comporre i suoi frammenti in spaziature e scomparti che danno
l’impressione di arcaiche scoperte composte entro una studiata unità,
oppure dispone le sue ceramiche murali per sovrapposizioni e a raggiera
quasi flora marina. Resterebbe
da dire, e non è cosa di poco conto, dei suoi lavori minori, delle sue
ciotole, dei suoi piccoli Calvari con i Cristi dorati su fondi di giada
simili ad apparizioni e sotto il profilo minuto dei fedeli al Calvario
in atteggiamenti dl cui è segnato solo lo scatto di un gesto. Ma
mi basta riaffermare che ormai Cortina non può fare a meno di Furlan. Non
c’è a Cortina un nuovo ambiente che non abbia il decoro delle sue
ceramiche. E anche quando egli si mantiene In un limite sommesso, ti da
le grandi stufe ed il caminetto dell’Hotel Italia che sono di un gusto
squisito anche se ricalcano vecchi modelli ampezzani. E quale tutti i
poeti egli ha il dono della profezia ed il culto dell’amicizia. Quando, insospettato ospite, giunsi a Cortina e irruppi nel suo fondaco, lo trovai che atteggiava Il bellissimo manichino di sua invenzione con le braccia tese come per un saluto. E il manichino contro la parete bianca, davanti alla muffola aperta, era un personaggio vero. Vero e vivo. Alfio Coccia |