L'Eco di Bergamo

 15 gennaio 1954

CORTINA-ARTE

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Né è raro il caso, andando per acquisti alla “Casa del caffè” di vedersi portare sulla bilancia i neri chicchi dentro una ceramica preziosamente modellata e dipinta da Toni Furlan, così come è possibile essendo invitato presso una famiglia amica di bere l’aromatica bevanda in coccetti dello stesso autore o trovare al centro della tavola apparecchiata ninfee galleggianti su altra sua ceramica a figura di foglia autunnale.

Ho cercato più volte durante le mie soste cortinesi dl definire l’arte di Toni Furlan nel giro di un discorso esauriente. Scultore istintivo, sebbene denunci una duplice coincidenza poetica che lo imparenta per echi lontani, tuttavia individualissimi, a certe figurazioni di Campigli e a taluni caratteri di Martini, incastona questa aurea sillabazione in parole così dichiaratamente sue che il discorso si snoda personale e sicuro con una grazia morbida inconfondibile, sia che egli s’affidi alle preziose colature della ceramica sia che denudi in un puro modellato le capacità di costruire e comporre.

La scultura a gran fuoco ha tali parentele con la pittura che si richiede al ceramista la padronanza anche di quest’arte avvalorata da quel tanto di avventuroso, anzi di favoloso che è imposto dalle mutazioni della muffola. In tal senso Furlan ha vinto una prova superba, generando le due figure che fiancheggiano l’ingresso dl un noto albergo (il Corona) e che rappresentano l’Ospitalità e la Musica. Lo scultore ha il merito della invenzione del segno con cui diversamente si ritma ogni personaggio, e l’Ospitalità pare concentrarsi nella morbidezza del paniere che regge i pesci dell’offerta allorché il gesto rimonta nel largo ovale delle braccia chiuse. L’altra è così che non solo si riconosce per lo strumento che graziosamente regge ma anche e perché tutto Il suo aspetto è di arnese musicale.

Il pittore si è congiunto allo scultore in tal modo che i sapori conchigliacei della tavolozza conservano l’alito e quel correre del fuoco nella materia che si fa sotto di essa come un sangue.

A contrasto, o se più vi piace, a completamento del pittore scultore sta lo scultore di vasto respiro.

I due monumenti funerari del quieto cimitero di Cortina limitano le concessioni coloristiche a quella parete di bronzo nero scalpellata come pietra e posta contro un fondo niveo. Sul bronzo si aprono due squarci: nel basso le dolenti, in alto il Cristo poggiato sulla croce disegnata dall’ombra del suo corpo. Il passo dl queste pie donne, la ritmazione delle braccia che creano una centina di legamento ripresa dopo una cesura con lo stesso gusto dl geometrie dal gesto della donna in pianto sono mezzi espressivi d’una commozione poetica che ha agito sull’artista istintivamente.

Ma l’intuizione è ancora più nitida dove la stele funeraria contiene tra il blocco serrato della pietà ed il dolce Cristo crocefisso il volo sfrecciante dell’anima. Qui è la Deposizione che va guardata attentamente. Il movimento delle teste intorno alla madre che regge il Divino Figlio sulle ginocchia è una variazione musicale di mezzo tono chiusa nel motivo uguale del soggolo e a destra e a sinistra il braccio della mano che regge il braccio del Cristo è motivo che si ripete in simmetrie geometriche più chiuse o più aperte, ma comunque tali da dare all’insieme il senso di un blocco primitivo senza sfori. Da questo monolite del dolore sfreccia l’anima e Il Cristo pare ascenda quasi muovendo per misericorde attrazione l’altro volo.

E’ logico che uno scultore siffatto possa dare alla ceramica i caratteri della «vestizione della sposa» o di «confidenze». Perché oltre tutto in «confidenze» le due figure sono connaturate ad una materia così preziosa che diremmo indescrivibile; si ve dal grigio alle trasmutazioni più impensate del corallo e l’atteggiamento è in una misura che si scioglie nel tempo senza condanna di immobilità.

Altrettanto può dirsi per la «vestizione della sposa», dove il senso affettuoso del racconto è dato da un ripetersi di motivi a cerchio. Del resto è un modo di comporre che Furlan predilige. Poiché a cerchio sono disposti i dottori nella «Disputa con Gesù» (un pezzo tutto dorato a riflessi viola) e a cerchi successivi «le femmine» appena accennate in una materia siderale, e così vive da fare il senso dell’ozioso cicaleccio. Entro una quinta a circolo agiscono i personaggi femminili della «visitazione» e un cerchio descrive il loro abbraccio, così come a cerchio sono le «donne canore» della Tavernetta.

Altrove come nelle decorazioni del Fogher egli si è servito, per mettere in valore i diversi frammenti, di una bava radente di luce che scava nella stessa ceramica la sua nicchia sorgiva. 

E questo in un’alternanza d’ombre aggiunge effetto ad effetto. Altrove come all’Ariston ha giocato per le patine sull’unica corda dell’oro violaceo, riuscendo a dare il senso di una tavolozza festosa. Altrove, infine, come alla Tavernetta, ha posto incontro luce maschere  diversamente atteggiate facendo uscire Il getto del chiarore scaturente da lampade occulte per occhi e bocca o ha creato quel tappeto ceramico di foglie autunnali, che è opera di autentica poesia.

Furlan ama comporre i suoi frammenti in spaziature e scomparti che danno l’impressione di arcaiche scoperte composte entro una studiata unità, oppure dispone le sue ceramiche murali per sovrapposizioni e a raggiera quasi flora marina.

Resterebbe da dire, e non è cosa di poco conto, dei suoi lavori minori, delle sue ciotole, dei suoi piccoli Calvari con i Cristi dorati su fondi di giada simili ad apparizioni e sotto il profilo minuto dei fedeli al Calvario in atteggiamenti dl cui è segnato solo lo scatto di un gesto.

Ma mi basta riaffermare che ormai Cortina non può fare a meno di Furlan.

Non c’è a Cortina un nuovo ambiente che non abbia il decoro delle sue ceramiche. E anche quando egli si mantiene In un limite sommesso, ti da le grandi stufe ed il caminetto dell’Hotel Italia che sono di un gusto squisito anche se ricalcano vecchi modelli ampezzani. E quale tutti i poeti egli ha il dono della profezia ed il culto dell’amicizia.

Quando, insospettato ospite, giunsi a Cortina e irruppi nel suo fondaco, lo trovai che atteggiava Il bellissimo manichino di sua invenzione con le braccia tese come per un saluto. E il manichino contro la parete bianca, davanti alla muffola aperta, era un personaggio vero. Vero e vivo.

Alfio Coccia