Il Gazzettino

2 febbraio 1962

C O R T I N A

Lo scultore Toni Furlan

Non si può dire per Toni Furlan che la scultura sia condannata - come sembrava qualche anno fa - alla propria indistruttibile materialità o, tutt’al più, avvolgersi di silenzio. Tutt’altro.

Ad essa, come alla pittura, sono concesse, anche oggi, mille seduzioni.

Non che Furlan si lasci prendere la mano dalla suggestione dei ritorni aurei del numero - come per altri ha scritto Umbro Apollonio - ma sa reagire all’eleganza geometrica preferendo una fantastica figuratività. Chi lo conosce - e credo siano molti - me ne darà atto. Basta, comunque, sincerarsene scrutando i modellini che escono dal suo forno sul retro del suo atelier in Majon disposti in ordine armonico, soffusi di un arcobaleno di colori tutti suoi.

Evidentemente - e lui stesso lo conferma - è tempo sprecato chiamare a raffronto tendenze e virtù altrui, benché nei suoi lavori, più o meno recenti, denota un’attenta osservazione alle più moderne esperienze, soprattutto a quelle di Martini che reputa maestro, uno dei più rappresentativi esponenti della scultura degli ultimi cento anni.

La sua plastica, morbida, scorrevole, lucida, nasce da una “primigenia necessità interiore” ed è calda di umanità perché ad essa vi partecipa con tutto il suo essere.

Ogni piega delle sue terrecotte è leggibile, scoperta, affidata alla luce di finezze chiaroscurali.

A volte abbina il suo pollice plasmatore coi rapporti sottili dl una tavolozza che lo accosta ad un abile pittore.

Ha il senso della materia e delle forme che si concretano nella “bellezza”, definita il più forte alibi della verità.

Un innato equilibrio morale lo fa rifuggire dalle dismisure delle presunzioni ambiziose, con un rispetto toccante per l’oggetto.

Scultura, la sua, quindi, piena, che sorge dal volume e nello spazio trova la sua giustificazione e necessità, mentre ne partecipa ed in essa si immedesima.

 

Ovidio Menegus