Il Quindicinale

22 settembre 1984

L'opera di Toni Furlan cui Vittorio Veneto dedica una retrospettiva

 

Un artista con voglia di tenerezza

Tre grandi nudi femminili verdastri (il colore della plastilina) catturavano la luce delle grandi finestre dello studio. Lui, Toni Furlan, su una scaletta metallica, con grembiule bianco stava modellando. Intorno, avvolte in sudari di stracci macerati d’acqua e contenute nel loro mistero di opere in gestazione, altre sculture. Opere, per lo più in bronzo, facevano bella mostra di sè sui bianchi piedistalli: un grande crocifisso e una ballerina fra gli altri.

Lo studio dell’amico scultore Toni Furlan si presentava così ad una mia visita fattagli quindici giorni prima che sì ammalasse. Pareva il palcoscenico di un teatro; carrelli e marchingegni su ruote, fogli disegnati, bassorilievi, formelle e pannelli di ceramica, un tavolo ingombro di strumenti e modelli. “Non prepari schizzi e abbozzi come faccio io?” gli chiesi. “No, modello direttamente. Il nostro è un linguaggio plastico e lo strumento sono le mani. A volte la prima idea può essere un disegno, ma tutti i passaggi sono plastici (anche nella ceramica). Nulla però viene dal caso. Si devono risolvere i piani e l’armonia della composizione”. “Io invece - gli dissi - cerco anche per mesi la forma ultima attraverso il disegno e poi modello o scolpisco. Ne risulta così una sintesi che è una evoluzione della composizione».

Un anno dopo la sua morte lo studio così bene attrezzato e ornato di tante opere d’arte, venne smontato dalla moglie Giovanna, dai figli Marco e Marisa, dalla sorella e dal sottoscritto. I tre nudi in plastilina, dopo aver sonnecchiato a lungo, si screpolarono e finirono in frantumi. Le attrezzature vennero parte regalate e parte vendute ad altri scultori e le sculture e le ceramiche vennero accatastate in un garage.

Buona parte di esse sono oggi raccolte in una rassegna organizzata dall’Amministrazione comunale tramite la Biblioteca Civica di Vittorio Veneto, perciò la Galleria esposizioni di Piazza Giovanni Paolo I dal 29 settembre al 21 ottobre è fiorita dalle opere del nostro artista che sono state selezionate per questa mostra, onorando in tal modo quello che possiamo considerare il più interessante e più quotato scultore della zona. Dico subito che Toni Furlan si meritava da tempo questo riconoscimento (era più noto all’estero che da noi). È giunto quindi il momento di fare, sia pure in sintesi, il punto della sua scultura.

Toni Furlan era un artista curioso: aveva visto la ritrattistica greca e romana (ne è un esempio l’autoritratto e il ritratto del Re Alberto del Belgio) come la scultura nuragica e quella romanica di Wiligelmo e Antelami, ma aveva anche guardato con ammirazione Donatello, Michelangelo, Bernini e tutta la tradizione italiana, fino ad Arturo Martini e Marino Marini. Si tratta di una adesione ai grandi motivi culturali di una civiltà sentita come spontaneo decorso della storia. Da qui la suggestione di opere a così vasto respiro (bronzi, ceramiche, marmi).

Direi che l’aspetto peculiare di Furlan è un rinnovato classicismo. L’artista rimedita soprattutto la lezione storica del Rinascimento, del grande ottocento e del primo novecento. La sua tematica non è vasta, si limita a pochi soggetti: dai morbidi nudi alla religiosità dei crocefissi, alla tenerezza affettiva delle scene di vita familiare, agli aggraziati movimenti delle ballerine e alcuni ritratti. Egli rifugge la violenza tragica preferendo a questa la tenerezza e la serenità. Ci troviamo di fronte ad un artista che ha voluto essere sempre se stesso nelle sue pulsioni umorali, nel contempo non rinunciando alle sue radici storiche di “veneto”.

Concludo dicendo che il Toni (come usa ancora chiamarlo la moglie, signora Giovanna) non ha mai voluto essere nè meramente formalista, nè tanto meno adattarsi alla artificiose mode correnti, il pubblico nel visitare la mostra ritroverà in lui l’artista che ha saputo accarezzare l’argilla e il bronzo con mano svelta e delicata raggiungendo la plastica, specie nei bellissimi ritratti di “CIeIia” e della figlia Elisabetta”, attraverso la calma stesura dei piani nitidamente offerti ad una luminosità pacata e diffusa, a tratti ravvivata da pochi segni incisivi e precisi.

Daniele Brescacin