L'Accademia
di Belle Arti di Napoli rappresenta un riferimento fondamentale
per lo studio delle arti a Napoli e nel meridione d'Italia,
dalla metà del XVIII secolo a tutt'oggi. Tra alterne vicende
che l'hanno vista, spesso, protagonista, della storia del sud,
è sempre stata polo aggregante delle realtà artistiche e luogo
di dibattito delle arti, anche quando la vita artistica partenopea
appariva poco aggiornata e sensibile alle nuove e più moderne
istanze di cultura internazionale. In essa non solo si sono
formate intere generazioni di artisti meridionali, ma vi hanno
lavorato famosi maestri e docenti stranieri, creando quel clima
europeo, che ancora oggi caratterizza la nostra istituzione
attraverso una fitta rete di relazioni e scambi culturali.
Luogo
privilegiato e deputato al "fare artistico", l'Accademia,
si pone, al presente, l'ambizioso obiettivo di formare i nuovi
quadri della produzione dell'immagine, sia essa puramente contemplativa,
o anche di tipo funzionale. Un progetto, d'altra parte non molto
dissimile da quello che si poneva Carlo III di Borbone quando,
in pieno clima illuminista, istituiva a Napoli la Reale Accademia
del Disegno nel 1752 con sede a San Carlo alle Mortelle, dove
da circa un decennio erano attivi i Laboratori degli arazzi
e delle Pietre Dure. Una finalità di intenti che l'Istituzione
mantenne anche quando fu trasferita, prima, nella sede universitaria
del Regio Palazzo degli Studi, nonché Museo Borbonico, per volere
di Tischbein, direttore dopo Domenico Mondo, e, poi, dopo l'unità
d'Italia, nel 1864, nella sede attuale, che, un tempo, faceva
parte del complesso conventuale di San Giovanni delle Monache
eretto tra il 1673 e il 1732.
A
tal fine è interessante evidenziare che i lavori di trasformazione
e di adattamento alle necessità di una scuola, affidati ad Errico
Alvino, già professore di architettura all'Accademia, vennero
ad inserirsi nel più vasto piano di intervento urbanistico riguardante
la zona compresa tra via Museo, via Costantinopoli, via Port'Alba
e via Fosse del Grano. La sistemazione che prevedeva
l'apertura di via Bellini, delle due traverse ad essa perpendicolari
di via Broggia e via Conte di Ruvo, la costruzione della Galleria
Principe di Napoli, da destinarsi a luogo di convegni e di esposizione
di oggetti d'arte, e del teatro Bellini, già definiva, con la
concentrazione in zona di attive ed antiche Istituzioni come
il Museo Archeologico, il Conservatorio di San Pietro a Maiella
e la stessa Accademia di Belle Arti, l'idea urbanistica di "polo
delle arti", sulla cui realizzazione si concentra, oggi,
la politica culturale della nostra città.
L'adattamento
della vecchia struttura architettonica settecentesca, coinvolto
nel lento processo di trasformazione della zona, richiese tempi
molto lunghi di realizzazione. Ciononostante l'edificio si presenta
come uno degli episodi più felici di tutta la produzione napoletana
dell'Ottocento e uno dei più rappresentativi di quella corrente
neorinascimentale, che più di ogni altra influenzò l'architettura
partenopea del tempo. Risolta in chiave di blocco volumetrico
la costruzione si svolge intorno ad un ampio cortile rettangolare.
La parte interna è quella che più risente della precedente destinazione
conventuale.
Il
vecchio chiostro per nulla alterato nella sua struttura da Alvino,
che si mostrò sempre rispettoso delle testimonianze del passato,
fu trasformato in un'ampia galleria che serve le aule disposte
lungo il perimetro esterno, mentre gli ambienti sotterranei,
per far fronte al dislivello stradale, conseguente all'apertura
delle nuove strade, furono adibite ad aule di piano terra. L'esterno,
fatta eccezione della fronte sulla via Bellini, strutturato
con accento decisamente monumentale, si articola con facciate
suddivise in tre ordini sovrapposti di finestre arcuate, comprese
tra fasce di bugnato al piano terra e tra lesene toscane e corinzie
rispettivamente ai piani superiori Tale soluzione permetteva
un corretto e non discontinuo inserimento dell'edificio nella
cortina edilizia della strada, rivalutava e nobilitava un materiale
locale quale il tufo di grande effetto pittorico e attraverso
l'uso di finestroni rispondeva alle esigenze di una scuola quale l'Accademia,
che per i propri laboratori necessitava di molta luce naturale.
La
facciata prospiciente via Bellini, di recente ripristinata,
si presenta con un alto basamento e due corpi di fabbrica avanzati,
atti a dare risalto alla scenografica ala d'ingresso, animata
nel fregio del primo piano da clipei con busti in terracotta,
raffiguranti famosi professori dell'Accademia e da due leoni
di bronzo, in corrispondenza del portone d'ingresso, di Tommaso
Solari. La medesima monumentalità, che caratterizza all'esterno
la facciata, si riscontra all'interno con l'ampia scalinata
di marmo che attraverso il primo piano conduce alla Pinacoteca.
Nel
progettare l'edificio senza dubbio Alvino si era proposto di
rispondere anche alle esigenze rappresentative di un' Istituzione
che vantava una lunga e complessa tradizione artistica, che
dopo la direzione di Giovan Battista Wicar, durante la dominazione
francese, era stata alimentata, per lo meno, fino alla metà
dell'Ottocento, anche dalla presenza di Antonio Niccolini, architetto
e scenografo del San Carlo e di Anton Sminck Pìtloo,
cui fu affidata la Scuola di Paesaggio nel 1824 e promotore
della Scuola di Posillipo.
Con
il nuovo insediamento l'Accademia visse una fase di rinnovamento,
coinvolta dal generale ed entusiasta clima progressista. Nel
1861 fu nominato direttore Cesare Dalbono, che, non solo, sottolineava,
in linea con quanto avveniva nel resto dell'Europa, l'importanza
delle tecniche, ma fondava la biblioteca e istituiva il corso
di Storia dell'arte, riconoscendone il valore formativo per
gli artisti. Dal 1868 fu fondamentale per l'Istituto la presenza.
di Domenico Morelli e di Filippo Palizzi, che si batterono nel
tentativo di conciliare la tradizione con le nuove istanze culturali
e sociali e a mantenere vivo ed aperto il dibattito delle arti
all'interno dell'Accademia. Insieme con Palizzi e Morelli insegnarono
altri artisti di fama come Gioacchino Toma, Lista e Saverio
Altamura.
Quest'ultimo,
insieme con il Morelli, dal 1892 si adoperò per la costituzione
di quella che, con regio Decreto del 1895, fu nominata la Galleria
Regionale d'Arte Moderna dell'Accademia. L'originaria collezione
nel 1898 era ampliata da una donazione da parte di Filippo Palizzi
di 227 opere di sua mano e dei fratelli Giuseppe, Nicola e Francesco
Paolo, nonché di una piccola e preziosa raccolta di quadri di
scuola francese. Il fondo che annovera tra le altre, tele di
Saverio Altamura, Costanzo Angelini, Michele e Giuseppe Cammarano,
Consalvo Carelli, Eduardo Dalbono, Teodoro DucIère, Giacinto Gigante Antonio Mancini, Domenico Morelli, Achille
Vianelli e sculture di Achille D'Orsi, Vincenzo Gemito, Saverio
Gatto e Stanislao Lista, testimonia, anche attraverso la presenza
di una cospicua collezione
di disegni, in maniera organica ed unitaria la complessa cultura
artistica dell'Ottocento partenopeo.
Dopo
la morte di Filippo Palizzi (1899) e di Domenico Morelli (1901),
in parallelo con la crescente emarginazione di Napoli, l'antico
Istituto, diviso con le nuove riforme in corsi quadriennali
di Pittura, Scultura, Decorazione e Scenografia (la scuola di
Architettura si aggregava all'Università nel 1930) diveniva
ormai Istituzione, cominciando a vivere quella crisi di identità
che accresciuta da miserevoli disponibilità economiche ed operative,
avrebbe caratterizzato la sua futura vita. Separata dalle ricerche
artistiche più avanzate del Novecento l'Accademia, tuttavia,
non venne meno al suo impegno di alta qualificazione. Per volontà
dell'archeologo Pirro Marconi, al tempo presidente dell'Istituzione,
furono ampliati i fondi fotografici e librari, e le scuole furono
provviste di numerosi calchi di sculture del Museo Nazionale
di Napoli e dei Musei Capitolini e Vaticani di Roma, che venivano
ad aggiungersi e in parte a sostituire l'antica collezione costituitasi
sotto le direttive di Antonio Canova durante il Direttorato
di Giovan Battista Wicar.
Dopo
il secondo conflitto mondiale, l'edificio, devastato nel suo
patrimonio artistico e documentario, a seguito dell'occupazione
delle truppe alleate, riaprì i suoi battenti con la direzione
di Emilio Notte, il cui insegnamento disponibile alle correnti
contemporanee, offriva alla retriva cultura ufficiale napoletana
la possibilità di affacciarsi sul più complesso ed aggiornato
panorama europeo degli anni cinquanta. Mentre già giovanissimi
operavano ed insegnavano all'allora annesso liceo artistico,
Spinosa, Venditti, Barisani,
De Stefano, Colucci, Greco e Perez, all'Accademia si formavano
Pisani, Alfano, Persico, Di Bello, Biasì, Palumbo, Del Pezzo, Starita, Di Ruggiero,
Di Fiore, Bugli e Stefanucci, che operarono un reale cambiamento
dell'arte napoletana in linea con le scelte culturali ed artistiche
internazionali del secondo dopoguerra.
Ma
il difficile inserimento dell'Istituzione, che manteneva intatta
la sua normativa legislativa, legata alla riforma Gentile del
1924, nel mutato assetto sociale, politico e culturale della
giovane repubblica, doveva inevitabilmente portare ad una nuova
e più lacerante interruzione, accelerata dagli eventi del Sessantotto.
La consapevolezza, a lungo maturata, che la sopravvivenza dell'Accademia,
dovesse essere legata solo ad un ruolo attivo, in sinergia con
le altre istituzioni e all'interno della realtà più viva napoletana,
ha portato, negli anni ottanta, alla riformulazione di un progetto
che vedesse l'antica Istituzione di nuovo protagonista della
crescita culturale non solo della città, ma di tutto il meridione.
Il
restauro del nostro monumentale edificio, con il ripristino
di gran parte dei suoi spazi, a ricominciare dalla riorganizzazione
di molte scuole, per continuare con l'apertura di laboratori
attrezzati secondo le più moderne necessità di progettazione
e di produzione, come quello di restauro, l'apertura della seconda
Galleria e la risistemazione del giardino storico, sono la testimonianza
di un impegno, difficile e faticoso da sostenere in una realtà
come la nostra, ma che è segno di una tenace volontà di uscire
dall'ombra". Alla luce di tale rinnovato atteggiamento
vanno considerate le numerose esposizioni, che si sono susseguite
negli ultimi decenni ed organizzate negli spazi museali, come
quelle monografiche, dedicate a George Grosz, Gustav Klimt,
Joseph Boys, o alle collezioni di arte contemporanea
dei musei francesi, o alla fotografia del Bauhaus; o a quelle
tematiche come Il sogno rivela la natura delle cose o
Il trionfo dell'idiozia. Una politica di apertura, sostenuta
anche da dibattiti, convegni, concerti, conferenze, rassegne
cinematografiche e teatrali, che ha visto coinvolto non solo
una larga fascia del pubblico napoletano, ma soprattutto gli
studenti che nel confronto hanno acquisito maggior entusiasmo
e forza nel "fare". Mostre didattiche, partecipazione
a premi, rappresentazioni teatrali, collaborazioni con il teatro
San Carlo e la Rai, scambi con altre istituzioni culturali,
nazionali ed estere, sono il segnale di una fervente attività
produttiva.
Dopo
la I Biennale del Sud del 1988, nata dall'esigenza di portare
l'attenzione generale su artisti meridionali troppo spesso penalizzati
e dimenticati dalla critica, la seconda edizione, dal titolo
Quando le Accademie scelgono
le Arti è stata rivolta ai giovani. Inaugurata nel 1993,
la mostra itinerante ha presentato giovani artisti selezionati
dalle più prestigiose Accademie d'Europa, ottenendo successo
di pubblico e di critica anche a Madrid, Bruxelles, e Londra
e confermando il ruolo primario ed attivo dell'Accademia di
Napoli nel sistema contemporaneo delle arti. Attualmente si
sta operando verso la specifica apertura di un corso di diploma
in restauro e di un diploma in arredo urbano, rivendicando il
diritto che le Accademie formino figure professionali nel settore
della conservazione dei beni culturali e del riassetto delle
aree urbane. Nell'ambito di tale progetto assume rilievo la
partecipazione dell' Accademia
di Napoli ai progetti
pilota per la formazione di "Tecnici per la diagnostica
e la manutenzione dei Beni Culturali" in attuazione dell'intervento
Istruzione e Formazione Tecnica Superiore Integrata (IFTS) nell'ambito del piano FIS 1999/2000
della Regione Campania.
II
percorso in tal senso è ancora lungo e rientra nel più generale riordino volto all'identificazione
di nuovi settori di produzione e di nuove professionalità, ma
la nostra istituzione, ha già fatta sua una politica di aggiornamento
che, ben rispondendo al suo recente inserimento nel Ministero
della Ricerca Scientifica, tende alla riqualificazione e all'ammodernamento
in linea con quanto avviene nel resto dell'Europa. Il clima
di fervore che si respira nell'Accademia e la rinnovata attenzione
nei suoi confronti da parte delle istituzioni pubbliche e private,
sono un chiaro segno dell'inversione di tendenza, in termini
di modernità, che va lentamente delineandosi in questi ultimi
anni. L'invito da parte della città di Vasto a progettare e
realizzare una mostra con i dipinti dei fratelli Palizzi, provenienti dalla collezione della
Galleria dell'Accademia, una mostra sugli artisti napoletani
tra il 'S0 e il '70, ed infine di una rassegna sui giovani artisti
emergenti, sono il naturale sviluppo di un lavoro condotto con
impegno e nella convinzione della necessità dell'arte per lo
sviluppo civile di una nazione.
Le
numerose richieste di partecipazione ad eventi e manifestazioni
di rilievo, l'apertura imminente del teatro, modernamente attrezzato,
la ristrutturazione della storica biblioteca arricchita e riaggiornata, quale centro di documentazione sulle
arti soprattutto contemporanee, la sua informatizzazione, la
risistemazione dell'Archivio Storico e la sua integrazione fino
ai nostri giorni, in un progetto di collaborazione con la Soprintendenza
Archivistica della Campania, il restauro dei gessi per una nuova
gipsoteca e la sua integrazione attraverso copie dal Museo Archeologico
Nazionale, in collaborazione con La Soprintendenza Archeologica
di Napoli, sono una realtà che ha forza, di ridare dignità e
ruolo di alta cultura alla nostra Istituzione. Come realtà è
la riapertura della Galleria d' Arte Moderna, con un aggiornamento
della collezione fino ai nostri giorni, a conclusione di una
lunga battaglia che l'Accademia ha portato avanti insieme con
altre istituzioni tra cui la Soprintendenza dei Beni Architettonici
ed Ambientali e la Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici.
Un episodio di gran rilevanza non solo storica e culturale,
in quanto testimonianza della vitalità degli artisti meridionali
e dei loro contatti con la nostra istituzione, ma anche e soprattutto
perché essa possa diventare volano per l'insediamento a Napoli
di una cultura artistica contemporanea capace di riportare nella
nostra città quel vivace dibattito sulle arti e sulle idee che
la sottendono, che l'ha più
volte protagonista sugli scenari internazionali.
Dopo
la seconda guerra mondiale, a causa dell'occupazione delle truppe
Alleate, l'edificio di via Costantinopoli
si ritrovò devastato e depauperato nelle sue collezioni
di opere d'arte, di libri, di documenti d'archivio. Riprese
la sua attività sotto la direzione di Emilio Notte, titolare
della Cattedra di Pittura di Giovanni Brancaccio Cattedra di
Decorazione. Sono stati direttori: Franco Mancini, titolare
della cattedra di scenografia; prof. Giovanni Pisani, titolare
della cattedra di pittura. Attualmente,è Direttore il Prof.
Di Ruggiero, titolare della cattedra di Pittura.
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