- [Domenica appena un sussulto... -
Domenica appena un sussulto socchiuso di porte e di persiane. Trema la scala dipinta sul muro. Prossime a ferire estranee gli occhi esperti dal silenzio, i miei non più, forme, nell’eco.
- Meridiei -
eccole, dunque, le cose di allora sibili sidi di sica nei tronchi rocchi a crocchiare nocchiuti la caspa scotomachia dello scriba balenga eccome ematica manteca emartro parafa a margine d’orbo epitaffio gravita nel miro gurge gremendo miele lipotropo leccardo lecco eccomi meco medesimo come spesso mi fingo per inventare il mondo simile ad ombre cinesi sul muro per quanto spettri la luce la mano.
- [Lampioni in lontananza... -
Lampioni in lontananza appesi al buio le tue parole forse le mie mani M’ έυα τίποτα έζησα κάτι κάτϊ due passi dunque uno solamente. - [Questa non è la mia voce... -
Questa non è la mia voce ma l’eco di un’onda ormai remota alla memoria, il vetro unica fuga per la mosca, l’ago nei solchi dell’imbastitura. Bastasse quanto meno a declinare quel muro forse intrinseco alla scala e l’orlo della notte nei capelli sarebbe già un insolito diadema siccome fa bernardo l’eremita con la conchiglia avita di un mollusco attinia tra le pietre dei fondali. Ma questa non è la mia voce, temo che possa continuare indisturbata seguendo sulla sabbia le rovine dei castelli, l’intreato organigramma degli ombrelli nella pioggia - insomma qualche formula a detrudere dal topos l’archetipo esorcismo per le rughe. Non leggermi, dunque, le pagine sgranano l’erpice della pupilla, il timpano di cera staccia l’ombra lento buratta lo scacco e la matta.
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