La terapia conversazionale con un gruppo di pazienti residenziali

di Pierrette Lavanchy e Giampaolo Lai

 

 

 

O. Introduzione

 

Nel settembre scorso ha avuto luogo all’Università di Milano-Bicocca, Facoltà di Medicina e Chirurgia, il V Convegno dell’Accademia di Scienze Cognitive (ASCo) presieduta dal Prof. Giorgio Rezzonico. Il tema della giornata, di comune interesse fra conversazionalisti e cognitivisti, era La conversazione con il paziente difficile. Abbiamo contribuito a questo evento presentando un’esperienza di terapia conversazionale di gruppo, che stiamo conducendo con pazienti psicotici in situazione residenziale e forniamo qui il testo del nostro intervento ai lettori di <<Tecniche conversazionali>>.

Per inquadrare le nostre esperienze ci siamo serviti di due griglie: l’una conoscitiva, di diagnosi conversazionale, l’altra clinica, di tecnica conversazionale. La griglia conoscitiva si basa sull’individuazione della conformità del testo all’una o all’altra di quattro figure logico-modali. Le figure logico-modali sono delle forme: stanno al testo che ad esse si conforma un po’ come le figure geometriche stanno alle stelle di un cielo stellato. Le quattro figure che usiamo (aletica, deontica, assiologica, epistemica) sono note ai lettori; le loro caratteristiche saranno comunque ricordate nello svolgimento del nostro discorso. La griglia tecnica presenta gli elementi di base attraverso i quali si struttura l’algoritmo della tecnica conversazionale. Per questa presentazione ci siamo tuttavia focalizzati esclusivamente sulla  negoziazione del motivo narrativo. Come è noto, con il termine di motivo narrativo s’intende l’unità di senso minima o strutturante di un turno verbale. Con il termine invece di negoziazione s’intende la ripresa, da parte di uno o più partecipanti al gruppo, del motivo narrativo lanciato, che viene poi restituito con aggiunte, tagli e modifiche, ma non con rigetto.

 

1. Materiale

 

Il testo proviene da un gruppo di terapia conversazionale che  conduciamo da circa un anno al CRT di Brugherio, grazie alla liberalità del Prof. Italo Carta, alla disponibilità del direttore Cesare Cornaggia, all’impegno di Tommaso Rigoni e di tutto il personale. Al gruppo partecipano i pazienti ricoverati, i medici e il personale paramedico. Gli incontri si svolgono settimanalmente. Una volta al mese il gruppo è condotto da un terapeuta esterno. Dopo la seduta di gruppo c’è una riunione con tutto il personale del CRT.

Cominciamo col presentare il testo audioregistrato e trascritto dell’inizio di una riunione del gruppo svoltasi nel maggio scorso. Il testo è la trascrizione verbatim della registrazione audio. I turni verbali sono numerati progressivamente per gli usi della ricerca.

 

1.1 Primo frammento. Inizio della conversazione

 

Vi sono venti persone, sedute in circolo nella grande sala che si affaccia sul giardino. Uno de conduttori interni introduce un tema già affrontato alla fine dell’incontro precedente e invita i partecipanti a parlarne al terapeuta. Danilo  risponde di slancio, ricordando che si trattava dei rapporti tra figli e padri, figli e madri. Intervengono, nell’ordine, Rosa, Antonio e Abigail.

 

6 Rosa: Pensi che io sono gemelli e mia mamma non sapeva  che... (indistinto) è nata prima mia sorella poi... (parole indistinte circa il momento esatto della sua nascita, che la madre non aspettava).

7 Antonio: ...all'incirca va beh, ora più ora meno. Anche mia mamma oltre ad aver avuto quattro figli maschi, poverina, ha avuto altre gravidanze. Mio padre aspettava anche due gemelle, dal secondo, mio papà inizia a firmare i soldi per fare l'aborto, e ha avuto tre figli in quattro anni... era talmente impegnato con il lavoro che magari è mancato poi. A me mi ha dato... e tra l'altro domenica è il compleanno di mia mamma, ha il doppio della mia età, io 37 gli ho compiuti un paio di giorni fa e lei 74... e gli volevo tanto bene, mio papà poi per me era affettuoso perché...

8 Abigail:  Invece io, anzi meno male che c'è questo discorso perché per me... con il genitore, che all'inizio, sono cominciate all'inizio a litigare, a fare dei problemi, i miei fratelli vanno fuori e io rimango a casa perché sono maggiorenni no, allora per individuare questi problemi provi a chiamare la mamma e queste cose qui, allora io sono sempre in mezzo, per non fare problemi io vado in mezzo a loro e poi alla fine, cioè quando si sono divorziati, hanno messo a contatto questo divorzio i genitori. Il papà mi parlava da una parte male di mamma, mia mamma mi parlava male di papà, a questo punto non so chi seguo, se papà o la mamma. [...] perché alla fine gli voglio tutti e due bene; però dentro me non lo so questo questo ha un problema di cui risale la mia depressione, queste paure e prima di venire qua vivo con la mamma però ogni tanto mi viene anche, sento anche la mancanza di papà. Io ciò questo problema che gli voglio tutti e due bene però non so chi seguo di loro. Ogni tanto mi viene la mancanza di cose che sento troppo la mancanza, soprattutto quando si è sposato adesso papà, invidiando... la gelosia, però questa cosa, io ci tengo ai miei genitori che non lo so proprio chi seguo di loro, se seguo papà o seguo la mamma, e questa cosa qua mi fa proprio...

9 Lai: Non sempre i genitori sono affettuosi, a volte litigano e creano delle difficoltà, e uno non sa sempre...

10 Danilo (si sovrappone): Infatti, infatti anch'io...

11 Lai: ... che cosa , che cosa ascoltare perché si sente un po' lacerato, ascoltare uno piuttosto che ascoltare l'altro

 

1.2 Commento

 

La figura logico-modale. Iniziamo con la ricerca della figura logico-modale alla quale si conforma il testo. Non è difficile accorgersi che il testo ruota quasi esclusivamente attorno ai concetti di Bene (l’affetto dei genitori) e di Male (l’assenza dell’affetto). In termini logico-modali, il discorso del gruppo fino a questo punto può quindi essere classificato nell’ambito della figura logico-modale assiologica – i cui operatori, ricordiamolo, sono il Bene, simbolizzato da G (good, buono), e il Male simbolizzato da ~G (non good). Il rapporto con i genitori, in particolare l’amore dei genitori o il suo recupero rappresenta per la maggior parte dei presenti il Bene. S’intravede, nel monologo di Abigail, qualche accenno epistemico: non so da dove viene la mia depressione; non so chi seguo. Tuttavia il <<non so chi seguo>>, che formalmente contiene il seme del sapere, parla di un’impossibilità a seguire chicchessia e quindi concettualmente sembra più vicino all’ambito aletico (Possibile, Impossibile, Necessario) che non a quello epistemico (Sapere, Non Sapere, Credere). Comunque sia, si tratta solo di un accenno. La figura dominante è decisamente quella assiologica.

Se volessimo stabilire ponti transuniversali, diremmo che la modalità assiologica rinvia a un atteggiamento mentale o psicologico in cui il soggetto riceve, gioisce o patisce, piuttosto che disporsi all’azione. In termini psichiatrici possiamo aspettarci di trovare questa modalità in particolare negli individui affetti da disturbi affettivi, depressivi o maniaci, o da disturbi d’ansia. Nei gruppi abbiamo trovato fin qui questa modalità prevalente nelle terapie conversazionali con pazienti Alzheimer.

 

La tecnica. Quanto alla tecnica, il turno 9-11 del terapeuta mostra un intervento di generalizzazione, attraverso il quale egli restituisce il motivo narrativo dei genitori presi dai loro litigi anziché portatori di affetto per i figli, motivo compatibile con i turni di tutti e tre i parlanti, anche se più vicino al turno di Abigail. Tale restituzione s’inserisce in uno schema che si ripeterà per tutta la seduta con i successivi parlanti, così articolato: il terapeuta asseconda per un po’ il dialogo con il singolo partecipante, fino al momento in cui è in grado di restituire il motivo narrativo, nella variante appena emersa. Nell’atto della restituzione, allarga e rilancia la conversazione all’insieme dei partecipanti.

Questa tecnica mira a coinvolgere i pazienti affinché possano condividere il motivo narrativo. Per esempio, dopo che Goffredo ha parlato della sua sofferenza perché il padre suicida, durante l’agonia, non ha chiesto di lui, il terapeuta restituisce:

 

31 Lai: Un po’ l’interrogativo è “Mi voleva bene o non mi voleva bene”, credo che è un interrogativo che tutti i figli si pongono un po’. Mi vuol bene o non mi vuol bene mio padre, mi vuol bene o non mi vuol bene mia madre, penso che ce lo poniamo un po’ tutti no?

 

Più avanti, dopo un intervento di Sergio che parla di un cambiamento nel rapporto con un padre prima odiato, poi restituito all’affetto, il terapeuta dice:

 

50 Lai: Questo è importante, vedete che ci sono delle difficoltà a volte coi genitori che poi si riesce a recuperare; è accaduto ad altri di voi che all’inizio avevano un difficile rapporto che poi dopo si è recuperato un po’?

 

La negoziazione del motivo narrativo. Osserviamo ora come il motivo narrativo viene negoziato nel gruppo. Fin dalle prime battute, si nota da parte dei pazienti  un’immediata accettazione del tema proposto (in particolare da Danilo) e una buona disponibilità a portare le proprie esperienze, che quasi sconfina nell’impazienza di intervenire: si veda il modo di Antonio (7) di liquidare le perplessità di Rosa (<<un’ora più, un’ora meno, va beh>>), l’incipit vivace (<<Invece io>>) di Abigail (8). Nella misura in cui i pazienti si riferiscono così a quanto detto dal parlante precedente, possiamo parlare di una negoziazione diretta del motivo narrativo o di qualche aspetto di esso, tuttavia senza che vi sia ricerca di condivisione. Piuttosto però dobbiamo notare che in generale, nelle prime fasi di questo colloquio, lo schema della negoziazione passa prevalentemente attraverso il terapeuta; è dal terapeuta che ogni paziente attinge il motivo narrativo, è a lui che rivolge il suo racconto. Se volessimo rappresentarlo graficamente, potremmo dire che tale schema assume una raffigurazione a forma di margherita, dove il contorno di ogni petalo, attaccato singolarmente al cuore, rappresenta il circuito chiuso tra ciascun paziente e il terapeuta. Con una raffigurazione più sobria, se indicassimo con dei vettori la direzione seguita dalle relazioni dei diversi parlanti, potremmo tracciare un doppio vettore tra ciascuno dei pazienti e il terapeuta, senza tuttavia poter tracciare alcun vettore fra i pazienti. Nel seguito del colloquio, e più ancora in successivi colloqui del gruppo, lo schema si modifica, quando il motivo narrativo viene ripreso da paziente a paziente. Graficamente potrebbe essere raffigurato come un fiore con petali larghi, ovvero come un percorso che congiunge diversi punti di una circonferenza da cui si diparte ogni tanto una linea a raggio verso il centro.

Passiamo ora al secondo frammento di testo, situato a circa quindici minuti dal primo. Sergio riprende a parlare del ravvicinamento col padre.

 

2.1 Secondo frammento. La disperazione di Abigail

 

61 Sergio: Ho voluto bene a mio padre dopo che, siccome era un... conosceva mio padre perché era nato in Bicocca a Milano, allora mi descriveva mio padre, perché io quando son nato, mio padre era già ammalato, aveva già l’esaurimento nervoso, mi ha raccontato quando era al mare con mio padre, mi han detto che era un pezzo d’uomo.

62 Lai: Come lei?

63 Sergio: No, io sono una, una cipolla. Cioè era un corretto, era un tipo in gamba. Lavorava, sapeva cosa era giusto e cosa era sbagliato, andavano insieme a bere il caffè con degli amici li. Era in gamba, cioè, poi si è ammalato di esaurimento nervoso, non gli andava più di stare a Milano.

64 Abigail: Invece io, una domanda che mi è venuta in mente adesso, che quando vedo o l’ospedale o qualche posto con i genitori che hanno un bel rapporto con i figli, sto male, incomincio a piangere, dico <<Ma perché anch’io non c’ho questo affetto con i miei genitori>>, e questa cosa importante di odiare, di odiare la mia vita perché quante volte ho tentato di uccidermi ma soprattutto per questa cosa, a parte che ho avuto tanti altri casini ma questa cosa con i miei genitori mi porta anche a finire la mia vita, perché da questa situazione sono venuti tanti altri problemi, perché io dico che se c’ho i genitori che mi stanno vicino, che stanno insieme come tutti gli altri, non sento la mancanza, non mi succedono questi problemi, non cado per terra, non vado, quando mi sento che sono nulla nella vita, che non sono valida. Io mi sento che... non sento che sono una persona che ha bisogno di vivere, mi sento una persona che non ha bisogno di vivere, che devo finire la mia vita, che basta. Questa cosa mi è venuta dopo quello che è successo tra i miei genitori, però questa cosa non riesco a capirla perché; e questo che soprattutto quello che mi dà fastidio quando vedo qualche genitore con figlio, perché sono felici così e io no?

65 Lai: Cioè lei dice: <<se io avessi avuto dei genitori più uniti tra loro io darei più valore a me stessa. Avendo avuto dei genitori che non erano uniti tra di loro è come se anch’io stessa non avessi valore>>. E’ un po’ quello che...

66 Abigail: Sì, perché anche per parlare, per sfogare, non è che vado da quello vicino come genitore <<Papà, mamma, ti posso parlare?>>. Perché se parlo con mamma, dice <<Guarda io c’ho la famiglia pesante, prova ad andare, prova a parlare con tuo papà>>, se vado da papà dice <<Guarda>>, ognuno c’ha la sua scusa e dice che c’ha qualcosa, che c’ha da fare, allora ognuno mi porta ad odiare l’altro, perciò mi trovo sempre in una situazione che è bruttissima.

67 Lai: Dove non c’è molto amore.

68 Abigail: Sì.

69 Lai: Dove c’è piuttosto odio, e odiando loro va a finire che odio anche me stessa.

70 Abigail: Sì, bravo.

71 Lai: Quindi come se dicesse che per amare me stessa si può arrivare ad amare un po’ gli altri. Vi riconoscete, conoscete qualcosa di simile anche voi?

72 Enrico: Secondo me è anche una logica conseguenza il fatto di, di, nel momento in cui ci si trova a non voler bene ai propri genitori e implicitamente è la stessa cosa che non voler bene a se stessi, visto che da loro deriviamo; cioè psicologicamente credo che scatti questo meccanismo. (Parla di liti in famiglia, che tuttavia si sono placate con il ritorno dei suoi nella terra di origine e conclude) però anch’io ho provato in certi momenti la stessa sensazione che ha provato lei.

73 Lai: In effetti odiando loro alla fine...

74 Enrico: Si odia implicitamente chi ti ha messo al mondo e quindi la tua stessa esistenza.

75 Lai: Cosa, cosa ne pensiamo, credo che valga la pena ragionare su questo.

76 Sergio: Lei chi è, dottor?

77 Lai: Lai, Lai, Lai.

78 Sergio: Lai.

79 Lai: Mi chiamo Lai.

80 Sergio: Buongiorno, è una brava persona.

81 Lai: Grazie.

 

2.2.Commento.

 

Le figure logico-modali. Come già nel primo frammento, il testo si conforma inizialmente alla modalità assiologica, dove il Bene evocato da Sergio è seguito dal Male che trionfa nel discorso di Abigail. Il Male sta nella disunione dei genitori (cioè nel loro odio reciproco), nell’odio della paziente per essi, e nell’odio per sé stessa. Occorre tuttavia notare, verso la fine del turno, un’apertura verso un’altra modalità, con un interrogativo sulla causa dell’infelicità. Non tanto nella domanda retorica finale: <<perché sono felici così e io no?>>, bensì piuttosto nelle parole precedenti: <<Questa cosa mi è venuta dopo quello che è successo tra i miei genitori, però questa cosa non riesco a capirla perché>>. L’interrogativo sulla causa non appartiene più alla modalità assiologica ma si conforma alla figura logico-modale epistemica, dove all’operatore del conoscere (K, to know) si contrappone l’operatore del non sapere (~K), e a entrambi quello del credere (~K~, non sapere che non, o B come belief).

Tale apertura di Abigail in modalità ~K potrebbe suggerire al terapeuta una restituzione del motivo narrativo in termini di spiegazione causale al modo indicativo (“Quando i genitori sono disuniti, i figli si sentono svalutati”, o “Lei si sente senza valore perché i suoi genitori sono disuniti”), se non fosse per alcun ragioni ovvie. Prima di tutto, l’apertura epistemica di Abigail è solo uno spiraglio rispetto alla modalità dominante assiologica ~G; in altri termini vige un’atmosfera di passione nella quale le formulazioni razionali sarebbero fuori luogo. In secondo luogo, una formulazione siffatta chiuderebbe il discorso, come a dire: “i fatti sono andati così, e questa è la conseguenza”.

 

Il condizionale controfattuale. Invece il terapeuta ricorre a una forma particolare di restituzione del motivo narrativo: il condizionale controfattuale, che è un modo meno diretto e più elegante di enunciare una relazione di causalità tra due proposizioni. Che cosa sono i condizionali controfattuali? In logica, nella logica modale, si chiamano “controfattuali” costruzioni linguistiche del tipo: “se i pipistrelli fossero sordi andrebbero a caccia di giorno”, “se Cesare non avesse attraversato il Rubicone non avrebbe conquistato Roma”. Hanno la forma di un periodo ipotetico dalla forma logica “se... allora”, dove la protasi, al congiuntivo passato, avanza una ipotesi contraria ai fatti (“Se Cesare non avesse attraversato il Rubicone...”), e l’apodosi afferma, al condizionale, il corollario dell’ipotesi, ugualmente contrario ai fatti (“... non avrebbe conquistato Roma”). Vengono formalizzati con i simboli seguenti:

 

 α □ → β

 

Diversamente dalle formulazioni causali appena discusse, che chiudevano ogni prospettiva nella definitezza del fatto compiuto, l’uso del condizionale controfattuale apre un mondo possibile, distinto dal mondo attuale, in cui la condizione posta è data per realizzata. Così quando il terapeuta afferma: <<Cioè lei dice “se io avessi avuto dei genitori più uniti tra loro io darei più valore a me stessa”>>, dice alla paziente che in un mondo possibile, lei ha genitori uniti e si dà valore. In termini logico-modali introduce la modalità del Possibile, appartenente alla figura aletica i cui operatori sono appunto il Possibile (M), l’Impossibile (~ M), il Necessario (~M~, non è possibile che non). Attraverso l’uso della prima persona poi, il terapeuta va ad abitare questo mondo possibile, facendosi l’io ausiliario della paziente. 

 

L’effetto dell’intervento. Siamo partiti da una situazione dominata, in particolare al turno 64, dalla figura logico-modale assiologica del tipo ~G, al quale fa seguito l’introduzione della modalità M, caratteristica del condizionale controfattuale usato dal conduttore al turno 65. Ci aspettiamo di coglierne l’effetto al turno 66, con la risposta di Abigail. Che cosa possiamo dire di questa risposta?

Ebbene, questa risposta evoca sempre una situazione di mancanza, come prima; eppure troviamo un elemento nuovo. Mentre al turno 64, Abigail parlava di una situazione di isolamento e di odio, ora parla di un suo bisogno, frustrato ma riconosciuto. Ma soprattutto parla di situazioni ipotetiche in cui può chiedere qualcosa ai genitori (<<se parlo con mamma>>, <<se vado da papà>>). Utilizzando il se prospetta delle possibilità: in qualche modo segue il terapeuta sulla via del Possibile. Sul piano delle figure logico-modali introduce la modalità aletica al posto della modalità assiologica. Sul piano dell’atteggiamento mentale introduce un accenno di attività al posto della passività iniziale.

I successivi turni verbali in 67, 69, 71, 73 consentono al terapeuta di rinforzare il legame concettuale tra odio dei genitori e odio di sé, e viceversa tra amore di sé e amore degli altri, allargando la conversazione a tutti i partecipanti. Interviene Emanuele che condivide il motivo espresso dal conduttore, ma, più importante ancora, esprime un’immedesimazione con Rashida: <<anch’io ho provato in certi momenti la stessa sensazione che ha provato lei>>. E’ la prima volta in questa seduta che la condivisione di un motivo narrativo segue la via diretta da un paziente all’altro, e non più indirettamente attraverso il terapeuta.