Il termine medio nella sopravvenienza dei risultati.

 

Un criterio logico-sintattico per provare la validità dei risultati.

 

Giampaolo Lai

 

            1. Cornice.

 

            1.A. Tesi. Ci sono, nel testo trascritto delle conversazioni registrate, precisi indicatori testuali, oggetti del testo, sui quali è possibile eseguire calcoli, secondo algoritmi approntati dal Conversazionalismo, che misurano le differenze tra un insieme di oggetti testuali, preso come punto di partenza, S1, e un insieme di oggetti testuali, preso come punto di arrivo, S2, successivo, and next, al tempo T. Le differenze tra S1 e S2 sono i risultati. Più semplicemente: S2 è il risultato. Al tempo T, che separa S1 da S2, possono essere attribuiti valori differenti: all’interno di una settimana, di un anno, di una conversazione, di un frammento di conversazione. Il tempo standard utilizzato nelle ricerche del Conversazionalismo copre i pochi minuti di un frammento di conversazione composti di pochi turni verbali tra paziente e terapeuta.

            1.B. Il materiale sul quale eseguiremo i calcoli dei fenomeni testuali è, secondo la tradizione del Conversazionalismo, un micro-frammento di conversazione registrata e trascritta. Il micro-frammento che propongo oggi è il testo di una conversazione tra me e Marcella. Si tratta della nostra seconda conversazione, avvenuta a distanza di una settimana dalla prima, ouverture di una terapia conversazionale attualmente in corso da poco più di un mese.

            1.C. Il metodo che utilizzeremo nell’indagine è quello del Conversazionalismo, che ha approntato un algoritmo teoretico, cioè una ricetta che indica numericamente i passi successivi necessari per giungere, prima, alla individuazione dei fenomeni testuali, e per procedere, successivamente, ai calcoli sui fenomeni in questione. Dai calcoli emergono sia profili conversazionali, sia predizioni del testo.

            1.D. Connessioni causali, o di sopravvenienza, tra S1 e S2. Le differenze, messe in evidenza dai calcoli, tra il segmento testuale di partenza, S1, e il segmento testuale di arrivo, S2, dopo un tempo T, and next, sono trattate come risultati, cioè come effetti, E, connessi a cause specifiche, C. Più semplicemente, diremo che S2 è l’effetto, E, (S2 = E,) connesso a cause specifiche C, situate tra S1 e S2 prima del tempo T. Va da sé che, in una conversazione, abbiamo a che fare per lo più con cause necessarie, non sufficienti, nel senso preciso che un medesimo effetto può, a volte, essere facilitato da più cause, o che una medesima causa può contribuire alla produzione di più di un effetto. Useremo indifferentemente il termine di causa, per riferirci al fatto che C causa E, dove E = S2, e di sopravvenienza, per dire che E sopravviene a C.

            1.E. Risultati dell’indagine sul testo. I calcoli eseguiti sul testo di Marcella evidenziano, come mostreremo, nette differenze tra S1 e S2, come dire risultati, effetti di cause, sia quanto alla forma fonica, FF, cioè alle forme grammaticali lessicali, con un netto aumento in particolare delle frasi ben formate, ossia felici, sia quanto alle forme logiche, FL, con un nettissimo salto dalle figure logico-modali assiologiche, orientate dall’operatore del Male, ~Gp, alle figure logico-modali epistemiche, orientate dall’operatore del non-Conosciuto,~Kp. L’imputazione causale di questo effetto viene rivolta alla modalità del turno verbale del terapeuta, T6, che ha qui la forma del condizionale controfattuale, orientato dall’operatore del Possibile, Mp.

 

            1.1. Nota. Per seguire la lettura del testo non sono necessarie conoscenze specifiche del Conversazionalismo. Quanto agli altri concetti utilizzati, ci basterà una elementare introduzione ai titoli: termine medio, condizionali controfattuali,  figure logico modali, sopravvenienza, i quali comunque si preciseranno nel corso della presentazione, e che potranno venire eventualmente approfonditi con l’opportuna bibliografia essenziale riportata in fondo al lavoro.

            1.1.α. La differenza tra S2 e S1 come risultati di una causa. Per ancorare visivamente le argomentazioni, via via che procederemo nel nostro discorso, disponiamo S1 e S2 agli estremi di una retta che rappresenta lo svolgersi lineare del tempo, e in una posizione intermedia il simbolo del tempo di passaggio, T, and next. 

 

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  T

  S1 -----------------------------> S2

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fig. n° 1

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Nel testo della conversazione che ci apprestiamo a leggere, l’insieme S1 contiene il primo segmento che va dal turno 1 al turno 5 di Marcella; e l’insieme S2 il segmento che va dal tuno 7 al turno 13. Al tempo T c’è l’insieme che contiene i turni 6 di Marcella e del terapeuta.

                1.1.ß. Il termine  medio. Per svolgere la tesi che tra S1 e  S2 c’è una causa C, alla quale S2 sopravviene in quanto effetto E, dove E = S2, utilizziamo la teoria del termine medio, svolta da Aristotele nelle sue ricerche sulla causa e sul sillogismo: <<in qualsiasi indagine si ricerca se sussiste un medio, oppure che cos’è il medio. In effetti, il medio è la causa, ed è proprio questa che viene ricercata in ogni indagine>> (Secondi analitici, 2.2.90a7). Se, a esempio, alla domanda: “perché i fiorentini sono europei”, si risponde: “perché sono italiani”, ‘perché sono italiani’ è il termine medio, e anche la causa, la ragione per la quale un fiorentino è europeo. In simboli: ‘perché p è un q? perché r’, dove la risposta è fornita dalla forma del sillogismo proposizionale: ‘se p e q, allora r’. Meno astratte, le immagini visive dei circoli di Venn ci permettono di cogliere, intuitivamente, la posizione del termine medio, q, che è in mezzo tra p e r, è compreso da p e comprende a sua volta r:


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                                                                              ---------------- p = europei

                                                               ------------------------- q = italiani

                                               -----------------------------------r = fiorentini

 

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fig. n° 2

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‘Se europei è la classe alla quale appartengono tutti gli italiani, e se italiani è la classe alla quale appartengono tutti i fiorentini, allora europei è la classe alla quale appartegnono tutti i fiorentini’. La dottrina del termine medio introdurrà del tutto naturalmente il fatto che, nel testo che andiamo a leggere, la causa C dell’effetto S2 , dove E = S2, è il termine medio T6, che contiene il condizionale controfattuale del terapeuta. 

             1.1.Γ. I condizionali controfattuali e i mondi possibili. I condizionali controfattuali sono proposizioni del tipo: “se Cesare non avesse attraversato il Rubicone non avrebbe occupato Roma”, “se il Colosseo fosse al Polo Sud sarebbe pieno di pinguini”, nelle quali la proposizione condizionale al congiuntivo esprime una condizione contraria ai fatti, ai fatti, nei due esempi, che Cesare ha attraversato il Rubicone e che il Colosseo è pieno di gatti. Secondo un’interpretazione di questo tipo di asserzioni, i condizionali controfattuali si inseriscono nella concezione dei mondi possibili, ipotizzando l’esistenza di mondi possibili, alternativi al mondo attuale, nei quali le cose avrebbero potute essere come il congiuntivo della premessa pone. Da questa prospettiva, alla quale aderiamo, quando, come vedremo al turno T6, il terapeuta utilizza un condizionale controfattuale, di fatto apre, per sé e per la paziente, un mondo possibile al quale entrambi possono accedere. Diamo anche, per chi ne fosse interessato, un trattamento più tecnico dei controfattuali. La logica dei condizionali controfattuali è stata sviluppata a cavallo degli anni 1960 e 1970, con i contributi fondamentali di David Lewis e Robert Stalnaker. La logica controfattuale si basa su un operatore diadico -->, per il quale α  --> ß sta a significare che se si desse il caso che α allora si darebbe il caso che ß. L’idea di Lewis era che, dato un mondo posssibile w, alcuni mondi sono più vicini a w che altri. Se scriviamo w’ <w  w” per significare che w’ è più vicino a w che w”, allora la semantica per --> sarà che α  --> ß deve essere vero in w se e solo se α non è vera in nessun mondo o c’è un mondo w’ nel quale α e ß sono entrambe vere che è più vicino a w che qualche altro mondo w” nel quale α è vera ma non ß. (Hughes G.E., Cresswell M.J. 1996; Lewis D., 1973; Pizzi C., 1983; Stalnaker R., 1968).

                1.1.π. Sopravvenienza. Abbiamo sopravvenienza quando non ci può essere una differenza di un qualche tipo in un mondo, w, senza che ci sia una differenza di un altro tipo in un altro mondo, w’. Per esempio, ci si può chiedere se a una modificazione delle particelle fisiche del cervello che interagiscono secondo leggi fisiche, non sopravvengano differenze nella vita mentale. L’idea centrale della sopravvenienza, quale relazione tra due famiglie di proprietà, è che le proprietà sopravvenienti sono in qualche modo determinate o dipendenti dalle proprietà sulle quali sopravvengono. Più formalmente, la sopravvenienza di una famiglia A di proprietà su un’altra famiglia B può essere spiegata così: necessariamente, per qualsiasi proprietà F in A, se un oggetto x ha F, allora esiste una proprietà G in B tale che x ha G, e necessariamente qualsiasi cosa avente G ha F. (Kim J. 1982, 1993)  

                1.1.ε. Mondi possibili. La descrizione di come le cose stanno è la descrizione di un mondo attuale. Ma le cose avrebbero potuto stare diversamente: avrei potuto comprare una Lancia invece di un’AlfaRomeo, avrei potuto abitare Roma invece che Milano. La descrizione di come le cose avrebbero potuto essere è la descrizione di un mondo possibile. Nella teoria dei mondi possibili, anche il mondo attuale è un mondo possibile tra gli altri. L’interesse centrale della teoria dei mondi possibili sta nella possibilità di stabilire delle relazioni, oppure non, tra il mondo attuale e i mondi possibili, tra più mondi possibili tra di loro. In termini più tecnici, prendiamo <W, R>. <W, R> è una coppia ordinata, o cornice, o frame. Nella cornice, W è l’insieme di tutti i mondi possibili  w, w’, w”....., wn, che quindi sono membri di W. R è una relazione diadica definita sui membri di W, nel senso che è specificato, per ogni coppia di oggetti, w e w’, se sì o se non wRw’. A volte R si definisce come relazione di accessibilità, e quando vale wRw’, w’ si dice acccessibile da w, oppure che wè possibile relativamente a w. Intuitivamente, R è una relazione di relativa possibilità, così che wRw’ significa che, relativamente a w, la situazione w’ è possibile. (Hughes G. and Cresswell M.J., 1996; Lewis D., 1986).

 

            2. Il testo immateriale della 2° conversazione con Marcella del 15.4.2003. I segni // che si trovano nel testo, scandiscono i blocchi di cento parole, chiamati centurie. I segni  ... racchiudono i tre segmenti testuali, in sequenza, indicati rispettivamente con S1, T6, S2, sui quali ragioneremo.

 

1 Marcella: Ieri, è stata, l’ultima volta che ci siamo visti, ogni tanto mi sono venuti in mente durante la settimana della, dei piccoli flash su delle piccole

1 Conversante:

2 Marcella: su delle cose che sono state dette. Nel senso che poi sono, era anche quello che volevo, forse, nel senso che rispetto al, a dove andavo prima a Monza dove mi sentivo un pochettino spinta, cioè un pochettino indirizzata a prendere delle decisioni, a fare determinate cose, aaaa in realtà questa settimana ci siamo, ho parlato quasi solo io l’altra volta, però, durante la settimana mi sono venute fuoriiii, ho fatto delle // riflessioni.

2 Conversante: Sì.

3 Marcella: E tra sabato e domenica io ho avuto dei momenti diiii, di forte ansia, in cui mi sento come un pochettino immobo, immobilizzata, cioè come se non riuscissi in quel momento aaa vivere, a vivere bene, quella, aaa, la situazione che sto vivendo, perché penso che, per esempio, questo fine settimana Valerio era a casa e stava con suo figlio, io ero con il mio, eee, sabato mattina mi sono svegliata con questo senso (inspirazione appoggiata), come se avessi già bevuto il caffè, ho iniziato a fare questi respiri eee proprio cioè agitata

3 Conversante: umh, uhm.

4 Marcella: e sono rimasta insomma agitata fino al pomeriggio. // Dopo, cercando di calmarmi, di contenermi, poi nel pomeriggio mi è passato, e basta, sono stata benissimo. E dopo il pomeriggio e la sera sono stata bene.

4 Conversante: Ecco.

5 Marcella: Proprio bene. E domenica, ho avuto anche domenica un momento in cui mi è ripresa questaaa, quest’ansia, e quando mi viene questaaaa, cioè quando sento questo nodo alla gola, questa, no, non riesco a vivere bene la, il mio momento. Ho pensato, dico, quando ho lasciato Valerio, perché questa è una sensazione che avevo anche prima e che sono cose che non volevo più vivere (ride), no che non volevo più vivere, lo avevo // lasciato perché queste cose erano diventate troppo, troppo pesanti. Quando l’ho lasciato, eeee, non c’erano, cioè questi momenti non non c’erano, cioè c’era tristezza, mi mancava, “voglio vederlo”, però non c’erano questi momenti di di ansia, per cui vivevo tranquillamente, sì, co, col suo pensiero, però vivevo tranquillamente, in modo tutto sommato più sereno, aaa, la mia, la mia normalità, cioè con mio figlio andavo, facevo, ho fatto anche sabato e domenica, però mi sono un pochettino forzata per uscire da, da questo stato di di agitazione che non mi, che non mi fa vivere bene

5 Conversante: sì.

6 Marcella: e questa è una di quelle sensazioni che, che non volevo più vivere. Fondamentalmente poi mi viene paura, (3’07. pausa di 15”. Brano 2:) Perché mi vengono questi salti di?

6 Conversante: Eh, credo che è importante, queste riflessioni che stava facendo su su questo, su questi collegamenti. Lei ha collegato l’ansia alla alla alla presenza dell’incertezza, del dilemma in cui si trova rispetto a Valerio, mi pare, no. Quindi è come se dicesse: “con Valerio mi viene quest’ansia”,  poi, se rovescia: “se non ci fosse Valerio, vivrei bene, sarei tranquilla e pacifica”.

7 Marcella: Sì, sì, sì. Sì, con tanti pensieri, però, più tranquilla. Ieri sera ci siamo visti, aaa, è venuto a cena da me, io ho faticato proprio a rilassarmi un pochettino, perché ormai ero talmente tesa, avevo iniziato dal, cioè tra sabato e domenica per cercare di difendermi avevo in qualche modo insomma cercato di reagire, per cui poi proprio ho faticato a rilassarmi, nel senso che ieri sera, cioè, per un po’ mi venivano in mente, insomma, le solite cose, i soliti, i soliti (espirazione appoggiata) discorsi.

7 Conversante: Quindi questa presenza che da una parte le fa piacere, dall’altra accende questa sua ansia

8 Marcella (sovrapponendosi): quando non c’è mi accende, sì, sì sì, però cioè dico anche, se cioè alla // fine siamo stati lontani un mese, e se dopo un mese alla fine ho voluto, insomma, sono venuta da lei quel giorno, ho detto, se lo ricorda che l’ho detto qua, non è che l’ho detto a un’altra persona, per cui faccio fatica a capire cioè che cosa  (ride) che cosa devo fare, non capisco quanto questo mio stato insomma di ansia, cioè alla fine dipende da me, non dipende da nessuno (1’52” del 2° brano, dall’inizio quindi 4’59”)

8 Conversante: E’ d’accordo, eh?

9 Marcella: Sì, sì, perché io, quando non c’era Valerio, il sabato e la domenica ero, erano uguali il sabato e la domenica. Anzi. Però è // questa situazione di incertezza. (silenzio di 20”)  

9 Conversante: Che cosa vuole la Marcella, in qualche modo.

10 Marcella: Sì, sì, sì, ma infatti ieri quando arrivava lì, gli ho detto, boh, io non so che cosa voglio alla fine, perché se questo mi crea tutta quest’ansia, però quando non c’è voglio vederlo, dico forse alla fine forse è meglio che mi chiarisca, che capisca che cosa voglio, che cosa voglio io, [3’01” del 2° brano, dall’inzio quindi 6’8”. Silenzio di 25”). Cioè, la sua presenza mi fa bene, ci sto bene, dall’altra però dico: “caspita, se quando non c’è, tutto sommato stavo meglio” [uno dei suoi silenzi, di 15”] Così però era anche con Marino, nel senso che quando non, quando non c’era mi, insomma, // avevo questi momenti in cui volevo, cioè volevo che fosse lì, e dico, non lo so se sono io che sono incapace io a stare da sola. Non si capisce.

10 Conversante: [brano 3:] Ma se possiamo un po’ sorriderci anche per alleggerire

11 Marcella: Sì, sì, sì

11Conversante: non è tanto che non è capace di star da sola, non è capace di stare con un uomo, in qualche modo. Provi a pensarci, perché è questo che sta dicendo. Perché se non c’è un uomo all’orizzonte, lei è tranquilla. Se appare all’orizzonte un uomo, diventa ansiosa.

12 Marcella: Sì, forse è questo, cioè, non è vero che non sono capace di stare da sola. E’ vero.

12 Conversante: Non è del tutto vero, ecco.

13 Marcella: Sì, sì, sì, anzi. (IV blocco di 102 parole. Brano 3, 41”. Dall’inizio 7’50”).

 

            3. L’algoritmo teoretico per i calcoli sulle forme logiche e sulle forme foniche del testo. Che cosa ne fa, il conversante, del testo trascritto di Marcella a disposizione? La prima operazione è l’individuazione e la quadrettatura del campo di indagine. I segni ... delimitano e comprendono i tre segmenti in cui abbiamo suddiviso, arbitrariamente ma non troppo, il microframmento di Marcella. Il primo segmento, dal turno 1 al turno 5, lo indichiamo con S1, per significare che sarà trattato come uno stato di cose di partenza. Il secondo segmento, che comprende il turno 6 del terapeuta, lo indichiamo con T6. Il terzo segmento, dal turno 7 al turno 13, lo indichiamo con S2, e sarà trattato come uno stato di cose di arrivo, da paragonare a S1. La formula adatta, presa dalla logica del tempo, è la seguente, che si legge, S1, and next, e al tempo seguente T, S2:

 

S1  T  S2

 

Tra S1 e S2 c’è una differenza, se c’è. La differenza, sia quando c’è, sia quando non c’è, è il risultato. La differenza è l’effetto, E, dove E = S2, connesso in qualche modo a una qualche causa, C, dal modo più forte e specifico della causa efficiente, al modo più debole e generico della sopravvenienza.

 

            3.1. Il calcolo sulle forme foniche, FF. Una volta quadrettato il campo di indagine, la ricerca si biforca a calcolare, da una parte, le forme foniche, FF, e, dall’altra, le forme logiche, FL. Il calcolo delle forme foniche si esercita sulle figure grammaticali e sintattiche. Praticamente, si contano tutte le parole di un segmento; si contano poi i nomi e se ne calcola la percentuale; si contano i verbi e dalla divisione con i nomi si ha il l’indice nomi/verbi. Si calcola poi la distribuzione dei predicati tra gli io delle frasi, i verbi al modo infinito, la concentrazione nei tempi. Si calcolano infine il numero e la percentuale delle frasi ben formate, ovvero felici. Cruciale è lo studio dei distacchi, in più o in meno, di ciascun fenomeno, rispetto alla medietà standard dei rispettivi parametri. I distacchi dalla medietà standard sono distacchi dalla felicità delle parole e frasi della conversazione. Ci limitiamo qui, saltando, per semplificare, i calcoli intermedi eseguiti, a fornire, nella tavola n° 1, un quadro riassuntivo d’insieme delle differenze dei singoli fenomeni in S1 e in S2.

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S1 = turni da 1 a 5                                                              S2 = turni da 7 a 13

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FF1                                                                                       FF1

lievitazione dell’io, al 49%, ++                                         lievitazione dell’io, al 55%, +++

definitezza formale, al 19%, -                                            definitezza formale, al 15%, -            

passato di iterazione, 61%, ++                                         presente di iterazione, 55%, ++

FF2                                                                                       FF2

onomafilia, al 13%                                                              onomafilia, al 10%

espansione dell’indice, allo 0.75                                      espansione dell’indice allo 0.52

FF3                                                                                       FF3

61% di frasi ben formate (35)                                            80% di frasi b.f. (48)                           

38% di frasi non b.f. (20)                                                   20% di frasi non b.f. (12)

autocorrezioni al 21% (12)                                 autocorrezioni al 3% (2)

interruzioni di frasi al 15% (9)                                           interruzioni di frasi al 5% (3)

iterazioni al 15%   (9)                                                          citazioni  al 3% (2)

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Tavola n° 3. Gia a un primo colpo d’occhio si possono cogliere alcune nette differenze tra S1 e S2, differenze che nella nostra logica costituiscono il risultato. Senza scendere in dettagli, basti notare la differenza delle percentuali di frasi ben formate, che passano dal 61% in S1 all’80% in S2, o delle frasi non ben formate, che cioè si distaccano dalla medietà standard, e che scendono dal 38% al 20%, di quasi la metà. 

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            3.2. Il calcolo sulle forme logiche, FL. Ci soffermeremo più a fondo sui calcoli della conformità del testo alle figure logico-modali. Il calcolo delle figure logico-modali si fa un po’ come quando si cerca di rinvenire in un cielo stellato, e il cielo stellato sono le parole e frasi del testo, la conformità di un agglomerato di stelle alla figura geometrica, mettiamo, del triangolo piuttosto che a quella del trapezio. Diamo, nella tavola n°4, le quattro (o cinque) figure geometriche logico-modali, con gli operatori corrispondenti, utilizzate dal Conversazionalismo. Per definizione, tutti gli agglomerati possibili  di stelle apparterranno all’una o all’altra delle quattro modalità logiche, e a nessun’altra; e, inoltre, di nessuna stella potrà dirsi che non appartiene all’una o all’altra delle modalità logiche in questione. Da questa definizione salta immediatamente agli occhi la semplificazione portentosa delle operazioni sui profili conversazionali rispetto a qualsiasi manuale diagnostico in circolazione.

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Tavola della figure logico-modali con gli operatori corrispondenti

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Le figure logico-modali aletiche (da aletheia ‘il vero’)

                               il Possibile,      Mp               ‘è possibile che p

                               l’Impossibile, ~Mp             ‘non è possibile che p

                               il Necessario, ~M~p           ‘non è possibile che non p

Le figure logico-modali deontiche (da déon ‘il dovere’)

                               il Permesso, Pp,                   ‘è permesso p

                               il Proibito, ~Pp,                    ‘non è permesso, è proibito p

                               l’Obbligatorio, ~P~p          ‘non è permesso non p

Le figure logico-modali assiologiche (da axios ‘il valore’)

                               il Bene, Gp,                           ‘è bene p

                               il Male, ~Gp,                        ‘non è Bene, è Male p                                                                     l’Indifferente, ~G~p.           ‘non è né Bene né Male p

Le figure logico-modali epistemiche (da episteme ‘la conoscenza’)

                               il Sapere, Kp,                        ‘sa che p

                               il Non-Sapere, ~Kp,            ‘non sa che p

                               la Credenza, ~K~p.             ‘crede che p’, ‘né sa né non sa che p

Le figure logico-modali temporali:

                               *Pp         ‘è stato vero che p’; ‘è accaduto che p’ (passato debole)

                               Hp          ‘E’ stato sempre vero che p’; ‘sempre in passato p  (passato forte)

                               Fp           ‘Sarà vero che p’; ‘accadrà p’ (futuro debole)

                               *Gp        ‘Sarà sempre vero che p’; ‘sempre in futuro p’ (futuro forte)

 

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tavola n° 4

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            4. Esercizi di ricerca della conformità del segmento S1 di Marcella alle figure logico-modali assiologiche. Proviamo ora a chiederci: il segmento S1 dei primi cinque turni di Marcella si conforma, non necessariamente in maniera netta e univoca, e ciò ben si comprende, a una, piuttosto che all’altra, delle quattro figure logico-modali della tavola n° 2? E se sì, a quale? Se procediamo per esclusione, si potrebbero trascurare le figure aletiche, niente in S1 sembrando richiamare o il Possibile o l’Impossibile o il Necessario; analogamente potremmo trascurare le modalità deontiche, non essendoci traccia, almento evidente, in S1, del Permesso, o del Proibito o dell’Obbligatorio; e pure le figure epistemiche parrebbero da escludersi, mancando in S1 accenni al Sapere, o al Non-Sapere, o al Credere. Non restano, quindi, che le figure assiologiche, alle quali, del resto, saremmo potuti giungere  direttamente. Infatti, gli operatori del Bene e del Male, anzi, del Male, ~Gp, spaziano per tutto il segmento S1. Fin dal turno 3 di Marcella, troviamo: “io ho avuto dei momenti diiii, di forte ansia”, e: “come se non riuscissi in quel momento aaa vivere, a vivere bene”, e: “mi sono svegliata con questo senso ... agitata”; e, al turno 4: “sono rimasta agitata fino al pomeriggio”; e ancora, al turno 5: “mi è ripresa quest’ansia ... questo nodo alla gola ... non riesco a vivere bene ... cose che non volevo più vivere ... agitazione che non mi, che non mi fa vivere bene”. Al di là di ogni ragionevole dubbio, abbiamo qui a che fare con indicatori testuali, oggetti fenomenici evidenti, orientati dall’operatore assiologico del male, ~Gp, da cui viene così a caratterizzarsi il segmento S1.

 

            5. Esercizi di ricerca della conformità del segmento S2 di Marcella alle figure logico-modali epistemiche. Se passiamo ora a filtrare gli ammassi di stelle del segmento S2, dal turno 7 al 13, attraverso le nostre figure logico-modali, ci appare con tutta evidenza che il segmento S2 non si conforma più alle figure assiologiche, del Bene e del Male, bensì alle figure logico-modali epistemiche, secondo l’operatore del non-Conoscere, ~Kp. Ci confortano, nell’argomentazione di questa tesi, i numerosi indicatori testuali che raccogliamo, sul modello introdotto da Marcella con la questione del turno 6: “perché mi vengono questi salti di?”; al turno 8: “faccio fatica a capire”, “che cosa devo fare”, “non capisco”; e ancora al turno 10: “io non so che cosa voglio”, “che mi chiarisca”, “che capisca che cosa voglio”, “che cosa voglio io”, “non lo so se sono io”, “non si capisce”. Il non sapere, ribadito da Marcella, denuncia tutta l’infelicità testuale della asimmetria epistemica prodotta dall’operatore del non-Conosciuto, ~Kp. Abbiamo così un’altra differenza evidente, in chiave della forma logica, FL, nel salto da S1, and next S2, che, aggiunta alle differenze calcolate per la forma fonica, FF, completano la tavola n° 1 delle differenze tra S1 e S2, in un risultato netto e inequivocabile.

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S1 = fenomeni dei turni da 1 a 5                                       S2 = fenomeni dei turni da 7 a 12

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FF1                                                                                       FF1

lievitazione dell’io, al 49%, ++                                         lievitazione dell’io, al 55%, +++

definitezza formale, al 19%, -                                            definitezza formale, al 15%, -            

passato di iterazione, 61%, ++                                         presente di iterazione, 55%, ++

FF2                                                                                       FF2

onomafilia, al 13%                                                              onomafilia, al 10%

espansione dell’indice, allo 0.75                                      espansione dell’indice allo 0.52

FF3                                                                                       FF3

61% di frasi ben formate (35)                                            80% di frasi b.f. (48)                           

38% di frasi non b.f. (20)                                                   20% di frasi non b.f. (12)

autocorrezioni al 21% (12)                                 autocorrezioni al 3% (2)

interruzioni di frasi al 15% (9)                                           interruzioni di frasi al 5% (3)

iterazioni al 15%   (9)                                                          citazioni  al 3% (2)

FL                                                                                         FL

figura logico-modale assiologica:                                    figura logico-modale epistemica:

                con l’operatore modale                                                     con l’operatore modale

                del Male, ~Gp                                                                     del Non Sapere, ~Kp

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tavola n° 5, che riassume e giustappone i fenomeni dei turni dal 1 al 5, in posizione di S1, e dei turni dal 7 al 12, in posizione di S2, la cui differenza costituisce il risultato

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            6. Le ragioni di una differenza. La causa, C, di un effetto, E.  La sopravvenienza di S2 a una qualche C. La lettura della tavola n° 5 mostra bene la differenza dei fenomeni di S1 e di S2, cioè il risultato, l’effetto, E, dove E = S2, di una qualche causa, C; ovvero la sopravvenienza di S2 a una qualche C, dove C spiega S2, fornisce la ragione logica di S2, risponde alla domanda: ‘perché, dopo S1, S2?, perché S2 consegue a S1, sopravviene a S1?’ Per rispondere alla domanda, si tratta ora di andare alla ricerca della causa C che ha prodotto l’effetto E = S2, o della C alla quale S2 è sopravvenuta.

 

            7. Il turno verbale T6 in quanto condizionale controfattuale.

Non foss’altro che per l’evidenza della sua contiguità e successione, il primo indiziato, nella ricerca delle cause della differenza tra S1 e S2, è il turno verbale 6 del terapeuta, T6, situato proprio a ridosso di S1 e di S2: “se non ci fosse Valerio, vivrei bene”. In questo turno, il terapeuta utilizza una tecnica specifica e speciale, consistente nella ‘somministrazione del condizionale controfattuale’. Abbiamo già anticipato che cos’è il condizionale controfattuale. Si chiamano ‘controfattuali’ costruzioni linguistiche del tipo: ‘se i pipistrelli fossero sordi andrebbero a caccia di giorno’, ‘se Cesare non avessse attraversato il Rubicone non avrebbe conquistato Roma’, per la ragione che i componenti della proposizione sono contrari ai fatti: negli esempi, contrari ai fatti che i pipistrelli ci sentono benissimo e dormono di giorno, e che Cesare ha attraversato il Rubicone e conquistato Roma, e che Valerio c’è e Marcella non vive bene. Occorre aggiungere che la modalità del condizionale controfattuale di T6, è una modalità né assiologica (quale è invece quella del segmento S1 = ~Gp, da cui il turno del conversante prende le mosse) né epistemica (quale è invece quella del segmento S2 = ~Kp, su cui lo stesso turno 6, T6, sfocia), bensì una modalità aletica, del possibile: ‘Mp’ = ‘In un mondo possibile dove Valerio non c’è, Marcella è felice’.

 

            8. La tesi che T6 è la causa dell’effetto S2, o che l’effetto S2 sopravviene a T6. Trasformiamo ora la tesi generale del § 1, che, dato un insieme di oggetti di partenza, S1, e un insieme di oggetti di arrivo, S2, la differenza tra S1 e S2 è un effetto, E, di una qualche causa, C, che sta tra S1 e S2, dove S2 = E, nella tesi speciale che S2 è un effetto, E, sempre con S2 = E, di T6 (e anche di S1). La tesi che ci apprestiamo a dimostrare è dunque che i turni dal 7 al 13 di Marcella sono causati dal turno verbale 6 del terapeuta, e, anche dai turni dall’1 al 6 di Marcella. Seguiremo due strade: la prima, empirico-probabilistica, la seconda logico-modale.

 

            8.1. La strada empirico-probabilistica della tesi speciale che S2 sopravviene a T6, o che T6 è la causa di S2. Cominciamo, ora, in chiave empirico-probabilistica, a svolgere la tesi che il turno verbale T6 del terapeuta (in quanto condizionale controfattuale, cioè figura logico-modale aletica del possibile) è la causa dell’effetto del segmento S2 (S2 = E) di Marcella (in quanto figura logico-modale epistemica). Mettiamoci nel collo della clessidra, al tempo limite T, nel quale sopravvengono gli effetti di S1 e dal quale si diramano le cause di S2. Ebbene, in questo momento limite T, uno sguardo dall’alto, a view from nowhere, una prospettiva assoluta, non relativa a alcun osservatore psicologicamente determinato, permette di sapere che, al momento successivo, and next, dopo che il terapeuta avrà fornito il proprio T6, Marcella produrrà un suo turno verbale che sarà necessariamente in conformità con l’una o con l’altra delle quattro forme logico-modali, secondo una probabilità dell’8%. Il calcolo è presto fatto: le forme logico-modali sono 4 (escludiamo, per non complicare troppo le cose, le figure modali della logica del tempo); ciascuna si suddivide in 3 figure; 4 x 3 = 12; 1 diviso 12 fa 0,08, che, moltiplicato per 100, dà 8, cioè 8%, ossia la probabilità che, a parità di ogni altra condizione, uno dei 12 eventi possibili si verifichi. Ma la clausola caeteris paribus non vale qui assolutamente. Infatti, si sa, e se non si sapesse, o se si fosse dimenticato, le cose non cambierebbero, che quando la psicologa di Monza ha spinto Marcella a abbandonare Valerio che la faceva soffrire, restituendo un turno verbale deontico dell’Obbligatorio, (~P~p = ‘Devi lasciare Valerio’, ‘non è permesso non abbandonare Valerio’: vedi al turno verbale 2 di Marcella,) Marcella ha risposto ribadendo la modalità assiologica del Male, ~ Gp, anzi, trasformandola nell’iperbole dell’infelicità conversazionale, che è il silenzio della fuga. Quindi, la probabilità che, alla somministrazione di un T6, in quanto figura logico-modale aletica, del possibile, (Mp = condizionale controfattuale, α  --> ß,) logicamente agli antipodi rispetto alle figure deontiche, sopravvenga un’altra risposta assiologica, si avvicina a 0. Ma anche la probabilità materiale che alla somministrazione di una figura aletica del possibile, Mp, sopravvenga una risposta deontica in Marcella, è empiricamente vicina a 0. Per convincersene, basta fare un qualche esperimento mentale, nei quali sarebbe difficile trovare una Marcella che propone a sé stessa la riposta che non ha accolto quando le è stata offerta dalla psicologa di Monza. Resta quindi l’alternativa tra una risposta di Marcella o aletica o epistemica. 1/2 = 0.50 x 100 = 50. Dalle argomentazioni svolte fin qui, sulla strada empirico-probabilistica, abbiamo che la probabilità di ottenere una risposta epistemica in Marcella al tempo successivo al condizionale controfattuale del possibile del terapeuta, è del 50%. Il conversante può scommettere alla pari su una simile predizione. Come dire che, sopravvenendo, se non sempre, almeno per lo più, a un condizionale controfattuale, S2 è probabilmente causata da T6. Q.E.D.

 

            8.2. La strada logico-modale della tesi speciale che S2 sopravviene a T6, o che T6 è la causa di S2. Ma la tesi che S2 sopravviene a T6, o che T6 è la causa di S2, desideriamo validarla non solo su una base materiale probabilistica, come abbiamo fatto, convincentemente, ci sembra, al § 8.1, ma anche logico-formale. Per questa dimostrazione, richiamiamo la dottrina del termine medio, già abbozzata al § 1ß, riprendendone, per comodità del lettore, la definizione: “In effetti, il medio è la causa, ed è proprio questa che viene ricercata in ogni indagine”. Nella prospettiva del termine medio, chiedersi: ‘perché S1 può diventare S2’, o: ‘perché S1 T S2’ (perché S1 e al tempo seguente, T, and next, S2), vuol dire cercare un legame logico che congiunga S1 a S2, e questo legame è il termine medio. Se poniamo, come termine medio, T6, allora la domanda precisa: ‘perché S2 di Marcella è, e è quello che è?’, ottiene la  riposta: ‘perché T6’, ossia: ‘la causa di S2 è T6’.

 

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                ----------------- S1 = ~Gp = il Male

                ----------------------T6 = Mp = il Possibille

                               ----------------------------S2 = ~Kp = ciò che non si conosce

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fig. n°6

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Bisogna però riconoscere che, se, a tratti, il legame così stabilito sembra fornire una spiegazione soddisfacente, a altri momenti ci sfugge nelle sue articolazioni. Cerchiamo un soccorso nella dottrina delle quattro cause: materiale, formale, efficiente, finale, definite da Aristotele in Fisica, 2.3.194b23-195a3. “Perché, in un senso si dice causa ciò da cui proviene l’oggetto e che è ad esso immanente, come il bronzo alla statua o l’argento alla coppa, o anche i vari generi del bronzo e dell’argento”. Nel senso ora definito di causa materiale, la causa (materiale) di S2, è la materia delle parole, sono i fenomeni FF1, FF2 e FF3 della tavola n° 3 del § 3.1, che, come il bronzo della statua permane sempre uguale al di là dei mutamenti che portano dal bronzo raccolto e fuso alla apparizione della statua, così rimangono sempre costituiti dai medesimi materiali da S1 a T6 a S2. La causa di S2, ciò da cui proviene S2, è, quindi T6, e, prima, S1, in quanto tutti costituiti da una materia comune da cui qualcosa viene all’essere, che fa venire all’essere, cioè causa, S1, T6, S2. “In un altro senso sono causa la forma e il modello, vale a dire la definizione del concetto e i generi di essa (come del diapason il rapporto di due a uno e, insomma, il numero) e le parti inerenti alla definizione”. La causa formale, così definita, forse in maniera un po’ criptica, come rende la statua differente a ogni successiva azione dell’artista fino alla configurazione conclusiva perfetta, così causa i successivi aspetti delle forme logico-modali del testo, dalla figura assiologica del male, ~ Gp, di S2, alla figura aletica del possibile, Mp = α  --> ß, di T6, alla figura epistemica del non sapere, ~ Kp, di S2. “Inoltre, è causa ciò donde è il primo inizio del cangiamento o della quiete, come è causa chi dà un precetto o come il padre è causa del figlio o come in generale chi fa è causa del fatto, chi muta del mutato”. E questa è la causa efficiente, più facile da cogliere, quale ragione causale, C, che rende conto dell’effetto successivo, E, come la figura modale controfattuale del terapeuta, che apre ai sentieri inediti di un mondo possibile, rende conto della successiva figura epistemica di Marcella che si interroga sull’ignoto. “Inoltre, la causa è come fine ed è questa la causa finale, come del passeggiare la salute”. La causa finale è dunque l’azione compiuta al fine di realizzare qualcosa, sia intenzionalmente, nell’esempio dell’artista, sia naturalmente, nell’esempio della rondine che costruisce il nido, come spiega Aristotele in Fisica, 2.8.199a16-33: “E se, dunque, le cose artificiali hanno una causa finale, è chiaro che è così anche per le cose naturali: infatti, il prima e il poi si trovano in rapporto reciproco alla stessa guisa tanto nelle cose artificiali quanto in quelle naturali. Ma in particolar modo ciò è manifesto negli altri animali che non agiscono né per arte né per ricerca né per volontà: tanto che alcuni si chiedono se alcuni di essi, come i ragni e le formiche e altri di tal genere, lavorino con la mente o con qualche altro organo. E per chi procede così gradatamente, anche nelle piante appare che le cose utili sono prodotte per il fine, come le foglie per proteggere il frutto. Se, dunque, secondo natura e in vista di un fine la rondine crea il suo nido, e il ragno la tela, e le piante mettono le foglie per i frutti, e le radici non su ma giù per il nutrimento, è evidente che tale causa è appunto nelle cose che sono generate ed esistono per natura. E poiché la natura è duplice, cioè come materia e come forma, e poiché quest’ultima è il fine e tutto il resto è in virtù del fine, questa sarà anche la causa, anzi la causa finale”. Lo straordinario passaggio di Aristotele ci aiuta a cogliere intuitivamente come i fenomeni di un testo si producano ciascuno in quanto effetto di più di una causa, e che, tra queste cause, una, la causa finale, non è tanto nelle intenzioni dei parlanti, quanto nella funzione propria naturale della combinatoria delle parole in frasi e in turni verbali, orientata dall’entelechia della conversazione, volta, cioè, detta funzione, a realizzare una conversazione felice. In questo senso, del tutto naturale appare la posizione del condizionale controfattuale quale termine medio (cfr fig. n° 6): infatti, il condizionale controfattuale è contenuto nella figura assiologica del male, e contiene a sua volta la figura epistemica dell’ignoto. E ciò consente di tradurre la figura di Venn nel sillogismo sul modello del termine medio: italiani contenuto in europei e contente i fiorentini, del § 1ß:

 

            ‘se S1 (in quanto ~ Gp) contiene tutti gli Mp,

            e se Mp contiene tutti i ~ Kp,

            allora ~ Gp contiene tutti i ~ Kp’.

 

(E’ appena necessario avvertire che all’avverbio ‘tutti’ va aggiunta la clausola ‘per lo più’.) Ci sembra quindi di aver dimostrato, anche percorrendo la strada logico-modale, che la causa di S2 è il termine medio, ossia T6. Corollario: Dalle argomentazioni qui svolte, per la teoria della tecnica conversazionale, l’arte che si richiede ai conversanti, la tecnica terapeutica, sarebbe un po’ quella di produrre parole che non ostacolino i passaggi verso l’entelechia conversazionale, ma che si armonizzino con le figure logico-modali che il prima (causa materiale, causa formale) e il poi (causa formale, causa finale) della conversazione esigono naturalmente, come, a esempio, una figura logico-modale assiologica del Male, ~ Gp,  esige una figura aletica del possibile, Mp, per aprire naturalmente alle figure logico modali espistemiche dell’interrogarsi, ~ Kp. Q.E.D.

 

            9. Un criterio logico-sintattico per provare la validità dei risultati. L’algoritmo teoretico e pratico del Conversazionalismo è un algoritmo sintattico, nel senso che i suoi calcoli possono essere chiaramente formulati, e inequivocabilmente compresi nella loro validità, senza riferimento al significato extralinguistico, psicologico o comportamentale, dei fenomeni testuali presi in considerazione. Applicando questi calcoli al testo trascritto di una conversazione registrata, abbiamo misurato i risultati di un microframmento di terapia, in termini di differenze tra un insieme di oggetti linguistici di partenza, S1, e un insieme di oggetti linguistici omologhi di arrivo, S2, dopo un tempo T, and next. Abbiamo anche schizzato i calcoli che consentono di predire quali figure logico-modali del paziente si connettono a quali figure logico-modali del terapeuta, sia nel verso della causa, sia nel verso dell’effetto. In conclusione, l’indagine logico-modale sintattica sulle microsequenze si è rivelata essere uno strumento maneggevole e affidabile per misurare le differenze, in quanto risultati; e per studiare la tautologia che a una figura logico-modale di partenza  sopravvengono, per lo più, figure logico-modali specifiche, differenti rispetto alle figure che sarebbero sopravvenute se la figura di partenza non ci fosse stata o fosse stata differente.

 

            10. Bibliografia.

 

Per una rivista d’insieme sulla verifica dei risultati in psicoterapia, cfr

 

            Cesario S. (1996), La verifica dei risultati in psicoterapia, Borla, Roma.

            Cesario S., Filastò L. (2002), Stelle fisse e costellazioni mobili, Guerini scientifica, Milano.

            Fava E., Masserini C. (2002), Efficacia delle psicoterapie nel servizio pubblico, FrancoAngeli, Milano.

            Migone P. (1996), La ricerca in psicoterapia: storia, principali gruppi di lavoro, stato attuale degli studi sul risultato e sul processo, Rivista Sperimentale di freniatria, 2: 182-238.

            Sito internet: Disfinzione.it oppure disfinzione.com

 

Per le ricerche logico-sintattiche sui testi registrati di terapie conversazionali, cfr

 

            Lai G. (1995), La conversazione immateriale, Bollati-Boringhieri, Torino.

            <<Tecniche conversazionali>>: i volumi della Rivista, Organo ufficiale dell’Accademia delle Tecniche Conversazionali, in particolare dal n° 11 di giugno 1994 al n° 29 del 2003, per i contributi specifici di Giuliana Andò, Chiara Barni, Silvia Bolis, Carla Canestrari, Elena Capovilla, Salvatore Cesario, Giorgio Cesati Cassin, Gian Luca Dodero, Anna Ginella, Attilio Giuliani, Gianfranco Dalle Grave, Pierrette Lavanchy, Emanuela Lo Re, Giorgio Maffi, Rita Marcello, Gabriele Rocca, Rodolfo Sabbadini, Roberto Sala, Serenella Salomoni, Barbara Santarelli, Lucia Sedda, Caterina Silvestri, Azalen Tomaselli, Patrizia Vetuli, Pietro Vigorelli, Flora Vitagliano, Maria Zirilli, Andrzej Zuczkowski, e Antonino Minervino che ha curato i Volumi degli Atti dei quattro Convegni dell’Accademia, Caos (1999), L’anima e le parole (2000), Le parole ferite ( 2002), Le parole sospese (2002), tutti editi, come i numero della Rivista, da La Vita Felice, Milano.

 

Per i calcoli dei fenomeni linguistici implicati nella sopravvenienza dei risultati e nelle predizioni del testo cfr

 

            Aristotele, Dell’espressione, vol 1 (in particolare il libro IX); Primi analitici, vol 1; Secondi analitici, vol 1; Fisica, vol.  3; in Opere, Ed. it. a cura di Gabriele Giannantoni, Laterza, Bari.

            Bonomi A., Zucchi A.(2001), Tempo e linguaggio. Introduzione alla semantica del tempo e dell’aspetto verbale, Bruno Mondadori, Milano.

            Carnielli W.A., Pizzi C. (2001), Modalità e Multimodalità, FrancoAngeli, Milano.

            Dolezel L. (1998), Heterocosmica. Fiction e mondi possibili, trad.it. 1999, Bompiani, Milano.

            Galvan S. (1991), Logiche Intensionali. Sistemi proposizionali di logica modale, deontica, epistemica, FrancoAngeli, Milano.

            Hintikka J. (1962), Knowledge and Belief. An Introduction to the Logic of the Two Notions, Cornell University Press, Ithaca, N.Y.

            Hughes G.E., Cresswell M.J. (1968), Introduzione alla logica modale, trad.it. a cura di Claudio Pizzi, 1973, il Saggiatore, Milano, (in particolare pp. 24-28 e 41).

            Hughes G.E., Cresswell M.J. (1996), A New Introduction to Modal Logic, Routledge, London and New York.

            Kim J. (1982), Psychophysical Supervenience, Philosophical Studies, 41, pp 51-70.

            Kim J. (1993), Supervenience and Mind. Selected Philosophical Essays. Cambridge University Press, Cambridge.

            Lewis D. (1973), Counterfactuals, Blackwell, Oxford.

            Lewis D. (1986), On the Plurality of Worlds, Blackwell, Oxford.

            Pizzi C. (1974), La logica del tempo, Boringhieri, Torino.

            Pizzi C. (1983), Una teoria consequenzialista dei condizionali, Bibliopolis, Napli.

            Pizzi C. ( 1997), Eventi e cause, Giuffré, Milano.  

            Priest G. (2001), An Introduction to Non-Classical Logic, Cambridge University Press, Cambridge (in particolare p. 1 e p. 188).

            Stalnaker R. (1968), A Theory of Conditionals, in Studies in Logical Theory, ed. by Nicholas Rescher, Blackwell, Oxford.

            von Wright G. (1968), An Essay in Deontic Logic and the General Theory of Action, North-Holland, Amsterdam. 

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