Era ora che – dopo tanti anni
di inspiegabile oblio – si cominciasse a rivalutare e a sottrarre dalla
rimozione il cinema di Romano Scavolini, autore davvero singolare del
panorama italiano, a metà strada tra underground e cinema ufficiale,
fiction e non-fiction, con alle spalle decine e decine di corti, molti dei
quali appaiono oggi di una sconvolgente modernità linguistica (da Alle
tua spalle senza rumore a Ecce Homo, da Gli inviati speciali
ad Alzate l’architrave carpentieri), spesso basati semplicemente su
immagini fisse, siano esse disegni o fotografie, accompagnate da un
commento molto incisivo (parlo de La quieta febbre o L.S.D.).
Ma Scavolini è autore anche di svariati lungometraggi, due dei quali – A
mosca cieca (1966) e La prova generale (1968) – sono legati a vicende
produttive e censoree, ancora tutte da raccontare.
Ispirato a Lo straniero di Camus A mosca cieca – che resta
l’opera più significativa di Scavolini – racconta di un uomo (Carlo Cecchi)
che trova per caso una pistola dentro una vettura in sosta, se ne
impadronisce e finisce con l’usarla altrettanto “casualmente”, uccidendo
un uomo che esce dallo stadio la Domenica pomeriggio.
Il film racconta questa
lucida attesa, la vita quotidiana dell’uomo, la relazione con una serie di
persone (la sua compagna, un amico, il padre...) ma soprattutto il suo
rapporto con questo oggetto, così “significante” da spingerlo a commettere
un atto estremo per dare un senso non tanto alla propria esistenza, quanto
a quella della pistola, che vive appunto di vita propria. Questo gesto
radicale, in linea con l’estetica surrealista che istigava a sparare a
caso tra la folla, rientra dal punto di vista tematico nel cinema della
rivolta precedente o successivo di Bellocchio (I pugni in tasca,
1962), Bertolucci (Partner, 1968), Ferreri (Dillinger è morto,
1969), ma con modalità di rappresentazione ben più rivoluzionarie: la
narrazione seppure ancora rintracciabile è continuamente stravolta e
sabotata innanzitutto dalla soppressione del dialogo, poi da inversioni
nella successione temporale, reiterazioni ossessive di gesti (il furto
della pistola, il gettarsi sfinito sul letto), da inserimenti di segni,
parole o formule matematiche, in modo da saturare di significanti
l’immagine, ridestare continuamente l’attenzione dello spettatore,
svelandogli l’artificio della messa in scena ma anche frustrando le sue
aspettative: come quando una freccia in sovrimpressione indica la futura
vittima.
A mosca cieca di Scavolini è diventato, suo malgrado, un film “maudit”,
a causa di interminabili peripezie giudiziarie, conclusesi all’epoca con
il sequestro della copia originale, tuttora custodita negli scantinati
dell’ex Ministero dello Spettacolo. L’accusa fu quella di “pornografia”
per il seno di Laura Troschel fugacemente mostrato. L’autore e il
produttore Nasso si rifiutarono di tagliare i fotogrammi incriminati e
fecero appello al Consiglio di Stato: il risultato fu che A mosca cieca
venne bocciato da ben tre commissioni censoree. Malgrado ciò il film fu
presentato a Pesaro nel 1966 e fu apprezzato tra l’altro da Joris Ivens e
Jean-Luc Godard, per poi essere visto – sotto altro titolo, per eludere la
censura – a Berlino, Carlovy Vary, San Francisco, New York, Mosca, ecc.
Prima ancora dello scottante tema - che preannuncia la futura stagione
dell’eversione terroristica - ciò che fece impaurire i censori fu lo
scardinamento dei canoni cinematografici, il fatto che non solo l’omicidio
rappresentato restava senza motivazione ma la stessa rappresentazione si
presentava come “libera” da ogni logica. Al gesto liberatorio del
protagonista che finalmente può usare un oggetto costruito per sparare o
contro se stesso o contro gli altri, si affianca il gesto liberatorio di
Scavolini che può usare per gran parte del film la camera a mano,
adottando uno sguardo voyeuristico e “selvaggio” che esprimesse il vuoto
esistenziale di quegli anni. Oltre a Camus l’altro riferimento letterario
che informa A mosca cieca è a Beckett, di cui alla fine viene riportata la
frase: “Chi ha voluto ascoltare ascolterà sempre, sia che sappia di non
sentire più niente, sia che lo ignori”.
Anche al successivo film di Romano, La prova generale, toccò l’“onore”
della censura, su di esso gravano ancora oggi cinque ipotesi di reato: 1)
istigazione alla violenza; 2) oltraggio alla Patria; 3) oltraggio al
Milite Ignoto (una sequenza fu infatti girata sull’Altare della Patria);
4) oltraggio alla Religione; 5) Blasfemia.
In La prova generale la riflessione ideologica diventa
evidente, concreta e non più rimandabile. Rispetto ad A mosca cieca,
questo secondo film appare opposto e complementare: il primo è filmato in
16mm bianco e nero, con una prevalenza di camera a mano, senza copione e
senza dialoghi, con un protagonista principale; il secondo è girato in
35mm colore, soprattutto con camera fissa, con una sceneggiatura e una
forte predominanza di dialoghi e senza un personaggio principale. Inoltre
se A mosca cieca è la storia della tormentata ricerca di un uomo che
sfocia nel compimento di un gesto risolutivo, La prova generale - come
suggerisce il titolo stesso - racconta di un gruppo di uomini e donne che
provano la loro vita e vivono la loro recita, senza poter mai debuttare
veramente. Non vedranno mai la loro “prima”, come per il Cecchi di "
mosca cieca: per questa ragione si ha l’impressione che ogni sequenza
sia una scena-madre, in sé conclusa e in qualche modo determinante per
capire il senso di tutto il film. Appaiono perciò illuminanti le parole
dette da Margherita Lozano nella sequenza della sala di doppiaggio: “Basta
separare un solo elemento se tutti gli elementi sono importanti, perché il
mosaico si apra e distrugga l’unità di una parete liscia. Allora i gesti,
le parole, i fatti della vita, i sentimenti, tutto ritorna nel suo
isolamento: Il tempo, questo elemento che abbiamo scelto come unità della
nostra esistenza, mi sfugge ogni volta che credo di averlo fermato, così
rientro ogni giorno senza speranza nel mio disordine quotidiano come in un
letto vuoto, al buio, sconfitta senza alternative”.
Se A mosca cieca, per la povertà e la voluta primitività dello
stile, appare più esplicitamente “sperimentale” se non a tratti
underground, La prova generale per la qualità di immagine e per la
cura nella costruzione delle sequenze, sembra allontanarsi dall’area della
ricerca, se non fosse per la varietà di soluzioni formali decisamente
innovative per un lungometraggio del genere: ralenti, salti di montaggio,
ripetizioni dell’immagine, confessioni in macchina dei protagonisti, ecc.
Inoltre quel po’ di narrazione di A mosca cieca scompare definitivamente
ne La prova generale, esplicita “truffa” di Scavolini, simulazione
di un tradizionale film a soggetto, fin dai titoli di testa iniziali che
scorrono sulla musica di Egisto Macchi e che lasciano allo spettatore
l’illusione di assistere a un normale film narrativo.
Il
film si presenta come un puzzle polidimensionale che potrebbe essere,
invano, smontato e ricomposto dallo spettatore alla ricerca di una
sequenza. Anche per questo Scavolini crea continui spiazzamenti tra
immagine e parola, come quando mette in scena il dialogo sulla maternità
in un villaggio western abbandonato, o quando in generale le espressioni
dei personaggi non corrispondono a ciò che dicono. All’interno di una
struttura molto complessa e articolata, il discorso politico si intreccia
a quello privato, la felicità piccolo-borghese viene contrastata dalle
statistiche sulla fame nel mondo, la figura femminile funziona sia da
elemento della dinamica di coppia, che da fattore di seduzione, che da
vittima della violenza maschile, allo stesso livello del nero che subisce
l’intolleranza razziale.
A parte che le sequenze finali di A mosca cieca vengono
letteralmente inglobate ne La prova generale e scorrono sullo
schermo della sala di doppiaggio, del film precedente ritornano molte
altre situazioni - ma, se possibile, più raffreddate -, come l’immobilità
dei sentimenti rappresentata dal corpo a corpo di una coppia, abbracciata
contro il fondo bianco di una parete. Lo stesso Cecchi reinterpreta più o
meno lo stesso personaggio con la pistola, anche se il rapporto con questo
oggetto e con la sua funzione viene trattato in modo più tecnico,
mostrando le immagini di un poligono di tiro con, in voice over,
dettagliate informazioni di carattere balistico. E’ semmai il personaggio
di Castel - suicida che gioca con la pistola per colmare il vuoto che
precede la sua morte o per sublimarla in performance - a essere più
prossimo al protgonista di A mosca cieca. La poetica surrealista
dell’oggetto ne La prova generale diventa insomma astratta teoria.
Gli stessi colpi di pistola vengono associati ai colpi di stecca del
biliardo, si trasformano cioè in metafore, ipotesi di fatti e non gesti
realizzati. Nell’immagine della partita di biliardo che ritorna in tutto
il film, possiamo leggere un’allusione alla continua aggregazione e
disgregazione dei personaggi, come tante bocce che si riuniscono, si
confrontano, per poi disperdersi nel vuoto delle loro esistenze e delle
domande senza risposta. Persiste ancora ne La prova generale la
sospensione beckettiana di A mosca cieca, lì orchestrata attraverso il
silenzio, qui materializzata mediante la parola se non addirittura l’affabulazione.
Parola che diventa menzogna, a ricordarci per l’ennesima volta che il
cinema è finzione: in questo senso è significativa la sequenza del finto
cieco che intrattiene con il suo doloroso show di ricordi sul fronte
russo, una serie di avventori al bar, suscitando il loro riso o la loro
indifferenza. Allo stesso modo il suicidio di Castel - che resta “fuori
campo” -, nello stesso momento che ci viene raccontato è anche travisato,
caricato - grazie alle parole - di significati politici.
Un personaggio del film si domanda a un tratto: “che cosa aspettiamo a
debuttare. Sono 10.000 anni che facciamo la stessa prova generale,
continuamente interrotta soltanto perché qualcuno di noi muore”. La
prova generale è quella della rivoluzione imminente, una rivoluzione
scritta sui muri ma non ancora consumata dai personaggi del film; prova
che richiama incessantemente lo spazio della rappresentazione: da quella
arcaica, teatrale e stilizzata della via crucis ridotta a una serie di
tableaux vivants sulla spiaggia, a quella realistica in stile
“cinema-verità” con l’attore per strada nei panni di un barbone che
permette alla macchina da presa di “rubare” le reazioni autentiche dei
passanti.
Ancora un beckettiano “finale di partita”: la gara di biliardo è
terminata, esattamente come in A mosca cieca termina l’incontro di
calcio. Il capannello di amici si scioglie per l’ennesima volta. La
prova generale è conclusa. Ma - come nel film precedente - si ha
l’impressione che tutto possa ricominciare da un momento all’altro.
Romano Scavolini
Nato a Fiume il 18 giugno 1940, nel 1958 si trasferisce in Germania dove
lavorerà come scaricatore di porto. Qui tra l’altro realizza insieme al
fotografo Arthur Kidalla, un lungometraggio in l6mm mai sonorizzato.
Ritornato in Italia, inizia la sua carriera di filmmaker, girando una
lunghissima serie di cortometraggi tra il documentaristico e lo
sperimentale, molti dei quali - a cominciare dal primo - La quieta
febbre - ottengono una serie di riconoscimenti. Nel 1966 realizza il
suo vero primo lungometraggio, A mosca cieca che, pur proi-bito
dalla censura, viene presentato in diversi festival sia in Italia che
all’estero. Le cronache del cinema indipendente italiano sono
caratterizzate dalla singolarità dei cortometraggi e poi dei lungometraggi
di Romanoi Scavolini, da A mosca cieca (1966) e La Prova
Generale (1968). La peculiarità di questi films risiede nel fatto che,
pur trattandosi di opere girate in 35mm, con una troupe regolare (vi
lavorano operatori come Blasco Giurato, Giulio Albonico, Mario Masini e lo
stesso Scavolini), basate quindi su un’accurata qualità dell’immagine e
con un’impostazione totalmente diversa rispetto alle pratiche “povere” e
solitarie dei filmmaker underground, sono film che hanno una fortissima
componente avanguardistica (mancanza di una storia. azzeramento del
dialogo, ricerca linguistica, utilizzo costante di musica elettronica e
concreta, ecc.) La “scoperta” di queste opere, che all’epoca non
riuscirono a essere regolarmente distribuite, spiazza totalmente lo
studioso e lo costringe a ripensare il concetto classico di
sperimentazione filmica.
Della vastissima produzione di documentari e cortometraggi - realizzata da
Scavolini tra il 1964 e il 1969 circa, poco visti se non in qualche
festival, ma quasi mai usciti in sala - tra i più significativi e
“sperimentali”, ricordiamo: Alle tue spalle senza rumore (1964),
1962, 12’, 35mm, col., son.. Re.: Vittorio Armentano - prod.: Enzo Nasso -
fot.: Enzo De Mitri - mo.: Renato May - mu.: Egisto Macchi
Il film rappresenta da un punto di vista fenomenologico l’esecuzione di un
pignoramento in un quartiere popolare di Roma. Basandosi solo su elementi
figurativi e formali senza alcun commento parlato.
Un muro con le mani al tuo passaggio (1965), Alzate l’architrave
carpentieri! (1967), Gli inviati speciali (1967) e L.S.D.
(1970). In tutti questi lavori circolano una serie di temi e ossessioni,
che confluiranno in maniera più organica nei lungometraggi. Per esempio il
ricordo doloroso della guerra, trasposto in un rituale solitario di
violenza: il ragazzino di Alle tue spalle... che gioca in un
condominio deserto eccetera. Due anni dopo gira il suo secondo
lungometraggio anche questo caratterizzato da una ancor più accentuata
ricerca di sabotare il linguaggio del cinema tradizionale: La prova
generale. Se in A mosca cieca il clima politico rimane
sottotraccia, o meglio affiora e si manifesta attraverso sfumature, umori
e suggestioni, in La prova generale la riflessione ideologica
emerge con evidenza. I due film sono opposti e complementari: il primo,
filmato in l6mm bianco e nero, con una prevalenza di camera a mano, senza
copione e senza dialoghi, con un protagonista principale; il secondo,
girato in 35mm colore, perlopiù con camera fissa, con una sceneggiatura e
una forte predominanza di dialoghi e senza un personaggio principale (nel
cast, oltre a Carlo Cecchi e Joseph Valdam-brini, figurano Lou Castel,
Alessandro Haber, Frank Wolf, Maria Monti, Anik Mourisse). Inoltre se A
mosca cieca è la storia di un uomo e della sua tormentata ricerca che
sfocia nel compimento di un gesto risolutivo, La prova generale -
come suggerisce il titolo stesso - racconta di un gruppo di uomini e donne
che provano la loro vita e vivono la loro recita, senza poter mai
debuttare veramente. Non vedranno mai la loro “prima” come per il
protagonista di A mosca cieca, per questa ragione si ha
l’impressione che ogni sequenza sia una scena-madre, in sé conclusa e in
qualche modo determinante per capire il significato di tutto il film.
Segue poi un altro singolare progetto, Entonce, che resterà
incompiuto e il cui girato andrà perduto, anni dopo, durante un’alluvione.
Nel 1970 Scavolini parte per il Vietnam come fotografo di guerra
freelance. Al suo ritorno fonda una casa di produzione (Lido
cinematografica) e si dedica al cinema di consumo con una serie di
lungometraggi tra cui Servo Suo e Cuore. Dal ‘72 al ‘74 viaggia tra
l’America Centrale e l’America Latina, lavorando come giornalista,
sceneggiatore e produttore. Nel ‘76 decide di trasferirsi negli Usa,
insegnando alla New York University of Visual Arts e tenendo stage anche
alla Columbia. Nel 1981 dirige l’horror Nightmare, che diventa uno
dei campioni d’incasso della
stagione e darà il via alla serie Nightmare diretta da Craven. Dopo aver
realizzato nel 1990 Dogtags, ispirato all’esperienza del Vietnam,
Scavolini ritorna a Roma, dove risiede attualmente.
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