Quale,
tra i numerosi piccoli felini selvatici che vivono in Europa, Asia, Africa
o America, avrà dato origine al gatto domestico? In quale periodo
sarà avvenuta la domesticazione? La risposta a queste domande non
è ancora sicura: vi sono infatti moltissime ipotesi.
Alcuni fossili attestano la presenza del gatto in tempi antichissimi. Ossa di gatto risalenti a 10.000 anni fa, per esempio, sono state ritrovate assieme a quelle di altri animali in una grotta sui monti Sandia, nel Nuovo Messico. Reperti archeologici di 8.000 anni fa, venuti alla luce nell'Anatolia sud-occidentale, ci dimostrano che a quell'epoca tra l'uomo e il gatto vi era già amicizia. La paleontologia, tuttavia, può accertare la presenza di un animale in un certo periodo, ma non aiuta a stabilire quando iniziò l'addomesticamento.
Alcuni naturalisti, in tempi passati,
hanno dato per scontato che il gatto domestico (Felis catus) fosse un discendente
selvatico di quello europeo (Felis sylvestris), mentre altri sostengono
che la natura di quest'ultimo, come quella dei grandi felini,
è totalmente selvatica: secondo tale teoria, quindi, questo animale
non può mai aver accettato alcuna ingerenza dell'uomo. Questo gatto
vive tuttora nelle foreste e nelle macchie di molti paesi; si nutre di
piccoli roditori, di uccelli, di lepri, di serpi e anche di insetti e limita
la sua presenza solamente all'habitat che gli consente di trovare queste
prede. Il gatto domestico, quindi, non può assolutamente essere
il Felis silvestris caduto in servaggio.
Secondo la tesi di altri naturalisti ed etologi, il gatto selvatico africano (Felis lybica) è, al contrario, una specie che accetta la presenza umana, si avvicina ai centri abitati e sfrutta varie fonti alimentari, inclusi gli avanzi dell'uomo. E' molto più probabile, quindi, che gli esseri umani in passato ne abbiano avvicinato e allevato i cuccioli e che da questi si siano via via evolute delle specie intermedie, che a loro volta hanno dato origine al nostro gatto domestico.
Anche le cause che hanno condotto a tale domesticazione sono ancora incerte. Non necessariamente vi deve essere stato un motivo utilitaristico: forse sono stati solo il desiderio proprio dell'uomo di avvicinarsi agli animali selvatici e la grazia dei piccoli felini a giocare un ruolo importante.
In tempi di carestie e di guerre il gatto è stato anche utilizzato come alimento; alcune popolazioni apprezzano tuttora la carne sia del cane che del gatto. L'ipotesi di una domesticazione per fini alimentari ha però poco credito, causa dell'alto costo dell'allevamento di un carnivoro.
Un'ipotesi da prendere in considerazione è invece quella della domesticazione finalizzata all'eliminazione dei roditori. In questo caso, però, non sarebbe possibile risalire a più di 4.000 anni a.C.: solo in quel periodo, infatti, l'agricoltura cominciò a svilupparsi in modo consistente ponendo il problema della salvaguardia delle granaglie.
L'ingresso del gatto nella storia
è databile in base a testimonianze iconografiche egizie (3000 a.C.),
ma i motivi per i quali l'antico popolo egizio passò dal rispetto
per l'animale che proteggeva i granai a una vera e propria divinizzazione
di esso, sfumano in quell'alone vagamente misterioso che ha sempre circondato
questa straordinaria creatura. I numerosissimi monumenti egizi che lo raffigurano,
le iscrizioni e le mummie di gatto che sono state ritrovate, ci confermano
la venerazione tributata a questo animale, sia nella sua forma naturale
sia nella sua personificazione: spesso infatti si trova rappresentato nella
forma di un uomo con testa felina. Sappiamo
che il culto della Dea Bastet, divinità dalle sembianze di gatta,
sempre raffigurata con il sistro, simbolo dell'armonia del mondo, era praticato
già nel 3000 a.C., poiché il suo più antico simulacro
è stato trovato nei pressi di Tebe, in un tempio della quinta dinastia.
Bastet, o Bast, era la Dea della sessualità e della fertilità;
questi aspetti della umana, originariamente, erano sotto la protezione
di Iside, la dea della luna.
Il culto del gatto raggiunse il suo apogeo nel 950 a.C., quando si arrivò a condannare alla pena capitale chiunque ne causasse, anche accidentalmente, la morte.
I gatti venivano chiamati Mau o Mieou, parola onomatopeica che ricorda il miagolio, ma che indica anche la luce: il gatto, infatti, grazie agli occhi che splendono anche al buio, era il simbolo della luce sacra. Non vi era casa egiziana che non ospitasse dei gatti; ad essi venivano consacrati anche i figli, che per tutta la vita dovevano portare un medaglione con l'effige felina. Se un gatto moriva, la sua morte era ragione di grande cordoglio nella casa: i familiari si rasavano le soppraciglia in segno di lutto. Il piccolo corpo veniva imbalsamato e solitamente trasportato a Bubaste, città consacrata ai gatti e meta di pellegrinaggi durante le feste celebrate in loro onore.
Alla fine del secolo scorso sono
state trovate in diverse località, come Bubaste e Teben Beni-Hassn,
necropoli di gatti con centinaia di migliaia di piccole mummie. Alcune
di queste erano avvolte in bende colorate, sulle quali era stato accuratamente
disegnato il muso, completo di occhi, naso e baffi. Dai dipinti e dalle
sculture, ma ancora più dalle mummie ritrovate, si nota chiaramente
che già esistevano due tipi di gatto: uno dalle orecchie piccole
e muso arrotondato, l'altro con orecchie più alte e muso allungato.
Entrambi avevano il pelo corto, rossiccio con macchie e striature nere.
Perchè escludere allora più di un antenato per il gatto domestico?
Erodoto, al ritorno da un viaggio in Egitto, scrisse che i mercanti fenici trafugavano segretamente i gatti egiziani per incarico di ricche famiglie greche; questo traffico causò non pochi incidenti diplomatici tra Egitto e Grecia. Dagli stessi scritti di Erodoto però si rileva che mai i greci pensarono di allevare questi gatti: quando essi venivano a mancare, si rimpiazzavano con altri, forniti sempre dagli stessi trafficanti. Anche i Romani, che in precedenza avevano utilizzato la faina per la caccia ai topi, vollero avere il prezioso animale. Ai soldati che avevano prestato servizio in Egitto era permesso, a titolo personale e a proprio rischio e pericolo, di portare clandestinamente un gatto in patria. Le navi mercantili che percorrevano il Mediterraneo, furono un altro veicolo per la diffusione del gatto, che trovò un habitat adatto anche nelle isole; in Sardegna o nelle Baleari si sono però perse le tracce di questi lontani antenati, mentre in Corsica e nelle montagne scozzesi vi sono ancora oggi gatti selvatici che presentano una morfologia identica a quella dell'antico gatto africano.
Il gatto, trasportato da una nave fenicia o nascosto nella sacca di un centurione romano, è quindi giunto ovunque, diffondendosi in tutti i Paesi del mondo. Caduto dagli altari, talvolta vittima sacrificale di antichi culti messi al bando dall'affermarsi del cristianesimo, ha superato persecuzione ed ignoranza, guerre e pestilenze. Attraverso i secoli, adattandosi a tutte le condizioni ambientali, si è diversificato nella struttura del corpo e della testa, nel mantello, nel colore degli occhi, tuttavia è rimasto forte e uguale a se stesso: al di là delle mutazioni genetiche e di sofisticate ibridazioni, ci si presenta ancora con il suo naso diritto, le grandi orecchie e il bagliore ammiccante dei suoi occhi verdi.
In termini zoologici si denomina "razza" un gruppo di individui della stessa specie che presentano un complesso di caratteri morfologici e fisiologici comuni o simili, trasmissibili per ereditarietà. Alla base delle cosidette razze feline vi sono, ovviamente, processi di selezione artificiale; inoltre alcune si differenziano solamente per una singola mutazione. In termini rigorosamente scientifici non sarebbe quindi corretto chiamarle "razze", perchè sono geneticamente troppo vicine; d'altra parte, però, non è possibile sostituire o eliminare il termine "razza", perchè è molto diffuso e di semplice e immediata comprensione da parte di tutti.
Sono curiose anche le catalogazioni che troviamo in alcuni libri d'inizio secolo; qui i gatti sono raggruppati in base ad un'ipotetica provenienza:
Tutto ciò non era avvenuto
con il gatto: la sua utilità come cacciatore di roditori era indiscussa,
ma la sua efficienza come predatore indipendente dall'uomo non era ancora
comprovata. Inoltre, a causa dello scarso interesse nei suoi confronti,
mancavano le premesse per un allevamento zootecnico e commerciale su vasta
scala.
L'Inghilterra, costantemente all'avanguardia per ciò che concerne gli animali, era sempre stata molto sensibile verso i gatti; la prima mostra felina organizzata nel 1871 da Harrison Wair diede l'avvio alla catofilia ufficiale. A differenza di quanto era avvenuto per altri animali domestici, furono la bellezza e il fascino dei gatti ammirati nelle esposizioni a suscitare il desiderio di allevare, selezionare e migliorare le razze esistenti, al di là di immediati intenti utilitaristici. Emulazione e competizione stimolarono poi gli allevatori a interessarsi a razze poco conosciute e a crearne di nuove.
Alcuni allevatori si dedicarono al recupero di quelle razze la cui quasi totale estinzione era stata favorita dalla dilagante urbanizzazione e dalla conseguente promiscuità dei vari ceppi. Altri furono stimolati da fortuite mutazioni genetiche; altri ancora si dedicarono a selezioni, nel tentativo di inseguire personali ideali di bellezza nei colori e nelle forme. Con l'aiuto dei principi della genetica mendeliana, gli allevatori scoprirono la possibilità di modificare le caratteristiche del gatto attraverso ripetuti incroci. E' questa la cosidetta "selezione artificiale", che ha permesso agli allevatori di interagire sia con l'aspetto esteriore (fenotipo) sia con il patrimonio genetico (genotipo) del gatto.
In breve cominciarono a sorgere clubs ed associazioni catofile, formate per lo più da esponenti dell'aristocrazia, che organizzavano esposizioni con fini esclusivamente sportivi. Successivamente le associazioni cominciarono a definire le diverse razze, stabilendo per ognuna un preciso "standard" (termine inglese che significa "stendardo, tipo, modello").
Con l'istituzione della "scala punti" si diede anche un preciso punteggio a ogni singola voce dello standard: il totale di 100 punti ipotizza il soggetto perfetto.
Le odierne associazioni classificano i gatti in una trentina di razze, riconosciute e in via di riconoscimento. Ognuna è designata da una sigla, composta da lettere e numeri che indicano, oltre la razza, anche il colore e disegno del mantello; vediamone un esempio:
EURas 23 = europeo silver tabby tigré blu.
Questa codificazione, prettamente
tecnica, è necessaria alle associazioni catofile per il rilascio
di pedigree e per l'organizzazione delle esposizioni.