La Costituzione e le adozioni

 

Principi fondamentali

Parte Prima

Parte Seconda

Disposizioni

transitorie e finali

 

IO ADOTTO L’ARTICOLO 5

 

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

 

Daniela Murillo Perdomo - European Commission

Ora più che mai bisogna affermarlo: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

 

 

Lorenzo Napoli - Ancona

Leggo oggi un articolo in cui si riprende una dichiarazione del Presidente della Camera Casini in cui si dice: "attenzione, il federalismo è costoso". Tralascio ogni commento e vengo alla mia opinione: una Repubblica Federale Italiana è sicuramente desiderabile, ma certo in termini assai diversi da quelli usati dai nostri timonieri-bananieri. Ad esempio sarebbe sufficiente la creazione di tre o quattro entità sovraregionali (ebbene sì era l' idea del prof. Arnaldo Bagnasco, mio carissimo docente di Sociologia Economica a Firenze): vedrete che così il federalismo costa poco, acquista un senso compiuto e diviene la migliore garanzia dell'unità nazionale.

 

 

Francesco Feoli – Bruxelles (Belgio)

Avendo vissuto per lunghi anni e vivendo tuttora all'estero, in due paesi con problemi linguistici e di identità nazionale, difendo presso tutti il valore inestimabile della nostra tradizione comune:dalla concezione dell'individuo a quella delle città, dall'organizzazione familiare a quella sociale.
L'unità della nostra patria è stata raggiunta e poi cementata attraverso sacrifici comuni, spesso fatti dalla parte economicamente e socialmente più debole dei nostri concittadini:non parlo solo delle guerre di liberazione, e poi mondiali, e della resistenza al nazifascismo ma anche delle disastrose condizioni economiche delle regioni più povere dopo l'unità d'Italia e delle conseguenti massicce ondate di emigrazione. La repubblica una e indivisibile promuove tuttavia le autonomie locali:il buon funzionamento dello stato è un problema che riguarda tutti gli italiani.

 

 

Claudio Comunello - Riese Pio X (TV)

Sono pienamente convinto che sia finalmente ora di attuare il più ampio decentramento amministrativo e finanziario concedendo modernità ed efficienza europee anche al nostro Paese Fondatore dell'Unità Europea e accordando piena parità di trattamento soprattutto ai cittadini delle regioni non ancora autonome.

 

Mario Moretti - Udine

Qualsiasi iniziativa che tende a difenderci da questa aria insana che si respira è da me apprezzato e appoggiato.

 

Francesco Boccia - Milano

La trasformazione della moderna società europea non ha solo messo in discussione le vecchie forme della sovranità politica ed economica, ma ha anche dato un grande impulso alla regionalizzazione dell`economia mondiale e allo sviluppo delle interdipendenze.

Le Regioni (istituite dalla Costituzione) e gli enti locali (valorizzati dalla stessa Costituzione dopo gli anni bui del centralismo fascista) oggi rappresentano le istituzioni di riferimento della vita democratica, civile ed economica dei cittadini italiani. Mentre si costruisce e lentamente si consolida l’identità europea, i territori sentono sempre più la necessità di rafforzare le proprie specificità.

Rafforzare le specificità non significa dividere, ma partecipare al funzionamento della Repubblica e ai problemi della vita quotidiana con maggiori responsabilità. Mentre il federalismo in Europa non appare semplicisticamente come un’espressione politico-istituzionale, ma rappresenta una chiara risposta alle nuove esigenze economiche e sociali nate dal processo d’integrazione, in Italia si va verso la pericolosa violazione della prima parte dell’art. 5: La Repubblica, una e indivisibile…

Sì, perché l’indivisibilità di un Paese è non solo istituzionale, ma anche sociale, culturale ed economica. Il modello di decentramento proposto è di una pericolosità sociale inaudita. Dietro slogan vuoti come devolution si cela un disegno già in atto di riduzione dei trasferimenti perequativi dello Stato a vantaggio della concentrazione di risorse in alcune aree del Paese. La maggior autonomia degli enti territoriali, di fatto limitata all’utilizzo di risorse proprie, provoca in tutte le Regioni del Mezzogiorno una contrazione pericolosa degli investimenti primari e un aumento senza precedenti dell’indebitamento locale.

È opportuno ricordare che in un sistema con devoluzione totale (così come auspicato da Bossi), le risorse disponibili per nuovi investimenti arrivano essenzialmente o dalle entrate tributarie o dalle entrate extratributarie; ma se i territori di pertinenza, per ragioni endogene e note a tutti, possiedono un numero limitato di contribuenti (si pensi al numero di imprese “vere”), diventerà inevitabile l’aumento del gap economico prima, sociale e culturale poi.

Uno dei sintomi dell’arrivo imminente di questa pericolosa malattia è costituito dal fenomeno in corso di “desertificazione della popolazione attiva” nelle aree economicamente meno sviluppate del Paese. I problemi demografici dell’ultimo decennio hanno accentuato il fenomeno; in Italia la diminuzione sensibile di popolazione attiva impatta maggiormente nel Mezzogiorno e in molte aree del Nord considerate periferiche. E tutto ciò non accade perché in queste aree l’indice di natalità è più basso, anzi. Accade perché siamo di fronte a un nuovo fenomeno migratorio interno di popolazione attiva non sostituita e l’incapacità delle autonomie locali di costruire nuove opportunità di sviluppo rischia di creare un effetto moltiplicatore.

Le amministrazioni pubbliche regionali e locali infatti, se ben funzionanti, possono intervenire programmaticamente con politiche infrastrutturali, politiche sociali e culturali, politiche di sostegno e stimolo alle attività economiche.

La globalizzazione dell’economia ha tolto agli Stati nazionali la possibilità di mantenere, entro proprie frontiere, decisioni che in passato definivano il programma economico di ogni governo e sulle quali essi avevano avuto il controllo. Si tratta delle decisioni sui flussi e sul costo del capitale; sulla determinazione dei tassi d’interesse e dei livelli d’inflazione; sulla scelta di investimenti nei settori di base come la siderurgia, l’energia, la cantieristica e sulle possibilità di mantenere attività basate su monopoli pubblici in settori quali i trasporti, le telecomunicazioni, la chimica e la ricerca di base. Al tempo stesso, le nuove regole comunitarie sulla concorrenza e l’accresciuta necessità di mantenersi assolutamente competitivi al di fuori dei confini nazionali, ha rafforzato le potenzialità dei sistemi locali; e nei moderni sistemi locali, il ruolo di play maker è indiscutibilmente dei differenti enti territoriali in relazione alle diverse funzioni e/o ai singoli compiti amministrativi. Gli enti territoriali e in particolar modo quelli locali, diventano in questo nuovo sistema degli “imprenditori istituzionali” in grado di aiutare e sostenere il continuo adeguamento dei sistemi produttivi alle esigenze dei mercati locali e internazionali.

Le responsabilità a cui lo Stato centrale è chiamato consiste nel collegare in rete il sistema istituzionale subnazionale (regioni, enti locali e autonomie funzionali) in un rapporto continuo con i destinatari delle politiche: imprese e cittadini.  Per far ciò mantenendo unito il Paese, è necessario ripensare a un’autonomia solidale con un chiaro modello perequativo e non al principio oggi in atto di derivazione bossiana: “ognuno pensi per sé”.

 

 

ALTRE ADOZIONI

 

Angela Rotoloni – Macerata

Nicola di Giovanna - San Donà di Piave (VE)

Piero De Togni – Padova

Lucia Malesardi - Rapallo (GE)