La Costituzione e le adozioni |
L’iniziativa
economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali.
Maria
Grazia Grossi - Roma
Adotto l'articolo 41,
proprio per contrastare il nostro inqualificabile Presidente del Consiglio che sta
disonorando, insieme al suo Governo, il nostro Paese in Europa e nel mondo.
Sono un docente
universitario. Ritengo che aumento della ricchezza e disuguaglianze
tollerabili, all'interno del nostro paese, non siano più misure sufficienti a
garantire l'utilità sociale richiesta all'attività economica pubblica e privata
dall'art.41 della Costituzione.
Adotto
gli articoli 41 e 42. Anch'io come il signor Baiocchi di Milano mi domando se
il nostro Primo ministro li conosca.
Giorgio
Baiocchi - Milano
Adotterei
cinque articoli, facendoli subito crescere per inviarli a:
Articolo 32 per Sirchia e Tremonti
Articoli 33 e 34 per Moratti
Articoli 41 e 42 per Berlusconi
Adotto la Costituzione e in particolare l'articolo 41, perché corrisponde all'unica idea che posso accettare e definire come attività economica: se infatti essa non è indirizzata e coordinata a fini sociali, se si svolge in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, cos'è mai se non sopraffazione, ladrocinio, brigantaggio... troppo di quanto accade oggi prescinde da questo fondamentale articolo della nostra costituzione; io vorrei che fosse pienamente rispettato e non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo.
Non siamo esperti di
legge, per cui leggiamo l'articolo con il suo significato più immediato e
semplice.
"L'iniziativa economica non può
svolgersi in contrasto con l'utilità sociale" ... ma allora in Italia
l'80% delle imprese private è anticostituzionale !!!!
Cosa significa in
contrasto con l'utilità sociale?
Produrre beni inutili
e inquinanti, ad esempio, a che principio risponde: di utilità sociale? di
sviluppo? di maggiore benessere reale? di migliore qualità della vita dei
cittadini italiani?.. o del semplice aumento del PIL?
Che rapporto c'è tra
produzione, inquinamento e sicurezza?
Non occorre una laurea
in giurisprudenza per capire che "inquinare, sprecare energia e risorse
naturali per beni inutili" reca sicuramente danno alla sicurezza e alla
dignità umana dei cittadini, specialmente quando esistono da tempo alternative
eco-compatibili, che tengono conto dell'impatto ambientale e minimizzano il
consumo di risorse naturali.
Cosi come è scontato
che ambienti lavorativi dove prevale arroganza, inganno e strapotere
recano danno alla libertà e alla dignità umana.
E quali sono i
"fini sociali" dell'attività economica privata, se non quelli
perseguiti per volontà della singola azienda e del singolo individuo?
ManagerZen adotta l'articolo 41 della
Costituzione e invita le imprese Italiane a rispettarlo.
La legge è
strumentalizzata al potere economico e anche dove esiste non è adeguata, non
viene applicata dalle aziende e non viene fatta applicare dallo stato.
Per di più rispettare
le soglie e i valori massimi di agenti inquinanti definiti per legge non è
affatto sufficiente.
Solo attraverso una
reale consapevolezza, responsabilità e coscienza civile e sociale, le imprese
possono rispondere appieno a questo articolo.
Questo significa adottare
un diverso modo di produrre e di creare profitti, rinunciando all'induzione di
consumi inutili, alla produzione eccessiva, allo spreco, alla produzione di
enormi quantità di rifiuti non riciclabili, allo sfruttamento della forza
lavoro di paesi più poveri, .. in sostituzione di una produzione
eco-compatibile equilibrata di beni durevoli e di servizi.
Per passare
dall'economia intesa come fine, a un'economia
guidata dai valori e intesa come strumento al servizio della
scienza, dell'uomo, del benessere, della società e dell'ambiente naturale.
“Schumacher ha
illustrato in modo molto eloquente la dipendenza
dell'economia da valori mettendo a confronto
due sistemi economici incorporanti valori e obiettivi completamente diversi.
Uno è il nostro attuale sistema
materialistico, in cui il livello di vita è misurato dall'entità del
consumo annuo, e che si sforza perciò di conseguire il massimo consumo
unitamente a un modello ottimale di produzione.
L'altro è un sistema di economia
buddhista, fondato sulle nozioni del giusto
sostentamento e della Via di Mezzo, in cui I'obiettivo è quello di conseguire un massimo di
benessere umano con un modello ottimale di consumo..."
Fritjof Capra - Il
punto di svolta.
Senza bisogno di
diventare buddisti .. :-)
Voglio adottare l'art.41 della Costituzione
perché garantisce la libertà d'impresa nell'ambito prevalente del bene
pubblico, della sicurezza e, sopratutto, della dignità umana.
Vorrei adottare tutta la Costituzione, ma in
questo momento scelgo l'art.41 perché sono scandalizzata dalla leggerezza con
cui è stato risolto il gravissimo problema dell'inquinamento prodotto dall'AGIP
a Gela, e perché mi chiedo per quanto tempo ancora i lavoratori, le loro
famiglie e le popolazioni in generale saranno costretti a scegliere fra il
diritto al lavoro (art.35) e il diritto alla salute (art.32).
Io adotto l'articolo 41, poiché chiarisce bene
la cornice entro la quale l'iniziativa economica deve restare, in particolare
essa dice che l'attività economica "non può svolgersi in contrasto con
l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana" e a tal proposito non possono non venire in mente
l'iniziative per restringere l'art.18 dello statuto dei lavoratori, che della
dignità dei lavoratori giust'appunto si occupa. L'altro comma "La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali" è
scarsamente applicato e ora minacciato dalla "deregulation" in corso.
La dittatura dell'economia potrebbe essere limitata dall'applicazione coerente
della nostra Costituzione ma purtroppo non è così! Rimane in essere pienamente
il primo comma "L'iniziativa economica privata è libera". Ce ne siamo
accorti! Grazie.
“L’uomo libero ha
sempre tempo a sua disposizione per conversare in pace, a suo agio. Egli
passerà, come faremo noi nel nostro dialogo, da un argomento all’altro; come
noi egli lascerà quello vecchio per un nuovo che lo attiri di più; e non si
preoccupa affatto se la discussione andrà per le lunghe, ma solo di conseguire
la verità.”
Paul Feyerabend, liberamente
adattato da Platone, Teeteto, 127d
APPUNTI SULLA LIBERTA’
Libertà e vincoli
Il concetto percepito
di libertà parte dalla constatazione e dalla percezione dei vincoli che la
delimitano. Si può concepire l”essere liberi”, solo se si prende atto di una non
libertà (è proprio il percepito diffuso dell’emergere di forti vincoli
socio/politici rispetto agli spazi di libertà che ha spinto il nostro gruppo a
costituirsi). La libertà prende energia e luce dalle costrizioni che la
vietano, come un fiume prende forza dagli argini che gli si oppongono. E come
per un fiume, la libertà prende forza e si carica di dirompente energia di
tracimamento quando gli argini sono troppo stretti, si mantiene tonica e vitale
se gli argini sono dimensionati, perde la consapevolezza della propria
esistenza e s’impantana in un’avalorialità sociale diffusa quando gli argini
appaiono (o sono fatti apparire) inesistenti.
Gli individui e la
collettività che li circonda rappresentano due polarità legate da reciprocità
di vincoli e libertà.Un eccesso di libertà individuale può rappresentare un
vincolo allo sviluppo corale della società; d’altro canto la predominanza di
una cultura di egualitarismo convenzionale potrebbe rappresentare un freno
rispetto al protagonismo ed all’originalità individuale.
La dialettica che si
snoda tra libertà individuali e libertà sociali abbisogna di regole del gioco
(vincoli) in grado di instaurare processi virtuosi di sviluppo della società.
In questo quadro è compito
delle istituzioni educanti rendere gli individui autonomi e consapevoli
delle costrizioni ambientali le quali rappresentano insieme argine e
stimolo rispetto alla stessa autonomia individuale.
In pari modo, è
compito delle istituzioni pubbliche, arbitre dell’educazione civica di un
paese, definire i limiti della partita; limiti entro i quali si può muovere il
rispecchiamento concorrenziale delle libertà individuali e di quelle sociali.
Una tale concorrenza
dinamica si poggia sulla divisione e sull’equilibrio dei poteri, proprio della
logica dello “stato di diritto” che caratterizza le società a tendenza
democratica.
La Costituzione di uno
stato si pone a mo’ di radice fondante delle condizioni di convivenza di
diritti (libertà) e di doveri (vincoli) dei cittadini. Non è un caso che la
nostra Costituzione è percorsa costantemente, in filigrana, dalla
ripetizione dei termini libertà
e limite.
La relatività della
libertà
La libertà appare come
un concetto da relativizzare e collocare situazionalmente nei diversi contesti
spaziali, temporali e sociali.
Si può parlare più
appropriatamente di più libertà in ambienti diversi, poiché diversi risultano i
vincoli, diversi gli assunti culturali, diverse le distribuzioni di risorse
esistenziali.
Quello che, generalizzando,
caratterizza la libertà in qualsiasi contesto, è il fatto di rappresentare un
processo dialettico che si snoda tra energia protagonistica individuale e
sociale e le condizioni (vincoli/opportunità) ambientali. Un processo che lega
la soggettività percettiva immersa in paradigmi culturali specifici all’oggettività
delle condizioni ambientali di vincolo/opportunità.
In questo gioco
combinatorio di relazioni individuo-cultura-ambiente possono realizzarsi
condizioni limite come quelle che si determinano nelle società povere ed
esposte a dominio autoritario. In tali società il contesto risulta tragicamente
limitante da non permettere di intravedere plausibili spazi di libertà
individuale; in Afganistan, per esempio, una delle libertà più appetibili e
quella di arrivare a 35 anni con tutti gli arti a disposizione, visto che
statisticamente ad ogni individuo spettano in dote tre ordigni inesplosi.
In modo specularmente
opposto si possono proporre esempi di società opulente, molto meno limitanti
oggettivamente ma limitate culturalmente (e quindi soggettivamente). In tali
ambienti può maturare una cultura dominante della ricchezza, un’antropologia di
monetizzazione del protagonismo e della qualità della vita. In queste
situazioni gli individui educati alle
apparenti libertà senza limiti risultano privi di energie protagonistiche così
che, pur in presenza di contesti ricchi di potenziali opportunità, essi mettono
in atto risposte sociali ed individuali che risultano improntate da apatia,
gregarismo e fatalismo omertoso. In tali ambienti è fortunato chi raggiunge i
35 anni d’età senza serie amputazioni culturali di coscienza civica.
Una discreta agiatezza
diffusa in grado di liberare dai vincoli dei bisogni primari può anestetizzare
le energie di vigilanza sociale e immergere gli attori sociali in una cultura
che teorizza le libertà senza vincoli.
Una società senza
vincoli alla libertà è presto preda dell’arbitrio dei più potenti. Oggi in Italia
stiamo vivendo in un brodo antropologico nel quale la cultura dei dominanti,
espressa dalle agenzie culturali (prime fra tutte le agenzie di comunicazione
di massa) induce i cittadini, ipnotizzati con strategie di comunicazione alla
Vanna Marchi, alla delega in bianco nei confronti di chi li governa.
In tal modo si
coltivano individui: saccenti, semplificatori, supponenti, fideisticamente
obbedienti, e profondamente incolti; cittadini straripanti di informazioni ma
incapaci di giudicare autonomamente, ingolfati dai dati e incapaci di
intelligere (“leggere dentro” i dati).
A mio parere va
ripristinata la cultura diffusa in grado di riabilitare lo spirito critico
individuale, la fatica piacevole di essere protagonisti nel giudizio.
Soggettività e libertà
I vincoli ed
opportunità ambientali non costituiscono un dato oggettivo ma cambiano
significato per via delle selezioni percettive operate dai singoli individui a
misura del loro grado di cultura (non necessariamente di scolarizzazione)
e sopretutto della loro avventura di
vita,; ciò che può essere letto come vincolo vietante da alcuni può essere
percepito come vincolo stimolante da altri e ciò che può essere assunto come
opportunità da certi individui può essere rappresentato come dato
immobilizzante da altri.
Per esempio, gli
individui possono soggettivamente arricchire d’energia protagonistica la cella
di un carcere, e testimoniare al mondo la loro ricchezza interiore senza
confini, resistendo, così, all’oggettiva condizione di claustrofobia
ambientale. All’opposto, in condizioni ambientali opulente, si possono realizzare
comportamenti sociali ed individuali di povertà valoriale e di ipotonia di
significato, tali da togliere energia vitale alla libertà potenzialmente
esercitabile (generando una specie di agorafobia nei confronti dei “troppi”
spazi di protagonismo).
La libertà come
processo da presidiare - Le insidie dei contesti industriali
La libertà non
rappresenta una meta statica da raggiungere ma un processo da guadagnare e
presidiare continuamente, una tensione esistenziale e non un equilibrio
raggiunto una volta per tutte.
Nei contesti
industriali la spinta verso la produzione quantitativa di beni che vanno
al di là dei bisogni essenziali degli individui crea domande indotte e
le domande indotte vengono sostenute da numerose azioni di seduzione/plagio esercitate
da chi produce nei confronti di chi consuma. I processi di plagio nelle società
industriali richiedono potenti mezzi d’influenzamento tesi a limitare la
libertà ed il protagonismo di pensiero e di scelta del mondo dei consumatori.
Nella nostra società i
limiti intangibili alla libertà si celano:
-
dentro le mode in grado di travestire beni e servizi voluttuari
da bisogni primari
-
dentro la seduzione della pubblicità
-
dentro la suggestione pseudocarismatica dei santoni religiosi o
politici rassicuranti
-
dentro l’informazione di parte o la disinformazione dei mass
media
La schiavitù di
pensiero si cela sotto la patina delle scelte facili e garantite dall’estetica
delle campagne promozionali, si tratti di sedurre all’acquisto di un detersivo
o, ancor peggio, di indurre l’acquisto di un personaggio politico o di
“un’ideologia da banco”.
La
battaglia di libertà delle società opulente non si combatte metro su metro per
strada, si gioca nei luoghi immateriali dove si confrontano: dati veri e dati
falsi, il virtuale con il reale, le informazioni drogate con le informazioni
veridiche, la forma con la sostanza.
In
internet, nei telegiornali, negli show televisivi si possono celare le
frontiere che separano la schiavitù dalla libertà di pensiero.
Le
società complesse ricche d’interessi legittimi in concorrenza non accettano la
semplificazione del pensiero unico, esse necessitano di più pensieri
relativizzati e di monitoraggio diffuso operato da una moltitudine d’individui,
da una pluralità di cittadini dotati di capacità critica autonoma, non certo
addestrati alla dinamica stimolo/risposta precostituita o di burocrati
assuefatti al pensiero debole da quiz che invita ad apporre la crocetta in
tempi rapidi sul si, sul no o sul non so.
La
libertà e l’originalità di pensiero ha bisogno di palestre di confronto
d’esperienze, ha bisogno di tempo investito nell’ascolto dei propri simili,
d’ascolto attivo: di un libro, di uno spettacolo teatrale, di una musica ricca
di significati o di un dipinto evocativo.
La
libertà di pensiero ci richiede la conquista di tempo da mettere a disposizione
del nostro vagabondaggio attivo percettivo e sociale.
La
cultura produttivistica tende a connotare con la dizione di tempi morti quelli
non direttamente impegnati a produrre, ma è proprio nei cosiddetti tempi morti
che prende maggiormente vita l’originalità del nostro pensiero. Con l’aumento
del tempo “libero” da attività produttive, le società industriali ci
permetterebbero di disporre di un notevole ammontare di tempi morti vitali.
Tutto ciò a patto di essere attori così intelligentemente e protagonisticamente
interattivi da saper reagire al ruolo di spettatori passivi, pigramente
adagiati sulla nostra poltrona, guardati dalla televisione e illusi di
guardarla, convinti utilizzatori di Internet ma, forse, utilizzati.
Anche
il nostro tempo libero può essere anestetizzato ed invaso.
Se
ci sentiamo soli con il nostro tempo libero tanto da non sapere come spenderlo
vuol dire che siamo già stati invasi e siamo”liberamente” conniventi con i
nostri invasori.
Focalizzazione
economica da adottando dell’articolo 41 – parte prima – titolo terzo della
Costituzione
L’
articolo recita così:
L’iniziativa
economica privata è libera.
Non
può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La
legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Enuncio,
di seguito e didascalicamente alcune tesi che ritengo utili al dibattito
Sono
fermamente convinto che la libertà nell’economia sia sinonimo di concorrenza
normata.
Lo
spazio della libertà è quello della concorrenza, i vincoli sono dati dalle
norme istituzionali che lo regolano.
Senza
entrare nel merito dei vincoli di dettaglio dei contesti economici credo che i
principi di base della democrazia di mercato dovrebbero premiare qualsiasi
iniziativa all’interno delle presenti condizioni:
-
Vietare la formazione a livello nazionale e sovranazionale di
concentrazioni monopolistiche (monopoli, oligopoli, cartelli o patti di non
concorrenza). Un tale processo ucciderebbe lo spazio democratico di
concorrenza.
-
Vietare la frantumazione localistica e spinta di attività economiche.
Questo fenomeno renderebbe i processi produttivi troppo costosi per i
produttori e per i consumatori e spingerebbe le attività economiche nel
sommerso, nei territori dell’evasione fiscale, allo scopo di essere minimamente
remunerative.
-
Permettere, nei limiti del possibile alle iniziative economiche
di godere di pari opportunità/vincoli nell’allestimento degli impianti
organizzativi.
-
Pretendere la trasparenza dei dati di andamento produttivo delle
imprese al fine di poter esercitare un adeguato controllo sociale su di esse.
-
Tutelare e promuovere la nascita di organizzazioni e, perché no,
di istituzioni a difesa dei consumatori.
Utilizzando come
definitori di campo i cinque ancoraggi democratici precedentemente descritti
perde significato l’uso delle categorie discriminanti attività pubbliche
e attività private.
Anche il legislatore,
comprensibilmente per l’epoca di stesura della Costituzione Italiana, esordisce
con “L’iniziativa economica privata è libera”
per poi introdurre l’attività economica pubblica quando recita
“…controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali”
Scontato il fatto che
alcune strutture o beni di indubbia utilità sociale non debbano essere
privatizzati e quindi devono essere gestiti per conto di tutti i cittadini, il monopolio pubblico, anche se
in misura minore di quello privato rischia di prosciugare le libertà di
mercato.
Il monopolio, quindi,
sia pubblico che privato crea problemi di salvaguardia di libertà di mercato e
soprattutto dei consumatori.
La presenza della
libera concorrenza normata costringe le imprese ad essere centrate
sull’erogazione dei beni e servizi con attenzione a minimizzare i costi
(principio quantitativo d’efficienza).
Si può affermare che
la presenza di una tonica concorrenza costringe le imprese all’efficienza.
La possibilità dei
consumatori di rivolgersi ad imprese diverse e relativamente alternative al fine di vedere corrisposte le domande di
beni e servizi e di potersi altresì appoggiare ad efficaci istituzioni di
difesa dei consumatori, costringe le imprese a muoversi nell’intorno delle
quali/quantità di produzione attese dai consumatori (principio qualitativo
d’efficacia).
Si può affermare che
la pressione dei consumatori e delle loro agenzie di tutela costringono le
imprese all’efficacia. La concreta centratura delle aziende sui clienti e frutto
della forza di vigilanza esercitata dai clienti stessi.
Se a tali fattori si
aggiungessero essenziali norme di premio alla trasparenza dei processi :
economici(bilancio), finanziari, di qualità, di logistica, di mercato, eccetera
si potrebbe ottenere uno spazio adeguatamente riempibile dalla “libera
concorrenza”. In tali condizioni normative si potrebbe cominciare a parlare, e
soprattutto agire, in termini di etica economica.
Nota retorica
Alla luce di quanto
detto, un governante
aggrovigliato nelle straripanti incompatibilità che mescolano i suoi interessi
privati con quelli pubblici. Che pratica l’arbitrio monopolista
in veste politica e contemporaneamente teorizza la libera concorrenza
senza limiti. Che, così facendo, si allea, di fatto, con la cultura
economica iperfrantumata, sommersa e di dubbia eticità della nazione. Un
rappresentante delle istituzioni democratiche impegnato nel varo di leggi
che depenalizzano la mancanza di trasparenza dei bilanci e della finanza
privata e pubblica (al fine di assoggettarle alla sua discrezionalità
privata). Un imprenditore/politico che ingaggia una lotta feroce
contro le poche e logore istituzioni a difesa dei lavoratori e dei consumatori e che , non contento, (o meglio non
totalmente impunito) tende a sottomettere il potere della magistratura,
mi sembra che persegua scientemente il cammino specularmente opposto alle
libertà.
Difendiamoci da
ventate culturali che vorrebbero farci credere che il libero gioco degli
interessi privati si trasforma per magia in valore sociale!
La parola interessi,
gravita nella semantica delle aspettative individuali (più o meno legittime) la
parola valore gravita nella semantica dell’etica sociale.
Gli interessi
individuali non hanno ancora trovato la pietra filosofale in grado di
trasformarli in valori collettivi.
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ADOZIONI:
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