La Costituzione e le adozioni |
Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Marco Fossi -
Milano
Adotto gli articoli 46
e 47, perché mi sembrano contemporaneamente moderni e inattuati.
L'articolo 46 dice
che "Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia
con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei
lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla
gestione delle aziende".
Il 47 recita:
"La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme:
disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.
Favorisce l'accesso
del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta
coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi
complessi produttivi del paese".
Come si vede, un
complesso e bellissimo programma da cui si dovrebbero trarre delle conseguenze
che invece fatico a vedere nella realtà. Tanto per cominciare, il lavoro
dovrebbe seguire, nel tempo, un percorso di "elevazione economica e
sociale": che vuol dire, fra l'altro, che si dovrebbero diffondere
progressivamente lavori meglio remunerati, più interessanti per chi li svolge,
che vadano nella direzione di una ricaduta positiva sulla società (l'elevazione
sociale) che io interpreto come minori disuguaglianze economiche, più
conoscenza, e quindi maggiore competitività internazionale, insomma maggiore
benessere spirituale e materiale per tutti.
Basta guardarsi in
giro per capire che non è così.
Un neolaureato
guadagna meno di un barista, e dunque perché laurearsi? E infatti abbiamo una
percentuale di laureati fra le più basse nel mondo civile. Perché le aziende
pagano un neoassunto laureato quanto un diplomato? Cosa fa nel concreto la
Repubblica per promuovere queste dinamiche? Mistero. Ma c'è di meglio (nella
Costituzione) e di peggio (nella realtà).
I lavoratori hanno
il diritto a collaborare alla gestione delle aziende. Il che significa, almeno,
che loro rappresentanti dovrebbe essere presenti nei consigli d'amministrazione
o che loro organi dovrebbe entrare nei meccanismi di potere che regolano il
funzionamento delle aziende. Collaborare alla gestione vuol dire poter
codecidere (o almeno influenzare le decisioni) strategiche, le linee di
sviluppo di fondo, la politica di distribuzione degli utili, gli investimenti,
i prodotti da lanciare e così via.
Ci sono senz'altro
delle eccezioni, ma chiunque abbia lavorato in un'azienda sa che i lavoratori
in sostanza non collaborano proprio a nessuna gestione aziendale.
Perché qualcuno non
lancia una seria proposta di legge che va in questa direzione? L'Italia è piena
di piccoli e medi imprenditori che non riescono a fare un salto dimensionale.
Sarebbe pura utopia pensare a una legge che stabilisse forti incentivi per le
aziende che decidessero di fare il salto verso stili di gestione meno
paternalistici e one man company e - poniamo - presentassero un programma di
espansione per crescere di una percentuale minima data, finanziassero questa
crescita con la quotazione in un serio mercato borsistico europeo (ho qualche
dubbio che quello italiano sia proprio serio) e attuassero al proprio interno
l'articolo 46 aprendo l'azionariato ai lavoratori istituendo un organismo
rappresentativo (non un sindacato) che realizzasse sul serio la cogestione?
L'articolo 47, poi,
disegna un programma politico di supporto e gestione del risparmio che se
attuato ci farebbe fare un grande balzo in avanti.
Non c'è da inventare
nulla, basta leggere.
"La Repubblica
incoraggia e tutela il risparmio".
Cosa faccia di
preciso per incoraggiarlo mi sfugge: certo nessuno rimpiange gli anni
dissipatori in cui i Bot rendevano il 12 per cento e il debito pubblico andava
alle stelle. E infatti oggi che i tassi sono tornati a medie europee la
propensione al risparmio degli italiani è scesa molto allineandosi a valori di
altri paesi: insomma, non siamo più un popolo di formichine.
Sulla tutela del
risparmio, poi, ci sarebbe molto da dire, a partire dalla disinvoltura del
comportamento dei nostri mercati borsistici. Chi vigila affinché non ci sia
conflitto di interessi fra banche e finanziarie che portano in borsa le
aziende, gli analisti (delle stesse banche e finanziarie) che danno il voto ai
titoli quotati e consigli di investimento ai risparmiatori, e gestori di fondi
d'investimento o di portafoglio che sono poi sempre le stesse banche e che,
evidentemente, se devono scegliere fra il piccolo risparmiatore e collocare
bene un titolo scelgono quest'ultimo?
Lasciamo perdere
l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione. I modesti
vantaggi fiscali legati alla detraibilità dei mutui certo non sono quello che i
padri costituenti avevano in mente.
Oggi un lavoratore
medio che guadagna 3 milioni netti la mese impiega 100 - 150 mensilità per
comprarsi una casetta: dieci anni di reddito netto il che vuol dire che se
risparmia un inverosimile 20 per cento del suo reddito compra casa con 50 anni
di lavoro, vale a dire una vita lavorativa e mezza. Insomma lascia in eredità
ai figli dei debiti.
Forse la Repubblica
dovrebbe fare qualche cosa di più: intanto ci vorrebbe una legge che definisca
che cos'è il risparmio popolare in contrapposizione al risparmio tout court.
Per esempio, si potrebbe convenire che i primi 200 milioni sono risparmio
popolare trattato diversamente da tutto il resto del risparmio privato. Poi se
vuole favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione ci vuole una legge che
faccia due cose: primo, che metta in vendita case a un prezzo
"accessibile" (si può discutere bene cosa voglia dire accessibile ma
il concetto è questo - aggiungo che le case popolari, spesso in affitto invece
che in proprietà come dice l'art. 47, sono un'altra cosa, cioè il soccorso agli
indigenti; il 47 non parla di case popolari, ma di risparmio popolare per
l'acquisto della casa, non necessariamente, essa, popolare); seconda cosa, la
vendita a prezzi simbolici di una parte delle numerose aree dimesse a gruppi
d'acquisto formati da cittadini (cooperative,azionariato popolare) che li le
ristrutturano e ci costruiscono la loro prima casa (una sola a testa e per uso
personale, ovviamente, con vincoli ad una precoce rivendita a scopi speculativi
pena penalizzazioni economiche).
Riassumendo,
propongo che qualcuno si faccia carico di queste proposte di legge: una che
regoli e attui il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione aziendale;
una che regoli e attui la tutela del risparmio rispetto ai conflitti di
interesse fra risparmiatori e banche e finanziarie un po' meglio di come è ora.
Una che regoli e definisca che cos'è il risparmio popolare e che in che modi
esso venga favorito per l'acquisto della prima casa e per la proprietà diretta
coltivatrice e in che modi sia favorito l'investimento nei grandi complessi
produttivi del paese (pubblici o privati, noto, la costituzione non fa
differenza).
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