ADRIANO NARDI Frequenta il Liceo
Artistico Statale e l’Accademia di Belle Arti di Bologna, diplomandosi
nel 1991. Vive e
lavora a Roma. PERSONALI 2002
Vertical
horizons . Galleria Maniero . Roma 2000 Le
naviganti . Futuro . Roma 1998 Antipop
. Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea dell'Università' La Sapienza .
Roma COLLETTIVE 2003
Sorite, immagini al portico (Stoà poikilè) .
Ass.
Cult. Satura . Genova Imago
mentis
. La Giarina Arte Contemporanea . Verona (Aprile) Imago
mentis.
Romberg Arte Contemporanea. Latina
(Maggio) Close
up, ultima arte italiana. Art Gallery Banchi Nuovi . Roma
Yourself-autoritratto . Sesto Senso . Bologna L'isola
del Tesoro . Miglianico . Chieti Misura
unica per una collezione, pittura del secondo Novecento della Collezione
Fiocchi . Cagli La
cartografia e il volo . Base aeronautica militare di Pratica di Mare .
Roma Galleria
Maniero . Riparte 2002 International Art Fair . Roma L’amante
del collezionista . Ronnie Arte Contemporanea . Chieti 2001
Il
colore dei Santi . Rai 1. prod. ADNKronos 1°Premio
Nazionale di Pittura Ferruccio Ferrazzi . Sabaudia (LT) Il
cielo in una stanza, Galleria Maniero, Riparte 2001 International Art Fair,
Roma Searching.it
. Galleria Comunale d' Arte Contemporanea . Ciampino . Roma - è stato
presentato il video: "VOYAGER",
Per
un futuro migliore . Futuro . Roma 2000 24
ore nel futuro (maratona d'arte contemporanea) . Futuro . Roma Straordinari
Cortili . Roma 3RD
West Lake Art Fair . Hangzhou . China Per
un futuro migliore . Futuro . Roma 1996
Artisti
per il teatro Ambra Jovinelli . Roma 1994
Galleria
Studio Erarte . Bologna 1993 L'Arte
contemporanea a Bologna . Prima Biennale . Palazzo Re Enzo
. Bologna 1991
Chromìe
. Centro culturale Edison . Teatro Cinghio 1990
III
Laboratorio . Galleria San Fedele . Milano 1989 Galleria
Mazzocchi . Parma 1987
BIBLIOGRAFIA HEIDA
SANCHEZ, ”La Cartografia e il volo”, catalogo
della
mostra a cura del Centro Informazioni Geotopografiche Aeronautiche di
Pratica di Mare, Roma, settembre 2002 …Nardi,
riflettendo sulle tempeste che periodicamente sconvolgono l'umanità
sottolinea quanto sia importante che ad esse facciano seguito delle
missioni di pace, in un continuo sforzo di progresso. In una striscia
diagonale due simboli della pace sembrano sorvolare come aerei un
territorio sconosciuto. Sullo sfondo un giovane ucciso, uno dei tanti,
in uno dei numerosi scontri dell'umanità. Poi, osservando attentamente,
ci si rende conto che il territorio sconosciuto altri non è che un
particolare fortemente ingrandito di Dora, il bei volto femminile che
campeggia nella tela. Ma Dora è il nome di uno dei 30 uragani più
potenti che siano mai stati registrati e a cui l'artista ha volutamente
dato un volto di donna. Un uragano come allusione alla guerra, alla
violenza, agli "uragani" che sconvolgono troppo spesso
l'umanità e alla distruzione che ne consegue. Da ciò scaturisce il
senso di una missione di pace su un territorio straniero… …In
Nardi l'idea della mappatura, come esplorazione della superficie del
colore, c'è sempre stata. Ma, soprattutto in un'opera come "Mapping
Dora" il lavoro esplica la ricerca nella dimensione microscopica
della pittura, nel dettaglio strutturale della materia. La base di
partenza resta la pittura ad olio, eseguita già pensando
all'ingrandimento successivo, ma anche una pittura dai colori vivaci che
scompone uno splendido volto femminile nel tecnologico RGB del monitor,
colorando il volto con larghe fasce dei tré colori primari. Poi
scansisce esaltando a dismisura un dettaglio per lui particolarmente
significativo e lo esplora, quasi fosse un paesaggio di un mondo
sconosciuto, dove la materia pittorica forma colline e montagne, le
pennellate vallate e pianure. Lo
sfondo, in questa come in molte altre opere (Dizzy horizons, Searching
wanted, Movimento nudo), contiene anche un'immagine presa da Intemet (un
manifestante ucciso a Buenos Aires), finestra tecnologica che da la
possibilità di essere ovunque, di dialogare con chiunque, uno strumento
che, in sintesi contribuisce ancora di più a ridurre le dimensioni del
mondo ad un villaggio globale. La realtà quotidianamente si riversa
nella
nostra vita attraverso i molteplici
canali dei media: dalla TV,
ai giornali,
a Intemet. E Nardi osserva e analizza il mondo guardandolo dal suo
monitor-finestra, pesca immagini e ne fa oggetto di riflessione,
inserendole in forma di stampe digitali nelle sue composizioni, magari
ripetute (come lo sono in fin dei conti le vicende umane) come frattali,
fino a comporre trame suggestive. Punto
focale di ogni composizione rimane un volto o l'immagine di una ragazza
in RGB, un'idea astratta di donna più che un ritratto, dipinta, perché,
l'artista afferma che una stampa, anche la più bella e raffinata, da
sola è povera: ci deve essere un elemento materico, pittorico,
tradizionale, che dia uno scatto diverso, una continuità, con cui la
stampa moderna interagisca. La figura femminile focalizza l'attenzione e
proietta l'immagine in una dimensione atemporale, in cui la riflessione
assume valenze positive, ottimistiche… (opere pubblicate: Dora,
Mapping Dora) AUTORI
VARI, “Misura unica
per una collezione, pittura del secondo Novecento della collezione
Fiocchi nel cantiere di Palazzo Tiranni Castracane”, catalogo
a cura del Comune di Cagli, 2002 (opera
pubblicata: Orientata) Alessia Muroni, recensione della personale Vertical Horizons pubblicata su Arte e Critica, aprile-settembre 2002 " La Galleria Maniero ha presentato Vertical Horizons, personale di Adriano Nardi, giovane artista che ha fatto dell'interazione fra plotter painting e pittura ad olio il mezzo veicolante di un discorso di riflessione sul potere sociale dell'immagine quale ridefinita dal World Wide Web. Nel gioco ossimorico fra l'elusività del mondo digitale e la concretezza storicizzata della pittura, l'artista si propone di portare il discorso sulle implicazioni esperienziali e conoscitive dell'immagine. Le algide icone femminili di Nardi, così glamourous ma così stranamente disincarnate e ascetiche, spostano il discorso sull'immagine da patrimonio comune e totalizzante a scelta individuale etica ed eretica; navigando controcorrente nel grande alveo della medialità imposta."
L.Scacco, recensione della personale Vertical Horizons pubblicata su Segno, marzo-aprile 2002 "...un delicato e sapiente equilibrio tra la manualità della pittura e la fredda oggettività della tecnologia informatica,..." (opera pubblicata: Nova )
Francesco
GATTI,
servizio
televisivo e intervista a Gabriele Perretta ( opere riprese: dalla personale "Vertical Horizons" + video "Voyager" )
MARCO DI CAPUA, "Sempre in testa", Roma, edizione il Polittico in occasione della mostra di P.Fiorentino, 26 febbraio 2002 "...E' evidente come da un po' di tempo da questa città (Roma) emerga una figurazione nuova, cresciuta sopra un a schiera di immagini purificate, chiarificate, decantate. Sagome. Non ritrovi niente di simile, oggi, in Italia. Magari altrove avvengono cose importantissime, ma questa no. Altre. Si tratta di genius loci, te la puoi cavare così. Accanto a Paolo metto, per fare qualche esempio, Stefania Fabrizi, Silvia Codignola, Oliviero Rainaldi, Paola Gandolfi, Elvio Chiricozzi, Alessandra Giovannoni, Adriano Nardi... E qui, con loro, senti spifferi di una spiritualità contemporanea, per forza di cose complessa, stratificata, punto di arrivo di più segnali. Da questo punto di vista a Roma siamo degli esperti. Ce ne intendiamo. Possediamo un talento millenario. Non invano questa città è stata il punto di sosta - per alcune fu un rigoglio, per altre la fine - delle religioni del mondo..."
LUDOVICO PRATESI, COSTANTINO D'ORAZIO, ”Close up, ultima arte italiana”, cat.a cura della Art Gallery Banchi Nuovi,edizioni Joyce s.r.l, Roma, marzo 2002 "...Close up nasce dall'idea che abbiamo elaborato sulla base dell'osservazione dell'opera di Marco De Luca, Adriano Nardi, Marco Raparelli e Luca Suelzu. Sono quattro visioni diverse della realtà contemporanea, concettualmente lontane tra di loro, ma realizzate secondo una metodologia simile, che assimila l'occhio di questi quattro artisti all'obiettivo di una telecamera. Una telecamera, appunto, non una cinepresa. Lo strumento che i reporter utilizzano per raccontare la realtà e restituirne l'atmosfera attraverso la cronaca di momenti significativi e la raccolta di immagini forti. Il distacco dalla realtà che appare da questi racconti in pittura è la cifra della nuova generazione di artisti italiani, che si sono fortemente allontanati dalla "partecipazione" che sosteneva il lavoro degli artisti del passato, nei tardi anni Sessanta e Settanta. L'artista oggi osserva e dipinge, con l'obiettivo di evocare l'azione, che sta raccontando, ma senza elaborare un giudizio e senza chiedere all'osservatore di parteciparvi. I dipinti in close up sono finestre sulla realtà dai vetri chiusi, che il pubblico può aprire o ammirare in superficie. E' il gioco dell'arte contemporanea, che in questi quattro artisti si ammanta di una notevole suggestione, grazie al fascino di una pittura attenta ai dettagli dell'immagine... ...Nella
medesima cornice storica ci accompagnano le "Naviganti" di Adriano
Nardi, l'artista più committed dei quattro, giunto alla
formalizzazione pittorica di una lunga riflessione sull'evoluzione e sul
decadimento della nostra società contemporanea. "Nel 1992,
dipingendo, ho simbolicamente troncato il vertice di una piramide. In
quel momento la mia attenzione era rivolta al disastro umano ed
ecologico operato dal conflitto..." Come De Luca, anche Nardi punta
il suo obiettivo su fatti storici contemporanei dalla grande intensità,
che contrasta con le algide figure che in primo piano rappresentano la
soglia da attraversare, per entrare nello scorrere del tempo. Sono
figure femminili impossibili da ricondurre ad un ritratto, sono idee
della donna, forme astratte che Nardi compone attraverso l'uso del
verde-rosso-blu televisivo, come diaframmi di una telecamera che guarda
gli elementi di resistenza alla decomposizione del tessuto sociale e
civile occidentale. Non a caso, recentemente l'artista ha iniziato a
dipingere su tele che riportano scene degli scontri di Genova, degli
scaffali colmi di merce nei nostri supermercati, stampate in digitale da
Internet. Conservano la definizione di un'immagine
televisiva, a volte sgranata dal ravvicinamento della macchina
fotografica o della telecamera del reporter, che ha inconsapevolmente
realizzato uno sfondo, un paesaggio animato e veloce, cui si
sovrappongono, senza integrarsi, le figure delle "Naviganti"
dai nomi esotici come quelli dei film di fantascienza degli anni '70.
Sono venute a riportare ordine nel nostro mondo senza esprimere giudizi,
ma attraverso la sovrapposizione, la copertura di parti di realtà,
l'affissione come fossero marchi di infamia e severo giudizio nei
confronti del nostro scarso buonsenso. Immagine digitale e corpo dipinto
costituiscono due contesti diversi che si uniscono e dialogano, come
succede nei dipinti di David Salle o nelle visioni oniriche di Stanley
Kubrick
MARIO DE CANDIA, ”Close up”, Trovaroma (La Repubblica), Roma, marzo 2002 "...lavori pittorici che traducono diversità di visione della realtà contemporanea… …in un qualche modo riportabili ad una metodologia consimile, che assimila l'occhio dei quattro artisti ad una telecamera..."
LINDA DE SANCTIS, "Una donna molto sexi colora le tele di Nardi", Roma, La Repubblica, 26 febbraio 2002 "...E' una giovane donna la protagonista delle tele di Adriano Nardi in mostra alla galleria Maniero. Una donna coloratissima e provocante che sfoggia biancheria sexy o hot pant a mettere in risalto il corpo perfetto, che guarda bene in faccia lo spettatore e lo invita a seguirlo nel mondo di oggi, minacciato ma ancora possibile da salvare. Prese dal mondo di Internet e poi ridipinte a olio le figure femminili di Nardi nascono da un delicato e sapiente equilibrio tra la manualità della pittura e la fredda oggettività della tecnologia informatica. In un cocktail esplosivo di colori, rosso, verde, blu, giallo, che allontana l'immagine dal reale e l'avvicina a quello tecnologico dello schermo di un pc, le "Arianne" del nuovo secolo, algide e sensuali, umane ed extraterrestri nello stesso tempo, si muovono tra fiori grandi quanto il sole, cibi organici e manifestazioni di "no global" per raccontare l'ideale "ecologico" dell'artista. Usando la tecnica della sovrapposizione delle immagini, il pittore passa dal mondo di Internet a quello della pittura elaborando un suo forte e personale linguaggio."
DANIELA BRUNI, "Adriano Nardi, Vertical Horizons", recensione pubblicata sul sito www.Exibart.com, gennaio 2002 "...Brasiliano di nascita, si forma artisticamente a Bologna e a Roma ha la sua prima personale presso il Museo Laboratorio. Vertical Horizons è il titolo della sua ultima personale: verticalizzare l'orizzonte significa "elevarsi concettualmente"... leggi la notizia:...”
ANDREA CUOMO, "Nardi, l'altra metà della pittura digitale", Roma, Il Giornale, 1 febbraio 2002 (opera pubblicata: Mouse&Lisa)
LUDOVICO PRATESI, "Qualche appunto sulla pittura di Adriano Nardi", catalogo edizione Galleria Maniero, febbraio/marzo 2002 "
Amazonas Vertical
Horizons Le
Naviganti Tra pennello e computer: i vampiri dell’immagine Attraverso la compresenza nella stessa opera di figure dipinte ad olio su immagini digitali Nardi prosegue una tradizione basata sul concetto di sovrapposizione di immagini legate a contesti e significati diversi che ha attraversato tutta l’arte del Ventesimo Secolo, a cominciare dalle “trasparenze” realizzate dal pittore francese Francis Picabia , protagonista di primo piano prima del dadaismo e poi del surrealismo. Un percorso che conduce fino ai dipinti di David Salle, esponente della “new painting” americana degli anni Ottanta, che sovrappone scenette umoristiche tratte da cartoni animati per bambini ad immagini pornografiche “hard-core”. Del resto, al giorno d’oggi la necessità di elaborare opere non effimere ma durature e in grado di esprimere la complessità del nostro presente ha costretto gli artisti delle ultime generazioni a rapportarsi con le nuove tecnologie informatiche , e li ha trasformati, come ha rilevato di recente Lorenzo Canova, in veri e propri “vampiri dell’immagine”, che si nutrono di sollecitazioni visive provenienti dalle fonti più disparate , che vanno dalla pubblicità alla televisione, dal cinema al fumetto fino agli orizzonti infiniti di Internet. All’interno di questo folto gruppo , i pittori italiani si contano sulla punta delle dita, e mi sembra che Adriano Nardi abbia tutte le carte in regola come “new entry” in un gruppo che annovera già personalità di rilievo come Cristiano Pintaldi, Andrea Salvino e Fabrice De Nola" (opere affiancate in questa prima parte del catalogo: Nova, Nova Borderlands, Green eyes on Mars, Fight-line(sun son).)
GABRIELE PERRETTA, "Dizzy Horizons", catalogo edizione Galleria Maniero, febbraio/marzo 2002 "Secondo
la tradizione moderna, quando si parla di konkrete kunst,
ci si riferisce a quella definizione introdotta per la prima volta da
Theo van Doesburg nel 1930, che in genere saldava le opere non
figurative ad un dizionario visivo interno alla loro stessa funzione. La
pittura e la scultura concreta si basavano su ciò che era otticamente
percepibile: colore, spazio, luce, movimento. Fu Max Bill che diede una
caratterizzazione definitiva di questa visione, ma soprattutto ne fece
uno statement con il Nastro senza fine realizzato intorno al
1936. Con la maturazione dei processi tecnologici, che alla fine del
secolo scorso hanno influenzato tutte le forme di elaborazione
dell’immagine, minando alla base anche nozioni fondamentali per il
moderno - come concretezza in opposizione ad astrazione - l’indagine
sulla pittura iconografica ha trasformato il senso della sue categorie
non mostrando più come contrapposto ciò che può apparire staccato,
ritagliato dal reale, da ciò che autenticamente si manifesta nella
totalità delle sue determinazioni. In una sola parola, il virtuale con
la sua massiccia introduzione nelle case della gente ha rimescolato le
carte rispetto alla nostra cognizione di tempo reale, di spazio reale e,
quindi, di concretezza stessa della spazialità. Esso ha offerto la
possibilità di guardare l’ambiente circostante, e poi anche la
pittura, con un occhio diverso rispetto al passato, introducendo una
tensione maggiore tra l’idea di immagine naturale e di immagine
artificiale. Partendo
da questi presupposti, e con l’intento di agire direttamente
all’interno di una forma che convoca concretamente il mondo
elettronico - senza adeguarsi all’ipotesi di Max Bill che per
diventare il rappresentante più autorevole della Konkrete kunst
si opponeva radicalmente ai presupposti alchemici, simbolici ed
esoterici della pittura – Nardi, servendosi simultaneamente della
riproduzione digitale e del pennello, tenta di rimescolare ancora una
volta le carte sul problema dell’immagine. La sfida è ostica e gli
obiettivi sono ambiziosi, il territorio dell’immagine si presenta del
tutto minato, sia nel campo della pittura che in quello delle nuove
attitudini digitali. L’arte della pittura all’inizio di questo
secolo effimero, e dittatorialmente guidato dal nichilismo del Capitale,
si presenta come un campo disciplinare oltremodo consunto; essa appare
come il simbolo di un’arte che è totalmente inscenata e
fictionalizzata, assolutamente relittuosa e finemente ingannatrice.
Anche il quadro non appare più possibile sia nella sua forma di
orchestrazione che nella sua profetica capacità di sintesi. Il quadro
è stato rotto dall’esperienza Novecentista del montaggio e non è più
acquisibile ad un universo che si circoscriva ad una tela o ad una
tavola eseguibili su un cavalletto. Attualmente
l’immagine lavorata al computer non può mostrarsi come l’apologia
della tempera dipinta con stile accademico, per essere offerta agli
occhi dei nuovi e-salon. Se un tempo il quadro era un sistema chiuso,
una specie di piccola boite optique, oggi tale formulazione è
improponibile. Chi pensa ad un quadro rinnovato nel contemporaneo dagli
scherzi del digitale, è un imbonitore che vende fumo e aspira ad
affermare dei principi che non hanno niente di fondato. È assolutamente
aberrante pensare ad un quadro come alla composizione di un file. Un
file non è il contenitore di un’immagine, ma potenzialmente
rappresenta uno dei tasselli di un mosaico che può comporre delle
immagini infinite e super-riproducibili. A partire da ciò il quadro
potenzialmente non esiste più e, parallelamente, non esiste più la sua
struttura né la possibilità visivamente circoscritta di dichiarare la
sagoma di un’icona. Diciamo che il confronto tra una pittura composta
su tavola e il decorso di un file, che si orienta al risultato espanso
di una tavolozza, si percepisce come una grande baggianata. Il file
sappiamo tutti che è una raccolta significativa di informazioni dotata
di un nome; esso può essere un programma oppure un documento creato da
un utente. Se un file permette di distinguere i set d’informazione,
come è possibile pensare che la sua potenzialità si possa ridurre
all’immagine di un quadro? Nel
computer, proprio perché si distinguono una memoria centrale ed una
memoria di massa, ogni immagine si specchia nella propria capacità di
essere una copia di se stessa e, quindi, una copia infinita della sua
specularità. Nelle funzioni del computer vi sono inoltre i file server
(dispositivo di memorizzazione accessibile a tutti gli utenti), i disk
server (unità remota), vi sono i buffer (immagazzinamento temporaneo).
In sostanza, il linguaggio del computer è dotato di una versatilità
fortemente espandibile, che non è configurabile alla luce del concetto
di quadro. L’immagine del quadro non è diminuibile, non è
dilatabile, non è sezionabile, non è stratificabile, quella
dell’elaborazione digitale, invece, può essere tutto questo insieme.
Sul computer da un microrganismo può sfogliarsi una famiglia infinita
di immagini. La fotografia digitale è potenzialmente versatile, perché
con un dettaglio possiamo riempire ed emulsionare centinaia di
chilometri di tela, con tre tubetti di colore ad olio al massimo
riusciamo a fare una tavola 120x130. Inoltre, il file è una copia, è
un back up infinito di quella intuizione che abbiamo avuto. Il file ha
in sé la potenza dello scriba Ezra che copiava i testi sacri (Codex
Amiatinus –700/716 ca.-), esso risente del tratto illimitatamente
riproducibile e su questo tratto divide la sua spinta orizzontale e
verticale. Da una parte condanna la pittura ad essere infinitamente se
stessa e dall’altra sanziona la copia della tavola miniata come
l’eterna copia, lo scriba altro da se stesso. È così che si muove il
grande universo mediale, è così che il mondo feticistico che ci
circonda rasenta la follia parossistica. Ma nonostante la grande
disponibilità del digitale ad espandersi, esso non può essere tradotto
nei tempi tecnici della pittura. Fra il digitale e la pittura vi è la
rottura del riproducibile che si alimenta tramite una sequenza infinita
di immagini, forme che alla manualità sono state offerte solo con
l’introduzione della nozione di montaggio. Ecco che la pittura è
oltre la macchina perché in essa si ricompone il senso concettuale di
superamento della tecnologia per la tecnologia. In questa grande fiera
delle banalità, la storia della pittura, e soprattutto di quella
figurativa e realistica, si presenta come una battaglia tra ghostbusters,
tra morti viventi che si impauriscono e si dilettano a spaventarsi tra
loro, la battaglia di chi vuole affermare con un sottile inframince (il
riferimento è alla nozione duchampiana) il disperato senso di una
tecnica, ormai in grado di agire liberamente e senza nessun legame
all’attualità, perché è passata all’infinito archivio della
memoria. Per
ripercorrere la storia senza dare l’impressione di essere degli
epigoni di qualcosa che non si riuscirà più a risollevare dalle
ceneri, bisogna agire rimescolando le carte in maniera giocosa, tentando
di dare spazio al Carnevale di M. Bachtin, di cui il linguista
russo parlava negli anni trenta/quaranta del ‘900. A futura memoria,
accompagnato da un atteggiamento ironico e contemporaneamente politico,
e soprattutto senza l’incanto di dover eseguire la pittura per
riversare sulla superficie un qualsiasi panegirico, Adriano Nardi ci
prova. Egli cerca di farci capire che anche nel mondo dell’immagine
che si muove tra il richiamo parallelo ai media tecnologici e il mondo
della pittura sintetica (Ducotone Valley) vi è la possibilità di
rispettare e di attraversare l’universo e la nuova nozione di konkrete,
rimanendo però nell’ambito del figurativo e nel territorio
affascinante dell’iconografico. Sì perché, fallito il progetto
dell’avanguardia e il suo pedissequo rapporto con la spazialità del
colore, della forma minimale e dell’esperienza della geometria, tra i
giovani artisti contemporanei corre voce che si può ritrovare la
concretezza facendo riferimento quasi “realisticamente” al consunto
mondo circostante, al riflesso della sfera iconologica che tutti i
giorni occupa la nostra esistenza. Grazie al filtro che noi abbiamo
scoperto nel contrastarci e nel conflittualizzarci con la pesante coltre
della cyber-sfera, siamo finiti in un territorio vago, che si trova
oltre la visione informale. Senza l’idea di fare di una filosofia del
concreto un’intrinseca tendenza a sforare nella didattica, e senza
voler autoritariamente pensare di dialogare con le purezze e i
significanti più astrusi del segno, senza dare compositivamente una
risoluzione alle linee ed agli spazi vuoti ed alla geometria piana,
Nardi tenta di affiancare il significato di concreto al mondo fictionale
dello schermo in tutte le sue coniugazioni (cinema, computer,
televisione, etc…). Concreto
(concretezza) nello spazio tridimensionale dell’immagine (“elusa ed
illusa”) significa giocato tra il doppio senso della realtà e della
finzione continua. L’immagine - dato che contiene in sé la doppia
verità dell’illusione e della rappresentazione, dato che si sposta
sull’evidenza dell’idea, quindi su di una concretezza che può
assorbire l’astratto, il corporeo, il palpabile, il tangibile e
parallelamente il suo contrario, il pratico, il concettuale, l’ideale,
l’autentico e poi nella sua finzione l’accertato, il feticistico, il
salto nell’apparente, nel fantasioso, etc… - piegata alla
manipolazione totale nel laboratorio della tecnica, si presta ad essere
lo specchio totale della sua apparenza, si piega definitivamente al
paradosso del concreto. Max
Bill ed i suoi seguaci (vedi Maldonado) hanno costruito un’immagine
della concretezza che passava attraverso gli interventi su scala urbana;
la pittura mediale, dalla quale provengono il discorso e la ricerca di
Nardi, passa attraverso la riconsiderazione della metafora visiva, o
meglio della nozione di konkrete che agisce all’interno
dell’immagine della grafica computerizzata. Sì, perché i programmi
di grafica al computer, l’uso popolare della fotografia digitale e via
di seguito sono degli addentellati della grande costellazione mediale.
Il medialismo, nella sua fattispecie, sin dall’inizio degli
anni ’90, ha fatto scuola ed ha prodotto una varietà immensa di
soluzioni e di spinte per la ricerca sull’immagine ed una di queste è
senza alcun dubbio quella di Nardi. Il suo lavoro, sia nell’uso della
pittura che in quello dell’elaborazione digitale, è assai più maturo
di molte altre aberrazioni che vorrebbero essere infelicemente
ricondotte ad una sorta di école du regard - tutta papalina -
che usa la grafica elettronica così come i vecchi lustrascarpe usavano
la cromatina per chaussures à semelle de cuir già forzosamente
lucide. In
sostanza, l’immagine digitale si muove rispetto alle sorprese del
rinnovamento come un oxymoros. Essa ci sottolinea il fatto di non
essere più un’immagine. La sua particolarità è quella di sottrarsi
all’evidenza ed alla concretezza della superficie. Quindi, la pittura
che Nardi aggiunge al lavoro automatico della plotter painting
serve per ravvisare e farci riconoscere una concretezza. L’immagine
digitale è una sorta di antitesi della pittura, essa introduce una
specie di contraddizione in termini sull’immagine pittorica. La
pittura più tradizionale serve dunque a fare da macina, ad assorbire
questo contesto ed a recitare il suo ruolo storico, ovvero quello di
modellare nel contesto della sua forma i dati di colore, di luce, di
effettualità della materia. Il digitale appare invece come l’apologia
della sparizione, l’introduzione definitiva della nozione di
sfuggente, di fuggevole, di riproducibile fino al parossismo. Il
digitale non è l’ampliamento definitivo o nuovo della forma del
quadro, ma se mai è la morte definitiva del quadro. Quanti file di quel
file esistono? E quanti icone di quell’icona esistono nelle memorie
del World Wide Web? L’immagine, sfondando il “di per sé”, non
riesce ad avere più la consistenza di un’immagine concreta.
L’immagine di un file appare come un lembo d’asfalto, è un
fazzoletto di territorio colorato. Esso è assolutamente calpestabile,
è la continuazione elettronica della pittura industriale di Pinot
Gallizio, è il mondo della rinuncia definitiva a qualsiasi idea di
soggettività, di verità, di concretezza. Ecco che alla possibilità di
stendere all’infinito le pannellature dell’immagine offertaci dalla
veloce elaborazione digitale, il pittore ha bisogno di aggiungere la
marca, un’elaborazione individuale, una figura di donna, un corpo
ipercolorato che pur provenendo dalla stessa elaborazione digitale
sfugge dalla ripetizione inautentica e sia testimone di un gesto che si
mostra più vicino ad una forma vaga di individuazione. È come se la
pittura calcasse l’istanza della poesia narrativa e facesse il gioco
del poema allegorico rispetto all’estremo realismo della tecnologia. Nardi
si accinge a navigare tra la pittura intesa come corpi, pigmento steso
sulla superficie e come elaborazione digitale. Egli usa il supporto
digitale come una sorta di sfondo e di pattumiera multicolorata dove si
affastellano “i caos” dell’informazione. Alla schermatura piatta
ed omologata proveniente dall’elaborazione digitale – quasi per
provocazione – aggiunge poi la sfida pittorica, tentando di sostenere
che l’esercizio della pittura appaia come un’etica della
comunicazione in grado di controllare ancora la faciloneria del supporto
digitale. Da queste immagini iperstratificate vengono fuori degli
schermi veri e propri, in cui le sovrapposizioni si addensano e il corpo
della tecnologia più attuale slitta in una situazione di compressione.
Lo sfondo spesso richiama immagini digitalmente scelte, elaborate e
stampate, provenienti dagli spazi praticati dai movimenti globali, dai
simboli della ricerca scientifica, dalle mappe ambientali o ecologiche,
da forme di ingrandimenti vertiginosi che spingono lungo il desiderio di
farsi oggetti, cose, strutture fortemente bloccate, inevitabilmente
collassate nel vuoto dello spazio acustico dell’infosfera.
Naturalmente anche qui, in primo piano ricorre l’immagine della donna,
così come nei lavori pittorici dei Dormice, la donna è quasi sempre
sul proscenio della boite optique. Essa si solidifica come una
materia gassosa, come un corpo tra i corpi in grado di attrarre
l’attenzione sulla sua prevalenza e sulla sua capacità di apparire
una rappresentazione di primo piano. Nardi la definisce la donna “Microdipinta”,
perché ci vorrebbe dire che la sua figura è curata al micron. Essa è
composta da una ritmica interna che, anche se si presenta leggera,
apparentemente venata, delicata, fisionomizzata, semplificata dai tratti
caratteristici della sua avvenenza, mostra una mimesi curata nel
dettaglio, nel tratto più sottile della sua caratterizzazione. Così
come per i Dormice, in Nardi si tratta sempre di una donna da rotocalco,
con la differenza che, rispetto alle pin up della pop art, la venere dei
Dizzy Horizons nasconde una fascinosità differente, quasi come
se ci trovassimo dentro alle pagine di qualche web-comics. Nelle
geometrie tonali che si espandono nel suo corpo, la pittura agisce come
una mise en abîme. La figura e la controfigura di se stessa
fungono come una matrioska, così come nel sistema dell’araldica la
raffigurazione di uno scudo contiene e sottende un altro emblema.
Nell’immagine popolare la figura femminile, la Gioconda, è un cliché
ma è anche un sintagma, un fatto espressivo che volontariamente
richiama all’eloquenza del banale (alla retorica della storia della
pittura); infatti, sia per la frequenza del suo impiego, sia per la
parossia della sua intrinseca derisione, nonché per la sua
referenzialità memoriale e per la sua forma espressiva così diffusa e
nota, la donna raccoglie il segreto della Sfinge. Il pittore interpreta
il luogo comune che la società dello spettacolo offre della
donna, un topos che diventa stereotipo facendosi scivolare da
dosso ogni rilevanza ed esibendosi nell’automatizzazione come se fosse
un pezzo della descrizione di Bebuquin oder Die Dilettanten des
Wunder (1912) di Carl Einstein. Si tratta, però, anche di una
figura-tandem che agisce, con un suo fascino irresistibile, per
disumanizzare la moltiplicazione di forme automatiche che ispirano e
alitano sullo sfondo. Potremmo
sperare che la pittura sia ancora viva, se essa riuscisse a denigrare se
stessa, se continuasse a prendersi gioco della sua stessa identità. Per
troppo tempo (soprattutto negli anni Ottanta e negli anni Novanta) c’è
stato un tentativo di considerarla come qualcosa di molto serio,
qualcosa che con il ritorno alle forme fosse veicolo di una seriosità
quasi alienata dal corso della storia presente. Anche la pittura mediale
è stata vista come una minaccia, perché la si voleva ricondurre alla
serietà del gesto umanizzante della tecnica, dello scarto deviato che
essa dovrebbe rappresentare. Invece la pittura dei Cascavilla, Santolo
de Luca e così via non ha niente di tutto questo; essa è piuttosto
l’introduzione volontaria, l’immersione quasi a corpo nudo
nell’universo simbolico della finzione, dove non c’è niente di
serio e di vero, tutto è abilmente s/natura, tutto è filtrato
dall’immagine del finto, dell’inespressivo. Una pittura
dichiaratamente fumettistica che concettualmente gioca contro se stessa;
essa vuole apparire finta e falsa, tanto quanto può essere falso un
oggetto sociale in disuso come un orinatoio o uno scolabottiglie. È la
prima volta che la pittura, dopo un periodo buio e sconfitto dal
nichilismo della restaurazione, ha cominciato a parlare un linguaggio
impossibile a se stesso, il linguaggio della tecnologia e della sua
stessa morte. Abbiamo quindi a che fare con una pittura che sul filo di
questa impossibilità ritorna ad essere assolutamente concettuale.
L’immagine delle veline che si vedono sui lavori di Nardi ci fanno
chiedere sempre la stessa questione: è carne da macello così come si
vede sui calendari, oppure si tratta di icone politicamente
accattivanti? Ma è possibile ancora chiedersi, davanti al velo di una
società che ha fondato tutta la sua politica dello sguardo sulla prassi
del voyeurismo, se la questione importante sia legata ai veli? Le
immagini che usa Nardi, le icone che usano i Dormice, sono
effettivamente le testimonianze dirette dell’oggettualità femminile,
ma esse rimangono anche il motivo per cui la pittura mostra con questa
trascrizione l’aspetto più consunto di un fenomeno sociale e di una
tradizione stessa della tecnica. Le veline in tutte le loro movenze
accattivanti e seducenti, in tutto il loro essere “movimento nudo”,
appaiono come un dato reale di qualcosa che descrive alla lettera il
parossismo della società dell’immagine in cui viviamo. Naturalmente,
il pittore non ha altra scelta: egli può mostrare soltanto il difetto
che ognuno di noi ha nel desiderio sublimato del mons veneris. Il
voyeurismo è una malattia diffusa, esso è l’altra faccia del calendarismo,
è un piacere per la merce perché, come dice Freud, “le nevrosi sono
forme sostitutive delle normali espressioni dell’erotismo”[1].
Curioso quel lavoro di Nardi, dove il pittore mette al centro di un vero e proprio scontro sociale l’immagine di una donna: ai quattro lati della testa essa porta quattro guerriglieri della strada e quattro simboli dell’anarchia che disegnano la simmetria facciale della sirena, quasi come se fossero una griglia politica sottoposta all’esibizione della donna in prima fila. Attraente anche Nova, che ricorda vagamente uno dei più bei romanzi di William Burroughs. Ma il lavoro che rispecchia di più l’idea sofisticata della micropittura di cui ci parla Nardi, è sicuramente Mouse&Lisa, che incastra benissimo la versatilità dell’olio e della plotter painting. Il primo piano della donna risulta sorprendentemente carico: il corpo di una ragazza, che potrebbe pubblicizzare una lavanda o una saponetta dal profumo delicato, si trasforma immancabilmente nel topos della nuova storia dell’arte, quella che è scritta a colpi di logo e di possenti regole economiche. Qui più che la novità del colore acido, o della resa cromatica che peculiarizza le potenzialità della plotter painting, è la filosofia del montaggio che sfoga un sottile senso di originalità. Il montaggio viene da molto lontano, ce lo insegna lo stesso Walter Benjamin, quando nel 1929 rifletteva su quel bel romanzo di Alfred Doblin che è Berlin AlexanderPlatz. Egli sostiene che il principio stilistico di esso è il montaggio, perché nel testo compaiono stampe piccolo borghesi, storie scandalistiche, casi sfortunati, canti popolari, inserzioni ecc…[2]. Da questa analisi oggi noi possiamo dedurre che la tecnica digitale non aggiunge niente di nuovo al versante della pittura iniziata con il dadaismo. Azzardiamo pure che il Novecento potrebbe essere considerato il secolo del montaggio e che l’aiuto del digitale non fa altro che continuare questo grande ampliamento della tecnica verso confini in cui la pittura si pone in continua metamorfosi, cercando di trasfigurare se stessa e ponendo la sua mutazione come un rinnovato traguardo per fronteggiare l’idealismo tecnologico degli imbecilli." [1] Zur Genese des Fetischismus (1909) inedito, tr. it. di F. Marchioro, ora incluso in AA.VV., Figure del feticismo, a cura di S. Mistura, Torino, Einaudi, 2001, p. 18. [2] Crisi del romanzo, in Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, Torino, Einaudi, 1973, in particolare p. 95. (opere affiancate in questa seconda parte del catalogo: Dizzy horizons, Searching wanted, Movimento nudo, Mouse&Lisa, Ducotone Valley )
MARIO DE CANDIA, ”Adriano Nardi”, Trovaroma (La Repubblica), Roma, febbraio 2002 "...la serie di circa dieci opere presentata dall'autore con il titolo di "Vertical Horizons", orizzonti verticali, mette in scena risultati di un procedimento di costruzione dell'immagine che sovrinnesta una meticolosa pittura a repertori iconografici prelevati in rete: una sorta di metabolizzazione del tecnologico e virtuale attraverso la manualità e lo sguardo della tradizione...”
COMUNICATO STAMPA,"Adriano Nardi-Vertical Horizons", pubblicato sul sito www.Gabrius.com , gennaio 2002
DANIELA BRUNI, intervista pubblicata sul sito www.Exibart.com , gennaio 2002 "...la pittura è il veicolo principale (ma non unico) della ricerca artistica del giovane Adriano Nardi, protagonista dell'Exibintervista di questa settimana e di cui si inaugura, proprio il 31 gennaio, una nuova personale presso la Galleria Maniero a Roma..."
OSVALDO MARTELLUCCI, Intervista,
ed. Ass. cult.
Futuro, collettiva di gennaio 2002 "...
nella tua formazione artistica che rilievo ha avuto, se ne ha avuto, la
pittura figurativa di tuo nonno e quella astratta di tuo padre? Sono
radici culturali fondamentali e compenetranti, avendole assimilate nel
quotidiano come esperienza e comunicazione del bello. Per
te ha ancora un significato la pittura ad olio in un mondo digitalizzato? Ha
un significato rinnovato: l’olio è materia cromatica, infinità di
pigmento e complessità riflettente. Come
pensi che possa convivere la pittura classica con la tua pittura
digitale? Non
è più possibile, oggi, creare ancora dei generi, separare, frazionare
culturalmente. E’ necessario unire criticamente rallentando una deriva
del senso. Che
significato particolare hanno i tre colori che usi? L’
RGB appartiene ad un codice semantico molto particolare. E’ l’iride
artificiale che comunica con la coscienza in modo fisiologico,
attraverso la retina di tutti. Questi colori vanno stanati: io li
aggiogo simbolicamente. La
tua è un arte di impegno sociale e, se ciò è vero , in che modo si
relaziona con l’odierno ordine mondiale? La
tecnologia oggi permetterebbe di semplificare, rivelare e determinare
l’essere nel mondo futuro. Lavorando nel mio piccolo, non voglio
perdere di vista questa potenzialità di comunicazione e
riorganizzazione sociale. Si
può mettere in relazione la tua opera con il muralismo
sociale messicano? Le
istanze, le speranze, potrebbero essere equivalenti: io voglio comunque
una pittura come ricerca aperta della forma. Di artisti come Orozco,
Siqueiros, è rivelazione confermata oggi, l’universalità innestata
nella cultura locale. Ho
notato che alcune tue opere riflettono il tema sociale della
globalizzazione, in particolare mi ha colpito quella riguardante gli
scontri di Seattle. Aspettavo
Seattle, non mi ha meravigliato. Per molti Genova è stata una sorpresa,
improvvisamente siamo stati catapultati su una ribalta mondiale,
perfettamente inseriti nel paradosso estremo della comunicazione mediale
che è la violenza. Quale
è la tua posizione di artista e di uomo nei confronti del movimento no
global? La
mia risposta chiede uno spazio diverso di approfondimento e in parte è
già presente nelle altre. Fortunatamente, in senso politico l'Arte non
è mai esplicita. Ora
ci puoi descrivere l’opera che esporrai alla collettiva? Concretamente
è uno di quei lavori più radicali ed espliciti che ho concepito sul
rapporto tra pittura e stampa digitale. Le potenzialità analitiche,
numeriche, latensificanti del digitale vengono perforate e attraversate
dalla luminosità vitale della pittura ad olio. Possiamo
definirla con un termine forse superato di “quadro nel quadro”? Mi piace superare questa idea: approfondire l’idea della cornice, del passpartout, come fossero membrane organiche di un essere particolare che nuota nel mondo." (opera pubblicata: Bìos )
DANIELA BIGI, “La scena artistica romana”, Arte e Critica, ottobre-dicembre 2001 (opera pubblicata: Fight line (sun son) )
EDOARDO SAssi, “Hotel Belle Arti”, recensione dell’edizione 2001 di Riparte, Corriere della sera, Roma, 24 novembre 2001
P.PARISSI,F.FRANCESCHINI, “La mia prima volta”, ed. Ass. cult. Futuro, collettiva di novembre 2001 "...Micro e macrocosmo personali sono messi a confronto in questo insolito ritratto maschile di Nardi. Domina la scena il volto di Ludovico Pratesi…” (opera pubblicata: Ritratto di Ludovico Pratesi)
LORENZO CANOVA, “Miti d’oggi. Metamorfosi per pennello e scanner”, articolo pubblicato sul mensile Ars, De Agostini Rizzoli editore, ottobre 2001 "...Il momento che stiamo vivendo, dominato da parole come clonazione, biotecnologie, mutazione genetica o organismi geneticamente modificati, sembra misteriosamente rappresentare il periodo storico in cui si stanno realizzando le più sfrenate fantasie degli antichi poeti e scrittori che, riprendendo miti archetipi, avevano messo in versi le metamorfosi di uomini in delfini, di Dafne in alloro, o di Atteone in cervo, immaginate con una fantasia degna di un regista horror o di uno scienziato visionario… ... Anche nell’opera di Adriano Nardi compare un universo apparentemente caotico e incomprensibile, ma in realtà fondato su una struttura rigorosa di codici binari: su immagini digitali scaricate da Internet (che formano un mutevole ed ingannevole supporto per le sue ineccepibili stesure pittoriche). L’artista rappresenta volti femminili che sorgono come un segnale di nuova bellezza dal caos generatore di ribollenti forme fitomorfiche o biomorfiche…” (opera pubblicata:X-Food)
LORENZO CANOVA, “Combinazioni genetiche”, articolo pubblicato sul mensile Ars, De Agostini Rizzoli editore, settembre 2001 "...La pittura e la scultura hanno certamente dovuto (e hanno saputo) cambiare moltissimo anche per adeguarsi alla concorrenza dei potenti mezzi tecnologici legati all’immagine, quei nuovi media che fino a poco tempo fa erano visti non solo come dei nemici ma come dei veri e propri killer destinati a distruggere le tecniche più tradizionali. Così, per superare questo momento di fortissima crisi la pittura e la scultura hanno saputo trasformare le loro millenarie forme espressive in veri e propri “vampiri” e “organismi mutanti”, in grado di appropriarsi dei vocaboli e dei fonemi del cinema, della fotografia, della pubblicità,del fumetto, o di internet, trasformandoli e metabolizzandoli in linguaggio i cui codici appaiono sottoposti a una continua metamorfosi creativa. Questa tendenza ha i suoi più importanti fondamenti nella Pop Art e nell’Iperrealismo… …Adriano Nardi compone metamorfici prelievi da Internet su cui dipinge figure femminili di lucido e fluido nitore…” (opera pubblicata:Seattle)
MARCO FELICI, recensione dal sito www.exibart.it del 1° Premio nazionale di pittura Ferruccio Ferrazzi, settembre 2001 "...
Noi vorremmo spingerci oltre, oltre l’idea dei confini qui intuiti e
fatalmente delineati in forme ‘generiche’, individuando nell’opera
di Adriano Nardi il serrato dialogo tra procedimenti di stampa digitale
e pittura ad olio. Un dato oggettivo micro-strutturato, come la stampa a
getto di inchiostro, potrebbe realmente essere uno dei punti di arrivo
della decostruzione analitica del piano, nella rivoluzione concreta
avviata da Cezanne; la convivenza del digitale con una pittura ad olio
libera e naturale, porta ad interrogarsi sul carattere esclusivamente
evocativo dell’arte digitale pura, a confronto con la estrema
ridefinizione della superficie bidimensionale operata nel secolo scorso
dal taglio, nelle tele di Lucio Fontana. …”
CARLO FABRIZIO CARLI, “Una scelta di pittura”, catalogo 1° premio nazionale di pittura Ferruccio Ferrazzi, Sabaudia (LT) agosto 2001 "... Di particolare interesse, per la sperimentazione di nuovi linguaggi e il relativo ampliamento dell’ambito tradizionale della pittura (l’associazione dell’olio ai nuovi procedimenti di stampa digitale), ma anche per le sue valenze di carattere concettuale, appare il lavoro di Adriano Nardi…” (opera pubblicata:No fear)
GIORGIA MUSIELLO, “La mia prima volta”, ed. Ass. cult. Futuro, collettiva di giugno 2001 "... No Fear fa parte di un gruppo di opere che Adriano Nardi ha realizzato dopo gli avvenimenti di Seattle, che nel ’99 hanno visto nascere l’opposizione spontanea contro gli organismi internazionali che, come il WTO, si riuniscono per decidere su questioni vitali per il futuro del pianeta, come l’ambiente, le coltivazioni transgeniche, l’equilibrio fra gli Stati, la globalizzazione dell’economia. Una foto degli scontri tra attivisti e polizia, presa da Internet, viene sdoppiata e specchiata; le direttrici dei palazzi, così moltiplicate, dirigono la prospettiva dal fondo verso un punto esterno alla tela, e l’immagine sembra divenire un cuneo puntato verso lo spettatore. Al centro, come se provenisse dal suo interno, compare il volto di una strana creatura, con le labbra socchiuse. Il gesto della sua mano ripete quello di un dimostrante alla polizia: non avere paura di noi, noi chiediamo solo PUBLIC VOICE, e lo stesso gesto, di pace, si rivolge a chi guarda, per dire non avere paura di… quello che vedi dietro di me. E’ un richiamo etico contro la manipolazione della natura e per la difesa degli unici, veri, possibili aspetti sacri della vita dell’uomo, il suo essere natura non manipolabile. L’essere umano deve restare al centro delle scelte, e la tecnica del quadro partecipa al contenuto: il pittore si riappropria di un’immagine digitale attraverso la sua combinazione con la pittura a olio. Forse è la pittura stessa che parla, qui, nel simbolo, e attraverso la storia: è un’immagine interamente pittorica, con la costruzione dello spazio simmetrico centralizzato, l’uso del colore, in una ricerca di equilibrio e unità “classici”.” (opera pubblicata:No fear)
AUTORI VARI a cura di A.BACCILIERI, “Figure del ‘900, 2”, LaLit edizioni d’arte, Bologna, maggio 2001
EMANUELA NOBILE MINO, “Guida agli artisti contemporanei, Roma#1”, ed.Nuova Anterem, dicembre 2000 "... La sua ricerca artistica si fonda sull’interazione di diversi media e campi di indagine. La pittura classica viene associata a quella digitale per sovrapposizione e bilanciamento cromatico, la moda e l’arte si fondono in funzione di una narrazione che, partendo dal ritratto sviluppa tematiche relative ai rapporti sociali odierni e ai grandi temi della contestazione politica internazionale…” (opera pubblicata:Sophia)
3rd west lake art fair, catalogo della fiera, Hangzhou, China, novembre 2000 (opera pubblicata:Cotone)
francesco GATTI, LORENZO dE Las plassas, intervista televisiva, RaiNews24, maggio 2000 (opera pubblicata: opere varie)
A. Piperno, “Pigneto Gallery”, La Repubblica, Roma, 14 aprile 2000
MARIA KATIA Ficociello, SABRINA Vedovotto, “Invito al Pigneto”, catalogo ed. Ass. cult. Futuro , Roma, aprile 2000 (opera pubblicata:Desert fox)
NATASHA CERQUETI, intervista in diretta, Radio Città Futura, Roma, 25 marzo 2000
ANDREA Cuomo, “Nardi, volti eterei e catodici nell’iperrealtà di Internet”, Il Giornale, Roma, 15 marzo 2000 "... quanto alla tecnica l’artista spiega di dipingere il volto che “progredisce nel suo desiderio di comunicare attraverso il sentimento o l’emozione, o semplicemente con la plastica presenza vitale”. E “l’immagine tratta dal web è, in superficie, un calcolo riempitivo bidimensionale. Dipingendo ad olio su questo piano dilatato (trasferito sulla tela) confermo la materia come necessario campo d’indagine e di sopravvivenza’”…” (opere pubblicate: Sophia, Los Angeles Marte)
SABRINA Vedovotto, Le Naviganti, testo per la personale all’Ass.cult.Futuro, Roma, marzo 2000 "... lo “spazio visivo”, come lo intende l’artista, vive sempre una realtà con il volto dipinto… ... ognuno è memoria del tempo in cui vive ed è ricordo, immagine di un evento… …i temi affrontati rivolgono spesso la loro attenzione al problema dell’ecologia, o meglio come dice Nardi “nell’ideale ecologico”, a lui molto caro. Il tema sociale è, infatti, sempre presente; nella produzione di ogni sua opera c’è un messaggio molto forte… …messaggio che proviene anche dalle contaminazioni degli strumenti che utilizza: dalle immagini scaricate dalla rete, ai volti rubati alle riviste, decontestualizzati e quindi ricontestualizzati, alle scansioni di pittura ingrandite… … queste naviganti, la cui bellezza apparente può distrarre per un attimo l’attenzione, sono dunque messaggere di un mondo carico di contraddizioni…"
MARIO DE CANDIA, ”Adriano Nardi”, Trovaroma (La Repubblica), Roma, marzo 2000 "... un progetto caratterizzato da una propensione a contaminare la pittura ad olio con tecniche mediatiche…”
A. Piperno, Artisti in diretta, La Repubblica, Roma, 26 febbraio 2000
EDOARDO SAssi, Maratona per cinque artisti, Corriere della sera, Roma, 26 febbraio 2000 (opera pubblicata:Sophia)
FRANCESCA LAMANNA, Gli artisti e l’università, Ed.Università La Sapienza di Roma, 1999 (opere pubblicate: Videofiliazione antioraria,Videomuti)
STEFANO COLONNA, L'Antipop, comunicazione individuale nella società di massa, cat.della personale, Ed.Università La Sapienza di Roma, 1998 "Videomuti ... se le piramidi avessero tutti i vertici, sarebbe impossibile entrare all’interno di Videomuti. La troncatura delle piramidi rappresenta quindi l’attuazione della comunicazione che compensa il potere, anche politico; viceversa, la realizzazione piena ed autoreferenziale del potere, rappresentata dalla piramide intera, impedisce la comunicazione… Videofiliazione ... in quest’opera, a differenza di Videomuti, il processo di comunicazione si articola in un caos, che è però solo apparente. L’insieme delle piramidi tronche (al cui interno sono anche qui dipinti dei monitor) disegna, infatti, una complessa geometria frattale, tesa ad abbracciare una dimensione cosmica… …una miriade di monadi, dialoga attraverso reti di comunicazione. Il riferimento immediato è ad Internet, dove una serie virtualmente infinita di nodi s’interseca in un sistema complesso regolato e sviluppato secondo precise regole matematiche, ma anche fruito e organizzato secondo nuclei di casualità tipici della geometria frattale, alla quale Nardi si è consapevolmente ispirato per la realizzazione dell’opera. Videofiliazione può essere letto come una metafora della comunicazione individuale interpersonale nella società di massa, in cui il video rappresenta il modo di pensare di un individuo, ma anche il concetto stesso di individualità… ... l’AntiPop utilizza il codice, ovvero una convenzione semiotica tra video-fruitori, che definisce il principio di identità dell’opera d’arte nelle priorità del soggetto fruitore sull’oggetto inesteticamente “consumato”… … nel caso di Nardi la materia della pittura è segno di “non ripetibilità” e, a sua volta, la “non ripetibilità” della pittura è strumento di comunicazione individuale interpersonale e torna ad essere segno di espressione individuale anche a livello semiotico. Questo approccio stratificato evidente nelle opere di Nardi esposte in Mostra, lungi dall’essere gratuita esercitazione intellettualistica, si impone come un’esigenza profondamente connessa alla complessità dei rapporti di comunicazione interpersonale e di gruppo che caratterizzano la moderna società dell’informazione… ... la serie degli Sparapittore porta alla luce con nitida chiarezza gli elementi nuovi di un figurativo-colto vicino alle esperienze degli anni ’60, ma con intenzioni critiche ed esiti opposti, tanto che, in risposta all’evento Mostra-Laboratorio di Nardi, è stato coniato il termine AntiPop per definire questo rapporto di reciprocità ed opposizione che l’Arte di Nardi assume di fronte alla Pop Art… ... poche ed elementari equazioni definiscono l’ambiente di sviluppo del figurativo di Nardi: nel caos vi è la perfezione della natura, mentre viceversa la semplificazione corrisponde all’imperfezione, ad uno stadio non concluso di crescita, che viene rappresentato dalla serialità e dalla tecnologia espresse dall’RGB, cioè Red Green Blue, i tre colori del segnale video… (sono le cromìe ricostruite ad olio che l’autore materializza in una serie di simbolici ritratti, N.d.R.) ... Lo scontro finale tra Arte e Natura si compie nell’ultima e più accattivante pittura della mostra (il cui titolo è Amazonas, N.d.R.). Il ritratto di una donna bellissima, è fascinoso richiamo al “sex appeal dell’inorganico” (Perniola), dove l’elemento mitologico riesce a prevalere su quello tecnologico soltanto grazie alla presenza nascosta del meta-pittore, il quale, evidentemente, stanco di assistere alla Morte dell’Arte, decide di ribaltare i termini della questione a proprio favore, utilizzando un geniale quanto elementare artificio. Il principio freddamente tecnologico dell’RGB viene addomesticato e “sconfitto” dall’ombra delicatamente segnata sul viso della fanciulla. L’RGB ricorre nei capelli azzurri, nel volto verde e nell’ombra rossa non più come simbolo della serialità della società di massa…”. (opere pubblicate: Sua Riflessione, Videomuti, Videofiliazione antioraria, Videobotto, Sparapittore RGB, Conosci la natura RGB, El Nino, Amazonas)
STEFANO Colonna , L’AntiPop, comunicazione individuale nella società di massa, comunicato stampa della personale presso il Museo Laboratorio dell’università La Sapienza diRoma , 1998 "L'inserimento della cultura e degli artisti nel processo produttivo della società di massa non ha evitato l'assimilazione del fare artistico alle dinamiche di produzione, riproduzione e .mercato, fino a decretare la cosiddetta morte dell'arte. La gestione di tale processo di inserimento è stata una prerogativa storica della Pop Art. L'AntiPop, la pittura di Nardi, in controtendenza, ma anche in sinergia con la Pop Art, crea un laboratorio in cui la pittura è metafora della comunicazione individuale, grazie ad un serrato approccio semiotico aggiornato ai problemi della "glocalizzazione". L'artista torna ad essere editore di se stesso in vista di un'apertura del processo di comunicazione: in questo senso la Mostra è un Laboratorio dove vengono presentati al pubblico nuovi esperimenti e strategie per la comunicazione pittorica del terzo millennio."
L'Arte contemporanea a Bologna, Prima Biennale, catalogo della mostra, Palazzo Re Enzo, Bologna, 1993 (opera pubblicata:Trepiramide)
ROBERTO Daolio, cat. della collettiva al Centro culturale Edison, 1991 "... un’attenzione estrema ad istituire uno scarto nella produzione d’immagini, nei confronti della “rappresentazione” e dell’artificio “reale”… …nel riaffermare una volontà esclusivamente pittorica sollecita e propone una disposizione simbolica dei rapporti di superficie. Duplicazioni e moltiplicazioni innestano un processo di spazialità dilatata e immergono l’immagine nella “profondità” della superficie…" (opera pubblicata:Ecotopia)
ROBERTO Daolio, cat. della collettiva alla galleria S. Fedele,1990 "...è mutato l’atteggiamento e il modo di procedere… …rapporto tra superficie dipinta e frammento sostegno di un materiale altro…” (opera pubblicata:Transgredior)
ADRIANO NARDI CONTACt:
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