ADRIANO NARDI 

Nasce nel 1964 a Rio de Janeiro.

Frequenta il Liceo Artistico Statale e l’Accademia di Belle Arti di Bologna, diplomandosi nel 1991. 

Vive e lavora a Roma.

 

PERSONALI

2002

Vertical horizons . Galleria Maniero . Roma

2000

Le naviganti . Futuro . Roma

1998

Antipop . Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea dell'Università' La Sapienza . Roma

 

COLLETTIVE

2003

Sorite, immagini al portico (Stoà poikilè) . Ass. Cult. Satura . Genova

Imago mentis . La Giarina Arte Contemporanea . Verona (Aprile)

Imago mentis.  Romberg Arte Contemporanea. Latina  (Maggio)
 
2002

Close up, ultima arte italiana. Art Gallery Banchi Nuovi . Roma              

Yourself-autoritratto . Sesto Senso . Bologna

L'isola del Tesoro . Miglianico . Chieti

Misura unica per una collezione, pittura del secondo Novecento della Collezione Fiocchi . Cagli

La cartografia e il volo . Base aeronautica militare di Pratica di Mare . Roma

Galleria Maniero . Riparte 2002 International Art Fair . Roma

L’amante del collezionista . Ronnie Arte Contemporanea . Chieti  

2001

Il colore dei Santi . Rai 1. prod. ADNKronos

1°Premio Nazionale di Pittura Ferruccio Ferrazzi . Sabaudia (LT)

Il cielo in una stanza, Galleria Maniero, Riparte 2001 International Art Fair, Roma

Searching.it . Galleria Comunale d' Arte Contemporanea . Ciampino . Roma - è stato presentato il video: "VOYAGER",

Per un futuro migliore . Futuro . Roma 

2000

24 ore nel futuro (maratona d'arte contemporanea) . Futuro . Roma

Straordinari Cortili . Roma

3RD West Lake Art Fair . Hangzhou . China

Per un futuro migliore . Futuro . Roma

1996

Artisti per il teatro Ambra Jovinelli . Roma

1994

Galleria Studio Erarte . Bologna

1993

L'Arte contemporanea a Bologna . Prima Biennale . Palazzo Re Enzo . Bologna 

1991

Chromìe . Centro culturale Edison . Teatro Cinghio

1990

III Laboratorio . Galleria San Fedele . Milano

1989

Galleria Mazzocchi . Parma

1987

La ricerca artistica giovanile in Emilia-Romagna . Palazzo Re Enzo Bologna

 

BIBLIOGRAFIA 

HEIDA SANCHEZ, ”La Cartografia e il volo”, catalogo della mostra a cura del Centro Informazioni Geotopografiche Aeronautiche di Pratica di Mare, Roma, settembre 2002

  " La cartografia moderna sotto lo sguardo dell’arte contemporanea.

…Nardi, riflettendo sulle tempeste che periodicamente sconvolgono l'umanità sottolinea quanto sia importante che ad esse facciano seguito delle missioni di pace, in un continuo sforzo di progresso. In una striscia diagonale due simboli della pace sembrano sorvolare come aerei un territorio sconosciuto. Sullo sfondo un giovane ucciso, uno dei tanti, in uno dei numerosi scontri dell'umanità. Poi, osservando attentamente, ci si rende conto che il territorio sconosciuto altri non è che un particolare fortemente ingrandito di Dora, il bei volto femminile che campeggia nella tela. Ma Dora è il nome di uno dei 30 uragani più potenti che siano mai stati registrati e a cui l'artista ha volutamente dato un volto di donna. Un uragano come allusione alla guerra, alla violenza, agli "uragani" che sconvolgono troppo spesso l'umanità e alla distruzione che ne consegue. Da ciò scaturisce il senso di una missione di pace su un territorio straniero…

In Nardi l'idea della mappatura, come esplorazione della superficie del colore, c'è sempre stata. Ma, soprattutto in un'opera come "Mapping Dora" il lavoro esplica la ricerca nella dimensione microscopica della pittura, nel dettaglio strutturale della materia. La base di partenza resta la pittura ad olio, eseguita già pensando all'ingrandimento successivo, ma anche una pittura dai colori vivaci che scompone uno splendido volto femminile nel tecnologico RGB del monitor, colorando il volto con larghe fasce dei tré colori primari. Poi scansisce esaltando a dismisura un dettaglio per lui particolarmente significativo e lo esplora, quasi fosse un paesaggio di un mondo sconosciuto, dove la materia pittorica forma colline e montagne, le pennellate vallate e pianure.  

Lo sfondo, in questa come in molte altre opere (Dizzy horizons, Searching wanted, Movimento nudo), contiene anche un'immagine presa da Intemet (un manifestante ucciso a Buenos Aires), finestra tecnologica che da la possibilità di essere ovunque, di dialogare con chiunque, uno strumento che, in sintesi contribuisce ancora di più a ridurre le dimensioni del mondo ad un villaggio globale. La realtà quotidianamente si riversa nella nostra vita attraverso i molteplici canali dei media: dalla TV, ai giornali, a Intemet. E Nardi osserva e analizza il mondo guardandolo dal suo monitor-finestra, pesca immagini e ne fa oggetto di riflessione, inserendole in forma di stampe digitali nelle sue composizioni, magari ripetute (come lo sono in fin dei conti le vicende umane) come frattali, fino a comporre trame suggestive.

Punto focale di ogni composizione rimane un volto o l'immagine di una ragazza in RGB, un'idea astratta di donna più che un ritratto, dipinta, perché, l'artista afferma che una stampa, anche la più bella e raffinata, da sola è povera: ci deve essere un elemento materico, pittorico, tradizionale, che dia uno scatto diverso, una continuità, con cui la stampa moderna interagisca. La figura femminile focalizza l'attenzione e proietta l'immagine in una dimensione atemporale, in cui la riflessione assume valenze positive, ottimistiche…

(opere pubblicate: Dora, Mapping Dora)

 

AUTORI VARI,  Misura unica per una collezione, pittura del secondo Novecento della collezione Fiocchi nel cantiere di Palazzo Tiranni Castracane”, catalogo a cura del Comune di Cagli, 2002

(opera pubblicata: Orientata)

     Alessia Muroni, recensione della personale Vertical Horizons pubblicata su Arte e Critica, aprile-settembre 2002

"La Galleria Maniero ha presentato Vertical Horizons, personale di Adriano Nardi, giovane artista che ha fatto dell'interazione fra plotter painting e pittura ad olio il mezzo veicolante di un discorso di riflessione sul potere sociale dell'immagine quale ridefinita dal World Wide Web. Nel gioco ossimorico fra l'elusività del mondo digitale e la concretezza storicizzata della pittura, l'artista si propone di portare il discorso sulle implicazioni esperienziali e conoscitive dell'immagine. Le algide icone femminili di Nardi, così glamourous ma così stranamente disincarnate e ascetiche, spostano il discorso sull'immagine da patrimonio comune e totalizzante a scelta individuale etica ed eretica; navigando controcorrente nel grande alveo della medialità imposta."

 

    L.Scacco, recensione della personale Vertical Horizons pubblicata su Segno, marzo-aprile 2002

"...un delicato e sapiente equilibrio tra la manualità della pittura e la fredda oggettività della tecnologia informatica,..."

(opera pubblicata: Nova )

 

    Francesco GATTI, servizio televisivo e intervista a Gabriele Perretta   , Imago, RaiNews24, 27/03-03/04   2002

( opere riprese: dalla personale "Vertical Horizons" + video "Voyager" )

 

 

    MARCO DI CAPUA, "Sempre in testa", Roma, edizione il Polittico in occasione della mostra di P.Fiorentino, 26 febbraio 2002

"...E' evidente come da un po' di tempo da questa città (Roma) emerga una figurazione nuova, cresciuta sopra un a schiera di immagini purificate, chiarificate, decantate. Sagome. Non ritrovi niente di simile, oggi, in Italia. Magari altrove avvengono cose importantissime, ma questa no. Altre. Si tratta di genius loci, te la puoi cavare così. Accanto a Paolo metto, per fare qualche esempio, Stefania Fabrizi, Silvia Codignola, Oliviero Rainaldi, Paola Gandolfi, Elvio Chiricozzi, Alessandra Giovannoni, Adriano Nardi... E qui, con loro, senti spifferi di una spiritualità contemporanea, per forza di cose complessa, stratificata, punto di arrivo di più segnali. Da questo punto di vista a Roma siamo degli esperti. Ce ne intendiamo. Possediamo un talento millenario. Non invano questa città è stata il punto di sosta - per alcune fu un rigoglio, per altre la fine - delle religioni del mondo..."

 

    LUDOVICO PRATESI, COSTANTINO D'ORAZIO, ”Close up, ultima arte italiana”, cat.a cura della Art Gallery Banchi Nuovi,edizioni Joyce s.r.l, Roma, marzo 2002

"...Close up nasce dall'idea che abbiamo elaborato sulla base dell'osservazione dell'opera di Marco De Luca, Adriano Nardi, Marco Raparelli e Luca Suelzu. Sono quattro visioni diverse della realtà contemporanea, concettualmente lontane tra di loro, ma realizzate secondo una metodologia simile, che assimila l'occhio di questi quattro artisti all'obiettivo di una telecamera. Una telecamera, appunto, non una cinepresa. Lo strumento che i reporter utilizzano per raccontare la realtà e restituirne l'atmosfera attraverso la cronaca di momenti significativi e la raccolta di immagini forti. Il distacco dalla realtà che appare da questi racconti in pittura è la cifra della nuova generazione di artisti italiani, che si sono fortemente allontanati dalla "partecipazione" che sosteneva il lavoro degli artisti del passato, nei tardi anni Sessanta e Settanta. L'artista oggi osserva e dipinge, con l'obiettivo di evocare l'azione, che sta raccontando, ma senza elaborare un giudizio e senza chiedere all'osservatore di parteciparvi. I dipinti in close up sono finestre sulla realtà dai vetri chiusi, che il pubblico può aprire o ammirare in superficie. E' il gioco dell'arte contemporanea, che in questi quattro artisti si ammanta di una notevole suggestione, grazie al fascino di una pittura attenta ai dettagli dell'immagine... 

...Nella medesima cornice storica ci accompagnano le "Naviganti" di Adriano Nardi, l'artista più committed dei quattro, giunto alla formalizzazione pittorica di una lunga riflessione sull'evoluzione e sul decadimento della nostra società contemporanea. "Nel 1992, dipingendo, ho simbolicamente troncato il vertice di una piramide. In quel momento la mia attenzione era rivolta al disastro umano ed ecologico operato dal conflitto..." Come De Luca, anche Nardi punta il suo obiettivo su fatti storici contemporanei dalla grande intensità, che contrasta con le algide figure che in primo piano rappresentano la soglia da attraversare, per entrare nello scorrere del tempo. Sono figure femminili impossibili da ricondurre ad un ritratto, sono idee della donna, forme astratte che Nardi compone attraverso l'uso del verde-rosso-blu televisivo, come diaframmi di una telecamera che guarda gli elementi di resistenza alla decomposizione del tessuto sociale e civile occidentale. Non a caso, recentemente l'artista ha iniziato a dipingere su tele che riportano scene degli scontri di Genova, degli scaffali colmi di merce nei nostri supermercati, stampate in digitale da Internet. Conservano la definizione di un'immagine televisiva, a volte sgranata dal ravvicinamento della macchina fotografica o della telecamera del reporter, che ha inconsapevolmente realizzato uno sfondo, un paesaggio animato e veloce, cui si sovrappongono, senza integrarsi, le figure delle "Naviganti" dai nomi esotici come quelli dei film di fantascienza degli anni '70. Sono venute a riportare ordine nel nostro mondo senza esprimere giudizi, ma attraverso la sovrapposizione, la copertura di parti di realtà, l'affissione come fossero marchi di infamia e severo giudizio nei confronti del nostro scarso buonsenso. Immagine digitale e corpo dipinto costituiscono due contesti diversi che si uniscono e dialogano, come succede nei dipinti di David Salle o nelle visioni oniriche di Stanley Kubrick "

 

 

    MARIO DE CANDIA, ”Close up”, Trovaroma (La Repubblica), Roma, marzo 2002

"...lavori pittorici che traducono diversità di visione della realtà contemporanea in un qualche modo riportabili ad una metodologia consimile, che assimila l'occhio dei quattro artisti ad una telecamera..."

 

LINDA DE SANCTIS, "Una donna molto sexi colora le tele di Nardi", Roma, La Repubblica, 26 febbraio 2002

"...E' una giovane donna la protagonista delle tele di Adriano Nardi in mostra alla galleria Maniero. Una donna coloratissima e provocante che sfoggia biancheria sexy o hot pant a mettere in risalto il corpo perfetto, che guarda bene in faccia lo spettatore e lo invita a seguirlo nel mondo di oggi, minacciato ma ancora possibile da salvare. Prese dal mondo di Internet e poi ridipinte a olio le figure femminili di Nardi nascono da un delicato e sapiente equilibrio tra la manualità della pittura e la fredda oggettività della tecnologia informatica. In un cocktail esplosivo di colori, rosso, verde, blu, giallo, che allontana l'immagine dal reale e l'avvicina a quello tecnologico dello schermo di un pc, le "Arianne" del nuovo secolo, algide e sensuali, umane ed extraterrestri nello stesso tempo, si muovono tra fiori grandi quanto il sole, cibi organici e manifestazioni di "no global" per raccontare l'ideale "ecologico" dell'artista. Usando la tecnica della sovrapposizione delle immagini, il pittore passa dal mondo di Internet a quello della pittura elaborando un suo forte e personale linguaggio."

 

    DANIELA BRUNI, "Adriano Nardi, Vertical Horizons", recensione pubblicata sul sito www.Exibart.com, gennaio 2002

"...Brasiliano di nascita, si forma artisticamente a Bologna e a Roma ha la sua prima personale presso il Museo Laboratorio. Vertical Horizons è il titolo della sua ultima personale: verticalizzare l'orizzonte significa "elevarsi concettualmente"... leggi la notizia:...”

 

    ANDREA CUOMO, "Nardi, l'altra metà della pittura digitale", Roma, Il Giornale, 1 febbraio 2002

"...Una donna sospesa tra pittura e rappresentazione digitale, tra il micro del colore a olio e il macro del pensiero globale. Una donna la cui bellezza è resa -e rinnovata- da un codice binario. Approda a un nuovo livello la personale ricerca dell'artista... Nelle nove opere esposte Nardi si appropria dell'ampio territorio visivo dei media più tecnologici pescando ad esempio "dallo spazio dei movimenti globali, da simboli della ricerca scientifica, da mappe ambientali o ecologiche" e vi mette a dimore le figure dipinte a olio..."

(opera pubblicata: Mouse&Lisa)

 

    LUDOVICO PRATESI, "Qualche appunto sulla pittura di Adriano Nardi", catalogo edizione Galleria Maniero, febbraio/marzo 2002

" Amazonas Ho incontrato per la prima volta la pittura di Adriano Nardi nel 1998, in occasione della sua prima personale al Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza, intitolata “Antipop” e presentata da Stefano Colonna. Ricordo che la mostra era incentrata su un’installazione complessa e scenografica, che con le sue diverse parti occupava quasi per intero la sala del museo. Dopo aver osservato a lungo il lavoro, la mia attenzione venne attirata da un quadro molto piccolo , che dominava solitario  un’intera parete con i suoi colori luminosi. Da lontano non era facile decifrarne il soggetto, ma dopo essermi avvicinato il volto della giovane india apparve in tutta la sua bellezza, evidenziato dall’apparente incongruenza dei suoi colori, acidi e brillanti: l’azzurro dei capelli, il verde del volto e la sua ombra rossa. Fu un attimo, o forse un “coup de foudre”: ora il viso di “Amazonas”, primitivo e ipertecnologico allo stesso tempo, dominava lo spazio, testimonianza di una pittura che non rinuncia all’estetica per appartenere alla più stretta contemporaneità.

Vertical Horizons Sono passati ormai tre anni, e la strada aperta da “Amazonas” è diventata il fulcro della ricerca di Nardi, come si evince chiaramente dalle opere presenti nella mostra “Vertical Horizons” alla galleria Maniero. Una ricerca che in questo lasso di tempo si è fatta più forte ma soprattutto più consapevole, attraverso una delicato e sapiente equilibrio tra la manualità della pittura e la fredda oggettività della tecnologia informatica. Oggi l’artista ci propone un “itinerario per immagini” che possiede tutte le caratteristiche di una acuta e spietata riflessione sulle contraddizioni del nostro tempo, ormai dominato dall’incertezza del presente, che appare sempre più foriero di minacce incontrollabili capaci di minare per sempre le fondamenta del  “villaggio globale” al quale tutti credono di appartenere con gli stessi diritti, in realtà garantiti ad una minoranza sempre più esigua.

Le Naviganti La guida che ci conduce a scoprire le diverse tappe di questo itinerario è una figura femminile intrigante e sensuale, una sorta di Arianna del Duemila che compare , presenza erotica ma al contempo rassicurante, in tutte le opere di Nardi esposte in mostra. Una donna che ci è ormai familiare, abituati come siamo a vederla comparire in quell’uragano di immagini che travolge il nostro sguardo ogni giorno. E’ sempre lei, che ci invita a gustare yogurt dietetici o succhi di frutta tropicali, esibisce audaci capi di biancheria intima o tee-shirt alla moda, perenne e pervicace simbolo  di una femminilità tanto diretta quanto anonima , come lo sguardo assente delle modelle che popolano con i loro corpi immobili le performance di Vanessa Beecroft. Corpi e volti di quelle che Adriano Nardi ha voluto chiamare “le naviganti”, la cui bellezza forzata ed eccessiva viene sapientemente esaltata dall’artista attraverso l’uso dei tre colori primari, che sottolinea ulteriormente la gelida sensualità dei loro sguardi di ghiaccio.Una bellezza algida e distante che mi ricorda l’aspetto fresco e  invitante che avevano i fiori del “frozen garden” di Marc Quinn, mantenuto in vita artificialmente ad una temperatura polare e presentato allo spazio Prada di Milano qualche tempo fa.

Per un’arte più etica Del resto, l’aspetto tecnologico delle figure femminili che dominano i dipinti di Nardi rimanda alle immagini digitali che occupano l’intera superficie dell’opera, scaricate direttamente da siti Internet e manipolate in maniera da non risultare immediatamente riconoscibili e sviluppare così una struttura narrativa ambigua ed enigmatica. Così da un  dettaglio della superficie del pianeta Marte emerge il profilo di una ragazza dallo sguardo magnetico (“Green eyes on Mars”,2000) , mentre la figura di una bella donna in bikini si staglia al centro di un dittico di immagini “close up” che mostrano il sole e un fiore delle stesse dimensioni, quasi a voler suggerire due aspetti di una natura in agonia (“Fight-line”, 2001). In altre opere , come “Searching wanted” (2001) e “Movimento nudo” (2001) il corto circuito è ancora più marcato: in questi due casi le immagini del fondo appartengono a momenti di violenza nell’ambito di manifestazioni legate al movimento “no global”, che costituiscono un’espressione dell’ “ideale ecologico” in cui l’artista si riconosce. Come ha giustamente sottolineato Sabrina Vedovotto, si tratta di “un richiamo etico contro la manipolazione della natura e per la difesa degli unici, veri, possibili aspetti sacri della vita dell’uomo, il suo essere natura non manipolabile”.E’ proprio questa valenza di carattere etico che costituisce un aspetto originale del lavoro di Nardi, uno dei pochi artisti italiani che si preoccupa di conferire alla propria ricerca un impegno sociale definito. 

Tra pennello e computer: i vampiri dell’immagine Attraverso la compresenza nella stessa opera di figure dipinte ad olio su immagini digitali Nardi prosegue una tradizione basata sul concetto di sovrapposizione di immagini legate a contesti e significati diversi che ha attraversato tutta l’arte del Ventesimo Secolo, a cominciare dalle “trasparenze” realizzate dal pittore francese Francis Picabia , protagonista di primo piano prima del dadaismo e poi del surrealismo. Un percorso che conduce fino ai dipinti di David Salle, esponente della “new painting” americana degli anni Ottanta, che sovrappone scenette umoristiche tratte da cartoni animati per bambini ad immagini pornografiche “hard-core”. Del resto, al giorno d’oggi la necessità di elaborare opere non effimere ma durature e in grado di esprimere la complessità del nostro presente ha costretto gli artisti delle ultime generazioni a rapportarsi con le nuove tecnologie informatiche , e li ha trasformati, come ha rilevato di recente Lorenzo Canova, in veri e propri “vampiri dell’immagine”, che si nutrono di sollecitazioni visive provenienti dalle fonti più disparate , che vanno dalla pubblicità alla televisione, dal cinema al fumetto fino agli orizzonti infiniti di Internet. All’interno di questo folto gruppo , i pittori italiani si contano sulla punta delle dita, e mi sembra che Adriano Nardi abbia tutte le carte in regola come “new entry” in un gruppo che annovera già personalità di rilievo come Cristiano Pintaldi, Andrea Salvino e Fabrice De Nola"

(opere affiancate in questa prima parte del catalogo: Nova, Nova Borderlands, Green eyes on Mars, Fight-line(sun son).)

 

    GABRIELE PERRETTA, "Dizzy Horizons", catalogo edizione Galleria Maniero, febbraio/marzo 2002

"Secondo la tradizione moderna, quando si parla di konkrete kunst, ci si riferisce a quella definizione introdotta per la prima volta da Theo van Doesburg nel 1930, che in genere saldava le opere non figurative ad un dizionario visivo interno alla loro stessa funzione. La pittura e la scultura concreta si basavano su ciò che era otticamente percepibile: colore, spazio, luce, movimento. Fu Max Bill che diede una caratterizzazione definitiva di questa visione, ma soprattutto ne fece uno statement con il Nastro senza fine realizzato intorno al 1936. Con la maturazione dei processi tecnologici, che alla fine del secolo scorso hanno influenzato tutte le forme di elaborazione dell’immagine, minando alla base anche nozioni fondamentali per il moderno - come concretezza in opposizione ad astrazione - l’indagine sulla pittura iconografica ha trasformato il senso della sue categorie non mostrando più come contrapposto ciò che può apparire staccato, ritagliato dal reale, da ciò che autenticamente si manifesta nella totalità delle sue determinazioni. In una sola parola, il virtuale con la sua massiccia introduzione nelle case della gente ha rimescolato le carte rispetto alla nostra cognizione di tempo reale, di spazio reale e, quindi, di concretezza stessa della spazialità. Esso ha offerto la possibilità di guardare l’ambiente circostante, e poi anche la pittura, con un occhio diverso rispetto al passato, introducendo una tensione maggiore tra l’idea di immagine naturale e di immagine artificiale.

Partendo da questi presupposti, e con l’intento di agire direttamente all’interno di una forma che convoca concretamente il mondo elettronico - senza adeguarsi all’ipotesi di Max Bill che per diventare il rappresentante più autorevole della Konkrete kunst si opponeva radicalmente ai presupposti alchemici, simbolici ed esoterici della pittura – Nardi, servendosi simultaneamente della riproduzione digitale e del pennello, tenta di rimescolare ancora una volta le carte sul problema dell’immagine. La sfida è ostica e gli obiettivi sono ambiziosi, il territorio dell’immagine si presenta del tutto minato, sia nel campo della pittura che in quello delle nuove attitudini digitali. L’arte della pittura all’inizio di questo secolo effimero, e dittatorialmente guidato dal nichilismo del Capitale, si presenta come un campo disciplinare oltremodo consunto; essa appare come il simbolo di un’arte che è totalmente inscenata e fictionalizzata, assolutamente relittuosa e finemente ingannatrice. Anche il quadro non appare più possibile sia nella sua forma di orchestrazione che nella sua profetica capacità di sintesi. Il quadro è stato rotto dall’esperienza Novecentista del montaggio e non è più acquisibile ad un universo che si circoscriva ad una tela o ad una tavola eseguibili su un cavalletto.

Attualmente l’immagine lavorata al computer non può mostrarsi come l’apologia della tempera dipinta con stile accademico, per essere offerta agli occhi dei nuovi e-salon. Se un tempo il quadro era un sistema chiuso, una specie di piccola boite optique, oggi tale formulazione è improponibile. Chi pensa ad un quadro rinnovato nel contemporaneo dagli scherzi del digitale, è un imbonitore che vende fumo e aspira ad affermare dei principi che non hanno niente di fondato. È assolutamente aberrante pensare ad un quadro come alla composizione di un file. Un file non è il contenitore di un’immagine, ma potenzialmente rappresenta uno dei tasselli di un mosaico che può comporre delle immagini infinite e super-riproducibili. A partire da ciò il quadro potenzialmente non esiste più e, parallelamente, non esiste più la sua struttura né la possibilità visivamente circoscritta di dichiarare la sagoma di un’icona. Diciamo che il confronto tra una pittura composta su tavola e il decorso di un file, che si orienta al risultato espanso di una tavolozza, si percepisce come una grande baggianata. Il file sappiamo tutti che è una raccolta significativa di informazioni dotata di un nome; esso può essere un programma oppure un documento creato da un utente. Se un file permette di distinguere i set d’informazione, come è possibile pensare che la sua potenzialità si possa ridurre all’immagine di un quadro?

Nel computer, proprio perché si distinguono una memoria centrale ed una memoria di massa, ogni immagine si specchia nella propria capacità di essere una copia di se stessa e, quindi, una copia infinita della sua specularità. Nelle funzioni del computer vi sono inoltre i file server (dispositivo di memorizzazione accessibile a tutti gli utenti), i disk server (unità remota), vi sono i buffer (immagazzinamento temporaneo). In sostanza, il linguaggio del computer è dotato di una versatilità fortemente espandibile, che non è configurabile alla luce del concetto di quadro. L’immagine del quadro non è diminuibile, non è dilatabile, non è sezionabile, non è stratificabile, quella dell’elaborazione digitale, invece, può essere tutto questo insieme. Sul computer da un microrganismo può sfogliarsi una famiglia infinita di immagini. La fotografia digitale è potenzialmente versatile, perché con un dettaglio possiamo riempire ed emulsionare centinaia di chilometri di tela, con tre tubetti di colore ad olio al massimo riusciamo a fare una tavola 120x130. Inoltre, il file è una copia, è un back up infinito di quella intuizione che abbiamo avuto. Il file ha in sé la potenza dello scriba Ezra che copiava i testi sacri (Codex Amiatinus –700/716 ca.-), esso risente del tratto illimitatamente riproducibile e su questo tratto divide la sua spinta orizzontale e verticale. Da una parte condanna la pittura ad essere infinitamente se stessa e dall’altra sanziona la copia della tavola miniata come l’eterna copia, lo scriba altro da se stesso. È così che si muove il grande universo mediale, è così che il mondo feticistico che ci circonda rasenta la follia parossistica. Ma nonostante la grande disponibilità del digitale ad espandersi, esso non può essere tradotto nei tempi tecnici della pittura. Fra il digitale e la pittura vi è la rottura del riproducibile che si alimenta tramite una sequenza infinita di immagini, forme che alla manualità sono state offerte solo con l’introduzione della nozione di montaggio. Ecco che la pittura è oltre la macchina perché in essa si ricompone il senso concettuale di superamento della tecnologia per la tecnologia. In questa grande fiera delle banalità, la storia della pittura, e soprattutto di quella figurativa e realistica, si presenta come una battaglia tra ghostbusters, tra morti viventi che si impauriscono e si dilettano a spaventarsi tra loro, la battaglia di chi vuole affermare con un sottile inframince (il riferimento è alla nozione duchampiana) il disperato senso di una tecnica, ormai in grado di agire liberamente e senza nessun legame all’attualità, perché è passata all’infinito archivio della memoria.

Per ripercorrere la storia senza dare l’impressione di essere degli epigoni di qualcosa che non si riuscirà più a risollevare dalle ceneri, bisogna agire rimescolando le carte in maniera giocosa, tentando di dare spazio al Carnevale di M. Bachtin, di cui il linguista russo parlava negli anni trenta/quaranta del ‘900. A futura memoria, accompagnato da un atteggiamento ironico e contemporaneamente politico, e soprattutto senza l’incanto di dover eseguire la pittura per riversare sulla superficie un qualsiasi panegirico, Adriano Nardi ci prova. Egli cerca di farci capire che anche nel mondo dell’immagine che si muove tra il richiamo parallelo ai media tecnologici e il mondo della pittura sintetica (Ducotone Valley) vi è la possibilità di rispettare e di attraversare l’universo e la nuova nozione di konkrete, rimanendo però nell’ambito del figurativo e nel territorio affascinante dell’iconografico. Sì perché, fallito il progetto dell’avanguardia e il suo pedissequo rapporto con la spazialità del colore, della forma minimale e dell’esperienza della geometria, tra i giovani artisti contemporanei corre voce che si può ritrovare la concretezza facendo riferimento quasi “realisticamente” al consunto mondo circostante, al riflesso della sfera iconologica che tutti i giorni occupa la nostra esistenza. Grazie al filtro che noi abbiamo scoperto nel contrastarci e nel conflittualizzarci con la pesante coltre della cyber-sfera, siamo finiti in un territorio vago, che si trova oltre la visione informale. Senza l’idea di fare di una filosofia del concreto un’intrinseca tendenza a sforare nella didattica, e senza voler autoritariamente pensare di dialogare con le purezze e i significanti più astrusi del segno, senza dare compositivamente una risoluzione alle linee ed agli spazi vuoti ed alla geometria piana, Nardi tenta di affiancare il significato di concreto al mondo fictionale dello schermo in tutte le sue coniugazioni (cinema, computer, televisione, etc…).

Concreto (concretezza) nello spazio tridimensionale dell’immagine (“elusa ed illusa”) significa giocato tra il doppio senso della realtà e della finzione continua. L’immagine - dato che contiene in sé la doppia verità dell’illusione e della rappresentazione, dato che si sposta sull’evidenza dell’idea, quindi su di una concretezza che può assorbire l’astratto, il corporeo, il palpabile, il tangibile e parallelamente il suo contrario, il pratico, il concettuale, l’ideale, l’autentico e poi nella sua finzione l’accertato, il feticistico, il salto nell’apparente, nel fantasioso, etc… - piegata alla manipolazione totale nel laboratorio della tecnica, si presta ad essere lo specchio totale della sua apparenza, si piega definitivamente al paradosso del concreto.

Max Bill ed i suoi seguaci (vedi Maldonado) hanno costruito un’immagine della concretezza che passava attraverso gli interventi su scala urbana; la pittura mediale, dalla quale provengono il discorso e la ricerca di Nardi, passa attraverso la riconsiderazione della metafora visiva, o meglio della nozione di konkrete che agisce all’interno dell’immagine della grafica computerizzata. Sì, perché i programmi di grafica al computer, l’uso popolare della fotografia digitale e via di seguito sono degli addentellati della grande costellazione mediale. Il medialismo, nella sua fattispecie, sin dall’inizio degli anni ’90, ha fatto scuola ed ha prodotto una varietà immensa di soluzioni e di spinte per la ricerca sull’immagine ed una di queste è senza alcun dubbio quella di Nardi. Il suo lavoro, sia nell’uso della pittura che in quello dell’elaborazione digitale, è assai più maturo di molte altre aberrazioni che vorrebbero essere infelicemente ricondotte ad una sorta di école du regard - tutta papalina - che usa la grafica elettronica così come i vecchi lustrascarpe usavano la cromatina per chaussures à semelle de cuir già forzosamente lucide.

In sostanza, l’immagine digitale si muove rispetto alle sorprese del rinnovamento come un oxymoros. Essa ci sottolinea il fatto di non essere più un’immagine. La sua particolarità è quella di sottrarsi all’evidenza ed alla concretezza della superficie. Quindi, la pittura che Nardi aggiunge al lavoro automatico della plotter painting serve per ravvisare e farci riconoscere una concretezza. L’immagine digitale è una sorta di antitesi della pittura, essa introduce una specie di contraddizione in termini sull’immagine pittorica. La pittura più tradizionale serve dunque a fare da macina, ad assorbire questo contesto ed a recitare il suo ruolo storico, ovvero quello di modellare nel contesto della sua forma i dati di colore, di luce, di effettualità della materia. Il digitale appare invece come l’apologia della sparizione, l’introduzione definitiva della nozione di sfuggente, di fuggevole, di riproducibile fino al parossismo. Il digitale non è l’ampliamento definitivo o nuovo della forma del quadro, ma se mai è la morte definitiva del quadro. Quanti file di quel file esistono? E quanti icone di quell’icona esistono nelle memorie del World Wide Web? L’immagine, sfondando il “di per sé”, non riesce ad avere più la consistenza di un’immagine concreta. L’immagine di un file appare come un lembo d’asfalto, è un fazzoletto di territorio colorato. Esso è assolutamente calpestabile, è la continuazione elettronica della pittura industriale di Pinot Gallizio, è il mondo della rinuncia definitiva a qualsiasi idea di soggettività, di verità, di concretezza. Ecco che alla possibilità di stendere all’infinito le pannellature dell’immagine offertaci dalla veloce elaborazione digitale, il pittore ha bisogno di aggiungere la marca, un’elaborazione individuale, una figura di donna, un corpo ipercolorato che pur provenendo dalla stessa elaborazione digitale sfugge dalla ripetizione inautentica e sia testimone di un gesto che si mostra più vicino ad una forma vaga di individuazione. È come se la pittura calcasse l’istanza della poesia narrativa e facesse il gioco del poema allegorico rispetto all’estremo realismo della tecnologia.

Nardi si accinge a navigare tra la pittura intesa come corpi, pigmento steso sulla superficie e come elaborazione digitale. Egli usa il supporto digitale come una sorta di sfondo e di pattumiera multicolorata dove si affastellano “i caos” dell’informazione. Alla schermatura piatta ed omologata proveniente dall’elaborazione digitale – quasi per provocazione – aggiunge poi la sfida pittorica, tentando di sostenere che l’esercizio della pittura appaia come un’etica della comunicazione in grado di controllare ancora la faciloneria del supporto digitale. Da queste immagini iperstratificate vengono fuori degli schermi veri e propri, in cui le sovrapposizioni si addensano e il corpo della tecnologia più attuale slitta in una situazione di compressione. Lo sfondo spesso richiama immagini digitalmente scelte, elaborate e stampate, provenienti dagli spazi praticati dai movimenti globali, dai simboli della ricerca scientifica, dalle mappe ambientali o ecologiche, da forme di ingrandimenti vertiginosi che spingono lungo il desiderio di farsi oggetti, cose, strutture fortemente bloccate, inevitabilmente collassate nel vuoto dello spazio acustico dell’infosfera. Naturalmente anche qui, in primo piano ricorre l’immagine della donna, così come nei lavori pittorici dei Dormice, la donna è quasi sempre sul proscenio della boite optique. Essa si solidifica come una materia gassosa, come un corpo tra i corpi in grado di attrarre l’attenzione sulla sua prevalenza e sulla sua capacità di apparire una rappresentazione di primo piano. Nardi la definisce la donna “Microdipinta”, perché ci vorrebbe dire che la sua figura è curata al micron. Essa è composta da una ritmica interna che, anche se si presenta leggera, apparentemente venata, delicata, fisionomizzata, semplificata dai tratti caratteristici della sua avvenenza, mostra una mimesi curata nel dettaglio, nel tratto più sottile della sua caratterizzazione. Così come per i Dormice, in Nardi si tratta sempre di una donna da rotocalco, con la differenza che, rispetto alle pin up della pop art, la venere dei Dizzy Horizons nasconde una fascinosità differente, quasi come se ci trovassimo dentro alle pagine di qualche web-comics. Nelle geometrie tonali che si espandono nel suo corpo, la pittura agisce come una mise en abîme. La figura e la controfigura di se stessa fungono come una matrioska, così come nel sistema dell’araldica la raffigurazione di uno scudo contiene e sottende un altro emblema. Nell’immagine popolare la figura femminile, la Gioconda, è un cliché ma è anche un sintagma, un fatto espressivo che volontariamente richiama all’eloquenza del banale (alla retorica della storia della pittura); infatti, sia per la frequenza del suo impiego, sia per la parossia della sua intrinseca derisione, nonché per la sua referenzialità memoriale e per la sua forma espressiva così diffusa e nota, la donna raccoglie il segreto della Sfinge. Il pittore interpreta il luogo comune che la società dello spettacolo offre della donna, un topos che diventa stereotipo facendosi scivolare da dosso ogni rilevanza ed esibendosi nell’automatizzazione come se fosse un pezzo della descrizione di Bebuquin oder Die Dilettanten des Wunder (1912) di Carl Einstein. Si tratta, però, anche di una figura-tandem che agisce, con un suo fascino irresistibile, per disumanizzare la moltiplicazione di forme automatiche che ispirano e alitano sullo sfondo.

Potremmo sperare che la pittura sia ancora viva, se essa riuscisse a denigrare se stessa, se continuasse a prendersi gioco della sua stessa identità. Per troppo tempo (soprattutto negli anni Ottanta e negli anni Novanta) c’è stato un tentativo di considerarla come qualcosa di molto serio, qualcosa che con il ritorno alle forme fosse veicolo di una seriosità quasi alienata dal corso della storia presente. Anche la pittura mediale è stata vista come una minaccia, perché la si voleva ricondurre alla serietà del gesto umanizzante della tecnica, dello scarto deviato che essa dovrebbe rappresentare. Invece la pittura dei Cascavilla, Santolo de Luca e così via non ha niente di tutto questo; essa è piuttosto l’introduzione volontaria, l’immersione quasi a corpo nudo nell’universo simbolico della finzione, dove non c’è niente di serio e di vero, tutto è abilmente s/natura, tutto è filtrato dall’immagine del finto, dell’inespressivo. Una pittura dichiaratamente fumettistica che concettualmente gioca contro se stessa; essa vuole apparire finta e falsa, tanto quanto può essere falso un oggetto sociale in disuso come un orinatoio o uno scolabottiglie. È la prima volta che la pittura, dopo un periodo buio e sconfitto dal nichilismo della restaurazione, ha cominciato a parlare un linguaggio impossibile a se stesso, il linguaggio della tecnologia e della sua stessa morte. Abbiamo quindi a che fare con una pittura che sul filo di questa impossibilità ritorna ad essere assolutamente concettuale. L’immagine delle veline che si vedono sui lavori di Nardi ci fanno chiedere sempre la stessa questione: è carne da macello così come si vede sui calendari, oppure si tratta di icone politicamente accattivanti? Ma è possibile ancora chiedersi, davanti al velo di una società che ha fondato tutta la sua politica dello sguardo sulla prassi del voyeurismo, se la questione importante sia legata ai veli? Le immagini che usa Nardi, le icone che usano i Dormice, sono effettivamente le testimonianze dirette dell’oggettualità femminile, ma esse rimangono anche il motivo per cui la pittura mostra con questa trascrizione l’aspetto più consunto di un fenomeno sociale e di una tradizione stessa della tecnica. Le veline in tutte le loro movenze accattivanti e seducenti, in tutto il loro essere “movimento nudo”, appaiono come un dato reale di qualcosa che descrive alla lettera il parossismo della società dell’immagine in cui viviamo. Naturalmente, il pittore non ha altra scelta: egli può mostrare soltanto il difetto che ognuno di noi ha nel desiderio sublimato del mons veneris. Il voyeurismo è una malattia diffusa, esso è l’altra faccia del calendarismo, è un piacere per la merce perché, come dice Freud, “le nevrosi sono forme sostitutive delle normali espressioni dell’erotismo”[1].

Curioso quel lavoro di Nardi, dove il pittore mette al centro di un vero e proprio scontro sociale l’immagine di una donna: ai quattro lati della testa essa porta quattro guerriglieri della strada e quattro simboli dell’anarchia che disegnano la simmetria facciale della sirena, quasi come se fossero una griglia politica sottoposta all’esibizione della donna in prima fila. Attraente anche Nova, che ricorda vagamente uno dei più bei romanzi di William Burroughs. Ma il lavoro che rispecchia di più l’idea sofisticata della micropittura di cui ci parla Nardi, è sicuramente Mouse&Lisa, che incastra benissimo la versatilità dell’olio e della plotter painting. Il primo piano della donna risulta sorprendentemente carico: il corpo di una ragazza, che potrebbe pubblicizzare una lavanda o una saponetta dal profumo delicato, si trasforma immancabilmente nel topos della nuova storia dell’arte, quella che è scritta a colpi di logo e di possenti regole economiche. Qui più che la novità del colore acido, o della resa cromatica che peculiarizza le potenzialità della plotter painting, è la filosofia del montaggio che sfoga un sottile senso di originalità. Il montaggio viene da molto lontano, ce lo insegna lo stesso Walter Benjamin, quando nel 1929 rifletteva su quel bel romanzo di Alfred Doblin che è Berlin AlexanderPlatz. Egli sostiene che il principio stilistico di esso è il montaggio, perché nel testo compaiono stampe piccolo borghesi, storie scandalistiche, casi sfortunati, canti popolari, inserzioni ecc…[2]. Da questa analisi oggi noi possiamo dedurre che la tecnica digitale non aggiunge niente di nuovo al versante della pittura iniziata con il dadaismo. Azzardiamo pure che il Novecento potrebbe essere considerato il secolo del montaggio e che l’aiuto del digitale non fa altro che continuare questo grande ampliamento della tecnica verso confini in cui la pittura si pone in continua metamorfosi, cercando di trasfigurare se stessa e ponendo la sua mutazione come un rinnovato traguardo per fronteggiare l’idealismo tecnologico degli imbecilli."

[1] Zur Genese des Fetischismus (1909) inedito, tr. it. di F. Marchioro, ora incluso in AA.VV., Figure del feticismo, a cura di S. Mistura, Torino, Einaudi, 2001, p. 18.

[2] Crisi del romanzo, in Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, Torino, Einaudi, 1973, in particolare p. 95.

(opere affiancate in questa seconda parte del catalogo: Dizzy horizons, Searching wanted, Movimento nudo, Mouse&Lisa, Ducotone Valley )

    

 

    MARIO DE CANDIA, ”Adriano Nardi”, Trovaroma (La Repubblica), Roma, febbraio 2002

"...la serie di circa dieci opere presentata dall'autore con il titolo di "Vertical Horizons", orizzonti verticali, mette in scena risultati di un procedimento di costruzione dell'immagine che sovrinnesta una meticolosa pittura a repertori iconografici prelevati in rete: una sorta di metabolizzazione del tecnologico e virtuale attraverso la manualità e lo sguardo della tradizione...”

 

 

COMUNICATO STAMPA,"Adriano Nardi-Vertical Horizons", pubblicato sul sito www.Gabrius.com , gennaio 2002

 

    DANIELA BRUNI, intervista pubblicata sul sito www.Exibart.com , gennaio 2002

"...la pittura è il veicolo principale (ma non unico) della ricerca artistica del giovane Adriano Nardi, protagonista dell'Exibintervista di questa settimana e  di cui si inaugura, proprio il 31 gennaio, una nuova personale presso la Galleria Maniero a Roma..."

 

    OSVALDO MARTELLUCCI, Intervista, ed. Ass. cult. Futuro, collettiva di gennaio 2002

"... nella tua formazione artistica che rilievo ha avuto, se ne ha avuto, la pittura figurativa di tuo nonno e quella astratta di tuo padre?

Sono radici culturali fondamentali e compenetranti, avendole assimilate nel quotidiano come esperienza e comunicazione del bello.

Per te ha ancora un significato la pittura ad olio in un mondo digitalizzato?

Ha un significato rinnovato: l’olio è materia cromatica, infinità di pigmento e complessità riflettente.

Come pensi che possa convivere la pittura classica con la tua pittura digitale?

Non è più possibile, oggi, creare ancora dei generi, separare, frazionare culturalmente. E’ necessario unire criticamente rallentando una deriva del senso.

Che significato particolare hanno i tre colori che usi?

L’ RGB appartiene ad un codice semantico molto particolare. E’ l’iride artificiale che comunica con la coscienza in modo fisiologico, attraverso la retina di tutti. Questi colori vanno stanati: io li aggiogo simbolicamente.

La tua è un arte di impegno sociale e, se ciò è vero , in che modo si relaziona con l’odierno ordine mondiale?

La tecnologia oggi permetterebbe di semplificare, rivelare e determinare l’essere nel mondo futuro. Lavorando nel mio piccolo, non voglio perdere di vista questa potenzialità di comunicazione e riorganizzazione sociale.

Si può mettere in relazione  la tua opera con  il muralismo sociale messicano?

Le istanze, le speranze, potrebbero essere equivalenti: io voglio comunque una pittura come ricerca aperta della forma. Di artisti come Orozco, Siqueiros, è rivelazione confermata oggi, l’universalità innestata nella cultura locale.

Ho notato che alcune tue opere riflettono il tema sociale della globalizzazione, in particolare mi ha colpito quella riguardante gli scontri di Seattle.

Aspettavo Seattle, non mi ha meravigliato. Per molti Genova è stata una sorpresa, improvvisamente siamo stati catapultati su una ribalta mondiale, perfettamente inseriti nel paradosso estremo della comunicazione mediale che è la violenza.

Quale è la tua posizione di artista e di uomo nei confronti del movimento no global?

La mia risposta chiede uno spazio diverso di approfondimento e in parte è già presente nelle altre. Fortunatamente, in senso politico l'Arte non è mai esplicita.

Ora ci puoi descrivere l’opera che esporrai alla collettiva?

Concretamente è uno di quei lavori più radicali ed espliciti che ho concepito sul rapporto tra pittura e stampa digitale. Le potenzialità analitiche, numeriche, latensificanti del digitale vengono perforate e attraversate dalla luminosità vitale della pittura ad olio.

Possiamo definirla con un termine forse superato di “quadro nel quadro”?  

Mi piace superare questa idea: approfondire l’idea della cornice, del passpartout, come fossero membrane organiche di un essere particolare che nuota nel mondo." 

(opera pubblicata: Bìos )

 

    DANIELA BIGI, “La scena artistica romana”, Arte e Critica,

ottobre-dicembre 2001

(opera pubblicata: Fight line (sun son) )

 


   
MARIA CRISTINA BASTANTE, “Searching.it: tre giorni di proiezioni a Ciampino, recensione della rassegna video alla Galleria Comunale d'arte Contemporanea , su www.exibart.com.

 

    EDOARDO SAssi, “Hotel Belle Arti”, recensione dell’edizione 2001 di Riparte, Corriere della sera, Roma, 24 novembre 2001

 

    P.PARISSI,F.FRANCESCHINI, “La mia prima volta”, ed. Ass. cult. Futuro, collettiva di novembre 2001

"...Micro e macrocosmo personali sono messi a confronto in questo insolito ritratto maschile di Nardi. Domina la scena il volto di Ludovico Pratesi…”

(opera pubblicata: Ritratto di Ludovico Pratesi)

 

    LORENZO CANOVA, “Miti d’oggi. Metamorfosi per pennello e scanner”, articolo pubblicato sul mensile Ars, De Agostini Rizzoli editore, ottobre 2001

"...Il momento che stiamo vivendo, dominato da parole come clonazione, biotecnologie, mutazione genetica o organismi geneticamente modificati, sembra misteriosamente rappresentare il periodo storico in cui si stanno realizzando le più sfrenate fantasie degli antichi poeti e scrittori che, riprendendo miti archetipi, avevano messo in versi le metamorfosi di uomini in delfini, di Dafne in alloro, o di Atteone in cervo, immaginate con una fantasia degna di un regista horror o di uno scienziato visionario…

... Anche nell’opera di Adriano Nardi compare un universo apparentemente caotico e incomprensibile, ma in realtà fondato su una struttura rigorosa di codici binari: su immagini digitali scaricate da Internet (che formano un mutevole ed ingannevole supporto per le sue ineccepibili stesure pittoriche). L’artista rappresenta volti femminili che sorgono come un segnale di nuova bellezza dal caos generatore di ribollenti forme fitomorfiche o biomorfiche…”

(opera pubblicata:X-Food)

 

    LORENZO CANOVA, “Combinazioni genetiche”, articolo pubblicato sul mensile Ars, De Agostini Rizzoli editore, settembre 2001

"...La pittura e la scultura hanno certamente dovuto (e hanno saputo) cambiare moltissimo anche per adeguarsi alla concorrenza dei potenti mezzi tecnologici legati all’immagine, quei nuovi media che fino a poco tempo fa erano visti non solo come dei nemici ma come dei veri e propri killer destinati a distruggere le tecniche più tradizionali. Così, per superare questo momento di fortissima crisi la pittura e la scultura hanno saputo trasformare le loro millenarie forme espressive in veri e propri “vampiri” e “organismi mutanti”, in grado di appropriarsi dei vocaboli e dei fonemi del cinema, della fotografia, della pubblicità,del fumetto, o di internet, trasformandoli e metabolizzandoli in linguaggio i cui codici appaiono sottoposti a una continua metamorfosi creativa. Questa tendenza ha i suoi più importanti fondamenti nella Pop Art e nell’Iperrealismo… 

…Adriano Nardi compone metamorfici prelievi da Internet su cui dipinge figure femminili di lucido e fluido nitore…”

(opera pubblicata:Seattle)

 

 

    MARCO FELICI, recensione dal sito www.exibart.it del 1° Premio nazionale di pittura Ferruccio Ferrazzi, settembre 2001

"... Noi vorremmo spingerci oltre, oltre l’idea dei confini qui intuiti e fatalmente delineati in forme ‘generiche’, individuando nell’opera di Adriano Nardi il serrato dialogo tra procedimenti di stampa digitale e pittura ad olio. Un dato oggettivo micro-strutturato, come la stampa a getto di inchiostro, potrebbe realmente essere uno dei punti di arrivo della decostruzione analitica del piano, nella rivoluzione concreta avviata da Cezanne; la convivenza del digitale con una pittura ad olio libera e naturale, porta ad interrogarsi sul carattere esclusivamente evocativo dell’arte digitale pura, a confronto con la estrema ridefinizione della superficie bidimensionale operata nel secolo scorso dal taglio, nelle tele di Lucio Fontana. …”                     
(opera pubblicata:No fear)

 

 

    CARLO FABRIZIO CARLI, “Una scelta di pittura”, catalogo 1° premio nazionale di pittura Ferruccio Ferrazzi, Sabaudia (LT) agosto 2001

"... Di particolare interesse, per la sperimentazione di nuovi linguaggi e il relativo ampliamento dell’ambito tradizionale della pittura (l’associazione dell’olio ai nuovi procedimenti di stampa digitale), ma anche per le sue valenze di carattere concettuale, appare il lavoro di Adriano Nardi…”

(opera pubblicata:No fear)

 

 

    GIORGIA MUSIELLO, “La mia prima volta”, ed. Ass. cult. Futuro, collettiva di giugno 2001

"... No Fear fa parte di un gruppo di opere che Adriano Nardi ha realizzato dopo gli avvenimenti di Seattle, che nel ’99 hanno visto nascere l’opposizione spontanea contro gli organismi internazionali che, come il WTO, si riuniscono per decidere su questioni vitali per il futuro del pianeta, come l’ambiente, le coltivazioni transgeniche, l’equilibrio fra gli Stati, la globalizzazione dell’economia. Una foto degli scontri tra attivisti e polizia, presa da Internet, viene sdoppiata e specchiata; le direttrici dei palazzi, così moltiplicate, dirigono la prospettiva dal fondo verso un punto esterno alla tela, e l’immagine sembra divenire un cuneo puntato verso lo spettatore. Al centro, come se provenisse dal suo interno, compare il volto di una strana creatura, con le labbra socchiuse. Il gesto della sua mano ripete quello di un dimostrante alla polizia: non avere paura di noi, noi chiediamo solo PUBLIC VOICE, e lo stesso gesto, di pace, si rivolge a chi guarda, per dire non avere paura di… quello che vedi dietro di me. E’ un richiamo etico contro la manipolazione della natura e per la difesa degli unici, veri, possibili aspetti sacri della vita dell’uomo, il suo essere natura non manipolabile. L’essere umano deve restare al centro delle scelte, e la tecnica del quadro partecipa al contenuto: il pittore si riappropria di un’immagine digitale attraverso la sua combinazione con la pittura a olio. Forse è la pittura stessa che parla, qui, nel simbolo, e attraverso la storia: è un’immagine interamente pittorica, con la costruzione dello spazio simmetrico centralizzato, l’uso del colore, in una ricerca di equilibrio e unità “classici”.”

(opera pubblicata:No fear)

 

    AUTORI VARI a cura di A.BACCILIERI, “Figure del ‘900, 2”, LaLit edizioni d’arte, Bologna, maggio 2001

 

 

    EMANUELA NOBILE MINO, “Guida agli artisti contemporanei, Roma#1”, ed.Nuova Anterem, dicembre 2000

"... La sua ricerca artistica si fonda sull’interazione di diversi media e campi di indagine. La pittura classica viene associata a quella digitale per sovrapposizione e bilanciamento cromatico, la moda e l’arte si fondono in funzione di una narrazione che, partendo dal ritratto sviluppa tematiche relative ai rapporti sociali odierni e ai grandi temi della contestazione politica internazionale…”

(opera pubblicata:Sophia)

 

 

    3rd west lake art fair, catalogo della fiera, Hangzhou, China, novembre 2000

(opera pubblicata:Cotone)

 

 

    francesco GATTI, LORENZO dE Las plassas, intervista televisiva, RaiNews24, maggio 2000

(opera pubblicata: opere varie)

 

 

    A. Piperno, “Pigneto Gallery”, La Repubblica, Roma, 14 aprile 2000 

 

    MARIA KATIA Ficociello, SABRINA Vedovotto, “Invito al Pigneto”, catalogo ed. Ass. cult. Futuro , Roma, aprile 2000

(opera pubblicata:Desert fox)

 

    NATASHA CERQUETI, intervista in diretta, Radio Città Futura, Roma, 25 marzo 2000

 

ANDREA Cuomo, “Nardi, volti eterei e catodici nell’iperrealtà di Internet”, Il Giornale, Roma, 15 marzo 2000

"... quanto alla tecnica l’artista spiega di dipingere il volto che “progredisce nel suo desiderio di comunicare attraverso il sentimento o l’emozione, o semplicemente con la plastica presenza vitale”. E “l’immagine tratta dal web è, in superficie, un calcolo riempitivo bidimensionale. Dipingendo ad olio su questo piano dilatato (trasferito sulla tela) confermo la materia come necessario campo d’indagine e di sopravvivenza’”…”

(opere pubblicate: Sophia, Los Angeles Marte)

    

    

    SABRINA Vedovotto, Le Naviganti, testo per la personale all’Ass.cult.Futuro, Roma, marzo 2000

"... lo “spazio visivo”, come lo intende l’artista, vive sempre una realtà con il volto dipinto… ... ognuno è memoria del tempo in cui vive ed è ricordo, immagine di un evento… …i temi affrontati rivolgono spesso la loro attenzione al problema dell’ecologia, o meglio come dice Nardi “nell’ideale ecologico”, a lui molto caro. Il tema sociale è, infatti, sempre presente; nella produzione di ogni sua opera c’è un messaggio molto forte… …messaggio che proviene anche dalle contaminazioni degli strumenti che utilizza: dalle immagini scaricate dalla rete, ai volti rubati alle riviste, decontestualizzati e quindi ricontestualizzati, alle scansioni di pittura ingrandite… … queste naviganti, la cui bellezza apparente può distrarre per un attimo l’attenzione, sono dunque messaggere di un mondo carico di contraddizioni…"

 

 

    MARIO DE CANDIA, ”Adriano Nardi”, Trovaroma (La Repubblica), Roma, marzo 2000

"... un progetto caratterizzato da una propensione a contaminare la pittura ad olio con tecniche mediatiche…”

 

 

    A. Piperno, Artisti in diretta, La Repubblica, Roma, 26 febbraio 2000

 

    EDOARDO SAssi, Maratona per cinque artisti, Corriere della sera, Roma, 26 febbraio 2000

(opera pubblicata:Sophia)

 

    FRANCESCA LAMANNA, Gli artisti e l’università, Ed.Università La Sapienza di Roma, 1999

(opere pubblicate: Videofiliazione antioraria,Videomuti)  

 

    STEFANO COLONNA, L'Antipop, comunicazione individuale nella società di massa, cat.della personale, Ed.Università La Sapienza di Roma, 1998

"Videomuti ... se le piramidi avessero tutti i vertici, sarebbe impossibile entrare all’interno di Videomuti. La troncatura delle piramidi rappresenta quindi l’attuazione della comunicazione che compensa il potere, anche politico; viceversa, la realizzazione piena ed autoreferenziale del potere, rappresentata dalla piramide intera, impedisce la comunicazione… 

Videofiliazione ... in quest’opera, a differenza di Videomuti, il processo di comunicazione si articola in un caos, che è però solo apparente. L’insieme delle piramidi tronche (al cui interno sono anche qui dipinti dei monitor) disegna, infatti, una complessa geometria frattale, tesa ad abbracciare una dimensione cosmica… …una miriade di monadi, dialoga attraverso reti di comunicazione. Il riferimento immediato è ad Internet, dove una serie virtualmente infinita di nodi s’interseca in un sistema complesso regolato e sviluppato secondo precise regole matematiche, ma anche fruito e organizzato secondo nuclei di casualità tipici della geometria frattale, alla quale Nardi si è consapevolmente ispirato per la realizzazione dell’opera. Videofiliazione può essere letto come una metafora della comunicazione individuale interpersonale nella società di massa, in cui il video rappresenta il modo di pensare di un individuo, ma anche il concetto stesso di individualità…

... l’AntiPop utilizza il codice, ovvero una convenzione semiotica tra video-fruitori, che definisce il principio di identità dell’opera d’arte nelle priorità del soggetto fruitore sull’oggetto inesteticamente “consumato”… … nel caso di Nardi la materia della pittura è segno di “non ripetibilità” e, a sua volta, la “non ripetibilità” della pittura è strumento di comunicazione individuale interpersonale e torna ad essere segno di espressione individuale anche a livello semiotico. Questo approccio stratificato evidente nelle opere di Nardi esposte in Mostra, lungi dall’essere gratuita esercitazione intellettualistica, si impone come un’esigenza profondamente connessa alla complessità dei rapporti di comunicazione interpersonale e di gruppo che caratterizzano la moderna società dell’informazione… 

... la serie degli Sparapittore porta alla luce con nitida chiarezza gli elementi nuovi di un figurativo-colto vicino alle esperienze degli anni ’60, ma con intenzioni critiche ed esiti opposti, tanto che, in risposta all’evento Mostra-Laboratorio di Nardi, è stato coniato il termine AntiPop per definire questo rapporto di reciprocità ed opposizione che l’Arte di Nardi assume di fronte alla Pop Art…

... poche ed elementari equazioni definiscono l’ambiente di sviluppo del figurativo di Nardi: nel caos vi è la perfezione della natura, mentre viceversa la semplificazione corrisponde all’imperfezione, ad uno stadio non concluso di crescita, che viene rappresentato dalla serialità e dalla tecnologia espresse dall’RGB, cioè Red Green Blue, i tre colori del segnale video… (sono le cromìe ricostruite ad olio che l’autore materializza in una serie di simbolici ritratti, N.d.R.)

... Lo scontro finale tra Arte e Natura si compie nell’ultima e più accattivante pittura della mostra (il cui titolo è Amazonas, N.d.R.). Il ritratto di una donna bellissima, è fascinoso richiamo al “sex appeal dell’inorganico” (Perniola), dove l’elemento mitologico riesce a prevalere su quello tecnologico soltanto grazie alla presenza nascosta del meta-pittore, il quale, evidentemente, stanco di assistere alla Morte dell’Arte, decide di ribaltare i termini della questione a proprio favore, utilizzando un geniale quanto elementare artificio. Il principio freddamente tecnologico dell’RGB viene addomesticato e “sconfitto” dall’ombra delicatamente segnata sul viso della fanciulla. L’RGB ricorre nei capelli azzurri, nel volto verde e nell’ombra rossa non più come simbolo della serialità della società di massa…”.

(opere pubblicate: Sua Riflessione, Videomuti, Videofiliazione antioraria, Videobotto, Sparapittore RGB, Conosci la natura RGB, El Nino, Amazonas)

 

    STEFANO Colonna , L’AntiPop, comunicazione individuale nella società di massa, comunicato stampa della personale presso il Museo Laboratorio dell’università La Sapienza diRoma , 1998

"L'inserimento della cultura e degli artisti nel processo produttivo della società di massa non ha evitato l'assimilazione del fare artistico alle dinamiche di produzione, riproduzione e .mercato, fino a decretare la cosiddetta morte dell'arte. La gestione di tale processo di inserimento è stata una prerogativa storica della Pop Art. L'AntiPop, la pittura di Nardi, in controtendenza, ma anche in sinergia con la  Pop  Art,  crea  un  laboratorio  in  cui  la  pittura  è  metafora  della comunicazione individuale, grazie ad un serrato approccio semiotico aggiornato ai problemi della "glocalizzazione". L'artista torna ad essere editore di se stesso in vista di un'apertura del processo di comunicazione: in questo senso la Mostra è un Laboratorio dove vengono presentati al pubblico nuovi esperimenti e strategie per la comunicazione pittorica del terzo millennio."

 

    L'Arte contemporanea a Bologna, Prima Biennale, catalogo della mostra, Palazzo Re Enzo, Bologna, 1993

(opera pubblicata:Trepiramide)

 

 

    ROBERTO Daolio, cat. della collettiva al Centro culturale Edison, 1991 

"... un’attenzione estrema ad istituire uno scarto nella produzione d’immagini, nei confronti della “rappresentazione” e dell’artificio “reale”… …nel riaffermare una volontà esclusivamente pittorica sollecita e propone una disposizione simbolica dei rapporti di superficie. Duplicazioni e moltiplicazioni innestano un processo di spazialità dilatata e immergono l’immagine nella “profondità” della superficie…"

(opera pubblicata:Ecotopia)

 

    ROBERTO Daolio, cat. della collettiva alla galleria S. Fedele,1990

"...è mutato l’atteggiamento e il modo di procedere… …rapporto tra superficie dipinta e frammento sostegno di un materiale altro…” 

(opera pubblicata:Transgredior)

 

  

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