"La Cura CHIVA" Quarto Anniversario!

Claude Franceschi

Angio News. Suppl. Lettera Terapeutica, anno II, n. 7-8, 1992

L'insufficienza venosa superficiale copre un vasto insieme clinico, dalla micro-varicosità al danno estetico, diverso a seconda del profilo psicologico dell'individuo e i dettami della moda attuale, fino all'ulcera della gamba, che può considerarsi una vera e propria infermità perso- nale con ripercussioni a livello di vita professionale, sociale ed economica.

La sfida terapeutica ideale mira a mettere un termine - una volta per tutte - a queste manifestazioni, dalle più leggere alle più pesanti. Due sono le soluzioni adottabili. Secondo la prima, bisognerebbe ricostruire ex novo il sistema venoso, utilizzando materiale istologicamente e anatomicamen- te normale, secondo la teoria parietale. Per la seconda, basterebbe ordinare ai pazienti di camminare soltanto sulle mani, secondo la teoria emodinamica.

Per chi ha semplicemente considerato un soggetto normale in piedi ed un malato varicoso con le gambe sollevate, il successo di ciascuno di questi due metodi è indubbio. Purtroppo, la biologia, la genetica ed i biomateriali non sono ancora sviluppati al punto da consentire l'applicazione della prima soluzione. Quanto alla seconda, è incompatibile con una vita sociale normale.

Sebbene oggi siano inapplicabili, queste due soluzioni non hanno in sé una virtù curativa determinante. In effetti, tutto avviene come se ognuno dei due fattori (anomalia veno sa - condizioni emodinamiche) non potesse, da solo, provocare I'insufficienza venosa di modo che, intervenendo sull'uno si eviterebbero ulteriori interventi sull'altro.

Se si considera il problema piu da vicino, si può rilevare che i diversi trattamenti dell'insufficienza venosa consi- stono già nel trattare, con risultati variabili, questi due fattori, separatamente o congiuntamente.

A questo punto si pone il problema della quota di insuccesso degli interventi (recidive ed evolutività). O è il cattivo andamento evolutivo della malattia che infierisce, il che ci consente di discolparci e di farne in qualche modo carico al paziente stesso (una varicosi della madre o della cugina è sempre la benvenuta), o può dipendere forse dall'avere buttato il bambino con l'acqua del bagno (la funzione di drenaggio con la vena malata). L'idea che sottintende l'intervento vascolare suppone quindi che la natura provvederà a questa mutilazione anatomica e funzionale con la collateralità e/o la neogenesi venosa.

Certo, questa speranza si realizza spesso. Tuttavia, se la natura sa sviluppare e/o ricreare altre vene, ciò non avviene sempre nelle migliori condizioni anatomiche (sa rifare le valvole?) o funzionali (sceglie sempre la perforante di drenaggio emodinamicamente più efficace?).

La natura si difenderebbe male nel caso di recidive, e bene quando la "vicariance" si sviluppa senza disfunzioni emodinamiche o vene antiestetiche? Non le si rende il compito piu difficile quanto piu efficace è stato I'intervento, cioè quante meno vene si sono lasciate disponibili per permetterle di effettuare la sua opera?

Come? Compensando le debolezze parietali e le disfunzioni valvolari con una strategia di ricondizionamento emodinamico del sistema venoso superficiale patologico.

Diminuendo le costrizioni delle leggi di gravità terrestre (frazionamento della colonna di presslone).

Ottimizzando la funzione di drenagglo (rispetto delle vie venose, riorientazione unidirezionale del flusso venoso superficiale dall'alto verso il basso in sinergia con il gradiente di pressione idrostatica e deconnessione degli "shunts" veno-venosi).

Questa strategia è applicabile nel caso di qualsiasi insufficienza venosa superficiale che comporti un reflusso, a condizione che non sia associata ad una insufficienza venosa profonda maggiore (caso molto piu raro di quanto non si ammetta).

Questo metodo è stato applicato da quattro anni su diverse migliaia di pazienti. I primi risultati a medio termine sono in corso di pubblicazione.

Tali risultati dimostrano una efficacia pressoché totale per tutto quanto riguarda i disturbi del drenaggio: pesantezza, edemi, disturbi trofici chiusi e aperti. Questi dimostrano, in funzione delle discrepanze di risultati tra diverse equipe, l'importanza delle decisioni strategiche coerenti, ma anche della tecnica operatoria.

Rivelano che gli imperativi funzionali non consentono sempre di soddisfare pienamente l'estetica. Suggeriscono che volere sempre e a qualsiasi prezzo rispondere completamente alle esigenze estetiche, a danno delle esigenze emodinamiche, può portare a delle delusioni. Certi medici, sebbene completamente convinti dalla cura nelle sue indicazioni trofiche e funzionali, resistono male all'impazienza dei pazienti in merito alle esigenze estetiche. Hanno potuto o possono essere tentati di combinare in proporzioni variabili la cura CHIVA con delle terapie distruttive ad effetto immediato, esponendosi al rischio di recidiva o di evolutività per "vicariance". L'esperienza strategica e tecnica della cura CHIVA, applicata su migliaia di pazienti da 4 anni, ha permesso di migliorarne i risultati e di definire gli attuali limiti. La modellizzazione teorica, di cui la cura è conclusione, ha costituito un fecondo strumento di ricerca e di applicazione i cui sviluppi dovranno ancora, in futuro, arricchire le nostre conoscenze. Gli studi condotti in Francia e in Europa indicano che la Cura CHIVA può essere sempre realizzata in anestesia locale, in un numero di sedute variabile da 1 a 3 secondo le esigenze strategiche o tecniche. I suoi risultati dipendono, certo, dalla qualità della strategia e del "marquage", ma anche dalla qualità della mano e della tecnica chirurgica. Sono eccellenti per i disturbi trofici, gli edemi ed i segni funzionali. Sono molto spesso, ma non sempre, perfetti sui danni estetici, il che ha talvolta indotto il paziente, lungi dall'essere informato e dall'accettare i rischi quando si tratta di vene necessarie al drdnaggio, a completare la cura con metodi distruttivi. Le rare recidive si spiegano quasi sempre con un errore di strategia o di tecnica chirurgica e la loro ripresa ne è facilitata.

"La Cura CHIVA": cura conservativa emodinamica dell'insufficienza venosa in ambulatorio.