Problemi in tema di terapia dell'ischemia cerebrale acuta
Alberto Marcialis
Cattedra di Chirurgia Vascolare, II Università, Napoli
La possibilità di ottenere la risoluzione di un quadro clinico
di ischemia cerebrale acuta mediante un trattamento trombolitico costituisce
un tema di evidente valore scientifico e di innegabile significato applicativo
terapeutico. L'argomento, che viene trattato da alcuni anni sotto il doppio
profilo clinico e sperimentale, fornisce alcuni spunti degni di attenta
riflessione. La considerazione che sta alla base dell'impiego del trombolitico
nelle condizioni ricordate, riguarda la constatazione per cui oltre l'80%
degli eventi ischemici focali cerebrali è dovuto ad una patologia
occlusiva aterotrombotica, nei cui confronti è prevedibile appunto
un'azione del farmaco trombolitico.
I punti da sottolineare in tale contesto si possono così riassumere:
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esiste una serie di risultati sperimentali che dimostrano come nei ratti
embolizzati con coaguli omologhi nel territorio carotideo, la infusione
precoce del trombolitico ottenga una importante riduzione del volume medio
dell'infarto cerebrale (dal 19% dei controlli al 4,6% del gruppo trattato).
L'aggettivazione di "precoce" vale nei confronti dell'intervallo di tempo
necessario perché si passi dalla interruzione del flusso ematico
al danno ischemico neuronale irreversibile; intervallo che nel ratto raggiunge
un massimo di 120 m', mentre nell'uomo è compreso nelle 4-6 ore;
-
la possibilità della trasformazione emorragica costituisce un naturale
problema per la definizione della sicurezza della terapia trombolitica.
È peraltro da rimarcare che il concetto tradizionale secondo cui
la trasformazione emorragica può essere considerata come una conseguenza
non facilmente evitabile dell'azione trombolitica, può essere rivista
dal momento che non si sono riscontrate sotto questo aspetto differenze
sostanziali con i pazienti trattati con placebo. Nei confronti degli eventuali
rapporti tra emorragia e l'impiego dei trombolitici, si prospetta la possibilità
dell'intervento di alcuni fattori eziologici come il lungo intervallo di
tempo tra l'inizio della sintomatologia e l'esposizione al trombolitico;
la presenza di ipertensione arteriosa; dosi di farmaco elevate rispettivamente
ad una massa corporea modesta;
-
la valutazione dei risultati ottenuti deve poggiare su parametri ben definibili
e misurabili, tra cui principalmente il deficit neurologico residuo;
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la ricanalizzazione delle occlusioni del territorio carotideo e vertebrobasilare
entro 4-6 ore dalla comparsa della sintomatologia mediante l'uso del trombolitico,
è tecnicamente possibile, ma allo stato attuale delle conoscenze
è difficile dire se la ricanalizzazione debba essere intesa costantemente
come una precondizione per una prognosi favorevole o rappresenti soltanto
un epifenomeno.
Il trattamento chirurgico disobliterativo si propone come presidio di segno
applicativo opposto ma con le stesse finalità della trombolisi nel
raggiungimento di un identico scopo rappresentato dalla remissione della
sintomatologia neurologica dopo un episodio di ischemia cerebrale acuta.
Si tratta di una tematica che ha oramai una sua storia - il primo intervento
di disobliterazione carotidea per una patologia di tipo acuto risale al
1953 - dominata dalla necessità della ricerca di elementi e di criteri
di indicazione sicuri, per eliminare le incertezze che iterativamente si
ripresentano e per rinforzare un interesse sulla base di dati certi.
L'intervento chirurgico di disobliterazione in emergenza della carotide
interna può essere prospettato in una serie di quadri clinici dominati
dalla insufficienza cerebrovascolare, ma con caratteristiche sintomatologiche
non esattamente sovrapponibili, e cioè:
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l'occlusione carotidea acuta;
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il crescendo TIA;
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l'ictus fluttuante;
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verosimilmente la stenosi preocclusiva.
L'analisi delle casistiche più importanti e significative suggerisce
le seguenti considerazioni:
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una finestra terapeutica limitata (entro 6-12 ore dall'evento acuto) costituisce
una favorevole premessa per un buon risultato anatomico e terapeutico;
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esiste anche con la disobliterazione chirurgica d'urgenza, il rischio di
emorragia cerebrale, come suggeriscono alcuni rapporti che hanno documentato
specialmente in pazienti ipertesi, l'insorgenza di emorragia dopo la riperfusione
di un tessuto cerebrale già leso;
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nei casi caratterizzati da ictus progressivo e da crescendo TIA il risultato
terapeutico appare generalmente evidente, talora in maniera spettacolare.