" Sono nato il 6 aprile 1915 in Polonia, in un paesino con una piazza del mercato e qualche vicoletto squallido. Sulla piazza del mercato si innalzavno una piccola cappella con la statua d'un santo, secondo l'uso cattolico, e un pozzo attorno al quale si celebravano al chiaro di luna, le nozze ebraiche..."

 

TADEUSZ KANTOR

Diplomato nel 1939 presso l’accademia di belle Arti di Cracovia, Kantor era un buon pittore influenzato dalle esperienze simboliste e dal costruttivismo polacco ed europeo, Andrezej Pronaszko, uno dei maggiori esponenti del costruttivismo europeo, fu suo insegnate a Cracovia.  Questa passione per la pittura ha contribuito a fare di Kantor un uomo di Teatro molto speciale, che non si lasciava influenzare da nessuna dottrina costituita, come egli stesso dichiarava, senza legami con il passato, mai cercati e spesso rifiutati, animato solo dall’impegno verso la sua epoca ed i suoi attori. La  sua poetica venne influenzata indelebilmente dall’esperienza della Seconda Guerra Mondiale. durante questo periodo Kantor si prodigava come fervente attivista del Teatro Clandestino di Cracovia. Ma solo nel 1955, diede vita a quella che è ricordata come una delle più grandi esperienze del Teatro europeo del nostro secolo il Cricot 2.

Kantor rappresentava perfettamente la cultura nella quale era nato e vissuto. Cultura dalla quale era fortemente influenzato. Il mondo rurale e tradizionalista della Polonia alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Un universo popolato da un brulicare di immagini ricorrenti e cerimonie religiose che hanno fatto accrescere nel giovanissimo Tadeusz  un forte interesse per tutto ciò che era ritualità. Il suo stesso paese Wielopole rappresentava una terra di confine, invaso dalla cultura cattolico-slava e da quella ebraico-yiddish, come del resto buona parte della Polonia è ancora tutt’oggi. Un miscuglio di cerimonie, liurgie, processioni, matrimoni celebrati ognuno secondo la propria tradizione, un mondo, insomma popolato di “spettacoli” da ammirare, da spiare e tenere stretti nel cuore.

Gli spettacoli di Kantor sono tutti contraddistinti da una forte componete autobiografica, egocentrici 

 “ Il Teatro Cricot 2 non è un insieme di esperienze pittoriche trasferite sulla scena. E’ il tentativo di cercare una sfera di comportamento artistico libero e gratuito. Tutte le linee di demarcazione convenzionali sono soppresse “ 

 Un gruppo di artisti eterogenei, attori professionisti e dilettanti, pittori, poeti, teorici dell’arte, questa era l’anima del Teatro Cricot 2, una eccezionale fusione tra la pittura ed il Teatro. La Galleria Krzystofory a Varsavia, costituiva lo spazio fisico dove questo importante ensemble muove i primi passi. Il primo lavoro, La piovra di I. Witkiewicz, viene allestito proprio nella suddetta Galleria.  la scelta di Witkiewicz non è casuale, questi è infatti uno degli autori più autorevoli e rappresentati del Teatro polacco, di ispirazione naturalista. Lo stesso J. Grotowski, conterraneo di Kantor, portò in scena dei lavori di Witkiewicz.

Waclaw Janicki attore del Cricot 2 fin dagli inizi, racconta che Kantor, dopo attente valutazioni scelse di organizzare i suoi attori in tre categorie differenti : attori professionisti, pittori o letterati ed infine persone trovate. Questo permetteva a Kantor – aggiunge Janicki – di portare in scena la realtà. D’altronde la figura dell’attore nel Teatro kantoriano assume dei connotati ben precisi. L’uso ricorrente dei manichini, a simboleggiare un rapporto tra presente e passato con il corpo dell’attore. Attori che spesso popolano la scena con presenze che non hanno nulla di vivo, reale, ma richiamano alla mente morti vaganti, fantasmi. Una recitazione che come è stato detto e ribadito tende ad azzerare tutte le convenzioni rappresentative. Tutte questo spiega il pensiero di Kantor sul Teatro, una sintesi, cioè, tra l’immagine bidimensionaledella tela e la completezza dello spazio scenico, riempito dalla materia. Un percorso tra pittura e Teatro che si tiene perfettamente in bilico. Non a caso l’esperienza di Kantor nasce con la pratica degli happening. Scene quindi, immagini, simboli, atmosfere che creano emozioni, che si tuffano nel passato a recuperare nel fondo degli abissi della memoria splendide perle, che un giorno godevano di un eccezionale bellezza. Questo è il motivo per cui alla sua morte il Teatro di Kantor non ha avuto proseliti. Nessuno, neanche tra i componenti del Cricot 2, intesero continuare l’opera del Maestro. Kantor attraverso gli anni si era nutrito alla fonte dei movimenti avanguardistici del XX secolo, da ognuno di esso aveva carpito un concetto, un sentimento. Dalla metabolizzazione di tutto questo che nasceva la scena di Kantor. Una somma di esperienze filtrate della propria esperienza personale. Come i grandi artisti delle Avanguardie d’inizio XX secolo, Kantor considerava l’arte un atteggiamento, uno stile di vita, qualcosa che non poteva e non doveva prescindere dal proprio IO. Questa immane fusione tra esperienze dell’Arte dell’ultimo secolo ed il proprio vissuto, ha generato un Teatro irripetibile. Ogni oggetto, ogni movimento, ogni traiettoria di un attore in scena per Kantor avevano un significato preciso, denso, che non poteva prescindere dalla sua essenza. Non a caso nei suoi spettacoli era consuetudine che lui, il regista stesso, presenziasse la scena, in angolo seduto, con gesti minimi e decisi impartiva gli ordini a quegli splendidi ingranaggi, che reano gli attori del Cricot 2.

Ogni oggetto, si è accennato al riempimento scenico della materia. nelle rappresentazioni di Kantor tutto era materia, a partire dal corpo degli attori, materia vivente, umana e quindi come tale destinata a decomporsi, sotto il peso del passato, degli errori del passato. La scena di kantoriana era popolata da legni, ferri vecchi arruginiti, oggetti strappati all’immondizia, alla morte, sospesi tra passato ed infinito. Oggetti che Kantor amava definire “poveri”, oggetti senza dignità di uso quotidiano, che appunto perché tali riportano alla luce, gesti , suoni, odori, familiarità, emozioni.

Un Teatro quindi forse privo di alcune componenti istituzionali una forma di espressione unica, perché dipendente, figlia del suo creatore, ma per questo vera. Come vero dovrebbe essere il Teatro e c’è differenza, e chi legge questo lo capisce bene tra il vero ed il reale.

 

 

  “ Io costruisco la commozione “

 

GLI SPETTACOLI (con il Cricot 2 ):

  La piovra, Nel piccolo maniero, Il pazzo e la monaca, La gallinella acquatica, I calzolai, Le bellocce e i cercopitechi tutti di Witkiewicz, rappresentati tra il 1955 ed il 1973.

Nella metà degli anni settanta abbandona il Teatro d’autore e avvia la stagione degli spettacoli scritti e diretti da lui stesso. Nel 1975 si apre questa fantastica stagione con il noto spettacolo La classe morta, successivamente nel 1980 Wielopole- Wielopole. Nel 1985 invece è la volta di Crepino gli artisti. Infine il suo ultimo spettacolo del 1988 Qui non ci torno più . Nel 1990 ci sarà anche il postumo Aujord’hui c’est mon anniversaire.

Per ovvi motivi non ci dilungheremo a trattare di tutti gli spettacoli, ma seppur un accenno al La classe Morta, è doveroso. Una scena scarsamente illuminata e circoscritta da una corda, vecchi banchi di scuola, tarlati ed impolverati, pile di vecchi libri ingialliti e secchi, una latrina. Questa è una sommaria descrizione, che non rende merito, a ciò che si prentava agli occhi dello spettatore de La classe morta. Seduti ai banchi come i bravi scolaretti che furono, vecchi e vecchie decrepiti, vestiti in nero con i vestiti lisi e consunti, i volti coperti da una sottile membrana grigia. In buon ordine uno alla volta chiedono con grande solennità di poter uscire, la scena si svuota. Ma subito dopo riappaiono i vecchi di prima, trascinano sulle spalle manichini dai volti di cera, simbolo dei bambini che furono, simboli del passato che torna, come un fardello che pesa, che piega il corpo. Un passato dal quale non si può prescindere. I vecchi scolari passano il loro tempo tra stupidi scherzi infantili, urlano, litigano, usano la latrina. Un'altra serie di personaggi abita la Classe morta. Un bidello che intona i canti di una giovinezza svanita, affogata tra i sogni. Un soldato della Seconda Guerra mondiale, con una lunga baionetta, simbolo che probabilmente unisce le due grandi guerre di questo secolo. Una donne delle pulizie (interpretata da un uomo) che brandisce come una falce la propria scopa. Quest ammasso di corpi che si deteriorana o che sono destinati a scomparire galleggia al ritmo di un trascinante valzer polacco, che s’interrompe a tratti facendo precipitare la scena in una grottesca atmosfera. A presiedere a questo universo, fuori dal tempo, ma che in certo modo è il tempo, c’è lui, l’autore, il demiurgo, Tadeusz Kantor. Seduto con lo sguardo attento guarda la scena, la dirige, l’accompagna nella sua vita.

Lontanamente ispirato a Tumore cervicale di  Witkiewicz, La classe morta è un lavoro costruito con la tecnica del Collage, prendendo pezzi dalla tradizione ebraica, dalla Bibbia, dalla Mitologia occidentale. La classe morta rappresenta per Kantor la sintesi di tute le sue teorie  le sue esperienze sulla pratica teatrale, con questa messinscena Kantor raggiunge la notorietà internazionale.

“ Si vedono entrare delle creauture umane – degli individui allo stato senile – che fanno corpo con dei cadaveri di bambini. Questi fanno pensare a delle escrezioni parassitarie e ipertrofiche che sembrano in simbiosi con questi vecchi allo stato larvale, dei depositi di ricordi del periodo dell’infanzia, ormai dimenticato e respinto dall’insensibilità e dal pragmatismo che ci rendono incapaci di cogliere in noi l’immaginazione del passato “

Tadeusz Kantor