Il 1454 con la Pace di Lodi diede inizio ad un
periodo di equilibri per la penisola italiana. Sicuramente in questo contesto
storico figura decisiva ed emergente fu la città di Venezia che conobbe un
periodo di crescita e di splendore tale da proporsi come potenza territoriale.
Chiaramente il trottato stipulato nella città di Lodi imponeva l’obbligo a
tutti gli stati di non alterare la situazione di equilibri con azioni militari,
tuttavia la politica veneziana e di altri stati italiani non fu totalmente
pacifista. Clamoroso fu l’attacco del 1482 allo stato estense per iniziativa
della stessa Venezia. Ulteriori problemi di equilibrio si verificarono nel 1492
con la morte di Lorenzo de’ Medici.
In tale situazione lo stato veneziano era
decisamente favorito grazie ad una economia ed un ordinamento politico ben
saldi tale da poter mirare ad una vera e propria egemonia su tutta la penisola
italiana.
Nel 1503 moriva papa Alessandro VI e poco tempo più tardi, dopo solo
ventisei giorni di pontificato si spegneva Pio II, fu dunque proclamato nuovo
pontefice Giulio II, il quale dopo aver recuperato i territori occupati da
Cesare Borgia si rivolse contro la Repubblica di Venezia, maggiore antagonista
delle mire espansionistiche del papa su
tutta la penisola. Nel mese di novembre del
1508 si incontrarono a Cambrai i rappresentanti di vari stati, tra cui
la Francia, che diedero origine ad una lega antiveneziana. Scopo del re
francese era di recuperare la Gera d’Adda ed altri territori limitrofi, mentre
l’obbiettivo pontificio era quello di sottomettere le città della Romagna
ancora sotto il dominio veneziano. Il trattato fu tenuto nel più stretto
riserbo per cogliere di sorpresa Venezia prima che avesse avuto il tempo di
prepararsi militarmente. Ci furono comunque delle fughe di notizie che misero
in allarme la potenza nord-orientale.
Nel 1509, il 16
del mese di aprile, Luigi XII re di Francia dichiarava ufficialmente guerra a
Venezia.
Secondo il Guicciardini l’esercito veneziano era composto da: 2000
uomini d’arme, 3000 cavalleggeri 15.000 fanti e “copia grandissima di
artiglierie” per un totale di circa 150 bocche di fuoco; al comando di Nicolò
Orsini conte di Pitigliano e Bartolomeo d’Alviano: il primo decisamente più
prudente in virtù della lunga esperienza in ambito militare, il secondo dal
carattere più impetuoso nel concepire le operazioni. Tale situazione di
disaccordo costrinse i due comandanti ad interrogare il Senato il quale ordinò
di evitare la battaglia e demandò le ulteriori decisioni ai due provveditori
Gritti e Corner presenti sul posto.
Nel frattempo i Francesi avevano attraversato l’Adda nei pressi di
Cassano, e dopo aver preso Rivolta si diressero verso la piazzaforte francese
di Treviglio che velocemente capitolò permettendo ai Francesi di occupare in
breve tempo la Gera d’Adda.
Nei giorni successivi il Pitigliano mosse con le sue truppe da
Fontanella, riconquistò con non poca fatica Rivolta e puntò verso Treviglio che
in data 8 maggio 1509 fu sottoposta ad un pesante bombardamento, qui la
superiorità numerica dei veneziani attaccanti ebbe la meglio e nonostante la
strenua difesa dei francesi assediati e dei trevigliesi la città fu
riconquistata. La città fu sottoposta al saccheggio che fu fatale per l’Alviano
in quanto le truppe si sparpagliarono e la disciplina venne meno.
L’esercito francese era invece composto da: 6.000 fanti svizzeri,
12.000 fanti francesi, 2.000 uomini d’arme e 67 pezzi di artiglieria pesante;
le figure emergenti al comando delle forze militari francesi furono sicuramente
Gian Giacomo Trivulzio e Carlo d’Amboise affiancati da altri valenti capitani.
L’esercito era così suddiviso:
la avanguardia al comando del d’Amboise, la battaglia al comando di Luigi XII e
la retroguardia al comando del Trivulzio.
Come già detto tale imponente esercito attraversò l’Adda nei pressi di
Cassano su due ponti costruiti appositamente ed in seguito distrutti per
distogliere gli uomini dalla possibilità di una rapida fuga. Nonostante il
parere favorevole del d’Alviano i Veneziani non attaccarono perdendo, secondo
l’opinione degli storici, la possibilità di una di una certa vittoria contro
l’esercito impegnato nelle attività logistiche e non pronto ad una improvvisa
battaglia.
Il giorno 10 maggio fu teatro di alcune piccole scaramucce e isolati
colpi di artiglieria mentre il giorno successivo l’esercito francese prese
Rivolta e la saccheggiò.
Il 14 maggio Luigi XII fece spostare il campo da Rivolta a Pandino,
tuttavia alle ore 14 dello stesso giorno parte dell’esercito francese in
movimento condotta dal signore d’Amboise e la retroguardia dell’esercito veneziano
al comando dell’Alviano si incontrarono nei pressi del cascinale Mirabello,
pochi chilometri fuori da Agnadello.
Il capitano francese, vedendo le truppe di Venezia disorganizzate colse
l’occasione e ordinò all’artiglieria di aprire il fuoco. Informato dai
messaggeri il Pitigliano invitò l’altro comandante a evitare lo scontro ma a
causa di un ritardo del messo e per il forte desiderio di combattere l’Alviano
diede inizio alla contro offensiva che diede proficui risultati ai veneziani i
quali riuscirono a sbaragliare la cavalleria nemica.
Le sorti della battaglia erano però destinate a mutare con l’intervento
del Trivulzio che con le sue truppe fece indietreggiare gli avversari. A questo
punto l’Alviano diede ordine di dirigersi un poco più a sud, nel luogo dove
sorge l’attuale cascina Mirabellino, per disporre più favorevolmente
l’artiglieria. Saputolo il Trivulzio fece in modo di precedere i nemici che
furono attaccati con forza e messi ulteriormente in difficoltà, verso le ore 16
da un forte scroscio di pioggia.
Dopo più di tre ore dal campo di battaglia ormai coperto di morti si
alzo il grido: “Vittoria, vittoria. È rotto il campo dei veneziani. All’udire
tale parole vari comandanti passarono alle file nemiche e la maggior parte
degli armati si diede alla fuga. L’Alviano resistette valorosamente ma fu prima
ferito e poi catturato. I veneziani rimasti non si arresero facilmente e, come
sostiene il Giucciardini, senza voltare le spalle al nemico morirono nel luogo
ove si trovavano.
La battaglia termino attorno alle 18 del 14 maggio 1509, rimasero sul
campo 14.600 (così riportava la lapide della chiesa fatta erigere sul luogo da
Luigi XII). Il bottino fu cospicuo: vari pezzi d’artiglieria di diverso
calibro, armi, munizioni, centinaia di prigionieri e vari valenti comandanti
tra cui l’Alviano che rimase nelle mani dei francesi per quattro anni. Il 16
maggio il re francese lasciò Agnadello alla volta di Pandino e poi di Crema;
per i veneziani la guerra era ormai perduta. Gli storici sono concordi nel
sostenere che due furono i sostanziali motivi della sconfitta di Venezia: da
una parte l’esuberanza dell’Alviano dall’altra la titubanza del Pitigliano.
La battagli di Agnadello diede vita ad un lungo processo di decadenza
della Repubblica veneziana.
La tradizione vuole che al termine degli scontri Luigi XII sia sceso da
cavallo a messosi in ginocchio ringrazio Dio per la vittoria accordatagli e
diede ordine di erigere una chiesa o una cappella dedicata a “Nostra Signora
della Vittoria” che ancora oggi viene venerata in Agnadello.
Diamo un breve elenco di opere letterarie in cui si possano trovare dei
riferimenti sulla battaglia:
F. Guicciardini Storia d’Italia;
Da Porto Lettere storiche;
Bruto Annali;
A. Mocenigo La guerra di Cambrai;
P. Bembo Istoria Veneziana;
A. Beolco detto Ruzzante Discorso di
Ruzzante che era ritornato dalla guerra.