da: Agorà, n. 5, Anno II, aprile-giugno 2001, pagg.  29-31

Fernando Mainenti: Ibn Hamdis, il poeta del "distacco"

La poesia araba di Sicilia fiorì intorno all'anno Mille ed oltre, con immagini così leggiadre da sembrare illusioni, nello scenario del paesaggio siciliano fervido di una luce abbagliante, immota sulle distese d'oro degli aranceti. Vagheggiamento di mitici luoghi di delizie, sogno verde di palme svettanti sul gelsomino, con l'argento della luna disciolto nelle acque zampillanti delle fontane di "Maredolce".

Il castello reale della Favara, sito nei sobborghi di Palermo in vista del mare, sacro all'emiro Giafàr, era infatti circondato da un lago artificiale detto "Maredolce", in mezzo al quale spiccava, con la sua mole scura, un isolotto con due altissime palme, così che il palazzo veniva a trovarsi nell'illusione di due mitici mari.

Giardino della pigrizia, "Maredolce", fresco fiume d'oblio nel quale la vita dei poeti affluiva e si agitava senza tregua, come il vento di scirocco fra le palme: soggiorno di orientali delizie fra gli spruzzi di nove ruscelli, affascinati dal tramonto e dall'aurora, tra lo smeraldo degli alberi, ai cui piedi pascolavano quieti i fenicotteri rosa e l'ibis sacro.

Il poeta Abd ar Rahmàn così canta la splendida dimora reale: «quale visione offri tu, Favara, eccelso palazzo! Tu, soggiorno di voluttà alle rive dei due mari. Spartesi l'acqua per inumidirti i giardini. Beve l'Amore dai tuoi laghi con delizioso piacere….!».

Nelle magiche sale della "Favara" fra i sognanti riflessi dei mosaici, sbocciarono migliaia di versi di quella mitica epoca, nel seno di quella corte raffinata del principe che, negli allegri conviti delle calde notti siciliane, amava gareggiare con i suoi poeti, ospiti graditi da ogni parte dell'isola.

I lirici arabo-siculi furono cantori d'amore: i loro versi costituiscono una successione incessante di immagini e di sensazioni, sgorgate da un flusso impetuoso e sensuale.

Nel loro canto, con suoni dolci, la parola crea spazi di suggestioni intime, di metafore amorose, permeate da un languore elegiaco.

La qasîda è il componimento poetico nel quale i vaghi amanti della "bellezza" espressero, con una tensione lirica struggente, il loro desiderio d'amore, di ebbrezze, di voluttà senza fine.

Nella qasîda il poeta introduce l'argomento del poema attraverso una prefazione nasîb che successivamente si sviluppa in temi consueti e cari: nostalgia d'amore, le passioni, la bellezza della donna, l'ebbrezza del vino, la gioia dei conviti. Dopo l'introduzione si giunge al vero motivo del carme: il valore in guerra, i momenti di gloria, il lampo delle spade nei combattimenti, il dolore della disfatta, la celebrazione del vino, il canto d'amore.

Ibn Hamdis è il più grande dei poeti arabo-siculi e la Sicilia è "Il Giardino" di Hamdis.

La sua lirica fiorì prepotente e splendida come la fertilità sacra degli aranceti, nel periodo del declino della potenza araba e l'inizio della conquista normanna dell'isola.

Il poeta venne alla luce in territorio di Noto, intorno al 1056 e trascorse in quella città la sua infanzia ed una giovinezza felice. Probabilmente soggiornò per qualche tempo a Siracusa e fece parte di un'elìte che condusse vita agiata nelle ville eleganti circondate dagli aranceti ed illeggiadrite dal profumo dei gelsomini, in notti calde, sonore di musici e danzatrici.

Ma il suo amore di figlio lo legò sempre a Noto: «Dio protegga una casa in Noto, e nubi cariche di pioggia vi affluiscano, la vedo a ogni ora nel ricordo, e a lei invio, le lacrime che verso, mi struggo di nostalgia per la casa, i vicini e la virtù attraente delle fanciulle, chi partendo ha lasciato il cuore, in quella terra, con il corpo desidera tornare…».

E ancora a Noto troviamo il poeta, appena ventenne, accanto all'emiro Benavert, l'eroe musulmano della riscossa del Val di Noto, ultimo focolaio della difesa araba, dopo l'offensiva di Ruggiero che aveva portato i Normanni alla conquista di Catania.

Non sappiamo se Hamdis partecipò alla battaglia lungo il Simeto, nella quale Benavert sconfisse duramente le milizie normanne, capitanate da Giordano, figlio illegittimo di Ruggiero; ma abbiamo una testimonianza poetica al valore dell'emiro Benavert quando questi portò l'attacco musulmano in Calabria.

Passato lo Stretto, dopo una strepitosa battaglia navale, Benavert espugnò e saccheggiò la città normanna di Nicotra e rase al suolo nei pressi di Reggio le splendide chiese di S. Nicolò e di S. Giorgio, non risparmiando neppure il monastero di clausura della Madre di Dio a Rocca d'Asino.

Ibn Hamdis rivendica con orgoglio il valore dei cavalieri musulmani di Noto in una qasîda in cui canta dei Normanni: «…nemici della fede, percossi nei loro focolari, dalle navi piene di leoni e lancianti fuoco, che vengono a saccheggiare le città dei Barbari, de' guerrieri dalle luccicanti maglie di ferro, i quali se ne tornan con l'armadure squarciate dalle sciabole musulmane…».

Hamdis lasciò presumibilmente la Sicilia nel 1079 prima dell'occupazione di Noto (1086), ultima roccaforte musulmana a cadere nelle mani dei Normanni; ma la qasîda in cui esalta il valore dei cavalieri siciliani è del 1078; quindi, ragionevolmente, si può ritenere che fosse ancora in Noto e che lasciò l'isola dopo quella data, quando...

 

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