Consiglio di Medici ed Ostetriche Indigene Tradizionali del Chiapas (COMPITCH)
Consejo de Médicos y Parteras Indígenas Tradicionales de Chiapas (COMPITCH)
compitch@hotmail.com

Contributo presentato alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sul Razzismo, la Discriminazione Raziale, la Xenofobia e le Forme Connesse di Intolleranza
Durban (Sud Africa) 28 agosto – 7 settembre 2001

Buon giorno, sorelle e fratelli dei popoli, delle organizzazioni sociali, delle organizzazioni che chiamano multilaterali, signore e signori dei governi, signore e signori che prendete nota e fate foto affinchè coloro che mai vedono, possano vedere.

Vi racconteremo una storia di discriminazione e sopruso che abbiamo sofferto e vi proporremo, nei dieci minuti che ci sono concessi, alcune alternative perchè ci&ograv! e; non si ripeta, speriamo. Ci perdonerete se l’intervento non sarà completo però per noi è molto difficile spiegare il nostro caso ed ancora, presentare alternative in così poco tempo.

Prima di iniziare, vi informo che io sono quì perchè la direzione del Consiglio delle Organizzazioni dei Medici e delle Ostetriche Tradizionali del Chiapas, il COMPITCH, lo ha deciso e ciò significherà che le mie parole saranno quelle dei medici e delle ostetriche che fanno parte delle 13 organizzazioni del Consiglio.

Non vengo quindi solo, ma accompagnato dal cuore di tutti loro, perchè il caso che vi racconterò ha coinvolto tutti, comunità comprese, mettendo in pericolo le basi minime della convivenza collettiva dei nostri popoli ed anche i diritti di altri popoli e persone come voi che siete venuti quì perchè di tutti sono le risorse che si utilizzano per curare la salute, indipendentemente dal! la forma e dalla tecnica di come si preparino e dal lavoro che comportino, perchè quest’ultimo è proprio di ogni cultura.

Questo volevo chiarirvi perchè quando mi ascolterete capiate che quando io vi parlerò, sarà la narrazione di un atto commesso, fondamentalmente, non contro l’ostetrico Arturo Gómez, che sono io, nè contro il COMPITCH, che mi ha mandato quì, ma contro le comunità indigene che serviamo e che ci hanno consegnato in custodia le loro risorse e le loro conoscenze perchè le utilizzassimo a favore di quanti ne avessero bisogno.

Due sono le offese che ci sono state fatte direttamente, due le tristezze e le arrabbiature che conserva il nostro cuore indio, la prima sorta dal progetto di bioricerca che ci sono venuti ad offrire; la seconda, la più grave, nata non solamente ostentazione di superiorità e dal disprezzo con cui da 500 anni ci trattano questi cattivi governi e coloro! che li comandano (i grandi imprenditori), ma anche dalla paura di perdere i loro affari lucrosi e privilegi se la nostra parola fosse rimasta nella loro legge, come diritto dei nostri popoli.

Il progetto di bioricerca statunitense, chiamato ICBG MAYA, è stato presentato alla nostra organizzazione con l’inganno, per approfittare delle piante medicinali e delle nostre conoscenze tradizionali ad esse associate. I suoi partecipanti: l’UNIVERSITA’ DELLA GEORGIA, un laboratorio inglese chiamato MOLECULAR NATURE LIMITED e le autorità di un centro pubblico di ricerca, chiamato ECOSUR. Loro ci hanno invitato a riunire le comunità per convincerle a realizzare la raccolta, sebbene mai ci avessero detto le ragioni esatte dei loro propositi e le basi della loro associazione, nonostante noi avessimo loro chiesto di farci pervenire informazioni per sapere nei dettagli di che cosa si trattava e decidere, quindi, se starci o no.

Un contatto all’interno del governo! ci fece però arrivare l’accordo del progetto e quindi scoprimmo alcune cose come, per esempio, che volevano ottenere le risorse genetiche della biodiversità chiapaneca per ottenere applicazioni medicinali, patentarle e poi sfruttarle commercialmente e che, per questo, si sarebbero avvalsi delle conoscenze tradizionali dei popoli, che le comunità avrebbero avuto diritto a regalie sotto forma di progetti destinati alla continuazione di una produzione (a vantaggio del consorzio ICBG MAYA) ed anche a fitomedicine ottenute dalla ricerca.

L’utilizzo però sarebbe rimasto vincolato alla autorizzazione del consorzio sotto la facciata di una associazione neutrale chiamata PROMAYA, di cui l’Università della Georgia era padrona della produzione intellettuale dei suoi impiegati.

Così bisogna anche che voi sappiate che il dottor BRENT BERLIN, che da quarant’anni si trova in Chiapas raccogliendo dati e compilando registri nell’ambito delle n! ostre conoscenze, è il lider di questo ICBG MAYA, nonchè impiegato della Università della Georgia.

La versione in inglese dell’accordo, poi, non coincideva con la versione in spagnolo posta al lato sinistro dello stesso accordo, e che in una di queste parti che non coincideva in inglese, si dice che le attività del consorzio risultano sottoposte alle leggi federali degli Stati Uniti d’America.

Allora i nostri assessori hanno cercato le basi stesse del progetto (RFA TW 98 001) e lì abbiamo scoperto ulteriori discriminazioni e soprusi; per esempio, che l’obiettivo di tutto l’ICBG era ed è quello di trovare medicine importanti per i programmi di salute pubblica degli Stati Uniti o dei paesi sviluppati, però solamente quelle d’importanza primaria nei paesi in via di sviluppo; che con i materiali raccolti si sarebbero cercate anche applicazioni veterinarie, industriali, agricole, cosmetiche ed altre di interesse per gli Stati! Uniti; che la nostra conoscenza tradizionale era parte del loro patrimonio culturale; che qualsiasi applicazione scoperta con potenziale commerciale sarebbe stata coperta da segreto e posta in deposito nella “Amministrazione di Alimenti e Medicine” fino a che loro non l’avessero patentata, sebbene la proprietà dei materiali biologici raccolti e l’informazione ottenuta associata veniva lasciata al paese in via di sviluppo, costretto però, a continuare questo lavoro di raccolta; che avrebbero addestrato i loro ricercatori nelle nostre terre in aree esclusive della nostra conoscenza tradizionale; che avrebbero preso solamente quelle risorse e conoscenze tradizionali dalle quali avrebbero potuto trarre vantaggi; che le regalie alle comunità sarebbero finite in progetti per obbligarle a lavorare nello stesso ambito, sempre e quando queste avessero conservato e consegnato puntualmente ed efficacemente i materiali che il consorzio avrebbe loro richiesto; che l! e nostre autorità avrebbero dovuto accettare e riconoscere i propositi e le basi di questo “appello” a formare gruppi che, a torto, definiscono di “cooperazione internazionale in biodiversità”, dove la cooperazione consiste nel “cooperare”, appunto, ai loro profitti.

Saputo tutto ciò, abbiamo chiesto ai signori del Consorzio – Ecosur ed al suo lider, il Dottor Brent Berlin - che sospendessero il loro progetto in ragione, per prima cosa, che non c’era nel nostro paese una legge che regolasse lo sfruttamento commerciale delle risorse genetiche; secondo, che si trattava di una risorsa universale e che, per tanto, era necessario consultare tutti/e per decidere le basi ed i termini del loro sfruttamento e, terzo, che il loro contratto abusivo implicava la sottomissione alle leggi di un altro stato.

Incuranti della nostra segnalazione, costoro raccolsero le firme delle autorità di cinquanta comunità dell’Alto Chiapas ed allo stesso modo ten! tarono di fare in altre regioni, da dove io stesso provengo.

Allora ci siamo arrabbiati e li abbiamo denunciati alla autorità ambientale perchè sospendesse il progetto e li sanzionasse. Però, invece di ciò, l’autorità ci ha convocati per fare pressione su di noi, affinchè accettassimo il progetto, dicendoci che questo progetto era quanto di meglio potesse accadere al paese, che era molto giusto e profittevole per le nostre comunità però che se volevamo, ci avrebbero dato di più.

Ci siamo rifiutati di venderci, di legittimare il sopruso, di dare l’avallo in nome dei popoli del mondo, possessori legittimi delle risorse genetiche.

Siamo allora passati alla stampa ed alle comunità per informare di questi soprusi e delle complicità dell’autorità. Siamo anche stati nelle comunità vinte da questi, per sapere perchè avevano accettato il progetto.

In queste comunità ci! dissero che quelli del ICBG Maya erano arrivati ad offrire loro di curare le malattie, affermando però che per questo era necessario che si ottenesse il coinvolgimento della gente nella raccolta delle piante medicinali della zona. Dissero anche loroche il consorzio le avrebbe portate in Gran Bretagna, da dove sarebbe uscita la miglior medicina che sarebbe, poi, stata riportata nuovamente alle comunità.

Mai dissero loro che gli Stati Uniti avevano a che vedere con questo progetto o che questa medicina prodotta fuori sarebbe rimasta in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.

L’indignazione e l’opposizione al progetto iniziò a crescere tanto nelle comunità che l’autorità ed il consorzio dovettero sospenderlo ufficialmente sebbene non se ne andarono senza prima affermare che il conflitto con il COMPITCH non era venuto dai propri medici e ostetrici ma da alcuni assessori non indigeni.

Su questa ripetuta segnalazione, vogliamo chiarirvi che ! non siamo nè sprovveduti, nè indios furbastri. I nostri assessori sono sottoposti alla nostra autorità e noi badiamo di più all’orientamento dei passi delle persone che non al colore della loro pelle o alla loro origine. E’ così che tra tutti, medici, ostetriche e assessori, indigeni e non, abbiamo definito la strategia e le proposte presentate; tra tutti, perchè di tutti era l’interesse ed il diritto, perchè comuni e chiari erano i principi delle persone coinvolte.

Nel razzismo e nella ostentazione di una superiorità tutelante bisogna cercare le origini degli interessi che suppongono che noi indios possiamo lottare, però mai con efficacia, per un foglio di cartone da avere come tetto e mai, però, per la nostra liberazione.

Non è nè di adesso nè solamente per una questione come la biopirateria o l’inganno o il sopruso neocoloniale che stiamo lottando ed organizzando la nostra res! istenza a seconda delle circostanze e dei mezzi che ci danno e ci obbligano ad utilizzare, la nostra secolare resistenza si basa sulle decisioni collettive di rimanere uniti, nella considerazione degli altri come fratelli, nelle parole sincere, nel rispetto della terra che è madre e compagna e che dobbiamo conservare e rispettare e non vederla come un oggetto nè una proprietà da sfruttare e esaurire, come suggeriscono la cupidigia e la superbia.

Volevano prenderci soli e sottomessi, renderci complici a buon mercato del loro saccheggio, della loro politica di una sovranità monca e venduta, così come stanno facendo con altri popoli, della riconfigurazione dei concetti di diversità biologica e culturale, del prevedibile crollo della comunità a cui ci avrebbe condotto un simile progetto, anche perchè da questo ne avrebbero tratto beneficio poche comunità, sia perchè avrebbe rafforzato l’egoismo utilitaritis! ta, sia perchè ci avrebbe integrato socialmente ai loro sistemi delle patenti, della proprietà intellettuale e dei marchi ed a tutte quelle forme di appropriazione e discriminazione che hanno portato dolore e disuguaglianze alle società cui sono state imposte. Per concludere, volevano piegarci per obbligarci a prendere il posto nel mondo che loro ci avrebbero assegnato e dal quale avremmo ricevuto le loro istruzioni.
 
Con il nuovo governo federale pensammo che le cose sarebbero cambiate perchè così ci avevano promesso le autorità ambientali federali, in una riunione che si tenne il 25 gennaio, presso Palenque. Lì accordammo che tra i popoli indigeni e la società avremmo organizzato, senza l’intervento del governo, riunioni e dibattiti per raggiungere un accordo su quali sarebbero dovute essere le basi per lo sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche e che il governo avrebbe ottenuto il proprio acco! rdo per suo conto e che poi, noi, come società, ed il governo ci saremmo seduti per ottenere un accordo di consenso che definisse il contenuto di una possibile legge di accesso alle risorse biologiche e genetiche.

Un mese dopo questa stessa autorità ci manda a dire che sono cambiate le formule: adesso è il governo che determinerà per primo il proprio accordo e che poi verrà quello della società e dei popoli, dove, però, sarà il governo stesso ad organizzare anche quest’ultimo incontro in tutte le sue fasi e che la linea sulla quale verterà la discussione sarà precisamente stabilita dal governo.

Protestammo per il mancato compitmento della parola data, ma non ci risposero.

Due mesi più tardi e quattro mesi prima che terminassero i lavori legislativi, il Partito di Azione Nazionale (PAN), il partito di quelle stesse autorità, presenta al Senato una iniziativa di legge per l’accesso all! e risorse biologiche e genetiche, comprendendo le conoscenze tradizionali ad esse associate, senza avere consultato e definito preventivamente il loro contenuto con i popoli e le comunità indigene, così come invece ordina il Trattato 169° della Organizzazione Internazionale del Lavoro, ratificato da questo stesso organismo legislativo.

Gli accordi di San Andrés Larráinzar.

Un giorno dopo che si presentasse questa iniziativa di accesso alle risorse biologiche e genetiche, un gruppo di senatori latifondisti, MANUEL BARTLET DIAZ (del P.R.I.) e DIEGO FERNANDEZ DE CEVALLOS (del P.A.N.), presentavano una iniziativa di riforma sui diritti e sulla cultura indigena, in senso contrario agli Accordi di San Andrés che settimane prima era stato loro presentato. C’erano voluti anni di preparazione e sofferenze, di lavoro ed insonnie, per riunire in un documento unico, firmato dal governo, quei diritti minimi per i popoli, diritti che sono per a! ltro già contenuti nel Trattato 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro, che è legge nel nostro paese.

Attraverso questa legge costituzionale avremmo potuto porre un freno formale al sopruso ed all’avidità, al fatto di non domandarci mai nulla, a quello di comandarci sempre senza sapere nè chi lo fa nè perchè lo fa, a quello di imporci uno sviluppo che solamente beneficia e rafforza altri, a tutto ciò che ci nega un luogo per essere diversi, per non essere sottomessi al sistema attuale che non riconosce ed anzi condanna la nostra medicina tradizionale, all’affanno di rendere tutto merce, al sistema che giudica e regola la nostra vita con leggi scritte che disconosciamo, all’egoismo che lacera la cooperazione e la diversità con cui viviamo la nostra vita comunitaria.

E, nel negare i nostri diritti, ci negano ed al tempo stesso ci ricordano che al di là dei colori e delle sigle, di fronte agli indi! os o ai diversi, di fronte a coloro che resistono e lottano per un luogo per tutti, il potere del denaro e la superbia saranno sempre uniti e disposti a non concederci alcun diritto, nessun rispetto, nessun luogo dove poter crescere, o essere esempio, cacciandoci sempre dai propri domini.

Oggi più che mai siamo solamente di loro, ma anche carich dei nostri valori. Abbiamo già fatto la diagnosi, abbiamo già visto che non c’è rimedio. Allora, che fare?

Da parte nostra, vanno alcune proposte perchè insieme alle vostre possiamo trovare, tra tutti, le nostre buone strategie.

Proposte alternative

Per affrontare e superare la discriminazione e l’esclusione, per rimanere completi, vale a dire, per rimanere tutti: gli indios, però anche le minoranze, le maggioranze escluse e sfruttate, la terra stessa ed ancora i responsabili di questa esclusione e questo sfruttamento, il Consiglio di Medici e Ostr! etiche Indigene Tradizionali del Chiapas (COMPITCH) propone:

1. Recuperare le ceneri della memoria, bruciata dal potere della cupidigia e del denaro, ed il nostro passo. Questo ci serve ancora. Dobbiamo poi trasformare ciò che a causa del tempo ha perso di attualità, per tornare a procedere stabilmente;

2. Percorrere la nostra autonomia, come di per sè già facciamo, con o senza il permesso del potere, con o senza le leggi e gli accordi che obbligatoriamente passano per i loro spazi e la loro parola e mai per i nostri e la nostra parola. Sviluppare strategie alternative di resistenza attiva in cui l’elaborazione e l’articolazione di proposte alternative consensuali con il maggior numero possibile ed opportuno di gruppi, organizzazioni e popoli, costituiscano il loro asse portante. Conseguentemente con quanto scritto sopra, incorporare ogni volta un maggior numero possibile di popoli, settori, gruppi ed organizzazioni nella pianificazione, ela! borazione, esecuzione e supervisione dei principi e delle strategie di organizzazione e lotta così come a quella di proposte alternative in tutti ed in ognuno dei diversi argomenti che, per loro natura universale, in qualche modo coinvolgono il divenire degli altri, in particolare, per quanto concerne temi relazionati con la salute, l’educazione, il lavoro, l’alimentazione, lo scambio, l’uguaglianza e la fraternità di tutte le donne e tutti gli uomini, la terra, la biosfera, la diversità biologica e la diversità culturale, la democrazia, la giustizia, la pace e la libertà.

3. Una azione complessa e flessibile nelle nostre lotte e proposte, sapendo che la vittoria o la proposta ad un determinato argomento o per un gruppo, non costituiscono un obiettivo ma una strategia, cioè solamente una battaglia ed una soluzione, dal momento che nessun tema o attore nella lotta o nella costruzione di opzioni è isolato ma, anzi, è s! trettamente legato a tutti gli altri temi e gruppi che lottano e propongono. Per queste ragioni, appoggiaremo, nel modo e con l’intensità che ogni organizzazione o popolo determinino in coscienza, al resto delle lotte ed elaborazioni di proposte, vedendoci nel dolore e nella speranza di tutti gli altri con i quali aspiriamo ad essere e ad agire coerentemente.

4. Riunire gli altri perchè ci conoscano, anche coloro che storicamente sono responsabili della nostra povertà ed emarginazione, perchè vengano tra i nostri popoli, nelle nostre terre e noi alle loro, perchè vivano e camminino come noi facciamo e noi possiamo vivere e camminare come loro fanno, anche solo per un tempo, purchè fatto con sincerità; che ci conoscano nella nostra parola e nelle nostre scelte, per poi vedere in che modo possiamo camminare insieme, con che livello di autonomia, e che cosa sia senza futuro, per migliorare ed arricchirci.

5. Formare moltipl! icatori comunitari nelle più diverse, sebbene, per ora, inaccessibili ed incomprensibili tecniche, temi ed argomenti di interesse locale, regionale e globale, non solamente per trasmettere con una certa frequenza e rendere più spedita e chiara l’informazione verso i nostri popoli e comunità, ma fondamentalmente, per livellare, a partire dai nostri processi e, con la nostra stessa gente, indios e contadini, l’informazione e la sua comprensione precisa del contesto, perchè il potere non ci sorprenda come estranei alla sua parola e così gli risulti più difficile ingannarci o dividerci, come vorrebbe, abusare di noi; però anche per crescere con coloro che hanno o portano fino a noi la loro parola sincera e di cooperazione tra fratelli; affinchè, una volta che abbiamo assunto il controllo di questo processo, possiamo integrarci pienamente ed una volta per tutte a questa tanto “importata” e “sospinta” globalizzazione, per&ogr! ave; in un modo trasparente e democratico, partecipativo ed equitativo e dove la diversità e la cooperazione solidarie siano i semi e la radice che fondino tutte le nostre relazioni.

6. La formazione di reti regionali – locali, nazionali ed internazionali – di monitoraggio autogestito, per scoprire, registrare, analizzare e valutare, attraverso consigli di assistenza autonoma, piani, progetti ed azioni dei governi, delle corporazioni o dei centri di ricerca a loro affini, che vengano o si propongano ai nostri popoli e comunità, con l’obiettivo di sfruttare le risorse, di sviluppare alcun programma o incidere in qualche modo nella nostra vita.

1.6 bis Rendere operative le consultazioni previste dal Trattato 169° della Organizzazione Internazionale del Lavoro, mediante la creazione di consigli o commissioni indipendenti proposte dagli stessi popoli e comunità, affinchè i loro aggiustamenti ai postulati di questa convenzione possano valutar! si almeno in quattro sensi: 1. Che l’informazione offerta dagli informatori sia completa, comprendendo la visione del contesto, i precedenti e la traiettoria dei proponenti, le esperienze comparative ed i possibili scenari; 2. Che sia pienamente comprensibile per i destinatari; 3. Che ciò che si presenta includa tutti gli interessati o coloro che ne vengono coinvolti; e 4. Che quanto proposto non deformi o vada contro una cultura, le sue istituzioni, i suoi principi o le proprie forme di vita comunitaria;

7. Come medici, ostetrici e ostetriche indigene tradizionali, proponiamo, anche, un progetto autonomo sulla salute che, basato sulle risorse che conosciamo e controlliamo, si leghi, a partire dalle nostre necessità e processi, alla medicina occidentale, che prenda da questa quello che ci serve, come vuole prenderlo, anche come hanno fatto i nostri fratelli del Sud Africa o mediante altre scekte, nell’esercizio del nostro diritto alla vita, e che getti tutto! ciò che non serve; affinchè possiamo crescere sani, rafforzare e condividere ogni volta con più persone e gruppi solidali e bisognosi anche di salute, le nostre conoscenze e risorse che, d’altra parte, noi solamente abbiamo per custodirle e che ci sono state raccomandate dalla nostra sacra madre terra.

8. Proposte alternative ai signori del Potere ed alle parole non sincere. Questi signori ci hanno imposto il loro sistema di dominazione che solamente beneficia loro, a pregiudizio crescente del resto della umanità e della biosfera.

Se non rinunceranno alla struttura delle loro relazioni sociali, sarà storicamente impossibile, nel medio-lungo periodo, che ci rispettino in ciò che in questi dibattiti o nelle nostre stesse lotte eventualmente possiamo loro conquistare, dal momento che è più che noto che eventuali successi legislativi o sociali non saranno per loro che una caduta e che, successivamente alla tregua nec! essaria per riaggruppare le loro forze, torneranno alla carica, già con i fianchi coperti.

Consentire questa realtà di momentanei risultati che il tempo sempre ci rende con maggiori dolori e distruzioni alla nostra storia, solamente rende più difficile e più lontano il momento in cui la nostra resistenza avrà passo. E’ quindi urgente il dialogo e la transizione con loro, per trattare le basi materiali ed effettive con cui fissare le nuove forme di convivenza universale. Proponiamo quindi loro:

8.1 Che cambino il loro cuore;

8.2 Que siano sinceri, con gli altri e con se stessi, al di là della loro proposta. Che la loro parola torni ad essere parola vera e degna di rispetto perchè si possa valutarla ed in questo senso accettarla o  rifiutarla, tra tutti coloro che oggi danneggia;

8.3 Che cambino la loro forma di vita basata nel saccheggio e nello sfruttamento degli altri, che rinuncino a fare proprio il mondo o ! a presiederlo sotto le proprie leggi e valori, che ritornino ad essere piccoli come lo è la natura di tutte le cose che sono grandi;

8.4 Che cerchino una loro nuova forma di vita. Se la natura creò migliaia e migliaia di forme di vita che possono convivere in uno spazio relativamente piccolo ed ancora se tra popoli diversi si riproduce questa coesistenza, non crediamo che non esista per loro un altro cammino a quello che hanno scelto.

Noi, se volete, mentre riflettete su questa scelta, possiamo offrirvi la nostra esperienza che non è altro che quella di camminare attraverso le terre come chi gira per casa propria: prendendo da essa solo ciò di cui ha bisogno, per essere persone e restituire ad ella di più. Così parlano gli stessi ricercatori dei nostri primi avi che fecero arricchire le altre specie ed ancora, con le stesse, arricchirono la diversità dei boschi che abitarono.

* Sulla proposta di compensazione per ripa! rare ai danni e pregiudizi causati ai popoli originari dai processi di devastazione coloniale ai quali furono sottoposti dalle metropoli, se alla fine c’è consenso tra i popoli e le organizzazioni sociali, appoggiamo questa proposta.

Però chiediamo che si chiarisca che questa iniziativa e la loro eventuale attivazione in nulla cambiano i nostri futuri ed in questo senso, nemmeno cancellano la memoria dell’offesa, dal momento che non impegna il capitale ed i suoi governi metropolitani a realizzare cambiamenti nella struttura egemonica, depredatrice e legata alla rendita del proprio modello che così rimane intatto e mantiene, sotto nuove forme, le cause e gli effetti della discriminazione e dello sfruttamento, senza misericordia di vite e risorse.

Speriamo che questa richiesta compensativa e la sua eventuale accettazione da parte dei potenti, d’altra parte insignificante per le loro ricchezze ed i danni e pregiudizi che hanno causato, non risulti lor! o in termini storici come una maschera di fronte ai nostri popoli ma significhi il proprio ritiro.

Ciò altrimenti, non cambiando nulla, creerebbe un odioso precedente di indulgenza periodica a cui il potere devastatore di turno, senza ulteriori problemi, potrebbe accedere per “saldare” le proprie violenze ed anche, per ottenere quel riconoscimento politico e sociale da parte degli stessi offesi.

 


Progetto di Difesa Integrale dei Diritti Umani

L'obiettivo della Solidarietà non è quello di fare cose impossibili,
ma di unire forze, creare sinergie, perchè le cose impossibili siano possibili.