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Indice di Neopsiche Anno 2 / N°3 / Giugno 1984


Trascritto dalla Dott.ssa Claudia Carrato

La parabola degli otto giochi
manageriali ricorrenti.

S. H. Hermann e M. Korenich traduzione di Pieralberto Dal Pozzo

Lorenzo Priarone ha procurato per Neopsiche questa parabola dedicata a consulenti e managers:
essa fa parte del libro "Autentic Management: a Gestalt orientation to organizations and their development" di S. H. Hermann e M. Korenich (Addison Wesley 1977), tradotto in italiano da Pieralberto Dal Pozzo e non ancora pubblicato

Un giorno che stava piovendo e non c'era molta gente all'aeroporto, un uomo semisaggio dotato di idee arrivò a Castel Sant'Organizzazione. Era chiamato consulente. Ed era semisaggio perché sapeva molto su certe cose, mentre era del tutto ignorante di altre, ma non sempre sapeva quali sapeva e quali no. (Se l'avesse saputo, sarebbe stato veramente saggio).
All'aeroporto, l'uomo semisaggio dotato di idee fu avvicinato da un altro uomo semisaggio d'azione, chiamato presidente.
Dopo i reciproci convenevoli e un pasto costoso e piuttosto pesante, come conviene in simili circostanze, entrambi i semisaggi si recarono nell'ampio ed elegante ufficio del semisaggio d'azione e ivi sedettero per discutere.
"Sono gravemente preoccupato, o
consulente", disse il presidente, "e questo è il motivo per cui ti ho mandato a cercare superando molte miglia e molti confini".
"Me lo aspettavo", replicò saggiamente il consulente, accendendo una pipa dal bocchino ricurvo che lo faceva apparire ancora più saggio. "Dimmi il tuo problema che io ti ascolterò".
"Nella mia azienda", disse il presidente, "ci sono molti managers che, quotidianamente, debbono incontrarsi per decidere circa gli svariati problemi che sorgono. Se le loro decisioni sono buone, l'azienda prospera; altrimenti, l'azienda ne soffre".
"Lo stesso accade in parecchie aziende da me visitate" disse il consulente.
"Vero", disse il presidente, "ma qui succede qualcos'altro, o, più correttamente, non succede. Troppo spesso, i manager di questa aziende non prendono decisioni né buone, né scadenti. Anzi, non decidono affatto. Per cui, l'impresa soffre tanto quanto - e, talvolta, temo di più - che se le decisioni fossero scadenti. Dimmi, o consulente, se puoi, qualche cosa che a te sia noto di questo problema e che io possa trovare utile".
"Io", disse il consulente aspirando lentamente il fumo dalla sua pipa ricurva, "ti parlerò degli otto giochi manageriali, e tu potrai giudicare se ciò è utile o no".
"Lo farò", replicò il presidente, "perché la tua consulenza mi costa molto ed è giusto che le tue parole siano utili".
E' così, il semisaggio chiamato consulente cominciò. "Il primo gioco si chiama
Necessità di dati supplementari".
E' un gioco delicato ma non difficile. Quando si deve effettuare una scelta fra due alternative e questa non è chiara, il dirigente può pronunciare parole come: "le informazioni sono carenti" o "si deve aspettare fino a che gli orientamenti del mercato saranno più chiari" o "il lavoro di staff, qui, è insufficiente per qualità e quantità". Così, giocando la Necessità di dati supplementari, i dirigenti possono facilmente differire la decisione della scelta".
"Ah, perbacco." esclamò il presidente. "Ho visto fare questo gioco la settimana scorsa in uno dei nostri reparti. Me lo voglio annotare in modo da osservarlo più da vicino, la prossima volta". E si segnò il primo gioco.
"Il secondo gioco," disse il consulente, "è chiamato
Non avrebbe dovuto verificarsi in prima istanza. E' un gioco particolarmente adatto quando si affrontano emergenze difficili e spiacevoli. Quando il dirigente non può escogitare rapidamente soluzione al problema, può dire, "Se il mio predecessore, o il mio capo (o chiunque altro convenga) avesse fatto il suo lavoro con maggiore competenza, questo problema non sarebbe sorto. Una variazione del gioco è chiamata Non è affar mio, è vostro, e può essere applicata fra reparti".
"Sì," sospirò il presidente, "entrambe le versioni le ho viste giocare in azienda. Per me non sono nuove, me le annoterò lo stesso, in modo da ricordarmele". E trascrisse il secondo gioco.
"Il terzo gioco," continuò il consulente, "si chiama
Potere, potere, chi detiene il potere? e il più delle volte viene utilizzato nei comitati e nei gruppi di studio. Quando si deve intra-prendere un'azione richiedente in maggiore o in minor grado un certo allontanamento dalle procedure standard o un cambiamento delle politiche convenzionali, i membri del comitato possono pronunciare parole come, "Sì, penso che sarebbe una buona idea, ma vorrei prendere qualcuno in alto per scuoterlo un pò " o "Bene, si potrebbe fare, salvo che nessuno in questo gruppo ne ha l'autorità". Tra l'altro, questo gioco può essere fatto a qualsiasi livello organizzativo. Ho visto vice presidenti molto abili, e, pur non avendovi mai testimoniato, non mi stupirei che anche i capi ne giochino una versione".
"Ho sentito parlare indirettamente anche di questo gioco", disse quasi subito il presidente, "Me lo annoto, mentre mi parli del quarto".
"Il quarto gioco," disse il consulente, "è noto come
Titubanza".
La Titubanza è un gioco sottile che richiede più abilità e tempismo degli altri. Tuttavia, ha il vantaggio di essere visibile soltanto ad occhi assai acuti. L'oggetto del gioco è che il gruppo, desiderando una presa di decisione, oscilla avanti e indietro fra due o più decisioni alternative, senza mai giungere ad una conclusione. Ovviamente, il culmine dell'abilità è di osservare fino a che punto si può arrivare vicino alla decisione, pur non prendendone mai una. Per cui, sia all'osservatore, sia, a volte,, anche ai membri stessi del gruppo, le deliberazioni appaiono convincenti, rilevanti e avvedute, salvo che, all'ultimo momento, i componenti dirottano su un altro sentiero. I giocatori di Titubanza con calibratura da campioni possono far durare questo gioco per settimane, se non per mesi".
"Hmm." disse il dirigente, "ricordo di aver presenziato un pò ad una riunione dei miei capi divisione. Stavano discutendo dell'investimento di capitale, senza mai portare del tutto a termine le loro discussioni. Se non vado errato, giocavano, quindi, a
Titubanza. Mi segno anche questo gioco".
"Che cosa penserà Harry," disse il consulente, scuotendo via la cenere dalla pipa, "è il nome del gioco ricorrente numero cinque. E' assai semplice e può essere svolto da un qualsiasi numero di giocatori. Non ha neanche bisogno di un cortile o di un campo speciale. Laddove, fra i dirigenti, coraggio e fiducia sono bassi, mentre l'ansia e il sospetto sono alti, un'azione può essere differita almeno per un pò chiedendosi che cosa ne penserebbe Harry. Harry può essere un superiore, o, anche, un collega, e nessuno, ovviamente, si prende la briga di chiedere a Harry che cosa ne pensa, poiché ciò rovinerebbe le finalità del gioco. I giocatori invece, speculano sulla sua reazione per trovare, in tal modo, svariati motivi tali da evitare, per un pò, di raggiungere una conclusione. Se i giocatori desiderano estendere il gioco, sono disponibili opzioni, in quanto, una volta superato il problema di che cosa ne penserebbe Harry, possono chiedersi che cosa ne penserà Martin, Roy e John".
"Già, infatti", sorrise il presidente, "e anche Pietro e Paolo e San Sebàstiano. Assai spesso ho visto fare questo gioco e mi ha dato molto fastidio". E aggiunse all'elenco il quinto gioco.
"Il sesto gioco," disse il consulente, "è chiamato
Già, ma... e, spesso, è un gioco competitivo. Fondamentalmente, il gioco si fa in due colpi. Il giocatore numero uno propone un'idea, o la soluzione di un problema, o un'azione da intraprendersi, e il suo oppositore risponde, "Già, ma..." per poi snocciolare uno o più motivi per cui l'idea, la soluzione, o l'azione non sono del tutto adeguate, ovvero, sono state già provate ed hanno fallito. Questo gioco viene spesso fatto dai membri di un gruppo come risposta a idee proposte da altri fuori del gruppo.
Se ben giocato, quelli del gruppo possono resistere con successo alla penetrazione di idee nuove.
C'è anche un'altra interessante versione, assai spesso giocata da chi chiede aiuto o consiglio ad altri, pur essendo contemporaneamente ben determinata a non modificare i propri stili attuali. Come il consiglio viene dato dal giocatore due in risposta alla richiesta apparentemente sincera del giocatore uno, questi "Giamaizza" ogni offerta.
Giocando con abilità, il giocatore "uno" può frustrare una quantità di suggerimenti, sia in contemporanea che in sequenza, fino al punto dell'abbandono, per poi andarsene lamentandosi tristemente che non c'è persona al mondo capace di risolvere il suo problema. Il che, ovviamente, rende il suo problema superiore a qualsiasi altro, della specie "tira-l'acqua-al-tuo-mulino" che ciascuno di noi svolge.
"Bene", disse il presidente, "eccone un altro al quale sono fin troppo abituato a entrambe le versioni. Ci sono due divisioni nell'azienda che rifiutano costantemente le reciproche idee, e ciò da anni. Ed abbiamo un sovrintendente esattamente uguale a quello dell'esempio. Io stesso, molte volte, ho tentato di aiutarlo. Bisogna proprio che mi segni questo gioco".
"Il settimo gioco",
disse il consulente, "è triste. Si chiama Eliminazione e può essere effettuato dal singolo o da un gruppo. Di solito, si gioca quando esiste mancanza di fiducia in una persona o in un'organizzazione e talvolta, anche quando manca la speranza. Il gioco si fa così. Una persona o un gruppo affronta un problema o un'esigenza cui far fronte ed esordisce con un'idea e un approccio. Ma, diversamente dal Già, ma..., non ha bisogno di attendere un oppositore che contesti o diminuisca il valore della sua concezione, lo fa lui stesso. L'Eliminazione è il gioco dell'autosconfitta, il gioco dell'indegnità e della disperazione. Il gioco finisce in perdita ancor prima di cominciare".
"Anche questo l'ho visto fare, proprio qui," disse il presidente, "e il mio cuore era diventato pesante. Mentre lo osservavo giocare, avrei tanto desiderato di poter fare qualcosa". E si annotò il gioco numero sette.
"Prima di andare avanti col gioco numero otto", disse il consulente, "vorrei che tu mi dicessi una cosa, o presidente".
"Sì," rispose il presidente, sogguardando curiosamente dalla sua lista, "che cosa".
"Mi piacerebbe conoscere il tuo parere sull'utilità delle cose che ti ho finora detto. Ciò che ti ho raccontato dei sette giochi è degno della grande quantità di denaro che mi dai?".
"Questa", replicò il presidente dopo alcuni momenti di riflessione, "è una domanda difficile. La tua spiegazione dei giochi è interessante e bene impostata, tuttavia, debbo dire che la maggior parte di essi la conoscevo già, e, per il vero, vedo che questi giochi vengono fatti ogni giorno in quest'azienda". Il semisaggio d'azione fece una pausa di riflessione.
"Sì, devo ammettere che mi è difficile, all'istante, dire se sei degno del denaro o no. Forse la tua spiegazione dell'ottavo ed ultimo gioco farà pencolare la bilancia in un modo o nell'altro".
"Molto bene", disse il semisaggio delle idee, "andrò avanti. L'ottavo gioco è il gioco del
Consulente. Generalmente è giocato soltanto da coloro che sono molto in alto nell'impresa, in quanto solo essi sono in grado di elargire tutto il denaro che il gioco costa. Consulente può essere un gioco utile, purché non giocato troppo spesso, né troppo a lungo. Però, se effettuato in sostituzione del fare ciò che dovrebbe essere fatto, non è per niente utile. Dopotutto, Consulente è un gioco di parole e di ascolto, non un gioco di cose da farsi. Pertanto, signore," mentre parlava, il consulente si chinava verso il presidente, "le mie parole e le tue annotazioni possono essere effettivamente interessanti e ben impostate, ma se tu, con esse, non farai delle tue esperienze aziendali più di quanto hai fatto, il Consulente non sarà un gioco migliore dei sette precedenti".
Il presidente sorrise. "Ora risponderò con chiarezza alla tua domanda," disse, "ciò che mi hai detto vale effettivamente il denaro che ti ho dato".
Quando il giorno successivo, il semisaggio delle idee lasciò il semisaggio d'azione all'aeroporto, la pioggia era cessata e, malgrado nubi ancora oscure si accavallassero pesantemente su di loro, all'orizzonte faceva capolino una striscia piccola ma chiara di azzurro.

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