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Indice di Neopsiche Anno 3 / N° 5 / Giugno 1985

Trascritto dalla Dott.ssa Claudia Carrato

Pagina bianca e blocchi psicologici Diagnosi della leggibilità
di Marialuisa Pisani


RIASSUNTO
Vengono considerati in termini di AT i blocchi psicologici che a volte impediscono, a chi lo desidera, di scrivere. Viene poi considerata la pagina scritta e la sua leggibilità con un test per verificarla. Alcune considerazioni sul lettore completano l'articolo.

ABSTRACT
The author considers i AT terms psychological blocks inwriting, the written page and its legibility and a test to verify it. At the and some consideration on the reader are reported.

Da alcuni anni ho ideato una serie di
workshop dal titolo "Pagina bianca e blocchi psicologici" indirizzato alle persone che vogliono scrivere a che pur avendone le capacità e la competenza non ci riescono. Questi blocchi mi hanno portato a considerare in termini di AT la pagina scritta, lo scrittore, il lettore. Inizio con lo scrittore (inteso qui in senso ampio come colui che scrive) o meglio con la sua voglia di esprimersi.
Parto dalla convinzione che scrivere è come parlare e leggere: una facoltà quindi di ogni persona scolarizzata. Bloccarsi è un segnale di qualcosa di non risolto, un impedimento a volte banale che ne sottintende altri più ampi e significativi. Una comunicazione molto importante che ci dà una parte del nostro io che, se non ascoltata, può comunque riflettersi nella nostra vita in settori più importanti dello scrivere.
E' quindi una buona occasione per guardarci dentro e capire situazioni di copione fino a quel momento non contemplate o sottovalutate.
Una delle ragioni di questi blocchi è dovuta al fatto che in molti casi, quando si tratta di scrivere, le persone tornano inconsciamente sui banchi di scuola e si ricollegano al quadro di riferimento del tema in classe: "il componimento", parola che evoca una situazione di concentrazione faticosa e "pericolosa".
Pericolosa sia per la paura del voto sia per i divieti. In questo campo infatti i "non", il più delle volte, superano di gran lunga le indicazioni di "come si fa", mentre i "si può" mancano del tutto. Sembra addirittura che, trovandosi liberi, le persone si spaventino e si "incapacitino" bloccandosi in un atteggiamento di passiva attesa di nuovi genitoriali "si deve".
Scrivere è esporsi. E' questo può voler dire fare vedere chi si è a un ipotetico giudice che, secondo i casi, prende le sembianze di un insegnante, di un padre o di una madre che si sono temuti, di un fratello con cui si è voluto o non voluto competere, con figure comunque, di cui si cerca ancora l'approvazione e con cui si teme il confronto.
Così in pratica avviene che molti restano, per quel che riguarda lo scrivere, degli scolari o dei bambini spaventati, indisciplinati, sottomessi raramente liberi.
Queste situazioni psicologiche si rafforzano ancora di più nel nostro tipo di cultura dove per lo scrivere possiamo senz'altro individuare un copione del bello stile (non siamo forse il "bel paese dove..."?) In molti casi infatti nell'ora di italiano, di generazione in generazione, si tramanda questo copione da cui solo la perfezione stilistica sembra poterci riscattare.
Così nello scrivere si privilegiano la forma aulica e forbita, i periodi lunghi ed elaborati, le introduzioni tutt'altro che dirette (i famosi "cappelli"), le parole meno semplici per quelle più complicate.
Soprattutto questi accorgimenti vengono dati come valori assoluti e trasmessi spesso in modo genitoriale, tanto da essere poi rivissuti. anche in tempi ben lontani dalla scuola, in un dialogo interno che smorza la sicurezza di sé e di conseguenza la creatività. Quando non si riesce a tener testa a questo dialogo interno esso si traduce in un copione "non" che immobilizza e frena il corso dei pensieri, delle idee, delle intuizioni.
Questo dialogo interno è la causa di buona parte delle
impasse (Goulding 1979) che si riscontrano nella maggior parte delle persone che devono scrivere e che per qualche ragione si bloccano, siano essi scrittori, giornalisti o semplicemente persone che devono fare relazioni di lavoro o persone che vogliono scrivere per proprio diletto (sarebbe il caso di dire per proprio tormento). Ovviamente in questi workshop c'è un concentrato di situazioni: dalla tesi per l'università, al romanzo che non riesce ad andare avanti, dalla sintesi di una "motivazionale", alla novella per bambini.
Le situazioni più facili da sbloccare sono le
impasse di primo grado che richiedono prima di tutto una sdrammatizzazione delle norme rigide ricevute, nuove informazioni e nuovi permessi.
Più importanti dal punto di vista clinico le
impasse legate alle ingiunzioni "non aver successo", "non crescere", "non essere importante", "non superarmi", "non esprimere le tue idee", "non essere originale", "non esporti", e messaggi simili che richiedono, per essere risolti, una buona relazione terapeutica. Questa deve essere stabilita già nel colloquio preliminare e rafforzata con una certa intensità all'interno del workshop, tanto da poter essere internalizzata e trasformata in permesso riascoltabile nel caso in cui l'impasse non fosse stata risolta in quell'ambito.
Alla voce del giudice interno, come in ogni terapia, deve essere sovrapposta quella del terapeuta, affettiva, normativa, informativa o tutte queste cose insieme, a seconda delle varie situazioni personali.
Oltre all'aspetto del rapporto, che è sempre il più importante elemento per attivare il cambiamento, è importante "centrare" il punto su cui fare il lavoro terapeutico. Non troppo profondo se non si ha un contratto continuativo di terapia, non troppo superficiale per poter essere efficace, Questo è un momento importante da cui dipende, più che dalla tecnica che si usa, l'esito del lavoro. In molti casi utilizzo il "sistema ricatto" e una tecnica simile al "taglio dell'elastico" (l'elastico è un termine coniato da David Kupfer e si riferisce a una risposta emotiva intensa che appare sproporzionata rispetto alla causa che l'ha motivata. In effetti la persona non risponde a uno stimolo del presente ma ritorna d un passato in cui rivive una situazione non risolta emotivamente).
Spesso si tratta di
impasse di terzo grado. A volte queste nascondono situazioni cliniche molto complesse non affrontabili nell'arco di due giorni, se non per preparare e per motivare una futura terapia o almeno una maggior consapevolezza delle vere aree del problema. Prima del workshop un colloquio preliminare individuale, in cui richiedo la storia della persona, mi permette di farmi una idea di come impostare un progetto personalizzato all'interno di un lavoro di gruppo. Allo stesso tempo la verifica del grado di disponibilità al cambiamento desiderato mi permette di prevedere, in linea di massima, quante persone sono "pronte" a sbloccarsi, quante probabilmente si sforzano di voler scrivere per rendersi infelici e rafforzare un copione di non realizzazione, e quante anche se sbloccate, non hanno contenuti da esprimere. Alcune persone infatti non saprebbero comunque cosa dire, perché le loro energie sono state fino a quel momento troppo impegnate nella situazione psicologica di copione.
Faccio sempre dei colloqui successivi nei casi in cui lo scrivere e il riuscire infrangono una regola a cui ci si è sottoposti per lunghi anni. Come nel caso delle tesi universitarie interminabili che a volte nascondono situazioni psicologiche più complesse di quanto non sembri e che necessitano quindi di molta protezione, cosa che solo un rapporto continuativo può dare.
Per alcune persone faccio un colloquio dopo alcuni mesi, in cui mi viene portato quanto scritto dopo il
workshop. Molto spesso è un momento emozionante e gratificante che rende tangibile il lavoro fatto e che spesso supera le aspettative di entrambi. Il workshop dell'anno scorso ad esempio, si è concluso con un primo premio a un concorso nazionale di poesia e credo proprio che la persona in questione non l'avesse nemmeno lontanamente vagheggiato. In effetti più che il premio considero estremamente importante il fatto che questa persona si è data il permesso di partecipare ad un concorso, cosa fino a quel momento fuori dai suoi binari.

Dalla pagina bianca ... alla pagina scritta.
Una volta analizzate le ragioni dei blocchi psicologici di fronte ad una pagina da scrivere, il workshop prosegue con una seconda parte che prende spunto dalla pagina scritta e dalla sua leggibilità, per risalire alla storia dell'individuo. Durante il workshop tutti gli esercizi comprese le fantasie guidate finiscono con qualcosa di scritto.
Spesso da poche frasi si intravedono quelli che in AT vengono chiamati
driver o spinte che, presenti in una certa misura nella vita di tutti i giorni (è l'intensità che differenzia la situazione psicologica) si rafforzano in una situazione di stress, come può esserlo per molti lo scrivere.
Per questa ragione la persona pensa più a sé e alla propria credibilità o bravura che alla leggibilità del testo e al lettore a cui dovrebbe voler comunicare qualcosa.
Spesso infatti colui che scrive è, senza saperlo, sotto l'influsso di una idea guida del tipo:

io sono OK se (scrivendo) sono perfetto
mi sforzo
compiaccio
mi sbrigo
sono forte


Questi
driver danno come risultato vari tipi di stili psicologici di scrittura. Dato che le combinazioni sono molte (25 =32) non mi soffermo a dare degli esempi perché occuperei troppo spazio. Posso solo dire che questi stili psicologici di scrittura sono indipendenti dal risultato letterario. Anzi, in alcuni casi, queste caratteristiche psicologiche, ben dosate, possono sbocciare in risultati molto creativi e personali.
Quello che invece mi interessa è far sì che la persona attraverso i propri blocchi e in quello che scrive durante il
workshop, a seguito degli esercizi, riconosca le proprie parti in conflitto e prenda atto di quelle decisioni inconscie negati-ve che gli impediscono di essere "fluido" nella vita così come nello scrivere.
Alcune persone possono prendere, dopo un lavoro di gruppo di questo tipo, delle nuove decisioni a livello Adulto e risolvere così alcuni comportamenti relativi allo scrivere e ad altri aspetti della propria esistenza.
Altre persone, il cui conflitto ha radici molto più profonde e che investono ingiunzioni e decisioni di controcopione molto precoci, necessitano di una ridecisione del Bambino in un momento in cui la persona sperimenta, con la consapevolezza Adulta, episodi "decisivi" della propria vita infantile.
Essere consapevoli di alcune idee di copione permetterà di non utilizzare lo scrivere per rafforzare una idea sbagliata di sé e permetterà alla persona di pensare di più al lettore e al contenuto.
Questo fatto a volte spesso viene sottovalutato e a volte nemmeno preso in considerazione.
Proprio per questo motivo propongo a conclusione del
workshop una formula per calcolare la leggibilità del testo. Come vedrete non ha niente di psicologico ma può essere di aiuto per riportare la persona ad una realtà da cui, molto spesso, scrivendo sfugge.

DIAGNOSI DELLA LEGGIBILITÀ
In occasione di una riunione redazionale di Neopische, Lorenzo Priarone mi aveva parlato dell'esistenza di un "test della nebbia dello scrittore". Ho pensato così di introdurlo alla fine del workshop e dato che ne esistono una decina più o meno validi, ho scelto quello che mi è sembrato il più facile.
E' stato tra l'altro adottato per una inchiesta sui sistemi scolastici di 21 paesi e da alcune case editrici per la scelta dei testi.
E' stato ideato da Rudolph Flesch nel 1946 e da lui prende il nome.
La formula che ci permette di quantificare la leggibilità è:

F = 206,84 - 0,85 S - 1,02 P

F sta per "facilità di lettura". S per "numero medio di sillabe per parola" e P "numero medio di parole per periodo". Questi coefficienti sono stati scelti per la lingua inglese in modo che la facilità di lettura oscilli tra un massimo di 100 e 0.
Più si è vicini a 100 più il testo è leggibile.
Esiste un adattamento per l'italiano, proposto da Roberto Vacca (R. Vacca 1965) in alcuni articoli apparsi su Tutto Libri, che semplifica la formula e la rende più pertinente alla nostra lingua.
Essa è:

F = 206 - 0,6 S - P

Vediamo come si applica.
Per un articolo si selezionano a caso almeno 5 campioni che iniziano con un capoverso di cui si contano le prime 100 parole. Anche i numeri o lettere separate salgono come una parola mentre le parole unite con un trattino sono come una parola sola. Si prosegue contando il numero medio di sillabe per 100 parole tenendo conto che i numeri si calcolano in base alla pronuncia (ad esempio: mille uguale due sillabe). Quanto ottenuto si moltiplica per 0,6. Si contano poi quante parole hanno in media le frasi contenute nelle 100 parole di ogni campione. Ultima operazione: dal valore fisso 206 si sottraggono i due valori risultanti dai conteggi precedenti.
Ed ecco abbiamo un'idea della leggibilità!
Per chi ha un calcolatore suggerisco una formula ancor più semplificata messa a punto dal Dr. Federico Enriques della Zanichelli. Questa formula conteggia le lettere invece che le sillabe per facilitare l'opera del computer.
La formula è:

206 - 0,26 L - P.

L sta per numero di lettere per periodo. (In Italiano in media ci sono circa 0,6 : 0,26 = 2,3 lettere per ogni sillaba). Con questa formula i valori non sono più riferiti a 100 ma resta il concetto che più è alto il valore più il testo è leggibile.
Ecco alcuni esempi utilizzando quest'ultima formula e il calcolatore:
"Gli psicologici dicono che abbiamo anche un bisogno fondamentale di ordine e consapevolezza del nostro ambiente e questa esigenza potrebbe essere d'aiuto nell'affrontare quello che altrimenti sarebbe caos".

206 - (0.26 x 173 + '0) = 131.02

"Un gruppo di esseri viventi non è altro che l'anello di congiunzione tra una stirpe morta e una progenie non ancora nata".

206 - (0.26 x 98 + 24) = 156.52

"Una tale situazione non poteva non pesare sul Petrarca essenzialmente per due ragioni, da una parte la sua condizione di figlio di esule, per il quale egli trova addirittura analogie con Dante, dava un risvolto psicologico personalmente ed intimamente vissuto a quella che poteva restare una verifica puramente teorica da cogliere nella realtà dei fatti, dall'altra la profonda differenza che lo separava da Dante differente dal punto di vista psicologico ma ancor più da quello politico e "storico" derivanti dal suo diverso status nei riguardi della classe dirigente".

206 -(0,26 x 480 + 94) = 12,80

Questi tre esempi sono tratti da libri scritti per i ragazzi delle medie e delle superiori.
Leggibilità non vuol dire comprensione: quindi questa formula può venirci in aiuto (sicuramente accorceremo le frasi se vogliamo avere un indice di leggibilità elevata), ma non sarà sufficiente se non penseremo anche al lettore, alla sua conoscenza dell'argomento che vogliamo trattare, al suo piacere, ai suoi tempi di comprensione.
Una volta individuato
l'identikit del lettore tipo (ovviamente cercheremo di parlare a più persone possibili e non al nostro alter ego), sarà più facile sapere come dire quello che vogliamo comunicare. E' buona norma spiegare un pò di più che un pò di meno. Questo anche perché la persona ha tempi di comprensione più lenti della sua capacità visiva di leggere. Questo accorgimento servirà anche a "diluire" il testo (specialmente quelli scientifici) ed impedire che troppi concetti bombardino il povero lettore che spesso legge per aggiornarsi argomenti che riguardano il suo lavoro, ma ne ritaglia il tempo dai momenti di svago.
Quindi tra un tipo di testo in cui ogni frase è un nuovo concetto teorico e un testo pieno di incisi in cui il lettore si perde per strada, troviamo quella via di mezzo che renda piacevole la lettura.

BIBLIOGRAFIA

  1. De Mauro, T.(1965) Storia Linguistica dell'Italia unita Laterza, Bari.
  2. Flesch R. (1946) The Art of PIain Talk. New York.
  3. Gensini, S. Vedovelli, M. 1983 Teoria e pratica del glottokit, Franco Angeli Editore, Milano.
  4. Goulding, M..R., (1979) (1983) Il cambiamento di vita nella terapia ridecisionale Astrolabio. Roma.
  5. Mc Luhan. M.. (1964) Understanding Media New American Library. N.Y.
  6. Miller G., (1951) (1972) Linguaggio e comunicazione. La Nuova Italia.
  7. Minninger J. (1980) Free yourself to write Workshops for innovative Teaching, San Fransisco, California.

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