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Indice di Neopsiche Anno 5 / N° 9/10 / Giugno/Dicembre 1987

Trascritto dalla Dott.ssa Daniela Danovaro

La leadership e l'A.T.
Franco Gattafoni

 

RIASSUNTO
Mi propongo, con il presente articolo, di analizzare, sulla base di esperienze personali "in campo", i processi comportamentali di una Leadership efficace e di confermare, come già intuito dai transazionalisti, l'utilità dell'Analisi Transazionale (A.T.) quale strumento tra i più efficaci per comprendere i comportamenti individuali in generale e nel settore aziendale in particolare.
Parlerò nell'articolo principalmente di Leadership (L.) e non di Management (M.) poiché la prima implica un carattere più ampio ed in quanto è mia opinione che un Manager è efficace solo se sa soprattutto essere Leader, mentre un Leader in senso lato non deve necessariamente possedere doti di managerialità.

ABSTRACT
It is my intention to analyze in this article, based on my personal "in field" experiences, the behaviour processes of an effective Leadership and to confirm, as already realized by transactionalists, the usefulness of T.A. as a valid instrument to understand the individual behaviours in general and in particular in the companies organization field.
In the article I will mainly talk about Leadership instead of Management, because the first involves a larger concept and because it is my opinion that a manager can be effective only by knowing how to be a Leader, meanwhile a Leader, in a broad sense, may not necessary have managerial qualities.
DEFINIZIONI ED EVOLUZIONE DELLE TEORIE DI LEADERSHIP

Numerose e note sono le definizioni del termine e tutte hanno in comune due fattori:

La differenza sostanziale tra L. e M. è che in quest'ultimo caso l'influenza sul comportamento degli altri viene esercitata per il raggiungimento di obiettivi importanti per il gruppo o l'organizzazione, mentre nel caso della L. le motivazioni possono non necessariamente coincidere con quelle del gruppo e degli individui appartenenti al gruppo.
Da questa differenza, certamente sostanziale, deriva la mia convinzione che un management efficace è possibile solo in presenza di una L. consolidata: come è possibile influenzare un gruppo di individui per il raggiungimento di obiettivi raramente ben definiti e spesso non coincidenti con quelli comuni al gruppo?
Essendo questo il caso più frequente nella realtà attuale, è qui che entra in causa la L. del Manager.
Numerose sono le trattazioni e le teorie sulla L. ed in molte di esse il termine viene spesso identificato con Autorità o Potere; gli stessi termini possono assumente significati diversi a seconda degli autori.
L'elemento comune alle varie definizioni è il seguente: l'autorità è caratteristica della posizione e del ruolo che l'individuo ricopre nell'ambito del gruppo o dell'organizzazione (ciò che può fare), mentre il potere è caratteristico del singolo individuo e determina l'intensità del suo operato nell'ambito del gruppo o dell'organizzazione (in che modo può farlo).
Accettando il principio che il potere, in generale, rappresenta la capacità o l'abilità di una persona nella relazione tra due o più individui, di influenzare in questo rapporto gli altri, nelle loro opinioni, giudizi, valutazioni o decisioni, determinandone la condotta ed i comportamenti, si può desumere che l'autorità è quel particolare tipo di potere che deriva dal ruolo formale di un individuo nell'ambito di un gruppo o di una organizzazione. Molti sono quindi gli elementi in comune tra Leadership, Potere ed Autorità; ciò ha stimolato da sempre estremo interesse e studi approfonditi.
La mia opinione, già espressa precedentemente, è che la L. rappresenta un concetto più ampio sia del potere che dell'autorità essendo questi due ultimi soltanto alcuni degli strumenti a disposizione del Leader nelle sue attività; trovare il giusto equilibrio nell'uso di questi e di altri strumenti può determinare l'efficacia della Leadership.
A seconda del grado di utilizzo del potere, dell'autorità, delle capacità individuali e della sensibilità ai bisogni degli altri, emergono i vari modelli di L.: istituzionale, comportamentale, funzionale e situazionale.
Per meglio comprendere i diversi significati ed i contenuti dei vari modelli, gli studiosi hanno elaborato numerose teorie da cui sono sorte vere e proprie scuole di pensiero a seconda degli orientamenti e dei modelli interpretativi.
Dal punto di vista degli orientamenti si è passati attraverso varie teorizzazioni che vedono dapprima il L. come risultato di una combinazione biologica di caratteristiche (orientamenti biologici) quali: intelligenza, onestà, coraggio, sensibilità, adattamento ed altre ancora; da queste caratteristiche legate alla personalità si è passati all'esame delle azioni che differenziano il L. nel rapporto con gli altri, ovvero all'analisi del processo di interazione (orientamenti interattivi) dal quale, secondo una codifica di ogni atto comportamentale, emergono due tipi di L.: uno orientato al compito ed uno orientato alle relazioni. Gli orientamenti funzionalismi, dal canto loro, analizzano il ruolo del L. in relazione alle funzioni svolte nel gruppo più che in relazione alla personalità ed al ruolo stesso del L.: ciò comporta il fenomeno del coinvolgimento degli altri appartenenti al gruppo nel delegare al L. responsabilizzandosi.
Dagli orientamenti ai modelli si passa attraverso l'analisi delle variabili presenti nel processo di L. quali bisogni e motivazioni, rapporto individuo-organizzazione, atteggiamenti, comportamenti, capacità e stile di L.
Dal movimento del management scientifico a quello delle relazioni umane molto è stato scritto sui processi comportamentali degli individui e dei L. in particolare.
Si è affermato che il comportamento degli individui è solitamente determinato dal più forte dei loro bisogni e si è stabilita una gerarchia dei bisogni: fisiologici, di sicurezza, sociali, di stima, di autorealizzazione e d'identità; si è trattato di sistemi di valori burocratico-piramidali e umanistico-democratici; di differenze tra atteggiamenti e comportamenti nonché di soddisfazione e di insoddisfazione legate a fattori igienico-ambientali.
Sono stati elaborati modelli mono, bi e tridimensionali per comprendere ed interpretare le variabili in gioco nel processo di L.
Tutte le teorie ed i modelli a noi noti possono essere considerati validi a condizione che si tenga sempre presente che l'oggetto delle teorie è l'uomo.
Che si definisca individuo o persona, che lo si consideri appartenente a gruppi o organizzazioni, alla famiglia o alla società, è sempre dell'uomo che si tratta, con le sue emozioni, i suoi desideri, la sua natura.
È solo dalla conoscenza della natura umana, la propria e quella degli altri, che deriva quella capacità, difficile da definire e quasi impossibile da valutare oggettivamente, che si chiama Leadership.

PERCHÉ' L'A.T.?

Il problema umano più importante è la difficoltà di vivere positivamente le proprie relazioni; perciò aumentare la conoscenza di sé permette di migliorare non soltanto l'autostima e la fiducia in sé stessi, ma anche di stabilire e coltivare solide relazioni con gli altri. La conoscenza di noi stessi può essere attivata o migliorata mediante l'ascolto attento delle emozioni in gioco nei processi relazionali; ogni individuo è fonte di emozioni, desideri e sentimenti sempre importanti, degni quindi di attenzione, di rispetto e di protezione. Accettare un onesto scambio reciproco, su un piano di parità, di queste emozioni sentite nel "qui ed ora" è la base su cui si fonda l'A.T.
È proprio l'accettazione di questo principio di parità che permette al L. di capire e quindi di influenzare i propri collaboratori per analizzare, definire e raggiungere insieme gli obiettivi prefissati.
In tal senso l'A.T. rappresenta una efficace griglia di interpretazione del comportamento umano sia individuale che di gruppo.
La semplicità del linguaggio usato in A.T., a differenza della psicologia classica, permette l'immediatezza dell'interpretazione del metodo e quindi la possibilità di applicazione e di verifica dei comportamenti individuali e di relazione con gli altri.
Altro elemento positivo dell'A.T. è di avere un atteggiamento ottimistico nei confronti dell'esistenza; in partenza siamo tutti OK ed è ciò a cui dobbiamo tendere di nuovo rendendoci l'esistenza attraente, cercando e ricercando un buon "ambiente interiore" che permetta di essere felici "con" e "per" se stessi e conseguentemente con più facilità di esserlo "con" e "per" gli altri.
Inoltre: le informazioni di cui disponiamo e le condizioni in cui operiamo sono imperfette e ciò vale per noi e per gli altri. L'A.T. fornisce gli strumenti per permetterci una sana flessibilità da utilizzare per comprendere il nostro e l'altrui comportamento e di distinguere i dati di realtà dalla fantasia, Dalle illusioni o dai pregiudizi, ridimensionando quindi la confusione e la paura generati dalla imperfezione delle condizioni esterne.

LA LEADERSHIP E L'A.T.

Do per nota ai lettori la conoscenza degli stati dell'Io e dell'analisi strutturale di 1° e 2° ordine per l'analisi del funzionamento di questa struttura nelle transazioni del L.
Nei processi comunicativi, l'ADULTO (A) del Leader (L.) ha a disposizione diversi formidabili consulenti interni e,come tutti i consulenti, la loro efficacia è tanto maggiore quanto più elevato il potere di controllo sul loro operato.
Tale potere esecutivo può quindi essere più o meno esercitato in funzione del grado di "Affidabilità" del consulente.
Ebbene, i due consulenti interni più affidabili del L. sono il suo GENITORE AFFETTIVO (GA) e quella parte del suo BAMBINO LIBERO (BL) che si chiama PICCOLO PROFESSORE, PP (l'A. nel suo B.).
La maggiore affidabilità del GA deriva dalla sua capacità di capire e di aiutare a capire, dalla fiducia che ha nelle capacità umane, in una parola dalla sua Umanità; certamente diverso dal suo parente stretto il GENITORE CRITICO (GC), che rappresenta una enciclopedia di norme e regole e, come tale, è più propenso a giudicare che a comprendere.
Il PP, grande mediatore tra il BAMBINO ADATTATO (BA) ed il BAMBINO NATURALE (BN), dal canto suo sa meravigliosamente utilizzare le sue doti di intuitività, emotività e curiosità che lo aiutano a trovare sempre e comunque una via d'uscita dalle situazioni che gli potrebbero creare l'automatismo, il conformismo, il compiacimento del suo cuginetto BA, oppure la spregiudicatezza, l'impulsività e l'egocentrismo dell'altro: il BN.
Nei processi relazionali con i collaboratori il L. attua in primo luogo un processo di comunicazione intrapsichica permettendo al suo A. di ascoltare attentamente (attivamente) il contenuto del processo comunicativo (il messaggio manifesto: "COSA STA DICENDO"), di dare questa informazione al suo PP per consentirgli di intuire la fonte del messaggio (CHI LO STA DICENDO: il G., l'A., il B.) e di avere informazioni, mediante l'analisi delle emozioni che il messaggio suscita, sulla modalità del processo (eventuali messaggi latenti: COME LO STA DICENDO); consulta poi il suo "medico di famiglia", il GA, per provare se la sua diagnosi del processo comunicativo è corretta.
Ciò fatto (di solito questa analisi dura poco o tanto a seconda dell'abilità e della quantità di tempo che si mette volontariamente a disposizione) decide a chi affidare la risposta ufficiale.
È però importante aggiungere che durante questo processo intrapsichico, gli altri stati dell'Io (GC, BA, BN) non stanno semplicemente a guardare, ma, in certe circostanze, tentano di imporsi, e poiché anch'essi possono essere consulenti non solo attivi ma anche utili, in quanto forniscono comunque delle informazioni, è bene: non tentare di ignorarne la presenza; limitarne e controllarne le attività e, ove l'A. ne rilevi l'utilità, usarli con molta cautela e magari metaforicamente.
In tal caso il controllo dell'A. deve essere molto accurato perché mentre i suoi consulenti AFFIDABILI sanno come prendersi cura di lui e degli altri, rientrando cioè in uno schema di valori prestabilito, attuandolo nel "qui ed ora", i consulenti "non affidabili", mancando di queste doti, potrebbero suscitare insicurezza (se fuori dal dominio dell'appreso del GC) o paura (se fuori dalle fantasie del BN), inducendo una sensazione di non protezione, perdendo il contatto con il presente, creando quindi confusione e distorsione della realtà.
Ho distinto questi consulenti interni in "AFFIDABILI" / "NON AFFIDABILI" e non in "OK" / "NON OK" in quanto nell'A.T. ogni parte di noi è fondamentalmente OK purché lo si voglia, perciò anche le parti che sembrano "NON OK" lo sono potenzialmente a condizione che:

Ciò può essere difficile e lo è tanto più quanto più abbiamo cercato di "escludere" o di farci "contaminare" da una o più di queste parti.
Il processo di "decontaminazione" o di "riappropriazione" se è necessario per ogni individuo è indispensabile per una L. efficace. Queste menomazioni (distorsioni) della struttura dell'Io sono la causa principale dell'ansia: ogni volta che escludiamo una qualsiasi parte di noi stessi o che lasciamo che una di queste parti interferisca influenzando l'A. le nostre funzioni risultano limitate a causa dei conflitti interni e ciò crea ansia, frustrazione, senso di incapacità e di impotenza.
Il processo di "ristrutturazione" interna comporta necessariamente un cambiamento del proprio comportamento sia interno che esterno e talvolta può richiedere tempi lunghi e non è esente da ansia; nulla vieta però di procedere per fasi successive utilizzando pianificazione ed intuitività.
Il L. efficace deve saper modificare le proprie abitudini ed i propri atteggiamenti quando le circostanze lo richiedono. Deve poter rimuovere le distorsioni imparando a riconoscerle; distinguere un pregiudizio o un'idea fissa da una convinzione; identificare una illusione distinguendola da un sentimento.
L'A. nel L. è un efficace gestore di "energia psichica": ne conosce la quantità a sua disposizione e sa come farla fluire liberamente tra i vari stati dell'Io senza creare tensioni; esprime liberamente le sue emozioni ed assume qualsiasi stato d'animo naturale; sa di poter utilizzare il tempo come vuole e godere di questo; rispetta e stima se stesso e gli altri (i collaboratori) e sa aiutarli e prendersi cura di se stessi; sa accettare e dichiarare onestamente i propri limiti ed è in grado di assumersi la responsabilità delle sue decisioni ed azioni in base ad uno schema di valori "aperto" e di priorità che gli consenta scelta di opzioni e flessibilità.
Il suo A. non è unicamente un individuo responsabile e razionale, capace di elaborare soltanto dati esterni, oggettivi, ma è allo stesso tempo: coraggioso, leale, affidabile, sincero e possiede tolleranza, fascino e spontaneità.
Sorride spesso.
Potremmo quindi definire il L. come "colui che ha o che si è concesso il permesso di ascoltare attentamente se stesso e gli altri per raggiungere insieme obiettivi fissati, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni e delle proprie emozioni e prendendosi cura di sé, aiutando gli altri a fare altrettanto".
IN TRENO

Fu proprio in treno che avvenne l'incontro.
Avevo deciso di prendere il primo treno della mattina, alle 6 e 15, per dedicarmi alla lettura di alcuni articoli e di un nuovo libro sul management; avrei potuto anche riposare, se lo avessi voluto, perché è questa di solito l'occupazione più frequente dei treni di pendolari.
Ero solo nello scompartimento e fu lì che lo conobbi; entrò poco dopo la partenza e mi chiese in perfetto italiano, con una pronuncia che tradiva la sua origine americana, se mi disturbava che avesse occupato un posto nello scompartimento. Lo rassicurai e scelse di sedersi dall'altro lato, di fronte a me, vicino al finestrino.
La sua figura singolare stimolò la mia curiosità: doveva avere più di settant'anni, i capelli ancora folti erano bianchissimi, il suo aspetto era molto dignitoso anche se non dava l'impressione di passarsela poi tanto bene.
Estremamente composto, osservava la campagna semibuia, immersa nella nebbia, scorrere veloce; talvolta il suo sguardo cadeva sui libri che avevo riposto nel sedile accanto, e su di me, creandomi un certo imbarazzo.
Ciò che mi incuriosiva di più in lui era la sua cravatta, tipo "regimental", con incise delle lettere "H" in tutta la sua lunghezza, ed un anello massiccio d'argento o argentato anch'esso con la lettera "H" in risalto.
La curiosità ebbe il sopravvento sull'imbarazzo e decisi di rivolgergli la parola.
- "Le farebbe piacere parlare?" - dissi
- "Perché no!"
Mi presentai e descrissi in breve la mia attività ed il motivo del mio viaggio: era un modo per invitarlo a fare altrettanto.
- "Mi chiamo Humbert (ecco la spiegazione delle H, pensai), sono nato in Italia quasi ottant'anni fa e, dopo aver girato il mondo da giovane, mi sono stabilito ed ho lavorato negli STATES, come avrai notato dall'accento. Posso darti del tu?"
- "Certamente" - affermai
- "Bene Franco sai, negli STATES usiamo sempre rivolgerci in questo modo a chiunque e poi alla mia età sentirmi chiamare per nome mi dà un senso di intimità e di affetto"
- "Dimmi Hubert, che lavoro facevi in America?"
- "Un lavoro di cui certamente ti interesserà sentir parlare, visto il tipo di letture che hai con te e l'attività che svolgi"
Cominciai ad essere sempre più attratto da quella figura; era come se avesse qualcosa di magico all'interno, che, attraverso i suoi occhi e la sua voce, arrivava fino a me facendomi sentire perfettamente a mio agio.
- "Ho insegnato per moltissimi anni teoria delle organizzazioni nell'Università di Harvard".
Ciò detto si interruppe ed osservò attentamente le mie reazioni. Non so che interpretazione ne potesse ricavare in quanto io stesso mi sentivo a quel punto molto confuso; non is aspettava certo che applaudissi e non lo avrei fatto, dato che ho sempre nutrito molta diffidenza (o forse molta invidia) per i teorici in genere ed in particolare per quelli che fanno della teoria la teoria principale delle teorie; d'altra parte ero affascinato dalla possibilità che si presentava di discutere, con un addetto ai lavori, le mie esperienze e le mie conclusioni che, di tanto in tanto, ne avevo tratto. Inoltre avevo sbagliato sull'origine delle H (oppure no?).
Il discorso cadde naturalmente sulla leadership, sul management e sulle organizzazioni; non mi dispiacque affatto mostrargli che un manager "di campagna" come me era a conoscenza delle principali teorie sugli argomenti trattati.
Il buon Humbert non era solamente una miniera di informazioni, ma il suo modo di esporre le sue conoscenze era talmente chiaro ed immediato da entusiasmare chiunque.
La cosa più curiosa è stata l'apprendere che alcuni dei nomi di cui parlammo erano stati suoi allievi e che le loro teorie furono rese note quando lui, Humbert, era già in pensione.
Non eravamo distanti dalla nostra meta e ciò mi rendeva nervoso, poiché avrei voluto trascorrere più tempo a parlare con lui.
forse percepì il mio pensiero perché mi disse:
- "Mi sei simpatico Franco, perciò voglio regalarti un mio ricordo di questo incontro. Ti rivelerò la mia vera teoria della leadership e tu potrai, se vorrai, elaborarla, metterla in atto e persino scriverci un libro; ora va molto di moda!"
- "La mia è soltanto una teoria sviluppata nei molti anni di vita in mezzo alla gente; non dà delle ricette o delle regole in quanto è ormai noto a tutti che non esiste un regola e che la L. non si può insegnare, la si può soltanto apprendere.
La mia teoria sulla L. si chiama teoria H; ora penserai di aver finalmente capito il perché delle lettere sulla cravatta e sull'anello e forse è così, ma soprattutto è perché, come la vera L., la lettera H in americano si sente subito quando è nelle parole, c'è e non ha bisogno di essere pronunciata espressamente. Inoltre è con l'H che iniziano tre parole tramite le quali ho ritenuto di individuare le doti principali di un leader e sono:
HUMAN SENSE: il senso dell'umanità
HEARING SENSE: l'ascolto attento
HUMOR SENSE: il senso dell'umorismo.
Partiamo dal mezzo (in medio stat virtus): l'ascolto attento permette di sentirsi e di sentire ovvero di "analizzare" le emozioni proprie ed altrui; l'umanità permette di "comprendere" con tolleranza ed onestà queste emozioni quindi di sentirci su un piano di parità con gli altri.
L'umorismo poi è indispensabile in quanto serve a renderci simpatici a noi stessi ed agli altri e ci permette, in certe situazioni con un semplice sorriso, di sdrammatizzare l'eccessiva serietà che i ruoli da noi intrapresi tentano spesso di imporci. Ricordo di aver letto che "c'è più comunicazione in un sorriso che in una minaccia".
- "Ora tutto ciò è tuo, a me è già servito, sta a te assimilarlo, verificarlo ed ampliarlo per ricavarne un'opera più completa".
Quasi non respiravo più dall'emozione, il corpo era teso e la mia testa sembrava un frullino.
Avrei dovuto subito cambiare la lettera H per evitare di dover scrivere la teoria in inglese e di pubblicarla all'estero.
Ma sì, pensai, c'è la lettera U che può caratterizzare la teoria in italiano: Umanità, Udito (non è poi così bello!) ed Umorismo.
Non solo, ma ora che ci penso la teoria potrebbe essere inserita nell'A.T. : nel GAB si potrebbe trovare una affinità tra l'Umanità ed il GA., l'Ascolto attento e l'A., l'Umorismo ed il BN.
E poi potrei anche.............
- "Dimenticavo Franco, esiste ancora un'altra dote "H" molto importante ed è l'HUMILITY SENSE, il senso dell'umiltà che ci aiuta e ci serve, molto più spesso di quanto non immaginiamo, a riconoscere ed accettare i propri limiti".
- "Biglietto prego!"
Mentre cercavo confusamente il mio biglietto notai che il mio amico Humbert non era più nello scompartimento. Chiesi al controllore se lo aveva visto uscire.
- "Nossignore" - rispose - "Lei è rimasto solo per tutto il viaggio". "Dormiva e non l'avrei svegliata se non fossimo quasi arrivati".

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