CENNI STORICI

Ci pare poco opportuno ripetere, come fanno tanti "storici", le notizie sulle origini di Ajello tramandateci dagli scrittori che tuffi citano, dal Barrio al Marafioti al Pacichelli all'Andreotti e così via, i quali hanno avuto il grande merito di raccogliere quelle che erano tradizioni, a volte leggende, quindi con un probabile fondo di verità, ma non hanno saputo, o voluto, cercare il riscontro delle fonti documentarie alle loro narrazioni.

Abbiamo letto, ad esempio, che Ajello era "famosa città greca", che ebbe nome Tyllesium (donde... la famiglia Telesio), che potrebbe identificarsi con la mitica Temesa, che era sede di un Vescovado distrutto dalle invasioni saracene del 925, e così via, ma nulla di tutto ciò è provato.

E però alcuni dati di fatto sono ancor oggi evidenti.

Intanto, la via Popilia (o, più esattamente, Annia) dei romani, che dopo Cosenza proseguiva ad Sabbutum flumen, aveva una deviazione che, per Grimaldi, portava in territorio di Ajello, sboccando al mare vicino al fiume Olivo (per buona parte, in pratica, l'odierna strada): la cittadina, con la sua imprendibile fortezza arroccata sull'alta rupe, costituiva un punto di controllo sull'importante arteria, ed era quindi in una naturale posizione di preminenza.

Che fosse sito di insediamenti antichissimi e continuativi, oltre che di transito, è provato dai reperti che sono stati scoperti anche in tempi recenti: dal coltello paleolitico alle tombe rinvenute nelle grotte del rione Valle e testimoniate dal Liberti, alla cella in località Campo, ai frammenti, di poco conto ma retaggio del succedersi delle civiltà, che noi stessi abbiamo ritrovato, dal vaso greco alle terracotte romane alle tazze e bicchieri medievali alle mattonelle del 1600.

Ancora, non è certamente senza significato che gli antichi storici, per quanto opinabili - come dicevamo - fossero le loro asserzioni, abbiano dedicato tanta attenzione allo "Stato" di Ajello, e che questo sia stato al centro, nei secoli, di aspre lotte di potere.

Ed altri fattori si aggiungono: è la preferenza dimostrata per Ajello ed il suo territorio dai sovrani normanni; è l'attaccamento dimostrato dal Viceré di Calabria Francisco Siscar che volle addirittura farvisi seppellire, sebbene originario della spagnola Valencia; sono il numero e la qualità degli stemmati palazzi patrizi: è la consistenza nei secoli delle chiese – oltre 10 - e degli ecclesiastici - 14 in Ajello, 23 includendo i suoi -casali" - è la nutrita presenza di notai che ivi rogarono, 18 dal 1500 al 1500, con in più un precedente del 1300. Certamente non si tratta di dati scientifici, specialmente per l'ultimo, in considerazione del fatto che molti fondi notarili sono andati dispersi ed altri non sono stati consegnati all'Archivio di Stato (anche per Ajello), ma la constatazione che esso fu uno dei centri maggiormente dotati di notai, ed esattamente il terzo dopo Cosenza, può avere un valore.

In conclusione, non si vogliono cercare primati per Ajello, sia ben chiaro. Ma la sua preminenza secolare, le sue tradizioni, sono riscontrabili nella storia documentata, ed oggi rivivono in un centro storico altamente interessante ed intelligentemente ben curato, cui manca solo l'auspicabile ripopolamento, perché tomino a rivivere i tempi della "città forte et civile".

Come s'è detto, i Greci ed i Romani abitarono certamente il sito; i Saraceni probabilmente vi si spinsero, ed i Bizantini li combatterono. Ma si dovrà attendere l'arrivo dei Normanni (1059-1193) per trovare la prima documentazione.

Nella "Cronaca" del Malaterra è riportato che nel 1065 Roberto il Guiscardo, che aveva conquistato, assieme al fratello Ruggero, il Sud dell'Italia e la Sicilia, dovette assediare per quattro mesi il castello di Ajello, perdendovi anche Roger, figlio di Scolland, ed il nipote Gilbert, che fece seppellire a S.Eufemia, sino a che gli Ajellesi non determinarono di addivenire alla pace.

Ancora un documento normanno del 1070 ci conferma l'esistenza della strada che portava, ad est, per Lacum e Grimaldo, a congiungersi con la consolare romana, e ad ovest alla foce del fiume Olivo, passando per la città. Vi è riportato anche l'attaccamento che il duca Roberto aveva per Ajello e per la succedanea Terrati, dove si recava a pregare, e dove diede istruzioni, terreni, e finanziamenti per la ricostruzione della chiesa di S. Filippo.

Chiesa che poi, dopo l'aggregazione della diocesi a quella di Tropea, operata dal conte Ruggero nel 1094, venne donata nel 1098, come rendite, al Monastero di S. Angelo in Mileto, pur' esso edificato da Ruggero. E queste donazioni, assieme a quelle dei frutti di altre chiese in territorio dei casali di Ajello - i cui nomi, però, danno adito a qualche dubbio: S. lppolito dì ValIigrata, S. Lorenzo di Promentiis, S. Maria di Ponticella de Luthio (?Liberti interpreta in Lacho) - vengono confermate anche successivamente (1151 e 1411, con una rendita di 3 once). E' certo, in ogni caso, che Ajello fu al centro dei provvedimenti adottati dai Normanni a favore delle istituzioni religiose, con la conseguenza di riunire e vivificare la vita sociale ed economica e di rompere l'isolamento del popolo calabrese, peraltro già costretto a rifugiarsi in località inaccessibili per sfuggire alle razzie dei Saraceni. E' in questo periodo che la città supera il suo ruolo di nodo strategico per divenire un centro di grande importanza nello sviluppo sociale.

Il grande progresso in questa direzione si ha però con gli Svevi. La stirpe, di origine tedesca, degli Hohenstaufen, ed in primo luogo la figura carismatica del geniale imperatore Federico lì (1194-1250) hanno lasciato il segno, nel loro dominio sul Sud durato oltre settant'anni. Ci si incammina finalmente verso il concetto moderno di stato laico, caratterizzato dalla libertà e dalla cultura. Grazie alle Costituzioni federiciane, i Comuni assumono rilevanza e molti strati sociali prima negletti cominciano a conoscere un certo benessere. Non stupisce, quindi, che Ajello si sia schierata con gli Svevi, subendo, alla loro caduta, le feroci ritorsioni degli Angiomi (1266-1442). I documenti ci ricordano che nel 1221 era conte, e castellano di Ajello, oltre che di Rende, Riccardo, fratello dell'arcivescovo di Salerno.

Carlo I d'Angiò, divenuto Re di Sicilia già dal 1263, aveva ovviamente posto suoi seguaci ovunque fosse necessario esercitare un controllo: così, nel 1265 troviamo Guglielmo Usvardo come castellano di Ajello, comandante una nutrita guarnigione. La rivolta contro il dominio angioino, scoppiata all'arrivo in Italia (1268) di Corradino, figlio di Federico Il, vide grandi episodi di valore, come la resistenza di Ajello e di Amantea contro Pietro Ruffo. Ma il Giustiziere Giovanni Brayda e l'Arcivescovo di Cosenza Tommaso da Lentini assoldarono gran numero di armati e riconquistarono le città, assieme a quella di Arena, infierendo sui "traditori". I documenti dell'epoca (1269) ce ne narrano i nomi, la loro prigionia nel castello di Ajello, le feroci torture: "....extrahi ambos oculos... a radicibus... jumenti trahi et suspendi...".

E nel 1270 la guarnigione del castello era, unitamente a quella di Stilo, la più numerosa di tutta la Calabria: un castellano "scutifer', con Io stipendio giornaliero di un tarì e 4 grana (24/100 di ducato), e ben 20 "servientes", con 8 grana l'uno.

Altri fedelissimi di Re Carlo venivano sistemati, in quegli anni (1271-1273), a posti di responsabilità: Lodovico de Royre e Guglielmo de Foresta (già castellano di Cosenza), entrambi capitani di guerra, sono i castellani di AjeIlo e di Pietramala, l'odierna Cleto, mentre Stefano de Paolo è mastrogiurato della città.Tutte le principali cariche erano allora distribuite a francesi, provenzali, guelfi, e comunque a forestieri, cui si affiancavano i baroni, il clero ed un'infinità di vassalli, arrendatori (appaltatori) d'imposte ed esattori, gravando la popolazione di pesanti imposizioni ed abusi. Nel 1276, Ajello, che contava meno di 1000 abitanti, doveva pagare enormi tasse per il mantenimento delle milizie. Verso la fine del 1300 i "signori" angioini di Ajello sono nativi di Sorrento. Nel 132110 è Giovanni, conte di Gravina, fratello di Re Roberto e nel 1421 Luigi III d'Angiò nomina capitano e castellano Giovanni, con un favo1050 stipendio annuo di 30 once (180 ducati, un valore attuale di almeno 200.000 lire al giorno) conferendogli inoltre in feudo la città e le dipendenze di Pietramala, Lago, Savutello. Passate ad Andrea Di Sorrento, le terre, ereditate dalla figlia Antonia e dal marito Artusio Pappacoda, vennero vendute nel 1425, con l'assenso di Luigi III tramite il suo giudice e consigliere Antonio Telesio, a Giovanni Sersale, della nobile famiglia di Sorrento stabilitasi anche a Cosenza e Belvedere.

La regione visse in quei secoli un periodo difficilissimo, contrassegnato da rivolte (famosa quella dei Vespri Siciliani del 1282) contro le angherie francesi, e da guerre di questi contro gli Aragonesi.

Con Alfonso I d'Aragona inizia la sovranità spagnola sulla Calabria (1442-1503) e finalmente le condizioni della popolazione cominciano a migliorare. Si incrementano i commerci, la produzione, la cultura, con l'introduzione della stampa (1478), si profilano grandi figure spirituali, come S. Francesco di Paola (1416-1507) o Bernardino Telesio (1509-1588).

La stirpe dei Sersale viene confermata da Re Alfonso feudataria di Ajello e dipendenze, con provvedimento del 1442 a favore di Antonio. Nel 1445 il sovrano gli assegnava uno stipendio annuo di 40 once (240 ducati) per la capitania e castellania della città.

lì dominio del figlio del Sersale, Sansonetto, non è però senza problemi, se già nel 1452 e nel 1453 il re deve intervenire a suo favore, chiedendo, anche al Viceré di Calabria, il suo devoto Francisco (de) Siscar di Valencia, che non sia contrastato cussi come havete obedito so patre per lo passata. Sansonetto si era reso in realtà protagonista di diverse angherie a danno della popolazione, ma soprattutto aveva favorito gli angiomi nei loro tentativi di riconquista del regno, e forse, anche, rientrava tra quei feudatari il cui arrogante strapotere dava fastidio al governo centrale.

Giovanni d'Angiò era infatti sbarcato nel novembre del 1459, ed aveva nominato "il mag.co" Giovanni Bertone castellano di Ajello. Alla definitiva sconfitta degli angioini (1462) seguì la destituzione, con un regolare processo (1463), del Sersale, e Ferdinando I d'Aragona conferì al Viceré Siscar, per la sua fedeltà ed suoi meriti nel sedare le rivolte di Cosenza (1441) e del Centelles (1444), la contea di Ajello con tutte le terre: Pietramala (Cleto), Lago, Laghitello, Serra, Motta di Savutello.

L'acquisita cittadinanza del Viceré ed il suo interesse per la contea cominciavano ad influenzare positivamente l'espansione di Ajello: nel 1456, essendo sindaco dei nobili Nicola de Dominicis, contava oltre 1300 anime, una cifra considerevole per i tempi e certamente, come era consuetudine, fra questi figuravano seguaci degli Aragonesi, come la nobile famiglia romana Savelli da cui pare abbiano avuto origine i Giannuzzi. L'abitato si arricchiva di maggiori attività e nuove costruzioni: è del 1473 la pergamena con cui, a seguito di assenso papale (1472), Francesco Siscar dona ai Frati Minori Osservanti un terreno per la realizzazione della chiesa di S. Maria delle Grazie e del Convento. Ed il figlio Paolo, confermato alla morte del padre (1480) nel possesso della contea di Ajello, vi accoglie nel 1490 numerosi cosentini che sfuggivano al rinnovato attacco degli Angiomi. L'anno precedente il Duca di Calabria Alfonso Il aveva visitato, assieme all'architetto militare Antonio Marchesi, i principali castelli calabresi, tra cui quello di Ajello, per potenziare le difese contro i francesi. Ed a questo periodo risalgono, stilisticamente, le principali strutture del forte. Alla fine del secolo, quando si approssimava il vicereame spagnolo (1503-1707), Ajello conosce ancora una espansione, che sì incrementa nella prima metà del £500, portando ad un generale sviluppo demografico ed economico: il capoluogo passa dai 1700 abitanti del 1532 ai 3500 del 1545, e le rendite sono stimate (1565) in 2.073 ducati.

L'andamento positivo era del resto una costante della maggior parte della regione, ed anche della nazione, prova che il dominio spagnolo, con tutti i suoi gravi difetti, portò anche dei vantaggi, almeno all'inizio, quali la promozione della coltivazione più estesa ed intensiva, l'incremento della produzione della seta, di cui Cosenza era il primo mercato ed Ajello un centro specializzato, ed in genere di tutte le altre attività.

Prosegue la signoria dei Siscar, con Antonio I, figlio di Paolo (> 1504), suo figlio Alfonso (> 1523), il figlio di questi Antonio Il, il figlio di quest'ultimo Alfonso Il, Fabio, Francesco, Carlo, Giovanni, e protagonisti della vita cittadina sono le famiglie nobili come i "De Jannuccio" (Giannuzzi, poi anche a Cosenza), Di Malta, Liguori, Gallo, Amato, Borazio, ed altre. Nel 1558 è castellano lo spagnolo Don Geronimo de Fonseca, ed il maniero viene descritto nel 1565 come "de più pnncipali di tutto il regno" anche se l'importanza strategica delle fortificazioni andava diminuendo, sia militarmente e sia per la non convenienza politica del potere centrale alla conservazione ditali strutture, se feudali e non demaniali Nel 1560 è Governatore Curtisano Mirabelli. Nel 1562 Di Malta, Martino e Giannuzzi rappresentano l'Università, ed un atto del 12 luglio ci dice che il feudo era passato al Regio Tesoriere Ascanio Amoni, e che la sua vedova Eliodora Sambiase lo aveva venduto a Don Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara.

Altro documento, del 1574, qualifica come contessa di Ajello Donna Diana Ventimiglia, erede dei Siscar, finché, nello stesso anno, la contea perviene alla nobile famiglia dei CyboMalaspina, di Massa, a seguito dell'acquisto, per 38.000 ducati, fattone (già dal 1566, secondo il Solimena, essendo la data successiva quella della convalida regia) dal Principe Alberico. Questi aveva inviato, nel 1572 secondo il Solimena, Francesco, esponente della nobile famiglia Almagro di Massa, quale castellano, e tale carica sarebbe stata ricoperta anche dai discendenti sino alla fine del 1600. Dal 1575 fin oltre il 1590 è Governatore del marchesato di AjeIlo "il mag.co" Giuseppe Stefanizzi de Massa Lubrensis Sarzanens, agente dei Cybo, mentre nel 1578 "il mag.co" Franco Farsetti è castellano e Giulio Guercio sindaco. All'epoca era mantenuta una forte guarnigione, composta da soldati spagnoli, comandati dal capitano Marco Antonio Passalacqua almeno sino al 1584.

I documenti di quegli anni ci mostrano un intreccio di interessi che gravitano sullo Ustatoli: se da un lato il principe Cybo è ormai " il padrone" delle terre, vi è ancora un Siscar, don Fabio, barone della terra di Savuto, che vanta diritti fiscali quale donatario della ~ Diana Ventimiglia, ed i cui eredi nel 1587 regoleranno beni feudali. Vi appaiono altri Siscar: Diego, i figli, Lucrezia, ed ancora nel 1657 un D. Antonio è "Conte di AjeIlo". Tra il 1567 ed il 1573 il Segretario reale Giovanni De Soto avrebbe acquistato il feudo, ed è certo che nel 1565 ne aveva fatto stimare le entrate, accertate allora in oltre 77.000 ducati. La cosentina Donna Giulia De Beccutis è contessa di Ajello, a seguito di rapporti ereditari, nel 1552, e vende un suo censo a Roberto Telesio, figlio del fu Valerio, e così via. Nel 1584 Giovan Paolo Maruca è sindaco dei nobili, ed Alfonso Giannuzzi vice conte dello Ustatoli. Nel 1588 il vescovo della diocesi (Tropea) dispone, su diploma del Papa Sisto V, l'ordinazione di numerosi sacerdoti: ricordiamo che Ajello era sempre stato, anche, uno dei più importanti centri religiosi del territorio, con un convento, un monastero, più di quattro chiese e tre parrocchie. Ed è del 1589 la "platea" della chiesa dell'Annunziata, oggi non più esistente ma citata anche nel raro atto del 1399.

Il lungo dominio dei Cybo, che giunge fin oltre il 1700, ebbe alcuni momenti negativi, soprattutto per la condotta di alcuni dei loro agenti, ma ha lasciato anche chiare luci. Durante la loro permanenza in Ajello, sia essa stata nel castello, o nel magnifico palazzo di piazza Plebiscito, i Cybo fecero costruire la magnifica Cappella nel convento dei Minori Osservanti (1597) e, quasi sicuramente, intervennero anche sulla chiesa di S.. Giuliano. Certamente accrebbero, nel loro stesso interesse, la produttività dello -stato", che con loro da contea era divenuto marchesato prima (1569), e ducato poi (concessione di Re Filippo III del 1605). Ed a imperituro ricordo dei loro possedimenti, ci hanno lasciato una documentazione iconografica su Ajello ed i suoi casali, quale non v'è l'uguale per tutta la regione.

Che vadano datate agli inizi del 1500, secondo Liberti, o del 1600 secondo Cozzetto che per primo li ha pubblicati, queste tredici splendide tavole, quasi tutte singolarmente in doppia versione di mano diversa, ci mostrano una città potente, ben difesa da mura e dalla possente rocca sovrastante, e le terre e casali dipendenti, boschi ricchi di cacciagione - come nei secoli hanno sempre testimoniato i viaggiatori - feconde attività produttive (un atto del 1618 attesta anche l'esistenza del "porto di Ajello", sito probabilmente nella zona di Campora), numerosi edifici ecclesiastici.

Le fonti ricordano la presenza di Alfonso Cybo, genuensis, governatore di Ajello, quanto meno dal 1597 ed ancora nel 1601 sino almeno al 1605: un raro atto del 1604 ci conferma che Alfonso, non del ramo cadetto, era stato nominato dal principe di Massa con uno stipendio annuo di ben 1300 ducati (tanto per dare un'idea, allora con un ducato si acquistava un tomolo, cioè 40 kg., di grano). Ancora un altro Cybo, Francesco, figlio naturale del Principe Alberico, genuensis ed equis hierosolymitanus (Cavaliere di Malta), appare nel 1611, mentre nel 1607 un altro genovese, Francesco Spinola, è procuratore del principe di Massa. E' nota, all'epoca, la presenza intensa di commercianti e banchieri liguri, che, assieme ad un clero a volte dedito a proficui interessi, monopolizzavano tutte le risorse già controllate dagli ebrei, scacciati nel 1539-40.

E' del 1600 l'istituzione in Ajello, su iniziativa ecclesiastica, di un Monte di pietà, con un capitale di 500 ducati, per venire incontro alle esigenze della popolazione meno abbiente.

Era infatti iniziata la grande crisi economico-sociale che avrebbe impoverito sempre di più la nostra regione, allontanandola dal processo di sviluppo nazionale. La pressione fiscale era aumentata a dismisura, le attività produttive erano diminuite: quella della seta, in particolare, dal 1582 al 1654 si sarebbe ridotta alla metà. A ciò s'aggiunsero la carestia del 1604-1606, la crisi monetaria del 1622, la peste del 1630 (cui però Ajello scampò miracolosamente, si Che nel 1632 fece voto di consacrazione alla Vergine Immacolata), ed il terribile terremoto del 1638. La sola popolazione ajellese diminuisce dalle 3.500 anime del 1595 alle 2.500 del 1669, la Città deve ricorrere a prestiti con il barone di Pietramala (Cleto) Ercole Giannuzzi, come documentano atti notarili del 1622 e 1628, e si dice che il duca Carlo Cybo (figlio di Alberico morto il 1623) abbia allora venduto Cleto

Giannuzzi, tramite il suo agente Sertorio Stefanizzi: in realtà il Principe Cesare D'Aquino, cedente, ne era già titolare dal 1615, e nel 1592 Savuto era passato al conte Carlo D'Aquino. E' il tempo in cui le famiglie nobili aumentano i loro poteri, edificano numerosi palazzi con i loro emblemi, eleganti cappelle (S. Stefano, S.Maria Assunta) nelle chiese, comprano vendono scambiano proprietà. Sono Giannuzzi, Civitelli, Di Malta, Viola, Garofalo, Maruca, Belmonte, alcune di origine locale, altre venute al seguito dei feudatari, in parte poi estinte o trasferitesi.

L'attività commerciale dei feudatari doveva però continuare malgrado la crisi, se atti dèl 1631 e 1634 vedono il governatore Antonio Maria Conio, genovese, che succedeva all'altro forestiero Ambrosio Lossonto (1628), effettuare la compravendita di grano, vettovaglie e 600 libbre di seta "ricavata in Lago".

lì terribile sisma del 1638 causò in Calabria migliaia di vittime:esse furono molte in Ajello, dove "ruinarono magior parte delle case", ed il castello venne gravemente danneggiato. La città, così come la terra di Pietramala, si vide costretta a rinnovare la richiesta di sgravi fiscali già avanzata a seguito della crisi.

Intorno al 1642 Geronimo Maruca, esponente di altra famiglia nobile trapiantatasi in Ajello verso il 1500, è Governatore e procuratore del principe di Massa, carica poi passata a Don Pellegrino Alberti nel 1646 ed almeno sino al 1678, anche se in un inventario del 1655 è nuovamente citato il Maruca come agente dei Cybo. Alla morte di Carlo Cybo-Malaspina (1662), il figlio Alberico lì diviene il III duca di Ajello; gli succede, nel 1691, il figlio Carlo. E nel 1679 il Cav.Gio: Battista Crispi è "Vicario Generale" dello stato.

In quegli anni (1693) si svolge il viaggio in Calabria dell'Abate Pacichelli, il quale dà una positiva descrizione di Ajello che "abbonda di seta, vettovaglie e caccia": anche la rappresentazione grafica dell'abitato ci dice che i danni erano stati riparati, e che il periodo di peggiore crisi era ormai superato. Agente del Duca Cybo era allora un nobile ajellese, Giulio di Malta.

La popolazione, però, non appare ritornare ai livelli precedenti, se nel 1703 vengono contati 2.150 abitanti, con un andamento lineare, dai 2.490 del 1669 ai 2.479 del 1783. Sempre nel 1703 Ajello, ancora in diocesi di Tropea, enumera 3 parrocchie (la Matrice, S. Nicola, S. Giuliano), 5 parroci, 16 sacerdoti, 46 chierici, un convento maschile (Minori Osservanti), uno femminile (Clarisse), la confraternita del SS. Sacramento.

I ventisette anni di dominio austriaco (1707-1734) non hanno lasciato grandi tracce nella nostra regione, tant'è che la popolazione accolse di nuovo con entusiasmo gli spagnoli, con il re Carlos III di Borbone che in effetti iniziò ad attuare una politica liberale, diminuendo i privilegi dei nobili e del clero, attuando il censimento catastale (1741), incentivando l'economia ed il progresso sociale.

La dinastia dei Cybo volgeva ormai al termine: ad Alberico III, figlio di Carlo e succedutogli il 1711, segue il fratello Alderano (1716), morto senza figli maschi nel 1731. Gli subentra la figlia Maria Teresa, ed alla sua morte (1790), la figlia di questa, Beatrice, ottava ed ultima duchessa di Ajello, che scomparirà il 1829. La famiglia è ormai assente dal feudo, e si fa rappresentare: Antonio Francesco Flesco, da Reggio, è Governatore, ed il conte Crispi lo è nel 1754, quando erano "Sindaco dei Nobili" Gaetano Di Malta e "Sindaco del Popolo" Gennaro Morello..

Il catasto onciario (1753), così come una relazione (1788) effettuata dall'architetto Bronzuoli per conto di Carlo Di Tocco, Principe di Montemiletto e Duca di Popoli, che possedeva "in tenuta" Ajello per cessione della cognata Maria Teresa Cybo (1787, per 110.000 ducati), ci mostrano che lo "stato", composto ora da Ajello, Lago, Laghitello, Serra e Terrati, si trova in buone condizioni, malgrado il terremoto del 1783 - che distrusse in buona parte il Castello, ove trovava la morte il castellano, Giuseppe Parise - con rendite per 6.000 ducati ricavate dalle colture di grano, segala, orzo, gelso (e produzione di seta), ghiande (ed allevamenti sui-ni), fichi, con 6.000 ettari di proprietà feudale, di cui 1200 di bosco, su un totale di 12.000.

La ripresa è dimostrata anche dal nuovo incremento demografico, con 3.000 anime alla fine del secolo. E che i tempi fossero mutati lo dimostra il fatto che fu finalmente resa possibile la stima dei feudi da parte dei Cybo-Di Tocco, di cui dicevamo, e che era stata ostacolata decenni prima dai nobili Crispi, che dominavano con la violenza. Poca importanza ha, con il generale abbandono delle fortificazioni, che il castello fosse ormai diruto, come attesta un atto notarile del l789, in cui vediamo un esponente della famiglia Giannuzzi, Scipione, rappresentare il Di Tocco.

Alla fine del secolo vi sono ovunque i sussulti, sull'onda dei principi libertari della Rivoluzione Francese, che portano alla Repubblica Partenopea (1799), che sparisce in pochi mesi, senza grandi rimpianti, considerato che i Francesi non apportarono gran che di positivo, se non pesanti imposizioni. Così Ajello, che era stata tra le prime città a schierarsi a favore della rivoluzione, cede prontamente alla reazione del Cardinale Ruffo. Le condizioni del popolo volgevano peraltro al peggio, sì che ad una ulteriore sollevazione degli ajellesi (1801) ne segue ancora una nel 1806, sebbene contro i Francesi che con Murat (1806-1815) avevano ripreso il dominio del regno.

Re Gioacchino intraprese diverse iniziative progressiste, in primo luogo la "Legge eversiva della feudalità" (1808, conseguente a quella del 1806 di Giuseppe Bonaparte), e l'abolizione dei patrimoni ecclesiastici, anche se, per dirla con Croce, egli "mieté, in quel decennio, la messe preparata da un secolo di fatiche" (dei Borboni).

Così, il nobile Lelio De Dominicis cessa di essere amministratore del feudo (divenendo consigliere provinciale), e con i decreti del 1809 e del 1810, vengono soppressi, e conferiti al Comune, il convento dei Minori Osservanti ed il monastero di S. Chiara, peraltro ormai quasi abbandonati. Quest'ultimo, poi, scomparirà definitivamente con il rovinoso terremoto del 1905. Gravi furono, ancora, i danni del sisma, che provocò 22 vittime e, tra l'altro, il distacco di enormi parti della roccia su cui era costruito il castello, che si abbatterono su abitazioni sottostanti. Nel 1928 il nome venne mutato in "Aiello Calabro", mentre nel 1934 e nel 1937 Cleto e Serra divennero comuni autonomi.

lì resto è storia modera: nel 1921 una rivolta popolare ebbe le sue vittime, nel 19544-45 si ebbe, con Rosario Naccarato, il primo sindaco democratico. Molte vestigia del passato sono purtroppo scomparse nei decenni trascorsi, seguendo una infelice consuetudine della nostra nazione, ma dobbiamo dire che, fortunatamente, in "Ajello" - quale ancora noi amiamo denominare - il centro storico non ha subito gravi trasformazioni. Le novità sono solo in periferia, nelle strade d'accesso, ed è bene che stiano lì, mentre le viventi pagine di storia dell'abitato devono essere conservate col rispetto, diremmo la devozione, che l'Amministrazione dimostra di avere. Non resta che la sistemazione della pittoresca strada d'accesso al castello, scavata nella roccia, ed una migliore fruibilità dei ruderi (ma attenzione a restauri incauti, come a Cosenza: restaurare significa rispettare perché Ajello possa, davvero, vantare ancora una posizione di preminenza, questa volta storico-artistica. Stemma della città, in marmo: proveniente forse da una porta, è nella collezione Longo.

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