PROFILO
DEL RELATORE

IL FUMO DI SIGARETTA COME FATTORE DI RISCHIO DELLA MALATTIA PARODONTALE.
REVISIONE DELLA LETTERATURA.

A. Cagna
Odontoitra libero professionista in Torino

G.L. Princi
Odontoiatra libero professionista in Messina

 

Abstract

Gli autori hanno compiuto una revisione completa ed attenta della letteratura sugli effetti dannosi causati dal fumo di sigaretta sui tessuti parodontali, ed in corso di terapia chirurgica.

Sono stati valutati tutti  i vari parametri che possono interessare lo studio della parodontopatia nel soggetto fumatore, sia dal punto di vista anatomico che clinico, per passare poi ad una revisione critica di quanto più recentemente pubblicato in relazione alla eziologia e patogenesi della malattia parodontale nel fumatore.

Nello studio della letteratura a riguardo, viene anche seguito il tempo strettamente chirurgico, con più particolare attenzione alle nuove metodiche di rigenerazione guidata dei tessuti e nella copertura di superfici radicolari esposte.

Introduzione

 

Il fumo di sigaretta rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per numerose patologie, non solo di tipo neoplastico. E’ stato stimato che solo in Europa causa circa 400.000 morti l’anno tra tumori maligni al polmone, delle vie aereo-digestive superiori, della vescica e del rene. Inoltre al tabacco sono imputabili il 25% delle morti per cause cardiovascolari e l’80% di quelle per malattie croniche dell’apparato respiratorio.

Anche in campo odontoiatrico numerosi studi clinici hanno dimostrato la correlazione tra fumo di sigaretta, malattie parodontali e neoplasie del cavo orale.

Alcune ricerche sottolineano la minor attitudine dei fumatori, rispetto ai non fumatori, a mantenere un buon livello d'igiene orale. Studi più recenti evidenziano invece una significativa alterazione della normale anatomia parodontale attribuendo al fumo un'azione diretta e non legata alla minor capacità dei fumatori a mantenere un sufficiente controllo di placca.

 

Aspetti clinici

 

All’esame obiettivo dei pazienti fumatori affetti da malattia parodontale si rileva una gengiva marginale fibrotica con margini ispessiti, il rossore e l’edema non sono sempre evidenti anche se in fasi avanzate di malattia.

L’analisi strumentale dimostra un maggiore valore di sondaggio soprattutto nei settori vestibolari degli elementi anteriori e nelle zone palatali dei posteriori. Si possono apprezzare recessioni gengivali con maggior frequenza nei soggetti fumatori con localizzazione vestibolare anteriore. Inoltre si registra una maggiore incidenza di malattia parodontale nei giovani fumatori rispetto ai coetanei che non fanno uso di tabacco.

E’ dimostrato che il fumo diminuisce l’aspetto dei sintomi clinici dell’infiammazione ( sanguinamento, edema, ecc.) malgrado sia associata ad un notevole accumulo di placca e tartaro ed un maggior grado di patologia con perdita di attacco, perdita di supporto osseo e formazione di tasca.

Tutto ciò dimostra che il paziente fumatore presenta più tardivamente i sintomi della malattia parodontale pur trovandosi in fasi avanzate di patologia con la conseguenza da parte dell’operatore di sottovalutare l’entità della malattia.

Sempre clinicamente è apprezzabile invece con la cessazione del fumo un aumento del sanguinamento in seguito alle manovre d’igiene orale domiciliare e più in generale un riacutizzarsi dei sintomi tipici della gengivite. Questo periodo può durare da alcuni mesi ad un anno ed in seguito la gengiva tende a riacquistare le normali caratteristiche anatomiche perdendo l’aspetto fibrotico ispessito. Inoltre nella maggior parte dei casi la perdita di attacco si arresta o diminuisce sensibilmente. E' importante perciò informare il paziente della possibile riacutizzazione della malattia alcune settimane dopo l’eliminazione del fumo, in modo da motivarlo e renderlo consapevole delle difficoltà iniziali.

 

Epidemiologia

 

In passato alcuni contributi scientifici hanno sottolineato che la più alta percentuale di fumatori è tra le classi sociali inferiori dal punto di vista economico e culturale e ciò potrebbe spiegare il più basso livello d’igiene orale riscontrato in questi pazienti.

Linden e Coll. Hanno valutato la profondità di tasca, perdita d'attacco, indici di placca, presenza di tartaro e sanguinamento al sondaggio su un gruppo di 82 pazienti (21 fumatori e 61 non fumatori) di età compresa tra i 20 e i 33 anni che nell’arco di un anno afferivano in un ambulatorio odontoiatrico per visite periodiche di controllo.

I fumatori presentavano un numero maggiore di siti con profondità di sondaggio maggiore di 4 mm e perdita d'attacco maggiore di 2 mm. La ricerca dimostrava che anche in una popolazione di pazienti che frequentano regolarmente un ambulatorio odontoiatrico e quindi motivati a mantenere una buona igiene orale, il fumo è il maggiore fattore di rischio associato ad una più veloce distruzione parodontale.

Bergstrom e Coll. hanno valutato invece il riassorbimento osseo in associazione al fumo su un gruppo di 210 igieniste dentali svedesi di età compresa tra i 24 ed i 60 anni. Di queste il 30% erano fumatrici, il 32% ex-fumatrici, ed il 38% non avevano mai fumato. Mediante esami radiografici endorali “bite-wing” veniva valutata la perdita ossea prendendo come punti di riferimento la giunzione smalto-cemento e la sommità del setto interdentale mesialmente e distalmente su cinque denti posteriori escludendo le superfici mesiali dei primi premolari e le superfici distali dei secondi molari. Fu riscontrato un alto livello d’igiene orale sia sui fumatori che sui non fumatori, ma nei soggetti fumatori era stata rilevata una maggiore distanza dal setto osseo interdentale alla giunzione smalto-cemento e risultava più significativa in coloro che consumavano più di 10 sigarette al giorno. Pertanto lo studio dimostrò un maggiore riassorbimento osseo interprossimale significativamente maggiore nei fumatori rispetto a coloro che non avevano mai fumato.

Locker e Leake esaminarono la perdita di attacco su una popolazione di 624 individui scelti casualmente in 4 comunità nello stato dell’Ontario in Canada. L’età media era di 62,3 anni ed in questo gruppo il 55,4% erano donne ed il 95,5% di razza bianca. Il livello di attacco connettivale era misurato su tutti i denti, in due siti per dente. Successivamente erano calcolati per ciascun soggetto la percentuale dei siti con perdita di attacco superiore ai 2 mm e la percentuale dei soggetti con una perdita media di attacco giudicata severa (>3,83 mm). I fumatori abituali mostravano una più alta percentuale di siti con perdita di attacco superiore ai 2 mm (85% vs 16%) ed una maggiore porzione di soggetti con una severa perdita di attacco (34% vs 16%) rispetto ai non fumatori.

Lavori di Bergstrom e Coll. e di Mac Farlane e Coll. dimostrano che nei pazienti affetti da parodontite rapidamente progressiva e gengivite ulcero necrotica acuta è stata osservata un’alta incidenza di fumatori, mentre per quanto riguarda soggetti affetti da parodontite refrattaria la percentuale di fumatori è pari al 90%.

 Anche rispetto agli ex-fumatori coloro che non smettono presentano maggiori danni parodontali con valori di maggiore severità sulla profondità di sondaggio, perdita di attacco e riassorbimento osseo.

 

Eziologia

 

Alcuni lavori scientifici hanno preso in esame la presenza dei principali batteri responsabili della distruzione parodontale e l’individuare le eventuali differenze batteriche tra fumatori e non fumatori.

Preber e Coll. non hanno trovato differenze significative, per quanto riguarda la presenza di A. Actinomycetemcomitans, P. Gengivalis e P. Intermedia, su un campione di 145 pazienti, 83 fumatori e 62 non fumatori, con parodontite avanzata.

Stoltenberg e Coll. hanno analizzato la presenza di cinque diversi ceppi batterici su un campione di 126 non fumatori e 63 fumatori simili tra loro per età, sesso, indice di placca e presenza di tartaro. Le specie analizzate erano P. Gengivalis, A. Actinomicetemcomitans, P. Intermedia, Eikenella Corrodens e Fusobacterium Nucleatum e per nessuna di questi erano presenti differenze significative tra fumatori e non fumatori relativamente al numero dei batteri per ciascuna specie.

Altri studi hanno valutato il livello di microorganismi componenti la microflora orale, A. Actinomycetencomitans, P.gengivalis, P.intermedia,  in soggetti fumatori abituali e non fumatori, affetti o no da malattia parodontale ed anche in condizioni di gengivite sperimentale (Lie e Coll., Renvert e Coll.).

Nessuna rilevante relazione si e’ osservata tra la presenza di questi microorganismi periopatogeni e la abitudine al fumo cronico, ne’ tantomeno esiste una provata relazione tra le  singole specie batteriche ed i differenti  livelli di infiammazione.

Una notazione particolare comunque riguarda l’Actinomycetaencomitans, il quale nei soggetti fumatori risulta quasi impossibile da eradicare.

Patogenesi

 

I meccanismi indotti dal fumo a livello dei tessuti parodontali sono diversi anche perché sono numerosi i componenti del tabacco con attività patogene non sempre uguali tra loro.

Il tabacco contiene numerose sostanze vasoattive e citotossiche e tra queste la nicotina, presente come maggior componente, ha dimostrato di essere in grado di penetrare le cellule dell’epitelio, inducendo variazioni vascolari nel tessuto connettivo ed alterando la funzionalità dei fibroblasti. Mediamente una sigaretta contiene 1 mg di nicotina. Nel plasma di fumatori abituali si rilevano concentrazioni medie di nicotina variabili tra i 22.6 ed i 73 ng/ml mentre nel fluido crevicolare questa concentrazione può raggiungere i 250ng/ml. I componenti chimici dannosi contenuti nel tabacco oltre alla nicotina sono oltre 4000 ed i principali responsabili di danni all’organismo umano sono suddivisi in composti solidi, particellari e gassosi. I composti di tipo solido possono avere un effetto gangliomimetico, come la nicotina, irritante come i fenoli e cancerogeno come gli indoli e i carbazoli. I composti di tipo gassoso possono avere effetto irritante e ciliotossico, come l’acetaldeide, l’isoprene, l’acido cianidrico e gli ossidi di azoto e di zolfo, mentre sono considerati cancerogeni il benzene ed il monossido di carbonio.

Pindborg nel 1949 ha sostenuto che la nicotina determina una vasocostrizione a livello della gengiva marginale determinando così un inadeguato apporto nutritizio ed una diminuita resistenza alle infezioni.

Studi più recenti condotti su animali ed esseri umani non hanno però confermato questo effetto della nicotina.

Martinez-Canut e Coll. hanno mostrato come il numero di sigarette consumate sia legato ad una maggior gravità della malattia parodontale.

Su un campione di 889 pazienti tra i 21 ed i 76 anni con il 47,4% di non fumatori ed il 52,6 di fumatori, sono stati valutati recessioni gengivali, profondità di sondaggio, livello di attacco e mobilità dentaria. In questo studio fumatori che consumavano meno di 10 sigarette al giorno non presentavano differenze significative rispetto ai non fumatori per quanto riguarda i livelli di attacco. Al contrario fumatori con consumo giornaliero tra le 10 e le 20 o superiore alle 20 presentavano, rispetto ai non fumatori, un incremento della perdita di attacco del 5% e 10% rispettivamente. Questo studio suggerisce come l’effetto clinico possa essere legato alla quantità di tabacco consumato anche se, come del resto in altri studi, non viene preso in esame da quanto tempo il paziente abbia iniziato a fumare. Probabilmente anche il tempo, oltre alla quantità di tabacco consumata, ha un’influenza nell’aggravamento della malattia parodontale.

Johnson e Coll. in uno studio condotto su 13 cani, osservarono che la somministrazione sistemica (2,5 mg/kg/die) o topica (8 mg/kg/die) di nicotina per 28 giorni non determinava significative variazioni del flusso sanguigno pulpare. Le concentrazioni utilizzate erano equivalenti al consumo di circa 1,5 pacchetti di sigarette al giorno.

Baab e Coll. in uno studio condotto su 12 volontari di età compresa tra i 19 ed i 25 anni, riscontrarono che il fumo di sigaretta determinava un aumento, piuttosto che una diminuzione, della circolazione sanguigna a livello della gengiva marginale.

Probabilmente la teoria che il fumo alteri un già compromesso flusso sanguigno gengivale potrebbe essere dovuto ad un effetto tossico della nicotina, o di altri componenti del tabacco, su specifiche funzioni cellulari.

Un modello per la patogenesi della malattia parodontale nei fumatori potrebbe essere individuato in un metabolismo difettoso dei tessuti molli, risultante in una alterazione nel turnover tessutale, nella guarigione e nel mantenimento dell’attacco parodontale.

Hanes e Coll. dimostrarono che fibroblasti gengivali umani in coltura legano ed accumulano nicotina rapidamente, con un meccanismo aspecifico, determinandone la presenza di alti livelli intracellulari. Gli Autori ipotizzarono che la presenza di nicotina a livello intracellulare alterasse i normali processi cellulari, quali la sintesi di collageno e la sintesi proteica, e potesse quindi risultare in una alterazione dei meccanismi di guarigione.

Chamson e Coll. dimostrarono una minore produzione di collageno di tipo III in colture di fibroblasti trattate con 35 nmol/ml di nicotina.

Raulin e Coll. indagarono su altre linee di fibroblasti considerando i cambiamenti relativi alla morfologia  e attacco ai substrati dopo esposizione delle cellule alla nicotina. La concentrazione di quest’ultima usata variava dai 25 ai 400 ng/m, equivalenti o superiori alle concentrazioni presenti nel plasma dei fumatori abituali.

Anche alle concentrazioni più basse testate, le cellule, esaminate al microscopio ottico, mostravano una perdita del normale allineamento che caratterizza i fibroblasti coltivati in monostrato ed apparivano disorganizzate e con frequenti sovrapposizioni.

Al microscopio elettronico a scansione le cellule presentavano, all’aumentare delle concentrazioni di nicotina, la formazione  di microvilli e filopodi sulla superficie plasmatica.

Questi prolungamenti cellulari, generalmente associati alla locomozione cellulare stessa, erano più frequenti in prossimità del substrato di coltura e gli Autori ipotizzavano che questi fossero degli adattamenti della cellula stessa che cercava di aderire a zone del substrato meno contaminate da nicotina.

Secondo gli Autori questi risultati potrebbero essere messi in correlazione con la minor riduzione di profondità di sondaggio che si osserva nei fumatori, dopo terapia non chirurgica. Infatti, una minor capacità di adesione dei fibroblasti potrebbe rendere gli stessi più suscettibili alla malattia parodontale e meno suscettibili alle procedure per la formazione di nuovo attacco. In concomitanza con le alterazioni cellulari riscontrate, si notava la presenza di un accresciuto numero di vacuoli intracellulari, probabile dimostrazione della presenza di nicotina a livello intracellulare prima della sua escrezione o metabolizzazione.

Peacock e Coll. dimostrarono, al contrario, un positivo effetto della nicotina a livello cellulare riguardo all’attacco di fibroblasti gengivali umani al substrato di coltura ed un modesto effetto stimolatorio sulla proliferazione di fibroblasti per concentrazioni di nicotina simili a quelle osservate in fumatori occasionali.

Comunque con maggiori concentrazioni di nicotina, simili a quelle osservate in forti fumatori, il numero delle cellule in coltura diminuiva suggerendo un effetto diretto sul metabolismo cellulare.

Fang e Coll. dimostrarono che basse concentrazioni di nicotina sopprimono la proliferazione cellulare di osteoblasti.

Monaco e Coll. hanno valutato l’effetto di alte concentrazioni di nicotina, simili a quelle che potrebbero essere osservate in forti fumatori, su culture di fibroblasti umani. Per queste concentrazioni è stata rilevata una inibizione nella proliferazione cellulare pari a circa il 30% rispetto ai controlli.

Noble e Penny analizzarono la chemiotassi dei leucociti prelevati dal circolo venoso periferico di 14 fumatori e di 13 non fumatori. Il gruppo dei fumatori subiva il prelievo al mattino, per valutare l’effetto di una notte di astensione, e subito dopo aver fumato due sigarette contenenti circa 1,6 mg di nicotina.

La chemiotassi ed il numero dei leucociti risultavano significativamente depressi nei fumatori rispetto ai non fumatori ed ai fumatori dopo una notte di astensione. Gli Autori ipotizzavano la presenza nel sangue di un labile fattore leucotossico legato al consumo di sigarette; d’altra parte la nicotina, potente stimolatore del rilascio di catecolamine, aumenta temporaneamente la concentrazione del 3’, 5’ adenosin monofosfato ciclico (AMP) che in certi casi influenza negativamente la chemiotassi dei leucociti polimorfonucleati.

Kenney e Coll. analizzarono la fagocitosi di leucociti polimorfonucleati prelevati dal cavo orale di 9 fumatori (consumo > 20 sigarette), con età media di 26 anni.

Nei fumatori la fagocitosi appariva significativamente ridotta rispetto ai non fumatori. Inoltre il prelevamento dei leucociti, dopo il consumo di una sigaretta, risultava in un ulteriore depressione della fagocitosi che appariva più evidente nei non fumatori rispetto ai fumatori.

Gli Autori ipotizzavano un’alterazione dei polimorfonucleati quale responsabile della maggiore suscettibilità della gengiva all’attacco batterico.

Kraal e Coll. osservarono che un concentrato di fumo di sigarette, dissolto in acqua fino ad ottenere una concentrazione di 5 mg di residuo non volatile per ml, era inibitorio nei confronti della migrazione di leucociti polimorfonucleati prelevati dal solco gengivale di cani Beagle.

Eichel e Coll. riportarono che l’esposizione del cavo orale al fumo di tabacco, anche di una sola sigaretta, fornisce materiale tossico in quantità sufficiente da inibire completamente la funzione dei leucociti ivi presenti ed esposti a questo materiale.

Bridges e Coll. analizzarono sia i componenti volatili sia quelli non volatili del fumo di sigarette e dimostrarono per entrambi un effetto inibitorio nei confronti della chemiotassi dei polimorfonucleati isolati dalla circolazione venosa periferica di volontari di sesso maschile non fumatori e con età compresa tra i 21 ed i 35 anni.

Holt e Coll. studiarono l’effetto del fumo sulle cellule della serie immunitaria (linfociti e macrofagi), su fibroblasti e su cellule epiteliali e notarono che le prime sono più sensibili all’effetto tossico dei vari componenti presenti nel tabacco.

Secondo Bostrom e Coll, risulta di fondamentale importanza nella patogenesi della malattia parodontale nei soggetti fumatori, l’intervento della TNF-a, una citochina proinfiammatoria prodotta dai leucociti (monociti/macrofagi) in risposta all’aggressione batterica, e  responsabile della distruzione del tessuto collagene e della lisi ossea.

Lo studio da essi condotto, dimostra come nel fluido crevicolare (GCF), il livello della citochina TNF-a, sia assai piu’ elevato nei soggetti fumatori se rapportato a quello dei non fumatori, mentre i valori di albumine, IgA e IgG si mantengono equivalenti tra fumatori e non.

Altro parametro di valutazione studiato da Dinsdale e Coll. è quello del differenziale di temperatura subgengivale fra soggetti fumatori e non. Risulterebbe secondo  questi autori, che la temperatura sublinguale sia piu elevata nei fumatori.

Su siti di rilevazione parodontale invece, la temperatura appare piu’ elevata in soggetti fumatori, se i siti rilevati sono affetti da malattia parodontale, viceversa se i siti di rilevazione sono sani la temperatura risulta piu’ bassa nei soggetti non fumatori.

 

 

 

Effetto del fumo sulla terapia parodontale

 

Preber e Coll. hanno dimostrato che la risposta alla terapia sembra essere diversa nei fumatori in quanto la riduzione della profondità del sondaggio dopo la levigatura radicolare è minima, mentre a distanza di un anno da interventi di chirurgia parodontale è maggiore la riformazione delle tasche.

Cortellini e Coll. riscontrarono una minore formazione di nuovo attacco, in fumatori, dopo una terapia chirurgica con rigenerazione guidata dei tessuti parodontali tramite uso di membrane di Gore-tex.

Sweet e Butler analizzarono l’effetto del fumo su un campione di 200 pazienti sottoposti ad estrazione bilaterale di terzi molari inferiori in completa inclusione.

Si verificava osteite alveolare nel 12% nei fumatori e del 2,6% nei non fumatori. Inoltre risultava del 26,3% l’incidenza dell’osteite in coloro che dichiaravano di aver fumato nell’immediato post-operatorio nonostante l’invito del chirurgo ad astenersi.

Gli Autori concludono affermando la necessità di evitare il consumo di sigarette per almeno cinque giorni dopo aver subito un intervento di chirurgia parodontale. 

Crawford e Coll. valutarno come influiva il fumo nei pazienti sottoposti a terapia implantare e dimostrarono che furono maggiori i fallimenti nei soggetti fumatori rispetto a coloro che non fumavano.

Goldminz e Coll. conducendo studi dermatologici hanno evidenziato una maggiore suscettibilità dei fumatori ed ex fumatori, a sviluppare necrosi dei tessuti dopo interventi di chirurgia a lembo od innesti cutanei. Gli Autori attribuivano alla nicotina e al monossido di carbonio l’influenza negativa alla microcircolazione favorendo così la necrosi del lembo o dell’innesto.

L’astensione dal fumo due giorni prima di sottoporsi ad interventi di chirurgia e protratta per una settimana veniva consigliata per i forti fumatori. Questi risultati anche se ottenuti da sperimentazioni eseguite in diversi distretti corporei, sono comunque indicativi ed importanti nello studiare le complicanze post-chirurgiche nel cavo orale in soggetti fumatori.

Secondo lo studio di Baumert e Coll., nella valutazione degli effetti del fumo sulla risposta a terapia parodontale, si evidenzia come  l’azione del fumo comporti una minore risposta di guarigione sui tessuti. In particolare si e' valutato come dopo terapia i soggetti fumatori presentano una minore riduzione della profondita’ di sondaggio, ed un minor recupero del livello di attacco rispetto ai non fumatori.

Secondo Trombelli e Scabbia, mentre durante GTR in soggetti affetti da recessioni di classe I e II di Miller la risposta dei tessuti non mostra sensibili variazioni nella fase prechirurgica, viceversa dopo chirurgia mostra notevoli differenze nella copertura radicolare 57% nei fumatori e 78% nei non fumatori.

In conclusione i risultati indicano come il trattamento di copertura radicolare mediante GTR in casi di recessione gengivale e fumo di sigaretta siano non compatibili.

 

 

Conclusioni

 

I problemi correlati al fumo che sono stati valutati permettono ai ricercatori di ritenere che il fumo crea sul parodonto effetti dannosi, alterandone la salute e le possibilità di difesa.

Il fumo contiene sostanze potenzialmente tossiche per i tessuti parodontali, fra queste la nicotina è stata la più studiata mentre altre componenti (nitrosamine) sono state analizzate più recentemente.

L’esposizione al fumo dei tessuti parodontali per un periodo più o meno lungo è sicuramente un elemento importante nell’eventuale quantificazione del danno biologico.

I diversi Autori sono in genere concordi nel sostenere che il numero di sigarette necessario per ottenere un effetto clinico significativo deve essere superiore alle dieci unità per almeno due anni.

La modificazione della placca batterica, collegata ad una compromessa funzionalità dei leucociti polimorfonucleati, altera nel processo infiammatorio l’efficienza della fase cellulare, in particolare della loro capacità fagocitaria e permette un peggioramento o almeno una maggiore difficoltà di risposta alle terapie parodontali. Quindi nel complesso vi è una globale modificazione della risposta infiammatoria all’insulto batterico e del processo riparativo.

Da questo possono derivare ovviamente gravi danni alle strutture parodontali con infiammazione cronica, aumento della profondità di sondaggio, lesione del legamento parodontale, perdita di osso alveolare, che in casi gravi può evolvere nella perdita di elementi dentari o insuccessi in implantologia.

L’insieme di questi dati suggerisce che essendo i fumatori più suscettibili alla malattia parodontale e meno sensibili alle terapie parodontali convenzionali, bisogna valutare attentamente questi dati prima di intraprendere un qualsiasi tipo di trattamento. Sarà inoltre di fondamentale importanza  avvertire il paziente riguardo alla maggiore probabilità del fallimento della terapia.

 

Riassunto

 

Gli autori esaminano l’associazione del fumo alla malattia parodontale rilevando dati scientifici dalla letteratura internazionale. Sono descritte le caratteristiche del parodonto nel fumatore e vengono analizzati gli aspetti epidemiologici, eziologici  e patogenetici del problema. Vengono infine considerati i risultati della terapia chirurgica sui fumatori.

 

 

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Parola chiave

 

Fumo

Malattia Parodontale

Nicotina

 

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Articolo pubblicato su JED Journal of Evolutionary Dentistry

Vol 1, N° 2 Dicembre 1998    http://www.dental-smile.com

Per gentile concessione dell’editore e direttore responsabile Dott. Mario Lendini