LINEE GUIDA DEONTOLOGICHE PER LO PSICOLOGO FORENSE
Approvato
dal Consiglio Direttivo dellAssociazione Italiana di Psicologia Giuridica a Roma il
17 gennaio 1999 dalla Assemblea dellAssociazione Italiana di Psicologia Giuridica a
Torino il 15 ottobre 1999
Le seguenti disposizioni non sono sostitutive del Codice Deontologico degli Psicologi
Italiani in quanto ogni psicologo è tenuto ad osservare le sue norme quale che sia la
propria specialità. Esse consistono in linee guida cui attenersi nellesercizio
dellattività psicologica in ambito forense.
Lo
psicologo forense è consapevole della responsabilità che deriva dal fatto che
nellesercizio della sua professione può incidere significativamente
attraverso i propri giudizi espressi agli operatori forensi ed alla magistratura
sulla salute, sul patrimonio e sulla libertà degli altri. Pertanto, presta particolare
attenzione alle peculiarità normative, organizzative sociali e personali del contesto
giudiziario ed inibisce luso non appropriato delle proprie opinioni e della propria
attività.
Lo psicologo
forense non abusa della fiducia e della dipendenza degli utenti destinatari e delle sue
prestazioni che a causa del processo sono particolarmente vulnerabili alla propria
attività. Per questo, lo psicologo si rende responsabile dei propri atti professionali e
delle loro prevedibili dirette conseguenze (cfr. art. 3 C.D.).
Lo psicologo
forense, vista la particolare autorità del giudicato cui contribuisce con la propria
prestazione, mantiene un livello di preparazione professionale adeguato, aggiornandosi
continuamente negli ambiti in cui opera, in particolare per quanto riguarda contenuti
della psicologia giuridica, segnatamente quella giudiziaria, e delle norme giuridiche
rilevanti. Non accetta di offrire prestazioni su argomenti in materia in cui non sia
preparato e si adopera affinché i quesiti gli siano formulati in modo che egli possa
correttamente rispondere.
Lo psicologo
forense nei rapporti con i magistrati, gli avvocati e le parti mantiene la propria
autonomia scientifica e professionale. Sia pure tenendo conto che norme giuridiche
regolano il mandato ricevuto dalla magistratura, dalle parti o dai loro legali non
consente di essere ostacolato nella scelta di metodi, tecniche, strumenti psicologici,
nonché nella loro utilizzazione (art. 6 C.D.).
Nel
rispondere al quesito peritale tiene presente che il suo scopo è quello di fornire
chiarificazioni al giudice senza assumersi responsabilità decisionali né tendere alla
conferma di opinioni preconcette. Egli non può e non deve considerarsi o essere
considerato sostituto del giudice. Nelle sue relazioni orali e scritte evita di utilizzare
un linguaggio eccessivamente o inutilmente specialistico. In esse mantiene distinti i
fatti che ha accertato dai giudizi professionali che ne ha ricavato.
Lo psicologo
forense presenta allavente diritto i risultati del suo lavoro, rendendo esplicito il
quadro teorico di riferimento e le tecniche utilizzate (art. 1 C.N.), così da permettere
uneffettiva valutazione e critica relativamente allinterpretazione dei
risultati. Egli, se è richiesto, discute con il giudice i suggerimenti indicati e le
possibili modalità attuative.
Nellespletamento
delle sue funzioni lo psicologo forense utilizza metodologie scientificamente affidabili
(art. 5 C.D.; art. 1 C.N.). Nei processi per la custodia dei figli la tecnica peritale è
improntata quanto più possibile al rilevamento di elementi provenienti sia dai soggetti
stessi sia dallosservazione dellinterazione dei soggetti tra di loro.
Lo psicologo
forense valuta attentamente il grado di validità e di attendibilità di informazioni,
dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte (art. 7 C.D.; art. 1 C.N.). Rende
espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati (art. 1 C.N.) e,
alloccorrenza, vaglia ed espone ipotesi interpretative alternative (art. 5 C.N.)
esplicitando i limiti dei propri risultati (art. 7 C.D.). Evita altresì di esprimere
opinioni personali non suffragate da valutazioni scientifiche. Nei casi di abuso
intrafamiliare, qualora non possa valutare psicologicamente tutti i membri del contesto
familiare (compreso il presunto abusante), deve denunciarne i limiti della propria
indagine dando atto dei motivi di tale incompletezza (art. 3 C.N.).
Lo psicologo forense esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente scorretto esprimere un parere sul bambino senza averlo esaminato (art. 3/3 C.N.)
(artt. 3/1, 3/2 C.N.).
Operando
nellambito della giustizia penale e civile altri professionisti delle scienze
sociali e del comportamento (quali criminologi, psichiatri, sociologi, assistenti sociali,
pedagogisti e laureati in giurisprudenza) lo psicologo si adopera per scoraggiare
lesercizio abusivo di attività strettamente psicologiche svolte da chiunque non
rispetti i limiti delle proprie competenze anche segnalandolo al consiglio
dellOrdine (art. 8 C.D.).
Lo psicologo
forense agisce sulla base del consenso informato da parte del cliente/utente. In caso di
intervento individuale o di gruppo, è tenuto ad informare nella fase iniziale circa le
regole che governano tale intervento (art. 14 C.D.).
Qualora
il mandato gli sia stato conferito da persona diversa dal soggetto esaminato o trattato,
per esempio da un magistrato, lo psicologo chiarisce al soggetto le caratteristiche del
proprio operato. Lo psicologo forense è tenuto al segreto professionale (art. 11 C.D.) ma
è altresì tenuto a comunicare al soggetto valutato o trattato i limiti della segretezza
qualora il mandante sia un magistrato o egli adempia ad un dovere (per es. trattamento
psicoterapeutico in carcere) (art. 24 C.D.).
Stante il
contesto in cui opera, lo psicologo forense ha particolare cura nel redigere e conservare
appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere sotto qualsiasi forma che
riguardino il rapporto col soggetto (art. 17 C.D.).
Egli
ricorre, ove possibile, alla videoregistrazione o, quantomeno, alla audioregistrazione
delle attività svolte consistenti nellacquisizione delle dichiarazioni o delle
manifestazioni di comportamenti. Tale materiale deve essere posto a disposizione delle
parti e del magistrato (art. 4 C.N.).
Lo psicologo
che opera nel processo, proprio per la natura conflittuale delle parti in esso, è
particolarmente tenuto ad ispirare la propria condotta al principio del rispetto e della
lealtà (art. 33 C.D.). Nei rapporti con i colleghi, durante le operazioni peritali o
comunque collegiali, lo psicologo è tenuto a comportamento leale, mantenendo la propria
autonomia scientifica, culturale e professionale (art. 6/1 C.D.) pur prendendo in
considerazione interpretazioni diverse dei dati (art. 7 C.D.; art. 5 C.N.) anche per il
confronto con i consulenti di parte. Ove previsto dalla legge, concerta insieme ai
colleghi tempi e metodi per il lavoro comune, manifesta con lealtà il proprio dissenso,
critica, ove lo ritenga necessario, i giudizi elaborati degli altri colleghi, nel rispetto
della loro dignità e fondandosi soltanto su argomentazioni di carattere scientifico e
professionale evitando critiche rivolte alla persona (art. 36 C.D.).
I consulenti
di parte mantengono la propria autonomia concettuale, emotiva e comportamentale rispetto
al loro cliente. Il loro operato consiste nelladoperarsi affinché i consulenti di
ufficio e il consulente dellaltra parte rispettino metodologie corrette ed esprimano
giudizi fondati scientificamente.
Lo psicologo
forense rende espliciti al minore gli scopi del colloquio curando che ciò non influenzi
le risposte, tenendo conto della sua età e della sua capacità di comprensione, evitando
per quanto possibile che egli si attribuisca la responsabilità per ciò che riguarda il
procedimento e gli eventuali sviluppi (art. 8. C.N.). Garantisce nella comunicazione col
minore che lincontro avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la serenità
del minore e la spontaneità della comunicazione; evitando, in particolare, il ricorso a
domande suggestive o implicative che diano per scontata la sussistenza del fatto reato
oggetto delle indagini (art. 6 C.N.).
I colloqui col
minore tengono conto che egli è già sottoposto allo stress che ha causato la vertenza
giudiziaria. Nel caso di pluralità di esperti, è opportuno favorire la concentrazione
dei colloqui con il minore in modo da minimizzare lo stress che la ripetizione dei
colloqui può causare al bambino (art. 7 C.N.).
I ruoli
dellesperto nel procedimento penale e dello psicoterapeuta sono incompatibili (art.
26 C.D.; art. 10 C.N.).
Lalleanza terapeutica, che è la caratteristica relazionale che domina la realtà
psicoterapeutica, è incompatibile col distacco che il perito e il consulente tecnico
devono mantenere nel processo. Per questo, chi ha o abbia avuto in psicoterapia una delle
parti del processo o un bambino di cui si tratta nel processo o un suo parente, o abbia
altre implicazioni che potrebbero comprometterne lobiettività (art. 26/2, art. 28/1
C.D.) si astiene dallassumere ruoli di carattere formale. Lo psicologo che esercita
un ruolo peritale non svolge nel contempo nei confronti delle persone diagnosticate
attività diverse come, per esempio, quelle di mediazione o di psicoterapia. Egli, con il
consenso dellavente diritto, potrà semmai, in quanto testimone, offrire il suo
contributo agli accertamenti processuali (art. 12 C.D.). Durante il corso della
valutazione processuale, lo psicologo forense non può accettare di incontrare come
cliente per una terapia nessuno di coloro che sono coinvolti nel processo di diagnosi
giudiziaria (art. 10 C.N.).
Nelle
valutazioni riguardanti la custodia dei figli, lo psicologo forense valuta non solo il
bambino, i genitori e i contributi che questi psicologicamente possono offrire ai figli,
ma anche il gruppo sociale e lambiente in cui eventualmente si troverebbe a vivere.
<*> Sono indicati i riferimenti al "Codice deontologico degli psicologi" (C.D.) , alla "Carta di Noto" (C.N.)