PARERE DELL'ESPERTO
 

Talvolta anche il buonismo può uccidere

di
Gustavo Sergio

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Venezia



Il Punto su ...
Noi e i diversi da noi.
Editoriale
di Luisella de Cataldo

Parere dell'Esperto
Talvolta anche il buonismo può uccidere.
di Gustavo Sergio


Giurisprudenza
 Sentenza Cassazione n.10090 del 12 marzo 2001:
Mobbing sul lavoro, maltrattamenti e violenza privata.
Recensioni
Adolescenti e Violenza. Strategie di diagnosi e riabilitazione.
di Lino Rossi
Franco Angeli Editore

Notizie dalla Associazione

Convegni e Seminari
Siracusa: 9-11 novembre 01

La Formazione
Difficoltà e complessità d'approccio psicologico e metodologico in contesti giuridici differenziati.
di Paolo Capri

Lo stato della formazione in
Italia per gli operatori psicologico-giuridici.
di Stefano Mariani 

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   Questi i titoli della rubrica Cronache del Corriere della Sera del 26 marzo 2001: "Così ho strangolato mia madre"; "Matricida assolto, Fassino chiede informazioni"; "Taranto, uccide figlio adottivo". Evidentemente il giornale si limita a registrare i fatti come espressione di uno stesso fenomeno terribile quanto inspiegabile: figli che ammazzano genitori, o viceversa. Dunque i legami affettivi e biologici che trasmettono la vita possono pervertirsi in distruzione. Sbigottimento, paura per un capovolgimento così impensabile. Mi sfiora la famosa metafora di una certa regola del giornalismo sensazionale: non cane che morde il padrone, ma padrone che morde il cane...
Passo a sfogliare il giornale locale, IL MATTINO di Napoli. Qui la rubrica si chiama Primo Piano, ed i titoli si riferiscono agli stessi fatti."Il dramma di Pompei. Per un anno prigioniero della madre ammalata" ; "Genova, interviene il Guardasigilli." ; "Lecce, ammazza il figlio adottivo."
Dunque è possibile dare le notizie in modo più articolato, meno totalitario. Mi incuriosisce il sottotitolo del pezzo su Pompei: "Sulla famiglia un voluminoso fascicolo." 
Leggo l'articolo firmato da Daniela De Crescenzo che inizia così: "Alessandro assassino, Alessandro aspirante suicida, Alessandro che è legatissimo al padre e che cova rancore verso la madre, Alessandro costretto a badare ai fratellini, Alessandro sezionato dagli psicologi che oggi dalle pagine dei giornali analizzano moventi e sentimenti. Sentimenti di cui fino ad ieri nessuno ha voluto tener in conto. Eppure che il ragazzo soffrisse, che stesse male non era certo un segreto. Era scritto in documenti e certificati. " 
A questo punto alla pena per una storia così tragica si associa anche l'attenzione professionale. Dal seguito della lettura emerge che il ragazzo tentò il suicidio circa un anno fa, che il tribunale per i minorenni aveva disposto un intervento, che vi fu anche una nuova crisi della madre. "Non so quali provvedimenti siano stati adottati - spiega il sindaco di Pompei - ma ritengo che l'esperto abbia fatto tutto il possibile." L'articolo così commenta: E' certo però che, nonostante il disagio manifestato, Alessandro ed i fratellini hanno continuato a vivere con Marina Allocca. Nel febbraio 2001 infatti è stata pronunciata dal tribunale di Torre Annunziata la sentenza di separazione ed i ragazzini, su richiesta della donna, sono rimasti a vivere con lei. Si trattò di una separazione consensuale."
Quando succedono tragedie come questa esperti e responsabili istituzionali sogliono invocare maggiore prevenzione. E' una parola magica di sicuro effetto, innanzi tutto perché l'uomo comune non sa bene in che cosa consista, e poi perché allude ad un rimedio polivalente che pare fondato sulla scienza e la tecnica, gli idoli dei nostri giorni… 
Eppure, come dimostra l'articolo del quotidiano partenopeo che senza smorzare l'intrinseca drammaticità dei fatti raccoglie frammenti della realtà capaci di far riflettere anche il lettore più pigro e superficiale, non ci vuole molto a cogliere le ragioni della tragedia. Almeno di quelle che si riferiscono alla responsabilità delle istituzioni deputate a regolare le situazioni personali, i rapporti educativi ed affettivi di bambini e ragazzi con i genitori quando l'unità familiare si rompe.
Sono passati oramai 10 anni dalla ratifica in Italia della Convenzione di New York sui Diritti dei Bambini, ed ancora avviene che i figli minori non siano ascoltati nei procedimenti giudiziari o amministrativi dove si prendono decisioni che riguardano la loro vita. 
L'art. 12 della convenzione stabilisce che il giudice deve ascoltare l'opinione dei fanciulli capaci di discernimento e deve tenerla nel conto dovuto, ma ancora troppo spesso qualcuno ritiene che non si debba turbare i bambini con cose più grandi di loro. Troppo buoni certi giudici, certi adulti convinti - in buona fede ma con evidente miopia - di dover risparmiare ai figli lo stress di un incontro con la giustizia. 
Come se ciò potesse evitare la pena di rapporti esistenziali amputati, e comunque quella di subire decisioni prese sulla loro testa senza che sia stata offerta neppure l'occasione di comprendere, di partecipare ad eventi che dalla sera alla mattina cambiano l'orizzonte di una vita.
La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi, prima dalla Corte d'Appello di Genova, ed ultimamente anche da quella di Torino, su tale questione che, come i fatti dimostrano, oltre che giuridica è di civiltà. Speriamo che la sua decisione faccia entrare definitivamente nel costume giudiziario italiano, (ed anche in quello amministrativo) la regola dell'ascolto dei bambini e degli adolescenti sancita già da tempo a livello internazionale.
C'è poi un secondo profilo che la tragedia di Pompei mette in rilievo.
Spesso, troppo spesso purtroppo, i giudici minorili e della famiglia non ritengono di dover pronunciare la decadenza della potestà di uno o di entrambi i genitori e di mutare le condizioni di affidamento (generalmente attribuito alla madre), anche se la decisione è sempre revocabile, anche se il provvedimento non ha la funzione di sanzionare e punire il comportamento del genitore, ma quella di tutelare il diritto del bambino al normale sviluppo della personalità, ad essere educato nel rispetto delle sue capacità ed inclinazioni naturali, delle sue aspirazioni. Perché avviene questo ?
Si tratta di un buonismo che maschera uno spirito pilatesco, pigrizia ed incapacità professionale che trovano un facile alibi nella delega ai servizi socio sanitari. Così fatalmente il provvedimento politically correct è quello del c.d. affido al servizio sociale. Il giudice dunque lascia le cose come stanno e si mette l'anima in pace incaricando gli operatori socio sanitari di risolvere ogni problema e di risparmiargli l’affanno di prendere eventualmente decisioni difficili. Così facendo però la funzione essenziale della giustizia risulta svuotata. Perché mai sarebbe necessario il ricorso al giudice se non per stabilire le nuove responsabilità dei genitori nei confronti dei figli minori all’indomani della rottura dell’unità familiare ? Non è questo il contenuto minimo della tutela giuridica di soggetti deboli che non hanno voce nel processo pur trovandosi coinvolti in un evento che certamente muta in modo radicale le loro prospettive esistenziali ?
Alla fine la fiducia illimitata nelle possibilità di successo degli interventi socio sanitari si rivela come una vera e propria ideologia, un alibi per eludere le proprie specifiche responsabilità istituzionali.