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9-11 novembre 01
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Questi
i titoli della rubrica Cronache del Corriere della Sera del
26 marzo 2001: "Così ho strangolato mia madre"; "Matricida
assolto, Fassino chiede informazioni"; "Taranto, uccide figlio adottivo".
Evidentemente il giornale si limita a registrare i fatti come espressione
di uno stesso fenomeno terribile quanto inspiegabile: figli che ammazzano
genitori, o viceversa. Dunque i legami affettivi e biologici che trasmettono
la vita possono pervertirsi in distruzione. Sbigottimento, paura per un
capovolgimento così impensabile. Mi sfiora la famosa metafora di
una certa regola del giornalismo sensazionale: non cane che morde il
padrone, ma padrone che morde il cane...
Passo a sfogliare il giornale locale, IL MATTINO di Napoli.
Qui la rubrica si chiama Primo Piano, ed i titoli si riferiscono
agli stessi fatti."Il dramma di Pompei. Per un anno prigioniero della
madre ammalata" ; "Genova, interviene il Guardasigilli." ; "Lecce,
ammazza il figlio adottivo."
Dunque è possibile dare le notizie in modo più
articolato, meno totalitario. Mi incuriosisce il sottotitolo del pezzo
su Pompei: "Sulla famiglia un voluminoso fascicolo."
Leggo l'articolo firmato da Daniela De Crescenzo che
inizia così: "Alessandro assassino, Alessandro aspirante suicida,
Alessandro che è legatissimo al padre e che cova rancore verso la
madre, Alessandro costretto a badare ai fratellini, Alessandro sezionato
dagli psicologi che oggi dalle pagine dei giornali analizzano moventi e
sentimenti. Sentimenti di cui fino ad ieri nessuno ha voluto tener in conto.
Eppure che il ragazzo soffrisse, che stesse male non era certo un segreto.
Era scritto in documenti e certificati. "
A questo punto alla pena per una storia così tragica
si associa anche l'attenzione professionale. Dal seguito della lettura
emerge che il ragazzo tentò il suicidio circa un anno fa, che il
tribunale per i minorenni aveva disposto un intervento, che vi fu anche
una nuova crisi della madre. "Non so quali provvedimenti siano stati
adottati - spiega il sindaco di Pompei - ma ritengo che l'esperto abbia
fatto tutto il possibile." L'articolo così commenta: E' certo
però che, nonostante il disagio manifestato, Alessandro ed i fratellini
hanno continuato a vivere con Marina Allocca. Nel febbraio 2001 infatti
è stata pronunciata dal tribunale di Torre Annunziata la sentenza
di separazione ed i ragazzini, su richiesta della donna, sono rimasti a
vivere con lei. Si trattò di una separazione consensuale."
Quando succedono tragedie come questa esperti e responsabili
istituzionali sogliono invocare maggiore prevenzione. E' una parola magica
di sicuro effetto, innanzi tutto perché l'uomo comune non sa bene
in che cosa consista, e poi perché allude ad un rimedio polivalente
che pare fondato sulla scienza e la tecnica, gli idoli dei nostri giorni…
Eppure, come dimostra l'articolo del quotidiano partenopeo
che senza smorzare l'intrinseca drammaticità dei fatti raccoglie
frammenti della realtà capaci di far riflettere anche il lettore
più pigro e superficiale, non ci vuole molto a cogliere le ragioni
della tragedia. Almeno di quelle che si riferiscono alla responsabilità
delle istituzioni deputate a regolare le situazioni personali, i rapporti
educativi ed affettivi di bambini e ragazzi con i genitori quando l'unità
familiare si rompe.
Sono passati oramai 10 anni dalla ratifica in Italia
della Convenzione di New York sui Diritti dei Bambini, ed ancora avviene
che i figli minori non siano ascoltati nei procedimenti giudiziari o amministrativi
dove si prendono decisioni che riguardano la loro vita.
L'art. 12 della convenzione stabilisce che il giudice
deve ascoltare l'opinione dei fanciulli capaci di discernimento e deve
tenerla nel conto dovuto, ma ancora troppo spesso qualcuno ritiene che
non si debba turbare i bambini con cose più grandi di loro. Troppo
buoni
certi giudici, certi adulti convinti - in buona fede ma con evidente
miopia - di dover risparmiare ai figli lo stress di un incontro con la
giustizia.
Come se ciò potesse evitare la pena di rapporti
esistenziali amputati, e comunque quella di subire decisioni prese sulla
loro testa senza che sia stata offerta neppure l'occasione di comprendere,
di partecipare ad eventi che dalla sera alla mattina cambiano l'orizzonte
di una vita.
La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi,
prima dalla Corte d'Appello di Genova, ed ultimamente anche da quella di
Torino, su tale questione che, come i fatti dimostrano, oltre che giuridica
è di civiltà. Speriamo che la sua decisione faccia entrare
definitivamente nel costume giudiziario italiano, (ed anche in quello amministrativo)
la regola dell'ascolto dei bambini e degli adolescenti sancita già
da tempo a livello internazionale.
C'è poi un secondo profilo che la tragedia di
Pompei mette in rilievo.
Spesso, troppo spesso purtroppo, i giudici minorili e
della famiglia non ritengono di dover pronunciare la decadenza della potestà
di uno o di entrambi i genitori e di mutare le condizioni di affidamento
(generalmente attribuito alla madre), anche se la decisione è sempre
revocabile, anche se il provvedimento non ha la funzione di sanzionare
e punire il comportamento del genitore, ma quella di tutelare il diritto
del bambino al normale sviluppo della personalità, ad essere educato
nel rispetto delle sue capacità ed inclinazioni naturali, delle
sue aspirazioni. Perché avviene questo ?
Si tratta di un buonismo che maschera uno spirito pilatesco,
pigrizia ed incapacità professionale che trovano un facile alibi
nella delega ai servizi socio sanitari. Così fatalmente il provvedimento
politically
correct è quello del c.d. affido al servizio sociale.
Il giudice dunque lascia le cose come stanno e si mette l'anima in pace
incaricando gli operatori socio sanitari di risolvere ogni problema e di
risparmiargli l’affanno di prendere eventualmente decisioni difficili.
Così facendo però la funzione essenziale della giustizia
risulta svuotata. Perché mai sarebbe necessario il ricorso al giudice
se non per stabilire le nuove responsabilità dei genitori nei confronti
dei figli minori all’indomani della rottura dell’unità familiare
? Non è questo il contenuto minimo della tutela giuridica di soggetti
deboli che non hanno voce nel processo pur trovandosi coinvolti in un evento
che certamente muta in modo radicale le loro prospettive esistenziali ?
Alla fine la fiducia illimitata nelle possibilità
di successo degli interventi socio sanitari si rivela come una vera e propria
ideologia, un alibi per eludere le proprie specifiche responsabilità
istituzionali. |