Affidamento bi-familiare:
implicazioni psicologiche

di
Maria Assunta Occulto

Psicologa Ministero della Giustizia
Resp. Sezione Psicologia Penitenziaria CEIPA

 




Il Punto su ...
Mala tempora currunt
La perizia ieri e oggi

Editoriale
di Liusella de Cataldo


Parere dell'Esperto
"A proposito della riforma della legge sull'adozione:
quale funzione è riservata ai tribunali per i minorenni?"
di Gustavo Sergio

Recensioni
Proposte di criminologia
applicata 2000
di Carlo Serra
Giufrrè Editore - Milano 2000 a cura di Barbara Giambra

Dall'Estero
Sopravvivere alle cause del trauma:
prevalenza di segni silenti di abuso sessuale in soggetti che da adulti rievocavano ricordi di abuso sessuale nell'infanzia.
di E. Musso e P. Nardi

Notizie dalla Associazione

Convegni e Seminari
Siracusa: 8-9-10 novembre 2001

Affidamento bi-familiare:
implicazioni psicologiche
di M. A. Occulto

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 La legge 4 maggio 1983, n. 184 ha rappresentato una conquista sociale di grandissimo rilievo in quanto riconosce il fondamentale diritto del bambino ad avere una famiglia.
Essa pertanto afferma l’interesse primario di un soggetto in età evolutiva ad avere uno status familiare, sancito dalla Costituzione e rivaluta il ruolo della famiglia considerata come fonte primaria del diritto all’educazione come diritto inalienabile di sviluppo affettivo, psicologico e sociale.
La sopracitata legge, infatti, all’art. 2 c. 1 prevede che, in caso di temporanea privazione di ambiente familiare idoneo, il minore venga affidato ad altra famiglia, possibilmente con figli minori o a persona singola o a comunità di tipo familiare rimanendo del tutto residuale la possibilità di una collocazione in istituto. La problematicità dell’affidamento è stata tenuta ben presente dal Legislatore che ha distinto l’affido consensuale da quello giudiziale (art. 4). Il primo prevede che vi sia accordo sull’affidamento di un minore da parte dei genitori naturali o di quello esercente la potestà ovvero del tutore; in questo caso l’affidamento è disposto dal servizio sociale locale, mentre il giudice tutelare, mediante l’apposizione del visto esecutivo accerta la rispondenza , dal punto di vista della legittimità, dell’atto alle norme di legge.
Il secondo tipo di affidamento viene invece disposto dal Tribunale per i minorenni, quando manchi l’assenso dei genitori o del tutore e si accerti comportamento pregiudizievole degli stessi.
In tali casi l’organo giudiziario, a norma degli artt. 330 e 333 del Codice Civile, dichiara la decadenza o la limitazione nell’esercizio della potestà genitoriale o della tutela, disponendo, tra le altre misure, anche l’affido eterofamiliare.
Questi sono solo alcuni dei riferimenti giuridici della legge in materia di affidamento di minori.
Interrogativi, dubbi, perplessità e, al tempo stesso aspettative circa le potenzialità di un istituto giuridico che può contribuire a ben ragione alla rinascita di un soggetto a rischio di abbandono, si sono equivalsi in questi 18 anni circa di vita di tale legge.
Gli interrogativi più seri si sono posti sugli effetti psicologici che i soggetti interessati vivono o subiscono da questa grande avventura umana e sociale.

Il minore e le famiglie: nella concezione del Legislatore e degli studiosi dell’età evolutiva, l’affidamento va inquadrato in un processo di sviluppo della personalità del minore; diversamente non si capirebbe l’importanza ed il ruolo riconosciuti alla famiglia come procreatrice e come fonte di sicurezza e di affettività.
L’affidamento, pertanto, va considerato come una condizione tesa ad assicurare un normale cammino verso la realizzazione umana e sociale del soggetto affidato.
E’ possibile, quindi, immaginare l’affidamento, malgrado la temporaneità dello stesso, come un percorso inserito nel ciclo vitale del bambino. Ciò spiega la particolare attenzione con la quale considerare: 

- la condizione psicologica del minore; ossia la condizione di rischio e lo stato e il grado di sofferenza che egli vive a causa di situazioni di privazione affettiva o di gravi carenze educative o di degrado familiare ed ambientale;

- la natura ed il grado di intensità del rapporto affettivo che il soggetto vive con i genitori e le altre persone del nucleo familiare;

- i bisogni reali o simbolici, impliciti ed espliciti, che egli in qualche modo esprime e manifesta ;

- le aspettative dei componenti il nucleo familiare nei confronti del minore da affidare;

- i rischi , ben più gravi, anche in presenza di serie situazioni di carenze e di disfunzioni nella vita familiare, di un sentimento di abbandono o, peggio, di un sentimento di colpa che inconsciamente può essere riversato o vissuto dal bambino;

- le fantasie di morte , piuttosto che di ri-generazione, che lo stesso bambino può elaborare di fronte alla prospettiva di "passare di mano" da genitori a "sostituti dei suoi genitori";

- il comportamento reattivo del minore come vissuto anticipatorio di abbandono per non "essere abbandonato" (Dell’Antonio, 1990).

Studi e ricerche condotte sul comportamento di bambini, come anche di soggetti in età di latenza e perfino preadolescenti ed adolescenti, mettono in evidenza stati di passività e di chiusura comunicativa e relazionale con il nuovo ambiente degli affidatari, oppure stati di aperta conflittualità ed aggressività che sembrano distribuirsi nei confronti delle due famiglie, entrambe considerate colpevoli di un vissuto dove regna l’insicurezza, la paura, il senso di una perdita di identità personale, o ancora forme di attaccamento angoscioso ai propri genitori (Bowlby, 1982; Dell’Antonio, 1983; De Rienzo, Saccoccio, Tortello, 1989; Dell’Antonio, 1990).
Questi risvolti psicologici sull’animo del minore chiamano in causa la sensibilità, la capacità empatica, la competenza professionale dei servizi chiamati ad investigare le condizioni per l’affidamento e a saper interpretare le reali dinamiche della relazione affettiva del soggetto con l’intero nucleo familiare. Ciò spiega l’importanza attribuita dal Legislatore alla necessaria condizione di "sentire" il minore che abbia compiuto i dodici anni, che in termini psicologici si traduce nel "dare voce e spazio comunicativo al minore" (Dell’Antonio, 1990).
 
 

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