IL PUNTO SU ...

Mala tempora currunt
La perizia ieri e oggi

di
Luisella de Cataldo Neuburger

Presidente AIPG
Avvocato Psicologo
Resp. Sezione di Psicologia Giuridica
     Università degli Studi di Milano




Il Punto su ...
Mala tempora currunt
La perizia ieri e oggi

Editoriale
di Luisella de Cataldo


Parere dell'Esperto
"A proposito della riforma della legge sull'adozione:
quale funzione è riservata ai tribunali per i minorenni?"
di Gustavo Sergio

Recensioni
Proposte di criminologia
applicata 2000
di Carlo Serra
Giufrrè Editore - Milano 2000 a cura di Barbara Giambra

Dall'Estero
Sopravvivere alle cause del trauma:
prevalenza di segni silenti di abuso sessuale in soggetti che da adulti rievocavano ricordi di abuso sessuale nell'infanzia.
di E. Musso e P. Nardi

Notizie dalla Associazione

Convegni e Seminari
Siracusa: 8-9-10 novembre 2001

Affidamento bi-familiare:
implicazioni psicologiche
di M. A. Occulto

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  Un recentissimo caso giudiziario che ha interessato la Procura di Milano induce a qualche malinconica riflessione sul tempo che, per certi istituti (come la perizia), sembra passare invano. In sostanza, come vedremo, lamentiamo oggi gli stessi guasti lamentati da secoli. Ecco il caso: dopo tre anni di indagini, condotte dal Pubblico Ministero Pietro Forno, un rinvio a giudizio e solo quattro udienze di un processo durato un paio di mesi, il P.M. Tiziana Siciliano ha chiesto e ottenuto l'assoluzione di un padre accusato di aver abusato sessualmente della figlia. La requisitoria del magistrato è stata un atto di accusa ad un metodo di indagine basato su "una perizia ginecologica di una superficialità che rasenta lo scandalo", su "interrogatori condotti in modo incongruo", su atti che "non permetteranno mai di sapere se la bambina abbia subito abusi". Al termine, ha invitato i giudici della V sezione penale del Tribunale di Milano a un atto che "restituisca alla madre la sua dignità di madre" poi ha chiesto di trasmettere alla Procura gli atti del processo, per avviare un'indagine per abuso d'ufficio nei confronti dei periti. 
Questa la vicenda giudiziaria che prende le mosse da una consulenza, in questo caso di tipo ginecologico. Per l’art. 220 del codice di procedura penale la perizia viene disposta quando occorra "svolgere indagini e acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche e artistiche". In questi casi, il giudice deve aprire le porte dell’iter decisionale al parere di estranei al sistema che sono in possesso di competenze che il giudice non ha ma che gli sono necessarie per decidere un dato caso. Infatti, la ‘peritia’ non rappresenta una dotazione personale necessaria, come la prudentia o la conscientia’ deve possedere chi debba svolgere la funzione giurisdizionale. La storia di questo istituto è vecchia ma, ahimè, non superata e quindi vale la pena di ripercorrerla, anche se nelle grandi linee. E’ da molto tempo che il diritto penale ha cercato alleanze con altre discipline, segnatamente con quella medica con la quale ha stabilito un’entente cordiale nei confronti della gestione della criminalità, un relitto arcaico la cui origine è tanto remota da non poter essere storicamente provata. Da sempre, infatti, autorità giudiziaria e potere medico si sono alleate nel difendere la società contro la devianza sia criminale che mentale, fin dai tempi in cui i giudici celebravano i processi contro gli animali e la medicina risolveva i casi di stregoneria. In Francia, nel 1700 i parenti che volevano rinchiudere un membro della famiglia tra gli insensati di Bicètre, dovevano rivolgersi al giudice che "ordinerà la visita dell’insensato da parte del medico e del chirurgo". Come ricorda Foucault (1), il riconoscimento della follia nel diritto canonico come nel diritto romano era legato alla sua diagnosi da parte della medicina.
La ricerca sulla stregoneria francese del 600 ha messo in evidenza lo spazio ricoperto dagli esponenti della professione medica nella controversa questione del riconoscimento della presenza diabolica sulla superficie del corpo di streghe e stregoni. 
La pratica giudiziaria tra il secondo 500 e il primo 700 evidenzia, una tipologia assai variata di fonti diversificate in quanto diversi sono gli ambiti processuali che richiedono l’intervento del perito. Si pensi, per fornire un solo esempio, ai processi di canonizzazione che si svolsero a partire dai decreti di Urbano VIII del 1635 quando le procedure relative vennero formalizzate e rese più rigorose: qui infatti si impone la richiesta di una certificazione adeguata e competente delle guarigioni miracolose, sanzionate dal sapere medico che interviene per farsi garante delle capacità taumaturgiche dell’uomo o donna di cui si intende documentare la santità. I risultati delle ricerche sul territorio del Regno di Napoli nella prima età moderna condotte da Gentilcore (2)hanno evidenziato un atteggiamento non omogeneo da parte di quanti esercitano le arti sanitarie: mentre le dichiarazioni rilasciate da barbieri chirurghi suggeriscono una propensione "a credere e rendere note singole guarigioni miracolose cui avevano assistito personalmente" i medici mostrano nei loro giudizi un arco di posizioni che vanno da quelle appiattite sulla credenza delle presunte guarigioni soprannaturali a quelle improntate a scetticismo.
Un altro caso interessante (che fa pensare alle attuali problematiche legate alla ‘terapia coatta’) è documentato negli archivi notarili dove, accanto agli atti più frequenti come compravendite, testamenti, inventari di beni ecc. ne compaiono di natura diversa per i quali veniva ritenuta necessaria la presenza del notaio e, contestualmente, del medico. Ad esempio, ci si è imbattuti nella dichiarazione cautelativa di un gruppo di medici contro un cittadino di Bologna che, avendone richiesto il parere nel 1563, rifiutava peraltro di farsi salassare, di assumere la terapia suggerita (" cassias, sirupos et alia medicamenta") e persisteva a mantenere un malsano regime alimentare a base di carne di maiale e di malvasia. 
 tempi sono lontani, ma neppure allora era sfuggita ai giuristi la necessità di un controllo e di una selezione delle competenze professionali dei periti e di vigilare che le dichiarazioni di medici e cerusici non fossero tese ad occultare la verità per "isgravare gli uccisori" attribuendo, ad esempio, a causa naturali una morte violenta. 
Arrivano addirittura (e il problema è attualissimo) a mettere in guardia da possibili confusioni tra testimonianza e perizia: infatti se il medico ha dichiarato, ad esempio, che un paziente è morto di apoplessia non potrà essere successivamente chiamato a testimoniare sulla definizione di apoplessia perché i ruoli devono restare distinti ("quia illi che de peritia artis examinatur proprie restes non dicuntur") (3).
 
 

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