Il
Punto su ...
Noi
e i diversi da noi.
Editoriale
di Luisella
de Cataldo
Parere dell'Esperto
Talvolta
anche il buonismo può uccidere.
di Gustavo Sergio
Giurisprudenza
Sentenza
Cassazione n.10090 del 12 marzo 2001:
Mobbing
sul lavoro, maltrattamenti e violenza privata.
Recensioni
Adolescenti
e Violenza. Strategie di diagnosi e riabilitazione.
di Lino Rossi
Franco Angeli
Editore
Notizie
dalla Associazione
Convegni
e Seminari
Siracusa:
9-11 novembre 01
La Formazione
Difficoltà
e complessità d'approccio psicologico e metodologico in contesti
giuridici differenziati.
di Paolo Capri
Lo
stato della formazione in
Italia
per gli operatori psicologico-giuridici.
di
Stefano Mariani
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"La
persecuzione degli ebrei, la caccia agli albigesi e ai valdesi, le lapidazioni
dei quaccheri, le immersioni dei metodisti, l’assassinio dei mormoni e
il massacro degli armeni, significano che un’ancestrale neofobia dell’uomo,
un’aggressività di cui tutti portiamo le vestigia, un odio innato
per gli estranei, specie se eccentrici e anticonformisti, sono le forze
che si celano dietro l’apparente pietà dei vari aguzzini. La pietà
è la maschera, ma la forza interna è rappresentata dall’istinto
tribale."
William
James
Il
formarsi di una società multietnica attraverso l’inserimento nella
società italiana di modelli propri di culture e ordinamenti giuridici
diversi dai nostri, comporta conseguenze che alimentano un nuovo artico-
larsi della storia e della convivenza civile.
Come ha dimostrato Michel Foucault nelle ultime lezioni
della sua vita, tenute al Collège de France, i procedimenti giuridico-politici
che rendono efficace la spersonalizzazione sono diversi e molto diffusi
e rispondono ad un unico principio informatore: un doppio registro giurisprudenziale
per chi è incluso e per chi è escluso. In questa dialettica
del "dentro" e del "fuori", si impone oggi una riflessione sull'atteggiamento
nei confronti degli stranieri, che incarnano la forma più inquietante
e 'moderna' di devianza. La rilevanza di questi mutamenti è da tempo
all’attenzione del mondo degli psicologi, dei sociologi, dei giuristi,
dei politici, tutti impegnati a capire il fenomeno nelle sue varie componenti,
a
ricercare gli strumenti di mediazione, a predisporre
programmi di utile convivenza. Al fine di dare un suo specifico contributo
a questo argomento, l’AIPG, nell’ambito dei convegni annuali di psicologia
giuridica che svolge presso l’ISISC (Istituto Superiore Internazionale
di Scienze Criminali) di Siracusa, terrà nei giorni 9-11 novembre
2001 un convegno sul tema "Ripercussioni a
livello sociale, psicologico e giuridico della civiltà multietnica
e multiculturale".
Tante le esperienze, gli stereotipi, le idee che circolano
intorno a un fenomeno che da sempre, in tutti i luoghi, ha messo alla prova
l’uomo e la sua capacità di pensare e reagire al diverso. Lo straniero
prende su di sé molte delle caratteristiche che hanno portato il
folle all'internamento: lo straniero è diverso e "brutto", non lo
si capisce; è fonte di malinteso e di mancanza di dialogo: lo straniero
è un pericolo; è un enigma e, soprattutto, non comunica.
Inoltre se resta legato alla propria comunità di origine, al fine
di mantenere la sua identità, rappresenta un rischioso corpo estraneo
per gli individui della comunità ricevente che si considera invasa.
Georg Simmel nel suo lavoro del 1908 "Excursus sullo
straniero" ha sostenuto però che lo straniero non è il diverso
assoluto e riconosciuto come tale con cui si mantiene una distanza cognitiva
e culturale, ma l'eterogeneo che si mescola agli ospitanti. Un eterogeneo
che non proviene necessariamente dall'esterno, ma che può essersi
sviluppato all'interno della società, nelle maglie dei suoi costumi
e delle sue tradizioni, e che perciò va identificato e possibilmente
espulso o eliminato. Il fatto che i nazisti abbiano sterminato, insieme
agli ebrei, malati di mente, handicappati, zingari e omosessuali, mostra
come una parte consistente della società europea fosse disponibile
(ma quanto ancora lo è?) a trasformare in nemici anche gli stranieri
interni, oltre a quelli esterni. Fino a quando lo straniero è identificabile
attraverso la sua alterità, confinato in quanto altro, può
non costituire soverchi problemi, dal momento che non frattura che episodicamente
la superficie della società che lo ospita. Diversa è la situazione
determinata dallo straniero che intende restare e, quindi, condividere
- "come noi" - lo stesso spazio sociale: è a questo momento che
puo’ essere percepito come una forza per la frantumazione del sistema.
Noi abbiamo paura della diversità: questo è già follia
ed è anche un modo per difendersi da essa. Vorremmo creare distanze
e porre confini precisi, ma il confine separa accomunando. Con questo sistema
abbiamo "confinato" la follia, ma non abbiamo certo neutralizzato la diversità,
né abbiamo diminuito la nostra paura a fronte dell'Altro diverso.
Il rapporto con l'Altro diverso è la cifra con cui si misura il
tasso di civiltà: come qualcuno ha scritto, ogni società
si può giudicare dal modo in cui organizza e vive il
rapporto con l'altro, come se l’avere un'identità
dovesse dipendere da un qualche meccanismo di identificazione ed esclusione
di coloro che sono diversi da noi.
Le conseguenze investono sia la società tutta
che le sue strutture portanti. Ad esempio, l’ingresso degli immigrati in
una cultura diversa aumenta anche le difficoltà delle nuove configurazioni
che deve assumere la struttura familiare. Si veda il caso della figura
della donna che da un ruolo di responsabilità, di tutela della famiglia,
di custode dei valori, rivestito nel paese d’origine, passa all’isolamento
sociale ed anche familiare mentre i figli, acquisendo nuove conoscenze
e maggiormente disponibili ad introiettare la nuova cultura, rendono la
relazione madre-figlio confusa, poco sicura e aleatoria. E’ un passaggio
traumatico che produce nel nucleo familiare incomprensioni, tensioni, conflitti
che portano ad una sostanziale disgregazione del nucleo fino al distacco
fisico e al conflitto. La donna immigrata, come in genere l’uomo, si trova
a dover mediare tra la tradizione e la modernità, tra l’incistamento
nell’identità etnica e l’integrazione nel gruppo ospitante. E’ questa
condizione di "liminalità’ come di chi sta fermo sulla soglia, senza
strumenti per entrare o uscire, che il Convegno intende esplorare, sia
a livello di micro che di macrosistema, dalla famiglia all’amministrazione
della giustizia, dalla figura del padre nei suoi aspetti archetipici alla
psicologia dell’immigrato, dalle tecniche di mediazione culturale al fattore
religioso, dalla risposta normativa alle difficoltà concrete che
si riscontrano nel campo giudiziario, dal rapporto tra immigrazione e rischio
criminogeno. |