IL PUNTO SU ...

"Validation": quanto vale e in cosa consiste

di
Luisella de Cataldo Neuburger

Presidente AIPG
Avvocato Psicologo
Resp. Sezione di Psicologia Giuridica
     Università degli Studi di Milano



Il Punto su ...
"Validation": quanto vale e in cosa consiste
Editoriale
di Luisella de Cataldo

Parere dell'Esperto
Il Mobbing
di Renato Crivelli
    Pietro Russo

L'abusante adolescente
di Simona Iaconella

Psicodiagnostica nel conflitto coniugale: un pronunciamento del Garante della Privay
di Gaetano Giordano
    Diego Giordano

Recensioni
L'individuazione del processo penale minorile. Confronto con il sistema inglese"
di Vania Patané
Edizioni Giuffrè, 1999

Notizie dalla Associazione

Convegni e Seminari
Pieve di Cadore:
13-14 maggio 2002 

<Torna alla Newsletter 8


 
 

     Si chiama con questo nome un intervento di diagnosi psicologica  (viene definito, talvolta, erroneamente nelle perizie come "consolidato") che si propone di accertare la credibilità della denuncia di abuso sessuale espressa da un minore.

1.- Non è ‘consolidato’, anche perché se lo fosse significherebbe che si tratta di uno strumento - tarato e accettato dalla comunità scientifica - capace di validare in modo specifico qualcosa di precisamente definito. E’ invece uno dei tanti strumenti che periodicamente vengono proposti e che nulla hanno di ‘consolidato’ o di scientifico. Si tratta di una precisazione di fondamentale importanza considerato che oggi, la giurisprudenza, in materia di perizie e di contributi di esperti in genere, pretende, seguendo la stessa strada percorsa dalla giurisprudenza americana, il requisito della scientificità.

Come ha autorevolmente chiarito il giudice della Corte Suprema Blackmun, estensore della sentenza nel caso Daubert v. Merrill Dow Pharmaceuticals Inc., 509 U.S., 113 S Ct 2786, 1993, la ‘conoscenza’ implica molto di piu` che convincimenti soggettivi o infondate speculazioni. Cito testualmente: "l’aggettivo ‘scientifico’ implica un radicamento nei metodi e nelle procedure della scienza; per qualificare una conoscenza come ‘scientifica’ l’inferenza o l’affermazione deve derivare da una metodologia scientifica. La testimonianza che viene offerta deve essere sostenuta da appropriata convalida e cioè da un solido fondamento basato su cio’ che si conosce".

> La Cassazione, a sua volta, si è così espressa:
Nel valutare i risultati di una perizia, il giudice deve verificare la stessa validità scientifica dei    criteri e dei metodi di indagine utilizzati dal perito, allorché essi si presentino come nuovi e sperimentali e perciò non sottoposti al vaglio di una pluralità di casi ed al confronto critico tra gli esperti del settore, si’ da non potersi considerare ancora acquisiti al patrimonio della comunità scientifica. Quando, invece, la perizia si fonda su cognizioni di comune dominio degli esperti e su tecniche di indagine ormai consolidate, il giudice deve verificare unicamente la corretta applicazione delle suddette cognizioni e tecniche.
    Cass. Pen. Sez. V, 9 luglio 1993, Arch. nuova proc.pen. 1994, 226; Giust. pen. 1994, III, 42.

In particolare: "La cosiddetta "validation" o gradualità delle accuse - tecnica d’indagine psicologica secondo cui le vittime degli abusi graduerebbero le loro accuse da quelle meno gravi a quelle più gravi - è soltanto un metro di valutazione che non ha nessuna valenza di certezza scientifica e che può, in taluni casi, costituire, in un quadro probatorio completo e certo, chiave di interpretazione delle difficoltà delle vittime delle violenze nel rivelare le vicende più riservate. Esso, però, non è applicabile sempre e comunque, da un lato non è sostitutivo della prova e, dell’altro, non assume rilievo in casi - come quello nella specie - in cui sussistano motivi di sospetto". Cass. pen. sez. III 6 dicembre 1995.

2.- Questo strumento non ‘accerta la credibilità’ del minore’. Si limita solo a investigare alcuni parametri (storia personale, presenza o assenza di indicatori, stile e contenuto della narrazione) dal cui, al massimo, si può ipotizzare che il minore viva una situazione generica di malessere le cui cause sono tutte da accertare. Coerentemente, la letteratura specializzata, sia italiana che anglosassone, non si stanca di sottolineare, respingendo ogni diversa pretesa, che l’unico dato certo è che non esiste nessuno strumento specifico per verificare l’abuso sessuale. Nessun indicatore è predittivo di abuso. Come confermano i massimi esperti "non ci sono dati disponibili che indichino quale criterio sia più importante degli altri".

   Attualmente, i criteri più attendibili rimangono quelli dell’esperienza clinica e della competenza nel raccogliere la testimonianza del minore. Comportamenti sintomatici (disturbi del comportamento alimentare, depressione, disturbi del sonno, perdita di contatto con la realtà) insieme ad altri (bassa autostima, difficoltà sessuali, timori di abbandono etc.) da alcuni invocati come specificamente correlabili ad abuso sono stati valutati "... così generici che potrebbero applicarsi a molte forme".

   In conclusione, la portata di questo strumento può essere così riassunta:
"Attualmente la valutazione psicologica non può stabilire se un bambino presunto vittima è stato abusato. Invero, l’uso corrente del termine ‘validation’ per descrivere la diagnosi dell’abuso del bambino, introduce false aspettative circa il fatto che gli psicologi siano capaci di determinare se un bambino è stato abusato. L’abuso sessuale non è un disturbo psicologico. L’abuso sessuale racchiude un gruppo eterogeneo di comportamenti perpetrati sui bambini dagli abusanti. La precisazione di una diagnosi relativa al benessere del bambino non può essere confusa con la prova del comportamento abusante. L’esperto che fa una tale valutazione esprime delle opinioni al di là della propria specializzazione professionale e potenzialmente usurpa il ruolo del giudice e della giuria nel determinare se le allegazioni di abuso sessuale sono false o vere".

Implicitamente, che questo sia lo stato attuale della situazione, viene riconosciuto dalla stessa " Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia", (impostata in chiave verificazionista al punto che la possibilità di innocenza dell’accusato non viene neppure presa in considerazione), dove al punto 2. Validazione si legge: "E’ necessario sviluppare sistemi validi ed affidabili per far emergere il fenomeno [dell’abuso].

Dal che si deduce che la mancanza di scientificità è ammessa anche dagli esperti che hanno fatto della ‘validation’ lo strumento elitario nell’iter di valutazione dell’abuso sessuale di minore.

Chiarito il quesito del ‘quanto vale’ passiamo a chiederci ‘in che cosa consiste’.
Sempre dalla Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia":
2.2 In ogni caso la validazione va portata avanti analizzando almeno tre aree: indicatori e segni sul piano fisico e sul piano psicologico, racconti e affermazioni della presunta vittima, raccolta anamnestica.

La letteratura statunitense, in una visione ben più articolata del problema, una volta ribadito che, allo stato dell’arte, questa tecnica è ben lungi dall’essere un modo di procedere scientificamente validato, specifica la necessità di procedere in modo multidimensionale e approfondito.

L’esperto deve raccogliere dati su: a) storia del sintomi; b) racconto verbale; c) esperienza fenomenologia dell’abuso; d) presentazione e stile della narrazione; e) riscontri obiettivi.

Ribadita la sua limitata capacità di discriminare tra vero/falso, la ‘validation’ indica semplicemente un laborioso tentativo di verificare impressioni ed ipotesi e non un metodo onnipotente, un passepartout irresistibile per una verifica scientificamente attendibile. Utilizzarla in questo modo ‘magico’ esprime un assunto di dipendenza da strumenti "creduti" infallibili proprio lì dove la parte critica, più attenta ed evoluta della letteratura ammonisce che non esistono criteri affidabili per una valutazione di specificità e che si impone come necessario lo studio ampio delle molteplici ipotesi possibili. L’impiego di modi semplici, creduli, per giunta utilizzati stenicamente e fideisticamente, rischia di fondare una via maestra, diritta e agevole, che suggestivamente si impone come tracciato da seguire prescrittivamente.

Il metodo è così ‘debole’ da riposare interamente sulla competenza di chi raccoglie la narrazione del minore. Purtroppo, l’esperienza professionale e le tante perizie esaminate non tranquillizzano sull’effettiva presenza di queste competenze. Chi riceve l’incarico di consulente/perito si muove, quasi sempre, in ottica verificazionista: come ha icasticamente scritto il Tribunale di Milano "di abuso si è parlato e l’abuso si deve trovare". Scrivevo altrove : "… si è parlato molto … delle origini della conoscenza e dei miti. Non si è parlato degli oracoli, cioè di quei responsi aperti ad ogni possibile decifrazione. Ecco, oggi, certe perizie e consulenze sono moderne forme di oracolo, risposte di cui non si conosce né il fondamento scientifico, né la chiave di lettura, davanti alle quali l’unico problema che si pone è di tipo fideistico: credere o non credere".

In (brutta) sostanza si cede alla tendenza a concepire e realizzare un anticipato cortocircuito di conoscenza, quando tutto è ancora da osservare. Vittima di questo bisogno di verifica, chi procede, mentre sembra svolgere l'osservazione, in realtà continua a "dipendere" esclusivamente da quanto il soggetto sembra riferire, in parte tessendo suoi propri fili e in parte corrispondendo alla "comprensione", alla "empatia" e alla "attesa" manifestate dall'intervistatore. L’esperto continua a sollecitare il racconto e a raccogliere concordanze con "quanto si sa dell'abuso sessuale". Non a caso, ricorre spesso l’aggettivo ‘tipico’ "comportamento tipico dell’abusante" "reazione tipica all’abuso" "tipico" rapporto abusante-vittima ecc.) come evocazione di possibilità contemplate dalla teoria e senz’altro applicato ad un fatto che non si è ancora studiato, come se si stesse parlando di un "modello" e non di "cose" direttamente osservate ed apprezzate. E’ così che un inconsapevole modo retorico - dialetticamente contestabile - rischia di "passare" come dimostrativo e convincente sia attraverso una aderenza insistita ed esclusiva al testo del già dichiarato, sia in un consistere e persistere sui "fatti" denunciati verso un significato già adottato come scontato. Presi in questa spirale, si finisce, anche inconsapevolmente, per evitare qualsiasi movimento per "disattendere/falsificare il sintomo" o le dichiarazioni già offerte, ignorando una fondamentale e canonica raccomandazione della psichiatria, psicologia e psicoanalisi.

Queste note critiche riguardano solo l’uso esasperato e onnipotente dello strumento quando viene forzato oltre le sue intrinseche possibilità. Se adoperato con prudenza, in modo critico e nei limiti che gli sono propri, può, alla pari di altre modalità di valutazione, dare all’esperto elementi utili al suo lavoro di valutazione che - e l’avvertimento non è superfluo – deve essere il frutto di ‘specifiche competenze’ e non deve mai invadere il territorio strettamente riservato al giudicante. Come precisa l’art. 4 delle Linee Guida Deontologiche per lo Psicologo Forense, "Nel rispondere al quesito peritale tiene presente che il suo scopo è quello di fornire chiarificazioni al giudice senza assumersi responsabilità decisionali né tendere alla conferma di opinioni preconcette."