PARERE DELL'ESPERTO

Psicologi e psichiatri nel collegio peritale

di
Germano Bellussi

Avvocato, Psicologo
Psicotertapeuta didatta SIAI



Il Punto su ...
Una riflessione sulla responsabilità professionale

Editoriale
di Liusella de Cataldo


Parere dell'Esperto
Psicologi e psichiatri nel collegio peritale
di Germano Bellussi

Garante della privacy:
il ruolo dei servizi sociali nella giustizia minorile
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La mediazione penale monorile
di Elvira Musso

La mediazione familiare come possibilità di ripresa del dialogo tra i genitori
di Anna Bambino

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Vite spezzate. I minori e l'abuso sessuale nella regione Basilicata
di Assunta Basentini
Ediz. Prov. di Potenza, 2001
a cura di Emanuela Longano
Freschi di stampa

di Isabella Merzagora Betsos
CEDAM, Pavova, 2001

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     Il  Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Venezia ha così deciso, con ordinanza, in sede di incidente probatorio:
"Osserva
Con suo provvedimento questo giudice ha disposto procedersi ad una perizia psichiatrica nei confronti di AB ed ha nominato perito il dott CD; il difensore dell'indagato ha nominato consulente di parte il dott EF del Centro di Salute Mentale alfa;
da una nota del consulente di parte della persona offesa risulta che l'indagato è in cura presso detto Centro di Salute Mentale e che è seguito dal dott EF e che responsabile della struttura è il dott CD;
è fondato ipotizzare che in tale veste il dott CD abbia svolto quanto meno compiti di controllo (ma che abbia anche potuto fornire indicazioni e pareri) nell'ambito del rapporto terapeutico instaurato dall'indagato con la citata struttura;
è opinione di questo giudice che a prescindere da eventuali aspetti di carattere deontologico sussista l'esigenza di evitare il pericolo di compromissioni tra profili terapeutici, inerenti la cura che sta seguendo l'indagato, e profili diagnostici valutativi, inerenti alle finalità dell'incarico conferito nel presente procedimento.
Ritenuto di dover revocare l'incarico.
Ritenuto che non sono ravvisabili i motivi di ricusazione invocati dall'istante.
  
 Per Questo Motivo
rigetta la richiesta di ricusazione di cui in premessa
revoca l'incarico conferito di procedere a perizia psichiatrica".
L'ordinanza rispondeva ad una istanza del difensore della parte offesa nella quale, tra l'altro, ci è dato leggere:
"Premesso che dalla relazione su dette operazioni ricevuta dal proprio consulente di parte, che si allega alla presente (doc 1), è apparso che l'indagato è in cura presso il Centro di Salute Mentale alfa ed è seguito personalmente dal dott EF, consulente di parte che di detto Centro di Salute Mentale è responsabile il dott CD, da cui gerarchicamente dipende il perito di parte dott EF. . . che ben si può affermare che l'indagato era in cura, quanto meno sotto il controllo del perito d'ufficio, sin da prima del conferimento dell'incarico peritale e che questo rapporto continua tuttora…che appare pertanto ricorrere l'ipotesi prevista dal combinato disposto degli art 223, 36 lett. C e 37 c.p.p.

Dichiara
Di ricusare ai sensi e per gli effetti di cui agli art 223 e 36 lett. C c.p.p. il perito d'ufficio nell'intestato procedimento".
Nella sua relazione al difensore il consulente di parte ha, tra l'altro, scritto:
"Ricordo il silenzio del codice deontologico dei medici in punto incompatibilità e la previsione deontologica degli psicologi forensi a favore della non compatibilità. Il silenzio può essere variamente interpretato (se interpretato come lacuna può essere percorsa la via della eterointegrazione per analogia)."

Trattasi della vexata quaestio della compatibilità o meno degli interventi terapeutico e peritale, vista però ora in una particolare e delicatissima ottica, quella cioè della diversa posizione che vengono ad assumere lo psichiatra e lo psicologo forensi nel processo (e nell'ambito del collegio peritale).

Vediamo allora da presso.

L'art. 223 del c.p.p. regola la ricusazione del perito con rinvio agli art. 36 e 37 del c.p.p. (i quali regolano l'astensione e la ricusazione del giudice). 
Nella fattispecie alla nostra attenzione assume rilievo la lett. C dell'art. 36 del c.p.p. (in riferimento al primo comma dell'art. 37 dello stesso codice); nel testo si afferma essere ricusabile il perito il quale abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie.
A nostro parere intervenire terapeuticamente, come è avvenuto nel caso di specie, è ancor più significante e condizionante che non dare consigli e manifestare pareri. Per cui alla luce di questo testo edittale ben legittimamente (ed opportunamente) il perito poteva essere ricusato dal difensore della parte offesa.
L'art. 26 1° e 2° c. del codice deontologico degli psicologi e l'art. 16 1° c. delle linee guida per gli psicologi forensi rispettivamente insegnano:

"Lo psicologo si astiene dall'intraprendere o proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l'efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.
Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell'utenza, anche su richiesta dell'autorità giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l'efficacia."

"I ruoli dell'esperto nel procedimento penale e dello psicoterapeuta sono incompatibili. "

Laddove il codice di deontologia medica tace sul punto.

Anche se, peraltro, nel commento al testo a cura di Vittorio Fineschi (Giuffrè editore 1996), in calce all'art. 75 possiamo leggere:
". . . emerge il rischio dello schieramento partigiano e fazioso o, in alternativa, il rischio di essere preda dei più vari influenzamenti provenienti dai mass-media, dall'opinione pubblica pressante ed infine da se stessi in relazione emotivo-affettiva con un paziente che non può, in questo caso, formare l'oggetto di attenzioni diagnostico terapeutiche, ma, appunto e sopra tutto medico legali."

Quindi parrebbe che anche per i medici (e particolarmente per gli psichiatri) o l'una o l'altra possibilità, senza che vi sia confusione di compiti. Siamo peraltro soltanto, diversamente che per gli psicologi, a livello di commento e di interpretazione non autentica del testo.

Ricordiamo che nella "Carta di Noto", autorevole anche per avere aperto alla codificazione problemi prima non correttamente segnalati e colti, leggiamo all'art 10:

"I ruoli degli esperti nel procedimento penale, e dello psicoterapeuta o psicoriabilitatore, sono incompatibili."

Ci pare di poter segnalare allora, a livello deontologico, quanto segue:

a) -    vi sono delle previsioni le quali, per quanto nella lettera e nella ratio della norma, non consentono al perito ed al consulente di essere, contemporaneamente, o di essere stati, nel passato, legati da un rapporto terapeutico con l'esaminando

b) -    vi sono delle valutazioni edittali o di commento all'editto, sui compiti dei periti e sulla esigenza di una loro neutralità, che negano la compatibilità tra le due funzioni 

c) -     risalta la possibile contraddizione tra delle possibilità forse aperte al medico legale ed allo psichiatra forense e certamente negate invece allo psicologo forense; contraddizione che non trova giustificazione alcuna

Si noti. 

All'interno del collegio peritale, attento ad un unico quesito e gravato delle medesime responsabilità nei confronti del giudicante, potremmo ritrovarci degli esperti i quali, a seconda del loro inserimento nell'uno o nell'altro albo professionale (quello degli psicologi ovvero quello dei medici), fruiscono o meno della opportunità di utilizzare il momento terapeutico in vista di una valutazione peritale.

Il che non è accettabile, e non soltanto per il pur necessario euqilibrio nel contraddittorio processuale.

Il giudice nel caso di specie, come si è visto, ha preferito seguire la meno impegnativa strada della revoca (una risposta valorizzante l'opportunità) piuttosto di quella, proposta dalla difesa della parte offesa, della ricusazione del perito (risposta di taglio più squisitamente giuridico).

E' stata fatta giustizia nel singolo caso, ed è quello che maggiormente preme, ma il problema rimane però ben aperto, sia a livello deontologico che a livello di diritto processuale e dovrà essere riconsiderato, in diversa sede.