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Sentenza della Corte Costituzionale n. 95 del
2 maggio 2001: "Ampliate
le garanzie nelle misure cautelari".
A seguito della recente pronuncia
d'incostituzionalità formulata dalla Consulta, il nuovo testo dell'art.
302 dovrà prevedere che tanto le misure cautelari "coercitive" diverse
dalla custodia, quanto quelle "interdittive", perdano immediatamente
efficacia se il giudice non procede all'interrogatorio entro il termine
di dieci giorni previsto dall'art. 294.
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA:
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli articoli 294, commi 1 e 1-bis, e
302 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24
settembre 1999 dal
Tribunale di Milano, iscritta al n. 535 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza in data 24 settembre 1999, il Tribunale di Milano –
chiamato a decidere, in
funzione di giudice del riesame, sull’appello proposto dal pubblico ministero
avverso un’ordinanza del
giudice per le indagini preliminari, con la quale era stata dichiarata
la perdita di efficacia della misura
cautelare del divieto di dimora per mancato espletamento dell’interrogatorio
di garanzia nei termini
previsti dall’articolo 294 del codice di procedura penale – ha sollevato,
in riferimento agli articoli 3 e
24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto degli articoli 294,
commi 1 e 1-bis[1], e 302[2] del codice di procedura penale, "nella parte
in cui non prevedono che al
mancato interrogatorio dell’indagato sottoposto a misura cautelare diversa
dalla custodia in carcere e
dagli arresti domiciliari, nel termine di 10 giorni dalla esecuzione della
misura, consegua la perdita di
efficacia dell’ordinanza impositiva della stessa".
Il giudice a quo, dopo aver escluso che l’articolo 302 del codice di procedura
penale possa trovare
applicazione analogica nel caso di mancato interrogatorio nel termine di
dieci giorni dall’inizio della
esecuzione di una misura cautelare coercitiva non custodiale, rileva che
se prima della riforma del
1995 (che ha introdotto l’obbligo di interrogatorio anche in relazione
all’applicazione di misure
cautelari diverse da quelle custodiali) la limitazione alla sola custodia
cautelare delle conseguenze
derivanti dal mancato interrogatorio poteva essere giustificata, poiché
in relazione alle altre misure
cautelari non sussisteva l’obbligo, per il giudice che le aveva disposte,
di procedere all’interrogatorio
del soggetto colpito dalle misure stesse, con l’introduzione dell’obbligo
di interrogatorio entro il
termine di dieci giorni per le altre misure cautelari, sia coercitive che
interdittive (comma 1-bis
dell’articolo 294), l’omessa previsione della perdita di efficacia per
tali misure, conseguente alla
mancata modificazione dell’articolo 302 del codice di procedura penale,
non troverebbe più alcuna
giustificazione.
In ciò il remittente ravvisa una violazione degli articoli 3 e 24
della Costituzione. Infatti, se la ratio
della disposizione è di imporre al giudice, che ha applicato una
misura cautelare, l’immediata
contestazione dei fatti oggetto dell’imputazione cautelare all’indagato
e di consentire a quest’ultimo di
svolgere le sue difese attraverso lo strumento dell’interrogatorio, nessuna
diversità di regime sarebbe
giustificata dal tipo di misura cautelare imposta. Il diritto di difesa
dovrebbe svolgersi con riferimento
anche a misure cautelari che, pur non custodiali, si concretano in significative
restrizioni della libertà
personale, e del tutto irragionevole sarebbe la previsione di un atto di
garanzia senza l’indicazione di
qualsiasi conseguenza in caso di inosservanza. Ad avviso del remittente,
la "sanzione" di inefficacia
della misura rappresenterebbe la naturale conseguenza del mancato interrogatorio,
sia per l’identità
dello strumento di difesa previsto ai commi 1 e 1-bis dell’articolo 294
del codice di procedura penale,
sia perché non sarebbe prospettabile una diversa soluzione rispetto
all’inosservanza dell’obbligo
previsto.
Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che in caso di dichiarazione
di illegittimità
costituzionale sarebbe tenuto a rigettare l’appello proposto dal pubblico
ministero, mentre in caso
contrario l’interpretazione prospettata dall’appellante determinerebbe
la revoca dell’ordinanza
impugnata ed il ripristino della misura cautelare nei confronti dell’indagato.
2. — E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia
dichiarata non fondata.
Ad avviso dell’Avvocatura, non sarebbe irragionevole la scelta del legislatore
di prevedere la perdita
immediata di efficacia solo della custodia cautelare (e degli arresti domiciliari)
se il giudice non procede
all’interrogatorio entro il termine fissato dall’articolo 294 del codice
di procedura penale. La
graduazione degli strumenti difensivi offerti agli imputati sarebbe, infatti,
funzionale alle diverse
situazioni nelle quali gli stessi versano: ferma restando l’inviolabilità
del diritto di difesa, che si attua
anche attraverso l’interrogatorio, sarebbe giustificato che il legislatore
colleghi all’inutile decorso del
termine per l’interrogatorio la perdita di efficacia della più grave
delle misure cautelari, mentre non
sarebbe irragionevole, in considerazione della minore loro gravità,
la mancata previsione della
estinzione delle altre misure cautelari.
Ad avviso dell’Avvocatura, inoltre, neanche l’articolo 24, secondo comma,
della Costituzione
potrebbe ritenersi violato, giacché, nel caso in esame, la diversificazione
dei modi di esercizio del
diritto di difesa a seconda delle situazioni processuali o sostanziali,
oggettive o soggettive, nelle quali
gli imputati si trovino, non pregiudicherebbe, comunque, il diritto di
difesa nella sua essenza.
Considerato in diritto
1. — Sono oggetto della questione di legittimità costituzionale
sollevata dal Tribunale di Milano gli
articoli 294, commi 1 e 1-bis, e 302 del codice di procedura penale, "nella
parte in cui non prevedono
che al mancato interrogatorio dell’indagato, sottoposto a misura cautelare
diversa dalla custodia in
carcere e dagli arresti domiciliari, nel termine di dieci giorni dalla
esecuzione della misura, consegua la
perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della stessa".
Le disposizioni censurate sarebbero in contrasto con gli articoli 3 e 24
della Costituzione. Se la ratio
delle disposizioni contenute nei commi 1 e 1-bis dell’articolo 294 – osserva
il remittente – è quella di
imporre al giudice, mediante l’interrogatorio, l’immediata contestazione
all’indagato dei fatti che
hanno dato luogo al provvedimento cautelare al fine di consentirgli di
svolgere le sue difese, non
sarebbe giustificata la previsione di cui all’articolo 302, che limita
alle sole misure custodiali la perdita
di efficacia conseguente all’omesso interrogatorio dell’indagato nei termini
previsti. Il diritto di difesa
dovrebbe, infatti, trovare analoghe opportunità di svolgimento in
riferimento a tutte le misure
cautelari personali, custodiali o non, poiché queste ultime determinerebbero,
al pari delle prime,
significative restrizioni della libertà della persona. Sarebbe quindi
del tutto ingiustificato predisporre un
atto di garanzia, qual è l’interrogatorio da svolgersi entro pochi
giorni dall’esecuzione dell’ordinanza
impositiva della misura, senza prevedere conseguenza alcuna in caso di
inosservanza.
2. — Anche se apparentemente esteso all’articolo 294, commi 1 e 1-bis,
del codice di procedura
penale, il dubbio di legittimità costituzionale espresso dal remittente
deve ritenersi circoscritto
all’articolo 302, giacché è solo a questo che può
essere riferita la mancata previsione della perdita di
efficacia delle "altre" misure cautelari coercitive ed interdittive nel
caso di omesso interrogatorio nel
termine stabilito.
Così delimitato l’oggetto della questione, le premesse per il suo
accoglimento sono già racchiuse in
quei precedenti della giurisprudenza costituzionale che hanno posto in
risalto, da un lato, la peculiare
funzione dell’interrogatorio di garanzia, dall’altro, la natura afflittiva
delle misure cautelari personali
interdittive, che possono inscriversi in un ordine di limitazioni non dissimile
da quello a cui
appartengono le misure custodiali, incidendo anch’esse sulla libertà
della persona.
Che l’interrogatorio previsto dall’articolo 294, comma 1, del codice di
procedura penale costituisca,
fra tutti, lo strumento di difesa più efficace in relazione alla
cautela disposta, è stato ripetutamente
affermato da questa Corte. Solo l’interrogatorio di garanzia, consistendo
in un colloquio diretto tra la
persona destinataria della misura cautelare e il giudice che l’ha adottata,
è specificamente rivolto a
consentire a quest’ultimo di verificare la sussistenza o la permanenza
delle condizioni poste a base del
provvedimento (sentenze n. 32 del 1999 e n. 77 del 1997).
L’incisività delle misure interdittive sulla vita lavorativa e sulle
relazioni sociali della persona che ne è
colpita era stata a sua volta sottolineata nella sentenza n. 5 del 1994,
in cui si era segnalata l’esigenza
che il legislatore provvedesse ad un adeguamento delle garanzie processuali
della difesa in questo
settore, così da assicurare ai destinatari di tali misure un livello
di tutela, se non identico, quantomeno
equiparabile a quello riservato alle persone sottoposte alla custodia cautelare
in carcere o in luogo di
cura o agli arresti domiciliari. Quella sentenza, peraltro, non disconobbe
l’esistenza di un ambito di
discrezionalità da lasciare al legislatore: quanto allo strumento
da adottare per rendere effettivo il
diritto di difesa era infatti ipotizzabile una pluralità di soluzioni,
ed appariva egualmente rimessa ad
una opzione legislativa la possibilità di graduare le garanzie processuali
secondo il diverso contenuto
afflittivo delle singole misure, coercitive non custodiali e interdittive,
che sono previste,
rispettivamente, nei Capi II e III del Titolo I del Libro IV del codice
di procedura penale. E tuttavia, il
profilo sotto il quale la disciplina non poteva dirsi conforme all’articolo
24 della Costituzione veniva
in quella sentenza identificato con precisione e puntualizzato nel diritto
del destinatario di una misura
cautelare ad essere ascoltato, senza dilazione, dal giudice che l’aveva
adottata.
Vigente l’articolo 294 del codice di procedura penale, nell’originario
testo, rimedi difensivi quali
l’appello o l’istanza per la revoca o la sostituzione della misura, peraltro
comuni a tutte le misure
cautelari personali, e la richiesta di riesame, per le misure coercitive,
non risultavano affatto
appaganti. Nessuno di essi consentiva infatti il contatto diretto con il
giudice che aveva emesso il
provvedimento; lo stesso termine di cinque giorni per la decisione sull’istanza
di revoca, previsto
dall’articolo 299, comma 3, aveva carattere ordinatorio e la sua inosservanza
restava priva di
conseguenze processuali. Di qui l’esortazione da questa Corte rivolta al
legislatore affinché rendesse la
disciplina conforme a Costituzione intervenendo su alcuni specifici aspetti:
la doverosità
dell’interrogatorio, il termine, eventualmente diverso per le singole misure,
entro il quale esso si
sarebbe dovuto tenere, nonché la sanzione processuale per l’ipotesi
di inosservanza.
3. — L’invito formulato con la sentenza n. 5 del 1994 è stato solo
in parte raccolto dal legislatore.
Con l’articolo 11 della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice
di procedura penale in tema
di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di
difesa), è stato modificato
l’articolo 294 del codice di procedura penale, che attualmente non riguarda
più le sole misure
custodiali, ma tutte le misure cautelari personali, come si evince già
dalla nuova rubrica dell’articolo.
Ferma la previsione del termine di cinque giorni per l’espletamento dell’interrogatorio
della persona
sottoposta a custodia cautelare, è stato introdotto un termine più
ampio, di dieci giorni, per tutte le
altre misure, non solo per quelle interdittive (alle quali si riferiva
la citata sentenza), ma anche per
quelle coercitive (comma 1-bis dell’articolo 294).
Quella discrezionalità, che la sentenza n. 5 del 1994 aveva ritenuto
spettare al legislatore e che, come
si è ricordato, avrebbe potuto giustificare una graduazione delle
garanzie in ragione della diversa
afflittività delle varie misure, è stata quindi orientata
nel senso della loro unificazione affinché ne
risultasse tutelata al più alto livello l’effettività del
diritto di difesa. In altri termini, nonostante vi
fosse la possibilità di operare ulteriori distinzioni, si è
ritenuto che per tutte le "altre" misure cautelari
di cui all’articolo 294, comma 1-bis, il colloquio con il giudice, che
l’articolo 294, comma 3, configura
come la specifica garanzia processuale preordinata alla verifica delle
condizioni di applicabilità e del
permanere delle esigenze cautelari, non potesse essere differito oltre
il decimo giorno dall’inizio della
esecuzione.
Il legislatore ha, tuttavia, omesso di adeguare l’articolo 302 del codice
di procedura penale, che
continua a prevedere l’estinzione della sola custodia cautelare nel caso
in cui sia decorso inutilmente il
termine per procedere all’interrogatorio, al nuovo ambito di operatività
dell’articolo 294, il quale, in
seguito all’introduzione del comma 1-bis, trova ora applicazione, con il
diverso termine di cui si è
detto, per tutte le misure cautelari personali.
Che questa omissione comporti violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione
consegue al già
intervenuto riconoscimento della identità della funzione che l’interrogatorio
dispiega in relazione a
tutte le misure cautelari personali, posto che anche quelle coercitive
diverse dalla custodia cautelare e
quelle interdittive limitano la libertà della persona (vedi, per
il divieto di espatrio, che pure si colloca
nel gradino più basso nella scala delle afflittività, la
sentenza n. 109 del 1994), incidono
negativamente sulla sua attività di lavoro e costituiscono un consistente
impedimento alla vita sociale.
Proprio l’attitudine a comprimere beni fondamentali della persona, che
rappresenta il tratto comune
di tutte le misure cautelari personali, esige che identica sia la sanzione
processuale nel caso in cui
l’interrogatorio non venga compiuto nel termine prescritto.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 302 del codice
di procedura penale, nella parte in cui
non prevede che le misure cautelari coercitive, diverse dalla custodia
cautelare, e quelle interdittive,
perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio
entro il termine
previsto dall’articolo 294, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2001.
Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2001.