18.04.2003
L’origine del lampi di raggi gamma
Osservata l’impronta spettrografica di una supernova all’interno di GRB
030329
3.5.2003 Espansione a velocità "variabile": lo confermano le supernovae
3.5.2003 Galassie prive di materia oscura
06.03.2003
La produzione
di elio nelle stelle
I nuovi dati potrebbero fornire indizi per risolvere l'enigma della materia
oscura
06.03.2003
Una nube
gassosa orbita intorno a Giove
La sua osservazione
è stata possibile grazie a immagini prese alla fine del 2000
04.03.2003
Simulare una
galassia
Ora è possibile
trovare soluzioni anche per sistemi con più stelle in movimento
04.03.2003
Cellule per la
NASA
L’ente spaziale
americano finanzierà i ricercatori dell’UCLA
03.03.2003
Un alone di
raggi gamma
L’osservazione
proverebbe che le esplosioni stellari sono la principale sorgente di raggi
cosmici
03.03.2003
Alla ricerca di
nuove forze
Uno studio permette
di restringere il range d’azione delle interazioni previste
27.02.2003 L'oggetto più freddo dell'Universo
27.02.2003 Una corona di plasma per NGC 3079
15.02.2003 Deinococcus Radiodurans: non alieno ma mutante?
14.02.2003
Una fotografia
dell'universo primordiale
I dati hanno permesso di misurare con maggiore precisione l’età dell’universo
17.01.2003
Non partirà la sonda Rosetta
Ora si sta pensando a una nuova missione da effettuare nei prossimi anni
15.01.2003
Tre nuovi satelliti di
Nettuno
Gli ultimi tre non furono scoperti dalla sonda Voyager 2
13.01.2003
La velocità del campo
gravitazionale
Molti ricercatori hanno accolto con scetticismo il risultato dello studio
09.01.2003 E se non ci fosse acqua su Marte?
15.01.2003
L'anello della Via Lattea
Probabilmente ebbe origine quando inglobò una più piccola galassia vicina
07.01.2003
I vulcani salati di Io
Alcuni tentativi di dimostrare la presenza di sale furono fatti già un paio
di anni fa, ma senza successo .
1 07.01.2003
I vulcani
salati di Io
Alcuni tentativi di dimostrare la presenza di sale furono fatti già un paio
di anni fa, ma senza successo .
Alcuni
astronomi della
Johns Hopkins University e di altre
istituzioni hanno mostrato che i vulcani di Io, il satellite di Giove, emettono
sale gassoso nella atmosfera, risolvendo così un mistero vecchio quasi 30 anni.
"Questo - dice Darrel Strobel, che ha partecipato alla ricerca - spiega bene la
scoperta del sodio nelle nubi neutro di gas che circondano Io che Bob Brown fece
nel 1974,". La scoperta è stata descritta sulla rivista "Nature".
UnÕulteriore analisi dei risultati, e la modellizzazione di come il sale viene
spezzato in atomi di sodio e cloro, potrebbe aiutare i planetologi a determinare
la composizione del materiale da cui Io stesso ebbe origine. Gli astronomi hanno
accorciato la lista delle possibili sorgenti di sodio per anni, prima di
determinare che il candidato più probabile è il normale cloruro di sodio. Questa
conclusione fu fatta dopo la scoperta di cloro nel toro di plasma che circonda
Io. Alcuni tentativi di dimostrare la presenza di sale furono fatti giá un paio
di anni fa, ma senza successo. Ora il cloruro di sodio è stato osservato
spettroscopicamente utilizzando il radiotelescopio dell'Insituto
de Radioastronomía Milimétrica
di Granada, in Spagna. Le osservazioni nella banda millimetrica obbligano gli
astronomi a concentrarsi su una minuscola regione dello spettro, rendendo
necessaria un'accurata scelta delle frequenze che interessa osservare. Lo
studio, condotte nel gennaio del 2002, ha mostrato subito le linee
spettroscopiche caratteristiche del cloruro di sodio, che molto probabilmente
viene emesso dai vulcani.
2 15.01.2003
L'anello
della Via Lattea
Probabilmente ebbe origine quando inglobò una più piccola galassia vicina
Due gruppi di
astronomi hanno annunciato di aver scoperto che la nostra galassia, come
Saturno, possiede un grande anello. Lo spesso toro di stelle, a una distanza dal
centro galattico pari al doppio di quella del Sole, probabilmente ebbe origine
quando la Via Lattea inglobò una più piccola galassia vicina, qualche miliardo
di anni fa. Il nuovo anello, descritto durante il congresso della "American
Astronomical Society", è una struttura che consiste di milioni di stelle.
Gli astronomi avevano già osservato schemi su grande scala nelle stelle
dell'alone della Via Lattea, ma essi sono sempre stati difficili da
identificare. L'anello, in particolare, è rimasto nascosto alla vista perché
giace sullo stesso piano del disco della Via Lattea, che contiene il Sole e la
maggior parte della materia della galassia. Due analisi di vaste zone di cielo
hanno permesso di scoprire una processione di stelle oltre il disco, che
racchiude la galassia in un toro di circa 120.000 anni luce di diametro.
Gli astronomi della
Sloan Digital Sky Survey hanno
identificato le stelle in una banda coerente che circonda circa un sesto della
galassia. La distribuzione uniforme suggerisce che una galassia satellite si unì
alla via Lattea molto tempo fa, fino a 10 miliardi di anni, dando alle stelle
molto tempo per disperdersi.
3 09.01.2003 E se non ci fosse acqua su Marte?
Un astronomo
australiano ha identificato quello che potrebbe essere il primo flusso attivo di
fluidi sulla superficie di Marte, e non è una buona notizia per quanti sperano
ancora di trovare vita sul Pianeta Rosso. Nick Hoffman, dell'Università
di Melbourne, ha scoperto alcuni canali in via di sviluppo nelle
regioni polari di Marte, utilizzando immagini riprese dal
Mars Global Surveyor. Ma, al contrario
della maggior parte dei ricercatori, Hoffman sostiene che il liquido ha forti
probabilità di essere anidride carbonica.
Nell'ultimo numero della rivista "Astrobiology", Hoffman ha presentato la sua
scoperta e dimostrato che ci sono altre sostanze liquide che possono fluire
sulla superficie di Marte, e l'acqua è il candidato meno probabile. Hoffman dice
che i canali che ha identificato nelle immagini sono stati creati più facilmente
da vere e proprie valanghe di anidride carbonica.
"Le conseguenze di questo per la vita su Marte sono disastrose," dice Hoffman.
"Se simili meccanismi sono responsabili di tutti i canali recenti su Marte,
allora la vita in superficie che la NASA sta disperatamente cercando potrebbe
non esistere."
4 13.01.2003
La velocità
del campo gravitazionale
Molti ricercatori hanno accolto con scetticismo il risultato dello studio
Uno dei più
interessanti problemi della fisica moderna riguarda la velocità di propagazione
del campo gravitazionale, che due ricercatori hanno appena annunciato di aver
misurato per la prima volta. Secondo Isaac Newton la gravitazione agiva
istantaneamente ovunque nel cosmo. Fu Albert Einstein a ridimensionare questa
velocità, poiché secondo la teoria della relatività generale il campo
gravitazionale si propaga alla stessa velocità della luce, circa 300.000
chilometri al secondo. I risultati, un po' controversi, delle misure sono stati
annunciati nel corso del congresso della
American Astronomical Society.
Sergei Kopeikin, dell'Università
del Missouri, a Columbia, ha proposto un metodo ingegnoso. Circa ogni
10 anni, Giove passa nelle vicinanze della direzione di vista di un quasar
distante. La gravità del pianeta deflette quindi le onde radio del quasar in
modo che dipende leggermente dalla velocità di propagazione della gravitazione.
La prima occasione di verificare la teoria si è avuta l'8 settembre del 2002,
quando Giove transitò nei pressi del quasar J0842+1835. Kopekein e Ed Fomaleon,
del National Radio Astronomy Observatory di Charlottesville, in Virginia, hanno
seguito l'incontro con 10 telescopi del Very Long Baseline Array e un altro in
Germania. La precisione angolare degli strumenti combinati era sufficiente a
evidenziare qualsiasi discrepanza rispetto alla posizione del quasar prevista.
L'analisi ha portato a un valore pari a 1,06+-0,42 volte quella della luce.
Secondo alcuni ricercatori il metodo non ha però alcun senso. In un articolo
pubblicato sulla rivista “Astrophysical Journal Letters”, Hideki Asada, della
Hirosaki University giapponese, ha calcolato che il metodo misura in realtà la
velocità della luce.
5 15.01.2003
Tre nuovi
satelliti di Nettuno
Gli ultimi tre non furono scoperti dalla sonda Voyager 2
Alcuni
astronomi hanno individuato tre nuovi satelliti di Nettuno, portando a 11
elementi la famiglia di questo pianeta gassoso. Si tratta dei primi satelliti di
Nettuno scoperti fin da quando il Voyager 2 visitò il pianeta nel 1989, e i
primi scoperti da un telescopio terrestre dal 1949. Il gruppo che ha effettuato
la scoperta è stato guidato da J.J. Kavelaars, del
National Research Council del Canada. La
scoperta è stata annunciata durante il congresso della American Astronomical
Society.
Gli astronomi credono che la famiglia di piccoli satelliti irregolari che
circonda Nettuno sia il risultato di un'antica collisione tra un grande
satellite e un asteroide di passaggio.
"Simili collisioni provocano l'emissione di parti del satellite originale e la
produzione di una famiglia di satelliti," dice Kavelaars.
Prima di questa scoperta, erano noti due satelliti irregolari e sei regolari.
Gli ultimi tre non furono scoperti dalla sonda Voyager 2 semplicemente perché si
trovano molto lontani dal pianeta e sono piuttosto deboli . Per poter scoprire
questi satelliti, i ricercatori hanno dovuto adottare una nuova tecnica. Usando
il telescopio Blanco di 4 metri dell'osservatorio di Cerro Tololo, e il
telescopio da 3,6 metri installato sulle Hawaii, gli astronomi hanno ripreso
esposizioni multiple del cielo circostante il pianeta. Le immagini sono state
poi combinate digitalmente dopo averle corrette per il moto di Nettuno nel
cielo. In questo modo, le stelle di sfondo appaiono come strisce, mentre le lune
come dei deboli punti di luce. I nuovi satelliti hanno un diametro medio di soli
35 chilometri
6 17.01.2003
Non partirà
la sonda Rosetta
Ora si sta pensando a una nuova missione da effettuare nei prossimi anni
Rosetta, la
più ambiziosa missione spaziale diretta verso una cometa, mancherà
definitivamente la sua finestra di lancio in gennaio e potrebbe subire un
ritardo addirittura di due anni e mezzo. Con Rosetta, l'ESA sperava che la
sonda, del costo di un miliardo di euro, potesse depositare una sonda sulla
cometa Wirtanen nel 2010.
La decisione di rimandare il lancio è stata presa per via dei dubbi
sull'affidabilità del lanciatore Ariane 5. Secondo l'ESA,
il rischio di perdere una missione che ha richiesto 25 anni di preparazione era
troppo grosso. "È un giorno triste," ha detto David Southwood, direttore
scientifico dell'ESA, "ma poteva essere molto peggio."
Le preoccupazioni sono iniziate l'11 di dicembre, dopo il fallimento del primo
lancio dell'Ariane 5 ECA, il nuovo lanciatore pesante europeo. Le speranze che
Rosetta potesse partire entro la chiusura della finestra di lancio, alla fine di
gennaio, si erano riaccese la settimana scorsa, con la scoperta che il
fallimento era dovuto a un guasto nel nuovo motore. Questo suggerì quindi che
l'Ariane 5 standard non fosse a rischio. Poco dopo però, alcuni ulteriori dubbi
hanno portato allo stallo definitivo. Secondo Southwood, la sicurezza del lancio
non può essere garantita fino a quando non verrà rianalizzato il modo in cui
l'intero razzo è stato assemblato.
Ora l'ESA deve considerare una serie di scenari alternativi che permettano il
lancio della sonda nei prossimi due anni e mezzo, ovviamente verso un diverso
obiettivo. Una possibilità sarebbe quella di usare l'effetto fionda di Venere
invece che di Giove, per raggiungere comunque la cometa Wirtanen. Southwood si è
però dichiarato scettico, perché questa opzione porterebbe la sonda nelle calde
regioni interne del sistema solare, in condizioni per cui non è stata
progettata.
I ricercatori coinvolti nel progetto, guidati da Gerhard Schehm, hanno però già
iniziato a stilare una lista di nuove comete che producono grandi quantità di
gas e polveri e di modi per raggiungerle. Ci sono per ora sei candidati. Una
finestra nel febbraio 2004 permetterebbe di raggiungere la cometa
Churyumov-Gerasimenko, ma la nuova missione verrà probabilmente scelta durante
un incontro del comitato scientifico, alla fine di febbraio
7
26.01.2003 La più antica
mappa stellare?
La tavoletta di
avorio su cui incisa fu trovata nel 1979 in una caverna nella valle di Ach, in
Germania
La più antica immagine di una
costellazione, quella di Orione, è stata riconosciuta in una tavoletta di avorio
vecchia più di 32.000 anni. Il minuscolo frammento di zanna di mammuth contiene
l'immagine di una figura umana con le braccia e le gambe allungate in fuori, con
la stessa posa e proporzioni delle stelle di Orione. La scoperta è stata fatta
da Michael Rappenglueck, dell'Università
di Monaco di Baviera, che è rinomato per la sua ricerca di mappe
stellari nei dipinti delle caverne preistoriche. La tavoletta contiene anche
alcune tacche misteriose, incise sui lati e sul retro. Questo potrebbe essere un
primitivo calendario di gravidanza, pensato per stimare quando una donna incinta
avrà il bambino.
La tavoletta fu trovata nel 1979 in una caverna nella valle di Ach, nel Giura di
Svevia, in Germania. La datazione al carbonio delle ceneri di ossa trovate in un
deposito vicino alla tavoletta suggeriscono che essa risalga a un periodo
compreso fra 32.500 e 38.000 anni. Fu lasciata dai misteriosi Aurignaciani, una
popolazione di cui non sappiamo quasi nulla, eccetto che entrarono in Europa
dall'est rimpiazzando l’uomo di Neanderthal. La tavoletta di avorio è molto
piccola, poiché misura solo 38x14x4 millimetri, ma le tacche incise sui suoi
bordi fanno pensare che non sia un frammento di un oggetto più grande.
In passato altri archeologi avevano tentato di interpretare la figura della
tavoletta, ma è la prima volta che viene suggerito possa trattarsi del disegno
di una costellazione. Le proporzioni dell'uomo corrispondono allo schema di
stelle che compone Orione. Anche la spada della tavoletta corrisponde con una
ben nota caratteristica di Orione. Ma ci sono anche altre indicazioni che
l'ipotesi di Rappenglueck possa essere corretta. Non solo, le proporzioni della
figura rispecchiano la forma che la costellazione aveva circa 30.000 anni fa,
leggermente diversa da quella attuale. Orione è una delle costellazioni più
visibili, che gli antichi Egizi identificarono con il dio Osiride e che ha avuto
significati speciali per molte culture.
8
14.02.2003 Una fotografia
dell'universo primordiale
I dati hanno permesso di misurare con maggiore precisione l’età dell’universo
La NASA ha reso pubblica la prima mappa dettagliata della
radiazione cosmica di fondo, l’eco di microonde proveniente dal Big Bang. La
mappa è stata realizzata grazie ai dati raccolti dal satellite Wilkinson
Microwave Anisotropy Probe (missione WMAP) nell’arco di dodici mesi. I risultati
sembrano confermare il modello inflazionario del Big Bang e rivelano quando sono
state create le prime generazioni di stelle.
I fotoni della radiazione cosmica di fondo sono stati creati al momento del Big
Bang e poi continuamente scatterati dagli elettroni liberi dell’universo
primordiale. Dopo che l’universo si fu raffreddato ed espanso abbastanza da
permettere agli elettroni di combinarsi con i protoni per formare atomi di
idrogeno, i fotoni vennero rilasciati e la loro lunghezza d’onda “stirata” fino
a diventare microonde a causa dell’espansione dell’universo. Le loro proprietà
possono perciò essere usate per studiare l’universo “al tempo dell’ultimo
scattering”.
Molti esperimenti sono stati compiuti a livello del suolo o su sonde montate su
palloni aerostatici. Il satellite WMAP, tuttavia, ha permesso di studiare con
maggiore accuratezza le piccole fluttuazioni di temperatura nella radiazione di
fondo, causate dalle variazioni nella densità dell’universo primordiale. E per
la prima volta ha permesso di registrare immagini della radiazione proveniente
da tutta la volta celeste.
I dati, con un errore dell’1 per cento, indicano che il momento dell’ultimo
scattering risale a circa 380,000 anni dopo il Big Bang, e che l’universo ha
oggi 13.7 miliardi di anni. Essi rivelano anche che le prime stelle del cosmo
furono create solo 200 milioni di anni dopo il Big Bang.
9 febbraio Deinococcus Radiodurans: non alieno ma mutante?
Ultime notizie sul Deinococcus Radiodurans, lo sconcertante
batterio super-resistente alle radiazioni: i ricercatori della Louisiana State
University avrebbero identificato il segmento del genoma responsabile della
straordinaria capacità del microbo di sopportare fino a 1,5 milioni di rad di
radioattività, mille volte più di ogni altro essere vivente. Per confronto, 1000
rad bastano per uccidere un uomo.
La sorprendete resistenza del Radiodurans ha destato scalpore tra i biochimici,
che sono giunti a ipotizzare una possibile evoluzione extraterrestre del
batterio, tanto enorme il divario tra esso e qualsiasi altro organismo
terrestre.
Appariva pertanto ragionevole, ma questo ovviamente non poteva costituire alcuna
evidenza realistica, individuare in Marte il possibile luogo d'origine del
Radiodurans: soltanto una lento adattamento alle molto ostili condizioni del
Pianeta Rosso avrebbe potuto selezionare una forma vivente tanto resistente alle
radiazioni.
Alcune spore sarebbero rimaste intrappolate in frammenti di roccia marziana
scagliati nello spazio da qualche impatto meteoritico con Marte, per ricadere
più tardi sulla Terra e sviluppare la specie oggi osservata sul nostro pianeta.
Un'ipotesi certamente molto suggestiva, ma qualcosa non quadrava: il Deinococcus
appariva perfettamente analogo ad altre specie terrestri simili, a parte la
resistenza alle radiazioni; troppo "terrestre" quindi per poter essere davvero
un organismo alieno.
I biologi della Louisiana University hanno individuato nel gene irrE la
probabile spiegazione della forte "fibra" del batterio: inibendo o eliminando
questo frammento del genoma il Deinococcus diventa un comunissimo microbo
terrestre, sensibile a intensità minime di radiazioni. Riattivando l'irrE il
batterio riacquista i "superpoteri".
Ci troveremmo di fronte, quindi, a un caso singolare di mutazione genetica
favorevole; i casi di mutazione genica in biologia sono molto frequenti, ma
assai rari sono quelli che manifestano un vantaggio decisivo sul piano
evolutivo. Le mutazioni sono infatti perlopiù indifferenti o negative.
La scoperta toglie forse un po' di fascino al batterio "alieno" ma potrebbe
rivelarsi importantissima per applicazioni ecologiche o in medicina nucleare.
10 21.02.2003
Un buco nero al centro della
Via Lattea
La stella SO-16 è
stata scoperta di recente grazie al telescopio Keck delle Hawaii
Gli astronomi hanno da tempo
ipotizzato che gran parte della massa della Via Lattea sia contenuta in un
gigantesco buco nero. Questa teoria è tuttavia difficile da provare, in parte
perché i buchi neri risucchiano la luce e sono perciò "invisibili".
Andrea Ghez, astronomo dell'Università
della California di Los Angeles (UCLA), ha cercato le tracce di
questo buco nero centrale osservando più di 200 stelle e registrando il loro
tragitto lungo la galassia negli ultimi otto anni. In questo periodo di tempo,
una stella chiamata SO-16 ha completato una perfetta svolta a U. Questo è
compatibile con l'ipotesi che si sia avvicinata a un grande buco nero e che sia
stata risucchiata nella sua orbita dall'immensa forza gravitazionale.
Altre stelle avevano già offerto forti prove dell'esistenza del buco nero. "Ma
questo è un progresso sostanziale" ha commentato Ghez al convegno annuale dell'American
Association for the Advancement of Science (AAAS).
La stella SO-16 è appena stata scoperta. Si muove a 9000 chilometri al secondo,
dieci volte più veloce delle stelle vicine, ed è passata a circa seimila milioni
di chilometri di distanza dal buco nero, molto più vicina di ogni stella
osservata in precedenza.
L'osservazione è stata effettuata con il telescopio Keck alle isole Hawaii, il
più grande telescopio ottico sulla Terra.
11 27.02.2003 Una corona di plasma per NGC 3079
Una nuova immagine composita della
galassia spirale NGC 3079, ottenuta sovrapponendo una nuova ripresa del nucleo
ottenuta dall'Osservatorio a raggi X CHANDRA a una foto nell'ottico del
Telescopio Spaziale Hubble, rivela nuovi dettagli sorprendenti.
Il nucleo della galassia appare fortemente disturbato, in seguito all'eiezione
di numerosi filamenti di plasma torreggianti, intrecciati a formare una curiosa
struttura a forma di corona.
I colori delle varie zone della spirale (in blu l'emissione X registrata da
CHANDRA, in verde e rosso le zone riprese nell'ottico da Hubble) rivelano zone a
temperatura variabile da 10000°K a oltre 10 milioni, dovuti all'attività
esplosiva delle regioni centrali della galassia. Da queste si dipartono
violentissimi flussi di gas, probabilmente espulsi da esplosioni di supernovae a
cascata, oppure da un mostruoso buco nero centrale gigante.
I plasmi incandescenti si scavano una cavità nel gas più freddo dell'alone
galattico che circonda la spirale, e la violenta corrente ne strappa via i
lembi, distorcendoli in forma di lunghi filamenti, fino a formare una specie di
corona conica, brillante ai raggi X.
I superventi che si dipartono dai nuclei delle galassie probabilmente giocano un
ruolo chiave nell'evoluzione di nuove formazioni stellari, e nell'inseminazione
degli elementi più pesanti sintetizzati nelle esplosioni di supernova. La
quantità di materiale espulsa da NGC 3079 a causa del "supervento" del nucleo
appare veramente enorme, e probabilmente tale parametro è stato sottostimato nei
modelli teorici che descrivono l'evoluzione di questi oggetti. NGC 3079 si trova
nella costellazione dell'Orsa Maggiore, ed è lontana 50 milioni di km dalla
Terra.
12 27.02.2003 L'oggetto più freddo dell'Universo
Nell'Universo esiste un solo oggetto
ancora più "freddo" della radiazione cosmica di fondo, il residuo fossile del
Big Bang, che come è noto ha una temperatura "fossile" di soli 2,7°K (-271°C).
Si tratta della Nebulosa Boomerang, lontana 5000 anni luce dalla Terra, nella
costellazione australe del Centauro (Rh 44.8m -54°31'). Questa planetaria ha una
"minima" davvero record: soltanto 1°K al di sopra dello zero assoluto, vale a
dire -272°C.
Una nuova immagine della nebulosa planetaria, diffusa dall'Hubble Science Team e
ottenuta con il Telescopio Spaziale nel 1998, mostra in maggior dettaglio questo
oggetto, scoperto nel 1979 durante la Southern Sky Survey dell'ESO/Uppsala, e
classificato dapprima come oggetto peculiare ESO 172-07 di classe sconosciuta.
Riconosciuta in seguito come una nebulosa bipolare dai ricercatori del South
African Astronomical Observatory, venne definitivamente identificata nel 1980
come nebulosa protoplanetaria da K.Taylor e M.Scarrott con il telescopio AAT da
3,9 m, osservando dai cieli dell'Australia.
La planetaria appariva allora come un debole archetto di forma allungata e
ricurva, da cui il nome Boomerang, anche in omaggio alla tradizionale cultura
aborigena locale.
L'immagine ripresa dalla camera WFPC2 rende giustizia alla Boomerang, rivelando
una struttura complessa e una forma a farfalla, segnata da evanescenti inviluppi
di gas di forma arcuata e filamentosa, che si estendono esternamente su entrambi
i lobi di una trama simmetrica, alquanto peculiare rispetto alla morfologia
tipica di questi oggetti. Le planetarie mostrano in genere una simmetria lobata
che ricorda una doppia bolla di gas in espansione: la struttura più
differenziata della Boomerang potrebbe essere in relazione con la giovane età
della planetaria, probabilmente ancora nei primissimi stadi della sua
evoluzione.
Il raffreddamento, davvero straordinario, dei gas espulsi dall'esplosione della
stella centrale, è dovuto alla rapidissima espansione dei materiali eiettati
dalla stella morente, che sembra aver generato un vento stellare ultrafreddo
alla velocità di 500000 km/h. Questo ha comportato una perdita di massa pari a
un millesimo di masse solari all'anno per gli ultimi 1500 anni, una quantità
enorme e circa 100 volte maggiore della media per questi oggetti.
13
03.03.2003
Alla ricerca di nuove forze
Uno studio permette
di restringere il range d’azione delle interazioni previste
Ricercatori dell’Università
del Colorado di Boulder, usando due sottili lamine di tungsteno,
hanno effettuato un accurato esperimento nel tentativo di dimostrare l’esistenza
di forze previste dalla teoria delle stringhe e finora mai osservate. Il
tentativo non ha però consentito di individuare alcuna interazione sconosciuta
fra due masse separate da una distanza pari a due volte il diametro di un
capello umano.
Il risultato permette in ogni caso di escludere una sostanziale porzione di
spazio dal possibile range entro cui agirebbero queste forze. Secondo i fisici
teorici, dovrebbero essere individuate entro un range compreso fra un decimo e
un centesimo di millimetro. “I nostri risultati - commenta Joshua Long, autore
dello studio che è stato pubblicato sulla rivista “Nature”
il 27 febbraio - rappresentano la ricerca più accurata e sensibile di nuove
forze a queste distanze”.
La teoria delle stringhe, considerata l’approccio più promettente verso la tanto
attesa unificazione di tutte le forze fondamentali, suppone che le particelle
elementari siano costituite da vibrazioni in minuscoli circoli chiusi
mono-dimensionali. Perché la teoria funzioni e sia consistente, devono esistere
sei ulteriori dimensioni spaziali oltre le tre che possiamo osservare. I fisici
teorici ritengono che queste dimensioni extra siano “accartocciate” in spazi
molto piccoli, impossibili da percepire direttamente. Questa compattificazione
genera forze di intensità paragonabile alla gravità che, secondo recenti
previsioni, potrebbero essere osservate su scale di lunghezza di circa un decimo
di millimetro.
“Se queste forze esistono, - conclude il fisico teorico John Price - sappiamo
adesso che devono agire a distanze ancora più piccole di quelle che abbiamo
misurato. Questi risultati non mostrano affatto che le teorie sono sbagliate”.
14 03.03.2003
Un alone di raggi gamma
L’osservazione
proverebbe che le esplosioni stellari sono la principale sorgente di raggi
cosmici
Un team di scienziati giapponesi
ha scoperto che la galassia NGC 253, già nota per il suo notevole tasso di
formazione e di esplosione di stelle, è situata all’interno di un alone di raggi
gamma estremamente caldi. Si tratta della prima volta che gli scienziati hanno
rivelato raggi gamma di tale energia provenire da una galassia di dimensioni
simili alla nostra. Secondo i ricercatori, questa osservazione fornisce nuove
prove che la fonte primaria di raggi cosmici nell’universo siano le esplosioni
stellari.
Il gruppo, guidato da Chie Itoh dell’Università
di Ibaraki, ha discusso la propria scoperta sul numero del 20
febbraio della rivista “Astrophysical
Journal Letters”. L’osservazione è stata effettuata dall’entroterra
australiano grazie a un innovativo telescopio, CANGAROO-II.
I raggi gamma sono la forma di luce più energetica e comprendono la parte di
spettro elettromagnetico che va dalle onde radio di bassa energia, attraverso
l’infrarosso e il visibile, fino all’ultravioletto e ai raggi X.
Normalmente i raggi gamma vengono osservati dallo spazio con i satelliti, perché
l’atmosfera terrestre impedisce loro di raggiungere la superficie del pianeta. I
raggi con maggior energia, tuttavia, riescono a penetrare nell’atmosfera e
collidono con le molecole creando una pioggia di particelle secondarie.
CANGAROO-II rivela queste particelle e ricostruisce il flusso di raggi gamma
originario.
15 04.03.2003
Cellule per la NASA
L’ente spaziale
americano finanzierà i ricercatori dell’UCLA
Anche se il programma spaziale ha
subito un duro colpo con la tragedia dello Space Shuttle, i ricercatori della
NASA stanno già pensando al futuro. In
occasione dell’inaugurazione del nuovo Istituto di Esplorazione dello Spazio
all’Università
della California di Los Angeles (UCLA), gli scienziati hanno discusso
lo sviluppo di una nuova navetta futuristica, modellata su cellule viventi.
Molti gruppi di ricerca stanno esplorando i processi cellulari di base nella
speranza di poterli applicare su scale più grandi. L’ingegnere biomedico Carlo
Montemagno dell’UCLA, per esempio, sta sviluppando sacche microscopiche di
reagenti biologici, che sarebbero in grado di sospingersi in avanti da sole,
come un’ameba, attraverso un substrato. Le sacche includerebbero filamenti di
actina, che normalmente costituiscono gli scheletri delle cellule viventi.
Secondo la teoria di Montemagno, queste biosacche si muoverebbero a diversi
micrometri al minuto, estendendo un filamento di actina e trascinandosi lungo di
esso.
Lo scopo della ricerca è di fornire alle biosacche l’abilità di individuare e di
muoversi verso sostanze specifiche, più o meno nello stesso modo in cui le
estremità dei nervi crescono verso i segnali chimici nel corpo. Le biosacche,
suggerisce Montemagno, potrebbero essere usate in grandi quantità per cercare
tracce di contaminazione chimica o biologica all’interno di un’astronave.
Altri gruppi si occupano di sistemi differenti, come reticoli cellulari che
raccolgono la luce del sole, che trasmettono informazioni attraverso segnali
chimici, o che riparano danni strutturali.
16 04.03.2003
Simulare una galassia
Ora è possibile
trovare soluzioni anche per sistemi con più stelle in movimento
Gli astrofisici che usano i
computer per studiare l’evoluzione delle galassie hanno a che fare con numerosi
problemi: una galassia è infatti un sistema complesso e difficile da
modellizzare. Un
articolo apparso sulla rivista “Physical
Review Letters” suggerisce un nuovo modo per verificare l’accuratezza di molte
simulazioni. L’autore, Wayne B. Hayes dell’Università
del Maryland, descrive tecniche per trovare soluzioni “ombra”
accurate ed esatte, che seguono da vicino i risultati delle simulazioni.
Quando gli astrofisici vogliono rispondere a una domanda - come si sviluppano le
braccia di una spirale, per esempio -, cominciano a fissare le posizioni
iniziali di un gruppo si stelle. Poi, con l’aiuto di equazioni delle forze
gravitazionali che le stelle esercitano l’una sull’altra, simulano l’evoluzione
futura della galassia. Poiché si tratta di un sistema caotico, un minuscolo
cambiamento nelle condizioni iniziali può influire enormemente nella forma che
la galassia assume dopo due miliardi di anni.
Persino i migliori computer devono far uso di approssimazioni per risolvere i
problemi, e un certo margine di errore è inevitabile. Ma in un sistema caotico
gli errori crescono esponenzialmente e il risultato finale può risultare perciò
completamente errato.
Un’”ombra” è una soluzione esatta di un set di equazioni che segue il percorso
di una soluzione fornita dal computer per un lungo periodo di tempo, come quello
corrispondente a 50 o 100 rotazioni di una galassia. Una simulazione che non
possiede un’ombra non è necessariamente sbagliata, ma la presenza di un’ombra
fornisce comunque una buona indicazione che la simulazione è accurata.
Fino al lavoro di Hayes, la ricerca di un’ombra era possibile soltanto per
sistemi molto semplici, con una sola stella in movimento in un campo di stelle
fisse, in quanto il metodo matematico che veniva usato richiedeva molto lavoro
di elaborazione dati. Il nuovo metodo, grazie ad algoritmi di calcolo innovativi
ed eleganti, permette di trovare le ombre di sistemi molto complessi, con
numerose stelle in movimento.
17 06.03.2003
Una nube gassosa orbita
intorno a Giove
La sua osservazione è
stata possibile grazie a immagini prese alla fine del 2000
Grazie a uno strumento
particolarmente sensibile a bordo della sonda Cassini, ora in viaggio verso
Saturno, i ricercatori della
NASA hanno scoperto una grande nube di
gas, sorprendentemente densa, che condivide l'orbita di Europa, la luna
ghiacciata di Giove.
Estesa per milioni di chilometri intorno al pianeta, la nube a forma di
ciambella potrebbe essere il risultato di un pesante bombardamento di radiazioni
ionizzanti che Giove ha inviato verso Europa. Questa radiazione ha danneggiato
la superficie del satellite, frantumando e sollevando molecole di acqua e
ghiaccio e disperdendole lungo l'orbita di Europa sotto forma di una nube di gas
la cui massa è attorno alle 60.000 tonnellate.
“La massa della nube - afferma il fisico Barry Mauk - mostra che l'intensa
radiazione che investe Europa ha conseguenze ben maggiori di quanto si
riteneva”. Mauk guida il gruppo di ricercatori, la cui scoperta è stata
pubblicata sul numero del 27 febbraio della rivista “Nature”.
La massa indica anche che Europa, in orbita a 671.000 chilometri da Giove, ha
un'influenza considerevole sulla configurazione magnetica attorno al pianeta
gigante.
“Il gas di Europa - afferma Mauk - può essere paragonato a quello generato dal
satellite Io, vulcanicamente attivo. Tuttavia, mentre i vulcani di Io stanno
continuamente espellendo materiale, soprattutto zolfo e ossigeno, Europa è una
luna piuttosto calma e il vapore che osserviamo è una diretta conseguenza del
bombardamento intenso della sua superficie ghiacciata.”
18 06.03.2003
La produzione di elio nelle
stelle
I nuovi dati
potrebbero fornire indizi per risolvere l'enigma della materia oscura
In uno studio pubblicato sulla
rivista "Science",
astrofisici dell'Università
della Pennsylvania e di altre istituzioni americane, finlandesi e
australiane, affermano di aver calcolato, con una precisione superiore a quelle
precedenti, il tasso di produzione di elio delle stelle. Il dato può fornire una
migliore conoscenza della composizione dell'universo primordiale e potrebbe
aiutare a determinare l'esatta natura dell'energia oscura.
"L'elio - spiega il fisico e astronomo Raul Jimenez - rappresenta oggi dal 27 al
30 per cento della materia contenuta nell'universo, ma il nostro lavoro mostra
che 14 miliardi di anni fa costituiva solo il 24 o il 25 per cento della materia
dell'universo primordiale. Abbiamo scoperto che le stelle ricche di metalli
producono circa 2,1 volte più elio che metalli, contribuendo a questo
arricchimento cosmico".
Il tasso di produzione di elio cosmico rispetto ai metalli è di grande interesse
per gli astrofisici e i cosmologi. Il rapporto influisce sulla durata di vita
delle stelle ed è anche una variabile importante per determinare l'età delle
galassie, che a sua volta entra nelle equazioni che descrivono l'ancora
misteriosa e inosservabile materia oscura, che si ritiene comprendere il 73 per
cento della massa dell'universo.
19
11.03.2003
Marte avrebbe un nucleo morbido
La parte esterna del
nucleo del pianeta è probabilmente liquida
Fisici del
Jet Propulsion Laboratory della NASA,
negli Stati Uniti, hanno scoperto che il nucleo del pianeta Marte potrebbe
essere morbido e forse liquido. Lo studio, che analizza dati presi in più di tre
anni dalla missione
Mars Global Surveyor (MSG), è in
contraddizione con risultati precedenti che indicavano un nucleo solido.
Precedenti analisi sui meteoriti avevano mostrato che la crosta marziana è
magnetica. Questa informazione, insieme alle misure del momento di inerzia,
implica che il pianeta rosso possiede un grande nucleo di ferro che in passato
era liquido.
I ricercatori hanno studiato il fenomeno delle maree solide, causate
dall’attrazione del campo gravitazionale solare sul pianeta. Queste maree
provocano anche leggere alterazioni nell’orbita del MSG attorno a Marte. Dalla
misura di queste alterazioni, gli scienziati hanno calcolato la deformazione che
subisce il pianeta, che a sua volta dipende dalla sua rigidità.
I risultati indicano che Marte è maggiormente deformato, e quindi meno rigido,
di quanto si stimasse in precedenza. Questo implica un centro liquido, almeno
per quanto riguarda la parte più esterna del nucleo. Il gruppo di scienziati
spera ora di migliorare il proprio studio usando nuovi dati del MSG e le
informazioni della navicella Odyssey, anch’essa in orbita attorno a Marte.
20
15.03.2003
Come si è formato il centro della
Terra
Il decadimento di
isotopi radioattivi ha provocato le alte temperature necessario a fondere i
composti di ferro
La Terra, affermano i geologi, è
formata da un nucleo metallico circondato da un guscio di silicato. L'origine di
questa struttura, tuttavia, rappresenta una questione a cui la scienza
planetaria non sa ancora rispondere.
Ricercatori dell'Università
di Okayama, in Giappone, hanno ora mostrato, per mezzo di misure di
conduttività elettrica, che la Terra potrebbe essersi formata da corpi rocciosi
che si erano già separati nel mantello e nel nucleo. Un articolo (di T. Yoshino
et al.) è stato pubblicato sulla rivista "Nature".
Si pensa che la formazione del nucleo sia avvenuta quando il sistema solare era
molto giovane, non più vecchio di 30 milioni di anni. La Terra si è formata a
partire da una nube di gas e polvere, quando la materia cominciò ad aggregarsi
per formare piccoli pianetini, di pochi chilometri di diametro, che poi si
unirono fra loro per dare origine a un pianeta più grande. I ricercatori credono
che il nucleo si formò già in questa fase.
Il mantello superiore è costituito per lo più di ossido di silicio, o silicato,
da ferro e ossido di magnesio. Tomoo Katsura e colleghi hanno misurato la
conduttività elettrica del silicato e del ferro a condizioni di temperatura e
pressione corrispondenti a quelle che si trovano 100 chilometri sotto la
superficie della terra. La conduttività dei composti ferrosi è molto superiore a
quella dei silicati, il che contribuisce a far sì che il metallo si separi
fluendo attraverso canali nel silicato. La separazione del nucleo dal mantello
potrebbe dunque essere avvenuta molto rapidamente, in meno di 3 milioni di anni,
quando i piccoli pianetini avevano raggi inferiori ai 30 chilometri.
21
14.03.2003
Cacciatori di alieni
Il telescopio di
Arecibo verrà usato per osservare i segnali più promettenti
Dopo quasi quattro anni terrestri
- e milioni di anni di tempo computazionale - gli astronomi stanno per
annunciare i primi, promettenti risultati del progetto
SETI@home per la ricerca di vita su
altri mondi. L'enorme quantità di dati da elaborare è stata suddivisa in
migliaia di computer domestici di utenti di tutto il mondo.
Questo stesso mese, ricercatori dell'Università
della California di Berkeley, useranno il radiotelescopio Arecibo a
Porto Rico, il più grande del mondo, per osservare i centocinquanta segnali più
promettenti tra quelli provenienti dallo spazio esterno. Una piccola antenna sul
telescopio di Arecibo ha già raccolto 3500 gigabyte di onde radio provenienti
dalle stelle, nell'attesa di poter utilizzare finalmente il telescopio
principale.
"C'è una probabilità su 10.000 di trovare una civiltà aliena", mette le mani
avanti Dan Werthimer, lo scienziato a capo del progetto, che prevede di
stabilire un contatto entro i prossimi cento anni. "Sono ottimista, ma forse
finora abbiamo cercato nelle direzioni sbagliate".
Ian Morrison, ricercatore del SETI, è più cauto: "Ci sono forti possibilità che
noi siamo l'unica civiltà avanzata nella galassia". Fa inoltre notare che gli
alieni dovrebbero trasmettere verso di noi per poter essere rivelati.
22
17.03.2003
Nuove strutture nella pulsar del
Granchio
Emettono onde radio,
isolate e non sovrapposte, di pochi nanosecondi
Da tempo si sa che la pulsar del
Granchio emette impulsi radio periodici ed eccezionalmente luminosi. Alcuni
astronomi del
New Mexico Institute of Technology e del
National Radio Astronomy Observatory nel
New Mexico hanno ora scoperto che insieme a questi emette anche detti
sotto-impulsi di intensità minore. I ricercatori ritengono che le strutture
responsabili di queste emissioni abbiano un diametro inferiore a un metro, il
che le renderebbe i più piccoli oggetti mai rivelati al di fuori del sistema
solare e le più intense sorgenti radio del cielo. Un articolo (di H. Hankins et
al.) è stato pubblicato sulla rivista "Nature".
La pulsar del Granchio è una stella di neutroni in rotazione nella costellazione
del Toro, a circa 6520 anni luce dalla Terra. Formatasi in seguito
all'esplosione di una supernova osservata nel 1054, durante la sua rotazione
emette trenta volte al secondo impulsi radio estremamente brillanti. Emette
anche radiazioni nelle regioni spettrali ottiche, a raggi X e a raggi gamma, ma
gli astronomi non sono ancora certi di come funzioni il meccanismo di emissione.
Grazie al telescopio dell'osservatorio di Arecibo, Tim Hankins e colleghi hanno
osservato lo spettro di emissione radio della pulsar con un nuovo metodo di
rivelazione con una risoluzione temporale dell'ordine dei nanosecondi. In questo
modo hanno registrato anche impulsi estremamente brevi, isolati e non
sovrapposti, che duravano poche decine di microsecondi e in alcuni casi solo due
nanosecondi. Il gruppo ritiene che possano essere prodotte da un processo noto
come "turbolenza di plasma", ovvero dalla conversione dell'energia cinetica
nell'atmosfera magnetica della pulsar in energia radio.
23 23.03.2003
Il sole irradia sempre
di più
Lo studio aiuterà a
quantificare gli effetti delle radiazioni sui cambiamenti climatici globali
Negli ultimi decenni, la quantità
di radiazione emessa dal sole nei periodi di bassa attività delle macchie solari
è aumentata di quasi il 0,05 per cento ogni dieci anni. Lo afferma uno studio
finanziato dalla
NASA e pubblicato sulla rivista "Geophysical
Research Letters".
"Si tratta di una scoperta importante - afferma Richard Willson, che ha diretto
lo studio - perché, se questa tendenza dovesse essere confermata, potrebbe
produrrebbe significativi cambiamenti climatici. Le registrazioni storiche
sull'attività solare indicano che la radiazione è in aumento sin dal
diciannovesimo secolo. Se un andamento confrontabile con quello che abbiamo
scoperto fosse persistito lungo tutto il ventesimo secolo, avrebbe di sicuro
costituito una componente significativa del riscaldamento globale che si è
verificato negli ultimi cento anni".
Gli andamenti della radiazione solare possono costituire un fattore importante
nei cambiamenti climatici globali. Il ciclo solare si verifica
approssimativamente ogni 11 anni, quando il sole attraversa un periodo di
attività magnetica intensa chiamato "massimo solare", seguito da un periodo
tranquillo detto "minimo solare". Anche se l'aumento di irradiazione non è così
elevato da provocare cambiamenti osservabili, il trend assumerebbe importanza se
mantenuto per più di un secolo. Le osservazioni da satellite vengono ormai prese
da un tempo sufficiente per cominciare a cercare questi effetti.
Wilson ha compilato un registro con i dati degli ultimi 24 anni, e ha così
scoperto un andamento positivo significativo (0,05 per cento per decade) fra i
minimi solari degli ultimi tre cicli (dal 1978 a oggi). Questa scoperta potrà
aiutare i climatologi a distinguere fra le influenze sul clima dovute al sole e
quelle dovute all'uomo.
24 21.03.2003
Quanto pesa un buco
nero?
La massa è stata
determinata dallo studio dello spettro di emissione degli ioni di magnesio
Per la prima volta, un team di
astronomi ha pesato un buco nero che si trova ai confini dell’universo. Gli
scienziati, del Canada e della Gran Bretagna, hanno studiato la luce infrarossa
proveniente dal quasar più distante che si conosca e hanno scoperto che contiene
un buco nero con una massa pari a un milione di miliardi di volte quella della
Terra. L’osservazione è stata effettuata con il telescopio UKIRT (United Kingdom
Infrared Telescope) alle isole Hawaii, usando un nuovo spettrometro, e verrà
pubblicata sulla rivista “Astrophysical
Journal Letters”.
I quasar sono galassie eccezionalmente luminose e visibili anche a grandi
distanze. La loro luce è molto più brillante della normale luce stellare, a
causa del rilascio di energia gravitazionale dovuta all’attrazione della materia
da parte di un buco nero supermassivo al loro interno.
“Abbiamo studiato - spiega Chris Willot, dell’Istituto
di astrofisica Herzberg del Canada - il quasar più distante che si
conosca, SDSS J1148+5251, e abbiamo osservato la luce che ha emesso 13 miliardi
di anni fa, quando l’universo aveva soltanto il 6 per cento dell’età che ha
adesso”.
Grazie allo spettrometro, gli astronomi hanno identificato gli ioni di magnesio
che fanno parte del gas che circonda il buco nero al centro del quasar.
Osservando la linea di emissione nello spettro e confrontandola con quella di
quasar più vicini, hanno potuto determinare la massa del buco nero, in quanto la
larghezza della linea dà un’indicazione della velocità del gas. Più il buco nero
e massivo, più la velocità della materia è elevata.
25 30.03.2003
Più acqua sulla Luna
Secondo alcuni
ricercatori, il satellite conterrebbe un miliardo di tonnellate d'acqua
La Luna potrebbe ospitare cinque
volte più acqua di quanto si riteneva. Lo affermano ricercatori degli Stati
Uniti, che hanno raddoppiato anche le stime precedenti sull'estensione della
superficie lunare che rimane permanentemente al buio. Si tratta di notizie
incoraggianti in vista di un'eventuale futura colonizzazione umana della Luna.
"Il ghiaccio che si è accumulato sulla Luna miliardi di anni fa - spiega Ben
Bussey dell'Università
delle Hawaii -, all'interno di pozzi e crateri non esposti al sole,
dovrebbe essere ancora lì, non essendo mai sublimato e grazie anche alla bassa
gravità".
Una colonia, sostenuta dalle riserve di ghiaccio lunare, darebbe nuove energie
al programma spaziale degli Stati Uniti e potrebbe occuparsi della ricerca di
materiali preziosi, stando a quanto afferma un altro membro del team di
ricercatori, Paul Spudis. Il ghiaccio lunare verrebbe fuso per fornire acqua ai
coloni, e grazie all'energia solare potrebbe essere scisso in idrogeno e
ossigeno per produrre carburante.
La navicella Lunar Prospector della NASA ha rivelato grandi quantità di
ghiaccio, forse centinaia di milioni di tonnellate, già nel 1998, nei crateri al
buio presso i poli del satellite. La nuova scoperta sembra confermare la teoria
di uno strato di ghiaccio presso il Polo Sud, ipotizzata dalla missione lunare
Clementine nel 1996.
Il gruppo di Bussey sostiene che sulla Luna potrebbe esserci quasi un miliardo
di tonnellate d'acqua.
Bussey, D. B.
J. et al.
Permanent shadow in simple craters
near the lunar poles.
Geophysical Research Letters,
30, 1278, pubblicato online, doi:10.1029/2002GL016180 (2003).
26 29.03.2003
Una supergigante
fredda
Gli astronomi hanno
osservato gli "echi di luce" provocati dalla sua trasformazione
Lo scorso gennaio una stella nella
costellazione dell'Unicorno, nota come V838 Monocerotis, è diventata
temporaneamente la stella più luminosa della Via Lattea. Astronomi italiani,
americani e delle isole Canarie hanno ora usato il
telescopio spaziale Hubble per studiare
la luce emessa dalla stella. Il lavoro, pubblicato sulla rivista "Nature",
ha fornito un nuovo metodo per misurare la distanza delle stelle più lontane.
Nove e supernove eiettano spesso materiale stellare nello spazio, producendo
vere e proprie esplosioni energetiche. Quando V838 Mon ha eruttato, è diventata
più luminosa di un fattore 10.000 e ha così spinto gli astronomi a ritenere che
si trattasse di una nova classica. Tuttavia, la stella non ha proiettato i
propri strati esterni esponendo un nucleo caldo, come una nova convenzionale, ma
si è semplicemente espansa per diventare una supergigante fredda e luminosa.
Questa trasformazione sfida le teorie convenzionali sul ciclo di vita delle
stelle.
Howard Bond, dello
Space Telescope Science Institute del
Maryland, e colleghi hanno scoperto che la stella ha subito cambiamenti di
luminosità rapidi e complessi fra gennaio e aprile del 2002. Le immagini di
Hubble mostrano "echi di luce", ovvero una serie di archi e anelli quasi
circolari, centrati sulla stella. Questi echi sono creati dalla luce che si
propaga nella polvere stellare che la circonda.
Con queste misure, i ricercatori hanno calcolato che la stella si trova a una
distanza di circa 20.000 anni luce. Sembra trattarsi di un nuovo tipo di
esplosioni con cui una stella si espande rapidamente a dimensioni di
supergigante con un meccanismo finora poco conosciuto.
27
31.03.2003 Quasar che
espellono materia
L'assorbimento dei
raggi-X è stato studiato grazie al metodo della lente gravitazionale
I buchi neri sono ben noti per la
loro capacità di inghiottire la materia. Ora, tuttavia, un gruppo di astronomi
degli Stati Uniti ha scoperto che essi possono anche risputarne fuori in
quantità sostanziali.
George Chartas e colleghi, della
Penn State University, hanno osservato
alcune quasar - oggetti quasi stellari che si ritiene alimentati da buchi neri
supermassivi - che espellono nello spazio quantità significative di gas,
compresi elementi come carbonio, ossigeno e ferro. I teorici hanno previsto che
la luce emessa dalle quasar si possa comportare come una specie di vento,
soffiando nello spazio intergalattico parte del gas che forma il disco che
circonda un buco nero di una quasar. Questo si verifica perché gli ioni nel gas
assorbono i fotoni e ne acquisiscono la quantità di moto.
Chartas e colleghi hanno osservato questo fenomeno studiando l'assorbimento di
raggi-X da parte di due quasar, APM 08279+5255 e PG1115+080, usando la "lente
gravitazionale" delle galassie frapposte per ingrandire la radiazione non
assorbita. Gli astronomi avevano già scoperto questo effetto nella regione
ultravioletta dello spettro, ma i nuovi dati suggeriscono che i raggi-X possono
espellere materia nello spazio a un tasso circa dieci volte superiore della
radiazione a lunghezza d'onda maggiore.
"I venti che abbiamo misurato - sostiene Chartas - implicano che, nel corso
della vita di una quasar, venga soffiata via una quantità di materia pari a un
miliardo di soli".
Misurando lo spostamento Doppler relativistico delle linee di assorbimento, i
ricercatori hanno calcolato che il gas espulso viaggia al 40 per cento della
velocità della luce, molto più rapidamente di quanto previsto dalla teoria. I
risultati sono stati presentati il 25 marzo a un convegno dell'American
Astronomical Society nel Quebec.
28 07.04.2003
Un vento galattico di
particelle
La chimica
interstellare può rivelare alcune proprietà della galassia
Grazie a misure di chimica, alcuni
scienziati dell’Università
della California di Berkeley hanno ipotizzato l’esistenza di un vento
di particelle di raggi cosmici di bassa energia che soffia nella galassia. I
raggi cosmici non hanno energia sufficiente per far fronte al vento solare e
raggiungere così la Terra, ma sembrano avere un grande impatto sulla chimica
delle tenui nubi di gas fra le stelle, le cosiddette nubi interstellari diffuse.
“Questo - commenta l’astrofisico Benjamin J. McCall - implica una nuova
popolazione di raggi cosmici, non abbastanza energetici da penetrare nelle nubi
più dense, ma in grado di svolgere un ruolo nelle nubi diffuse”. A differenza
delle nubi dense, che appaiono nere e vuote perché la polvere e il gas blocca la
luce delle stelle, le nubi diffuse sono invisibili, tradite solo dal rosso delle
stelle la cui luce passa loro attraverso.
McCall e colleghi hanno stimato che il flusso di raggi cosmici a bassa energia
sia 40 volte maggiore di quanto previsto dalle osservazioni sulle nubi dense. La
scoperta, pubblicata sul numero del 3 aprile della rivista “Nature”,
implica che i raggi cosmici siano una fonte di riscaldamento e di ionizzazione
nelle nubi di gas interstellare molto più significativa di quanto si ritenesse.
Questo rinvigorirebbe una teoria proposta circa 30 anni fa. La maggiore
ionizzazione implica anche una produzione di molecole complesse più abbondante.
Anche se l’interpretazione di McCall non è condivisa da tutti gli astronomi, i
risultati mostrano chiaramente che le attuali conoscenze della chimica delle
nubi diffuse devono essere modificate.
29 07.04.2003
Attraverso un buco
nero
Fonti di radiazione
non compatte genererebbero distorsioni finite e non distruttive
Una astronave, passando attraverso
un buco nero, potrebbe raggiungere un altro universo: forse sembrerà
improbabile, ma è qualcosa che non può essere escluso del tutto, almeno secondo
un
articolo pubblicato sulla rivista “Physical
Review Letters” che esplora il concetto di “singolarità ibrida”.
Come sanno sia i fisici sia i lettori di fantascienza, se si volesse passare
all’interno di un buco nero si dovrebbe attraversare una “singolarità dello
spazio-tempo”. Con questo si intende tradizionalmente una regione di densità
infinita che esercita una distorsione distruttiva su qualsiasi oggetto non
puntiforme, ovvero con una propria estensione nello spazio, che si tratti di
un’astronave o di una semplice molecola.
Ma ora alcuni fisici sospettano che questo quadro sia incompleto e che possa
esistere un secondo tipo di singolarità, molto meno pericoloso. Questa
“singolarità dell’orizzonte di Cauchy”, impartirebbe solamente distorsioni
finite sugli oggetti estesi e si svilupperebbe solo quando un flusso regolare di
materia o di energia cade nel buco. Gli studi precedenti avevano preso in
considerazione esclusivamente brevi “lampi” di energia, ma nel buco nero
potrebbero cadere anche flussi di radiazione “non compatti” e di lunga durata,
come il fondo cosmico a microonde.
Lior Burko, dell’Università
dello Utah, ha preso in considerazione queste sorgenti non compatte e
ha esplorato il modo in cui l’interno di un buco nero reagirebbe a questo tipo
di radiazione. Se le sorgenti non compatte sono deboli, secondo Burko si
formerebbe una singolarità ibrida, con un settore forte (inevitabilmente
distruttivo) e uno debole (con distorsioni di marea finita). In teoria,
un’astronave che entrasse nel settore debole potrebbe viaggiare fino a un’altra
regione dello spazio-tempo.
30 09.04.2003
La rottura della
simmetria di carica
La produzione di
pioni potrebbe aiutare i fisici a comprendere le differenze fra le particelle
subatomiche
Due gruppi di fisici delle
particelle elementari hanno osservato delle reazioni rare che coinvolgono
nucleoni (ovvero protoni e neutroni, i componenti dei nuclei atomici) e che
potrebbero portare a stime più precise della massa dei quark che a loro volta li
compongono. Queste misure dovrebbero contribuire a mettere alla prova diverse
teorie sulle origini dell’universo. I risultati sono stati comunicati al
convegno di aprile dell’American
Physical Society.
Neutroni e protoni sono costituiti da due tipi di quark: il neutrone è formato
da due quark “down” e uno “up”, mentre il protone da uno “down” e da due “up”. A
causa di un fenomeno noto come rottura della simmetria di carica, i quark “down”
sono più pesanti, e questo fa sì che il neutrone abbia una massa leggermente
maggiore di quella del protone. La differenza fra le due masse significa che un
neutrone libero può decadere spontaneamente in un protone. Dopo il Big Bang,
tutti i neutroni non legati all’interno di nuclei atomici, hanno subito questo
destino. E unendosi con elettroni carichi negativamente, hanno dato origine ad
atomi di idrogeno, il carburante delle stelle.
“Più protoni nell’universo - spiega Edward Stephenson, dell’Università
dell'Indiana - significa più idrogeno. In caso contrario, la
composizione e la chimica dell’universo sarebbe differente: tutto dipende dalla
rottura della simmetria di carica”. L’abbondanza dei diversi elementi dunque è
dovuta alle differenze nelle masse dei quark, che non sono mai state misurate
con esattezza.
Il team dell’Università dell’Indiana ha fatto collidere due nuclei di deuterio,
l’isotopo dell’idrogeno contenente un protone e un neutrone, producendo elio e
un pione, una reazione che viola la conservazione dell’isospin. Un altro gruppo,
guidato da Allena Opper dell’Università
dell'Ohio, ha fuso un neutrone e un protone, producendo deuterio e un
pione. I due risultati permetteranno di comprendere meglio quanta della
differenza fra quark “up” e “down” è dovuta alla massa e quanta alla carica
elettrica.
Stephenson, E.
Observation of the isospin-forbidden
d+dto^4He+pi^0 Reaction near Threshold.
Session C3 - Charge Symmetry Breaking, American Physical Society Meeting (April
2003).
Opper, A.
Measuring Charge Symmetry Breaking in
n p rightarrow dpi^0.
Session C3 - Charge Symmetry Breaking, American Physical Society Meeting (April
2003).
31 11.04.2003
Dinamica della materia
oscura
La galassia
conterrebbe migliaia di globi che si spostano al suo interno
Forse i fisici stanno cominciando
a fare progressi nel riuscire a svelare il mistero che circonda la materia
oscura, l’elusiva controparte della materia visibile che costituisce l’ottanta
per cento della massa dell’intero universo. Di qualsiasi cosa si tratti, la
materia oscura non si muoverebbe in modo misterioso, ma si sposterebbe proprio
come un gas di comuni particelle. Lo hanno annunciato alcuni ricercatori al
convegno annuale dell’American
Physical Society che si è svolto a Filadelfia.
La materia oscura, come suggerisce il nome, non riflette la luce e interagisce
raramente, o addirittura mai, con la materia visibile. In effetti, la sola prova
della sua esistenza è l’attrazione gravitazionale che esercita sulla luce e
sulle stelle. “La materia oscura - spiega il fisico Chung-Pei Ma dell’Università
della California di Berkeley - lascia la sua impronta su tutto, ma
non sappiamo ancora di cosa è costituita”.
Ma e il suo collega Ed Bertschinger, del
Massachusetts Institute of Technology (MIT),
hanno simulato al computer i movimenti di milioni di particelle di materia
oscura per un periodo di miliardi di anni. I movimenti digitali così ottenuti
rispecchiano da vicino quelli di particelle di diverse dimensioni all’interno di
un gas. I ricercatori sono stati in grado di predire ogni mossa della loro
materia oscura grazie a un’equazione sviluppata da Einstein per descrivere il
moto browniano dei gas.
I risultati potrebbero spingere a riconsiderare il modo in cui la materia oscura
è distribuita nelle galassie. Molti ritengono che giganteschi aloni di materia
oscura avvolgano ogni galassia. Secondo Ma, invece, la simulazione indica che
migliaia di ammassi di materia oscura relativamente piccoli, ciascuno pesante
milioni di volte più del nostro Sole, potrebbero orbitare nella Via Lattea e
nelle altre galassie. Se questi globi esistono, il loro campo gravitazionale
piegherebbe la luce che proviene da oggetti distanti prima che giunga sulla
Terra.
32 3.5.2003
Galassie prive di materia oscura
La "materia oscura", o massa mancante, è diventata ormai uno dei postulati base
nella maggior parte dei modelli cosmologici che descrivono l'evoluzione
dell'Universo, ma qualcosa ancora continua a non quadrare. Stavolta viene da
Nottingham l'annuncio che gli astronomi della locale università avrebbero
identificato ben tre galassie ellittiche che non mostrano traccia alcuna di
materia oscura.
Il modello assunto dai teorici è che le galassie fatte di materia normale siano
in realtà immerse in aloni di materia oscura, invisibili ma in grado di
influenzarne le proprietà. Ad esempio, gli oggetti più lontani dal nucleo
verrebbero accelerati rispetto agli oggetti in rotazione su orbite più interne,
a causa dell'influenza della materia oscura vicina alle regioni periferiche.
Questo è proprio ciò che si osserva per le nubi gassose nei bracci esterni delle
grandi spirali, tracciandone l'emissione radio. Le grandi galassie ellittiche,
che derivano dalla fusione di galassie spirali, non hanno però nubi gassose
esterne, e finora non era stato possibile verificare in esse la presenza di
materia oscura col metodo delle velocità periferiche. Grazie al nuovo
spettrografo installato al telescopio W.Herschel di La Palma è ora possibile
osservare un effetto simile sulle nebulose planetarie delle galassie ellittiche.
I primi risultati di una survey in corso su 25 galassie contraddicono però
clamorosamente questa ipotesi: sembra che le nebulae si muovano tanto lentamente
da escludere del tutto la presenza di effetti dovuti a materia oscura. Risultato
assai intrigante, ma estrapolato dai dati ricavati per tre sole galassie, tra
cui sembra davvero sorprendente il caso di M105, gigante ellittica nella
costellazione del Leone. Sarà in ogni caso meglio aspettare l'esito dell'intera
ricerca prima di trarre le dovute conclusioni.
33 3.5.2003
Espansione a velocità "variabile": lo confermano le
supernovae
La nuova camera ACS, montata nel marzo 2002 sul Telescopio Spaziale Hubble,
fornisce immagini sempre più spettacolari e profonde, consentendo di verificare
teorie altrimenti destinate a rimanere sulla carta. I ricercatori delle
università di S.Cruz e Johns Hopkins hanno sovrapposto l'immagine di un medesimo
campo nell'Orsa Maggiore ripreso dall'allora avanzatissima camera WFPC2, tratta
dalla celebre Hubble Deep Field Nord del 1995 con la ripresa, 10 volte più
profonda, effettuata con l'ACS tra maggio e giugno del 2002.
E hanno scoperto la traccia, fortemente arrossata, dell'esplosione di una
supernova lontana 8 miliardi di anni luce dalla Terra (SN2002dd), e di una
seconda supernova a 5 miliardi di anni luce (SN2002dc). Entrambe supernovae di
classe Ia, del tipo usato dagli astronomi come "candele standard" per la
valutazione delle distanze nell'Universo.
L'analisi spettroscopica della loro radiazione consente inoltre di riconoscere
la velocità dell'espansione dello spazio-tempo in cui l'evento si verifica. Se
l'Universo scaturito dal Big Bang continua a espandersi, la sua velocità di
espansione dovrebbe progressivamente rallentare, per effetto della gravità
combinata di galassie e ammassi formatisi. La scoperta, avvenuta 5 anni fa, di
una misteriosa "energia oscura" che contraddice questa ipotesi, rivelando una
progressiva accelerazione dell'espansione in atto da qualche miliardo di anni,
ha provocato parecchio sconcerto tra gli astrofisici. Nel 2001 Hubble con la
WFPC2 aveva infatti individuato una supernova ancora più remota, a circa 10
miliardi di anni luce, che indicava una decelerazione nell'espansione, in
conformità col modello teorico originale.
È evidente che deve essersi verificato, a un certo punto nella "storia"
dell'espansione dell'Universo, un'inversione di tendenza, in cui la repulsione
dovuta all'energia oscura ha prima equilibrato e poi superato l'attrazione
dovuta alla gravità. Sembra che la nuova supernova scoperta dall'ACS a 8
miliardi di anni luce (red-shift 0,97) rientri, assieme all'altra (red-shift
0,47), nella seconda fase, caratterizzata dall'accelerazione dell'espansione. La
facilità con cui le due supernovae sono state individuate conferma le
fantastiche potenzialità dell'ACS.
Sarà presto possibile ricostruire per intero il "film" dell'espansione nata col
Big Bang: un Universo a velocità variabile, con una prima fase caratterizzata
dalla forte accelerazione dell'esplosione iniziale, seguita da una lunga frenata
dovuta alla gravità, per poi riprendere ad accelerare, sulla spinta dall'energia
oscura.
34 18.04.2003
L’origine del lampi di
raggi gamma
Osservata l’impronta
spettrografica di una supernova all’interno di GRB 030329
Una gigantesca esplosione stellare
ha fornito un’ulteriore prova che i lampi di raggi gamma (GRB) sono innescati da
supernove, il collasso esplosivo di stelle estremamente massive in buchi neri.
Anche se questa teoria era accettata da tempo, gli scienziati avevano problemi a
dimostrare la sua evidenza sperimentale. La nuova scoperta dovrebbe ora aiutare
gli astronomi a comprendere meglio quelli che rientrano a tutti gli effetti fra
i fenomeni più violenti dell’universo.
Il primo indizio che collegava le supernove ai lampi di raggi gamma fu trovato
nell’aprile del 1998, quando un debole lampo si verificò simultaneamente e nella
stessa regione del cielo dove fu osservata un’insolita esplosione di supernova.
Questo suggerì che i raggi gamma fossero prodotti dall’esplosione di una stella
massiva alla fine della propria vita, quando il nucleo denso collassa in un buco
nero. Da allora gli astronomi osservarono altri fenomeni di questo tipo, ma
senza una prova definitiva che permettesse di escludere una spiegazione di altro
genere.
Ora un gruppo guidato da Thomas Matheson e Krzysztof Stanek dell’Harvard-Smithsonian
Center for Astrophysics di Cambridge, nel Massachusetts, e da Peter
Garnavich dell’Università
di Notre Dame, nell’Indiana, ha potuto trovare l’anello mancante che
collega i due fenomeni. Usando due grandi telescopi in Arizona e in Cile, hanno
osservato l’impronta spettroscopica di una supernova molto simile a quella del
1998 nel bagliore residuo di GRB 030329, un lampo di raggi gamma scoperto il 29
marzo dal satellite
HETE-2 della NASA.
L’osservazione rende molto meno probabili le teorie alternative, come quella
secondo cui i lampi si verificano un paio di mesi dopo le esplosioni delle
supernove. Stanek, tuttavia, avverte che non è sicuro che tutti i GRB siano
associati alle supernove. I lampi più brevi, in particolare, quelli che durano
meno di due secondi, potrebbero anche essere prodotti da un altro meccanismo.