18.04.2003 L’origine del lampi di raggi gamma
 Osservata l’impronta spettrografica di una supernova all’interno di GRB 030329

3.5.2003 Espansione a velocità "variabile": lo confermano le supernovae

3.5.2003 Galassie prive di materia oscura

11.04.2003 Dinamica della materia oscura
La galassia conterrebbe migliaia di globi che si spostano al suo interno

09.04.2003 La rottura della simmetria di carica
La produzione di pioni potrebbe aiutare i fisici a comprendere le differenze fra le particelle subatomiche

07.04.2003 Attraverso un buco nero
Fonti di radiazione non compatte genererebbero distorsioni finite e non distruttive

07.04.2003 Un vento galattico di particelle
La chimica interstellare può rivelare alcune proprietà della galassia

31.03.2003 Quasar che espellono materia
L'assorbimento dei raggi-X è stato studiato grazie al metodo della lente gravitazionale

29.03.2003 Una supergigante fredda
Gli astronomi hanno osservato gli "echi di luce" provocati dalla sua trasformazione

30.03.2003 Più acqua sulla Luna
Secondo alcuni ricercatori, il satellite conterrebbe un miliardo di tonnellate d'acqua

21.03.2003 Quanto pesa un buco nero?
La massa è stata determinata dallo studio dello spettro di emissione degli ioni di magnesio

23.03.2003 Il sole irradia sempre di più
Lo studio aiuterà a quantificare gli effetti delle radiazioni sui cambiamenti climatici globali

17.03.2003 Nuove strutture nella pulsar del Granchio
Emettono onde radio, isolate e non sovrapposte, di pochi nanosecondi

15.03.2003 Come si è formato il centro della Terra
Il decadimento di isotopi radioattivi ha provocato le alte temperature necessario a fondere i composti di ferro

14.03.2003 Cacciatori di alieni
Il telescopio di Arecibo verrà usato per osservare i segnali più promettenti

11.03.2003 Marte avrebbe un nucleo morbido
La parte esterna del nucleo del pianeta è probabilmente liquida

06.03.2003 La produzione di elio nelle stelle
 I nuovi dati potrebbero fornire indizi per risolvere l'enigma della materia oscura

06.03.2003 Una nube gassosa orbita intorno a Giove
La sua osservazione è stata possibile grazie a immagini prese alla fine del 2000

04.03.2003 Simulare una galassia
Ora è possibile trovare soluzioni anche per sistemi con più stelle in movimento

04.03.2003 Cellule per la NASA
L’ente spaziale americano finanzierà i ricercatori dell’UCLA

03.03.2003 Un alone di raggi gamma
L’osservazione proverebbe che le esplosioni stellari sono la principale sorgente di raggi cosmici

03.03.2003 Alla ricerca di nuove forze
Uno studio permette di restringere il range d’azione delle interazioni previste

27.02.2003 L'oggetto più freddo dell'Universo

27.02.2003 Una corona di plasma per NGC 3079

21.02.2003 Un buco nero al centro della Via Lattea
    La stella SO-16 è stata scoperta di recente grazie al telescopio Keck delle Hawaii

15.02.2003 Deinococcus Radiodurans: non alieno ma mutante?

14.02.2003 Una fotografia dell'universo primordiale
    I dati hanno permesso di misurare con maggiore precisione l’età dell’universo

26.01.2003 La più antica mappa stellare?
    La tavoletta di avorio su cui incisa fu trovata nel 1979 in una caverna nella valle di Ach, in Germania

17.01.2003 Non partirà la sonda Rosetta
    Ora si sta pensando a una nuova missione da effettuare nei prossimi anni

15.01.2003 Tre nuovi satelliti di Nettuno
    Gli ultimi tre non furono scoperti dalla sonda Voyager 2

13.01.2003 La velocità del campo gravitazionale
    Molti ricercatori hanno accolto con scetticismo il risultato dello studio 

09.01.2003 E se non ci fosse acqua su Marte?

15.01.2003 L'anello della Via Lattea
    Probabilmente ebbe origine quando inglobò una più piccola galassia vicina

07.01.2003 I vulcani salati di Io
    Alcuni tentativi di dimostrare la presenza di sale furono fatti già un paio di anni fa, ma senza successo .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 07.01.2003 I vulcani salati di Io
Alcuni tentativi di dimostrare la presenza di sale furono fatti già un paio di anni fa, ma senza successo .

Alcuni astronomi della Johns Hopkins University e di altre istituzioni hanno mostrato che i vulcani di Io, il satellite di Giove, emettono sale gassoso nella atmosfera, risolvendo così un mistero vecchio quasi 30 anni.
"Questo - dice Darrel Strobel, che ha partecipato alla ricerca - spiega bene la scoperta del sodio nelle nubi neutro di gas che circondano Io che Bob Brown fece nel 1974,". La scoperta è stata descritta sulla rivista "Nature".
UnÕulteriore analisi dei risultati, e la modellizzazione di come il sale viene spezzato in atomi di sodio e cloro, potrebbe aiutare i planetologi a determinare la composizione del materiale da cui Io stesso ebbe origine. Gli astronomi hanno accorciato la lista delle possibili sorgenti di sodio per anni, prima di determinare che il candidato più probabile è il normale cloruro di sodio. Questa conclusione fu fatta dopo la scoperta di cloro nel toro di plasma che circonda Io. Alcuni tentativi di dimostrare la presenza di sale furono fatti giá un paio di anni fa, ma senza successo. Ora il cloruro di sodio è stato osservato spettroscopicamente utilizzando il radiotelescopio dell'Insituto de Radioastronomía Milimétrica
di Granada, in Spagna. Le osservazioni nella banda millimetrica obbligano gli astronomi a concentrarsi su una minuscola regione dello spettro, rendendo necessaria un'accurata scelta delle frequenze che interessa osservare. Lo studio, condotte nel gennaio del 2002, ha mostrato subito le linee spettroscopiche caratteristiche del cloruro di sodio, che molto probabilmente viene emesso dai vulcani.

 

2 15.01.2003 L'anello della Via Lattea
Probabilmente ebbe origine quando inglobò una più piccola galassia vicina

Due gruppi di astronomi hanno annunciato di aver scoperto che la nostra galassia, come Saturno, possiede un grande anello. Lo spesso toro di stelle, a una distanza dal centro galattico pari al doppio di quella del Sole, probabilmente ebbe origine quando la Via Lattea inglobò una più piccola galassia vicina, qualche miliardo di anni fa. Il nuovo anello, descritto durante il congresso della "American Astronomical Society", è una struttura che consiste di milioni di stelle.
Gli astronomi avevano già osservato schemi su grande scala nelle stelle dell'alone della Via Lattea, ma essi sono sempre stati difficili da identificare. L'anello, in particolare, è rimasto nascosto alla vista perché giace sullo stesso piano del disco della Via Lattea, che contiene il Sole e la maggior parte della materia della galassia. Due analisi di vaste zone di cielo hanno permesso di scoprire una processione di stelle oltre il disco, che racchiude la galassia in un toro di circa 120.000 anni luce di diametro.
Gli astronomi della Sloan Digital Sky Survey hanno identificato le stelle in una banda coerente che circonda circa un sesto della galassia. La distribuzione uniforme suggerisce che una galassia satellite si unì alla via Lattea molto tempo fa, fino a 10 miliardi di anni, dando alle stelle molto tempo per disperdersi.

 

3 09.01.2003 E se non ci fosse acqua su Marte?

Un astronomo australiano ha identificato quello che potrebbe essere il primo flusso attivo di fluidi sulla superficie di Marte, e non è una buona notizia per quanti sperano ancora di trovare vita sul Pianeta Rosso. Nick Hoffman, dell'Università di Melbourne, ha scoperto alcuni canali in via di sviluppo nelle regioni polari di Marte, utilizzando immagini riprese dal Mars Global Surveyor. Ma, al contrario della maggior parte dei ricercatori, Hoffman sostiene che il liquido ha forti probabilità di essere anidride carbonica.
Nell'ultimo numero della rivista "Astrobiology", Hoffman ha presentato la sua scoperta e dimostrato che ci sono altre sostanze liquide che possono fluire sulla superficie di Marte, e l'acqua è il candidato meno probabile. Hoffman dice che i canali che ha identificato nelle immagini sono stati creati più facilmente da vere e proprie valanghe di anidride carbonica.
"Le conseguenze di questo per la vita su Marte sono disastrose," dice Hoffman. "Se simili meccanismi sono responsabili di tutti i canali recenti su Marte, allora la vita in superficie che la NASA sta disperatamente cercando potrebbe non esistere."

 

4 13.01.2003 La velocità del campo gravitazionale
Molti ricercatori hanno accolto con scetticismo il risultato dello studio

Uno dei più interessanti problemi della fisica moderna riguarda la velocità di propagazione del campo gravitazionale, che due ricercatori hanno appena annunciato di aver misurato per la prima volta. Secondo Isaac Newton la gravitazione agiva istantaneamente ovunque nel cosmo. Fu Albert Einstein a ridimensionare questa velocità, poiché secondo la teoria della relatività generale il campo gravitazionale si propaga alla stessa velocità della luce, circa 300.000 chilometri al secondo. I risultati, un po' controversi, delle misure sono stati annunciati nel corso del congresso della American Astronomical Society.
Sergei Kopeikin, dell'Università del Missouri, a Columbia, ha proposto un metodo ingegnoso. Circa ogni 10 anni, Giove passa nelle vicinanze della direzione di vista di un quasar distante. La gravità del pianeta deflette quindi le onde radio del quasar in modo che dipende leggermente dalla velocità di propagazione della gravitazione. La prima occasione di verificare la teoria si è avuta l'8 settembre del 2002, quando Giove transitò nei pressi del quasar J0842+1835. Kopekein e Ed Fomaleon, del National Radio Astronomy Observatory di Charlottesville, in Virginia, hanno seguito l'incontro con 10 telescopi del Very Long Baseline Array e un altro in Germania. La precisione angolare degli strumenti combinati era sufficiente a evidenziare qualsiasi discrepanza rispetto alla posizione del quasar prevista. L'analisi ha portato a un valore pari a 1,06+-0,42 volte quella della luce.
Secondo alcuni ricercatori il metodo non ha però alcun senso. In un articolo pubblicato sulla rivista “Astrophysical Journal Letters”, Hideki Asada, della Hirosaki University giapponese, ha calcolato che il metodo misura in realtà la velocità della luce.

 

5 15.01.2003 Tre nuovi satelliti di Nettuno
Gli ultimi tre non furono scoperti dalla sonda Voyager 2

Alcuni astronomi hanno individuato tre nuovi satelliti di Nettuno, portando a 11 elementi la famiglia di questo pianeta gassoso. Si tratta dei primi satelliti di Nettuno scoperti fin da quando il Voyager 2 visitò il pianeta nel 1989, e i primi scoperti da un telescopio terrestre dal 1949. Il gruppo che ha effettuato la scoperta è stato guidato da J.J. Kavelaars, del National Research Council del Canada. La scoperta è stata annunciata durante il congresso della American Astronomical Society.
Gli astronomi credono che la famiglia di piccoli satelliti irregolari che circonda Nettuno sia il risultato di un'antica collisione tra un grande satellite e un asteroide di passaggio.
"Simili collisioni provocano l'emissione di parti del satellite originale e la produzione di una famiglia di satelliti," dice Kavelaars.
Prima di questa scoperta, erano noti due satelliti irregolari e sei regolari. Gli ultimi tre non furono scoperti dalla sonda Voyager 2 semplicemente perché si trovano molto lontani dal pianeta e sono piuttosto deboli . Per poter scoprire questi satelliti, i ricercatori hanno dovuto adottare una nuova tecnica. Usando il telescopio Blanco di 4 metri dell'osservatorio di Cerro Tololo, e il telescopio da 3,6 metri installato sulle Hawaii, gli astronomi hanno ripreso esposizioni multiple del cielo circostante il pianeta. Le immagini sono state poi combinate digitalmente dopo averle corrette per il moto di Nettuno nel cielo. In questo modo, le stelle di sfondo appaiono come strisce, mentre le lune come dei deboli punti di luce. I nuovi satelliti hanno un diametro medio di soli 35 chilometri

 

6 17.01.2003 Non partirà la sonda Rosetta
Ora si sta pensando a una nuova missione da effettuare nei prossimi anni

Rosetta, la più ambiziosa missione spaziale diretta verso una cometa, mancherà definitivamente la sua finestra di lancio in gennaio e potrebbe subire un ritardo addirittura di due anni e mezzo. Con Rosetta, l'ESA sperava che la sonda, del costo di un miliardo di euro, potesse depositare una sonda sulla cometa Wirtanen nel 2010.
La decisione di rimandare il lancio è stata presa per via dei dubbi sull'affidabilità del lanciatore Ariane 5. Secondo l'ESA, il rischio di perdere una missione che ha richiesto 25 anni di preparazione era troppo grosso. "È un giorno triste," ha detto David Southwood, direttore scientifico dell'ESA, "ma poteva essere molto peggio."
Le preoccupazioni sono iniziate l'11 di dicembre, dopo il fallimento del primo lancio dell'Ariane 5 ECA, il nuovo lanciatore pesante europeo. Le speranze che Rosetta potesse partire entro la chiusura della finestra di lancio, alla fine di gennaio, si erano riaccese la settimana scorsa, con la scoperta che il fallimento era dovuto a un guasto nel nuovo motore. Questo suggerì quindi che l'Ariane 5 standard non fosse a rischio. Poco dopo però, alcuni ulteriori dubbi hanno portato allo stallo definitivo. Secondo Southwood, la sicurezza del lancio non può essere garantita fino a quando non verrà rianalizzato il modo in cui l'intero razzo è stato assemblato.
Ora l'ESA deve considerare una serie di scenari alternativi che permettano il lancio della sonda nei prossimi due anni e mezzo, ovviamente verso un diverso obiettivo. Una possibilità sarebbe quella di usare l'effetto fionda di Venere invece che di Giove, per raggiungere comunque la cometa Wirtanen. Southwood si è però dichiarato scettico, perché questa opzione porterebbe la sonda nelle calde regioni interne del sistema solare, in condizioni per cui non è stata progettata.
I ricercatori coinvolti nel progetto, guidati da Gerhard Schehm, hanno però già iniziato a stilare una lista di nuove comete che producono grandi quantità di gas e polveri e di modi per raggiungerle. Ci sono per ora sei candidati. Una finestra nel febbraio 2004 permetterebbe di raggiungere la cometa Churyumov-Gerasimenko, ma la nuova missione verrà probabilmente scelta durante un incontro del comitato scientifico, alla fine di febbraio

 

7 26.01.2003 La più antica mappa stellare?
La tavoletta di avorio su cui incisa fu trovata nel 1979 in una caverna nella valle di Ach, in Germania

La più antica immagine di una costellazione, quella di Orione, è stata riconosciuta in una tavoletta di avorio vecchia più di 32.000 anni. Il minuscolo frammento di zanna di mammuth contiene l'immagine di una figura umana con le braccia e le gambe allungate in fuori, con la stessa posa e proporzioni delle stelle di Orione. La scoperta è stata fatta da Michael Rappenglueck, dell'Università di Monaco di Baviera, che è rinomato per la sua ricerca di mappe stellari nei dipinti delle caverne preistoriche. La tavoletta contiene anche alcune tacche misteriose, incise sui lati e sul retro. Questo potrebbe essere un primitivo calendario di gravidanza, pensato per stimare quando una donna incinta avrà il bambino.
La tavoletta fu trovata nel 1979 in una caverna nella valle di Ach, nel Giura di Svevia, in Germania. La datazione al carbonio delle ceneri di ossa trovate in un deposito vicino alla tavoletta suggeriscono che essa risalga a un periodo compreso fra 32.500 e 38.000 anni. Fu lasciata dai misteriosi Aurignaciani, una popolazione di cui non sappiamo quasi nulla, eccetto che entrarono in Europa dall'est rimpiazzando l’uomo di Neanderthal. La tavoletta di avorio è molto piccola, poiché misura solo 38x14x4 millimetri, ma le tacche incise sui suoi bordi fanno pensare che non sia un frammento di un oggetto più grande.
In passato altri archeologi avevano tentato di interpretare la figura della tavoletta, ma è la prima volta che viene suggerito possa trattarsi del disegno di una costellazione. Le proporzioni dell'uomo corrispondono allo schema di stelle che compone Orione. Anche la spada della tavoletta corrisponde con una ben nota caratteristica di Orione. Ma ci sono anche altre indicazioni che l'ipotesi di Rappenglueck possa essere corretta. Non solo, le proporzioni della figura rispecchiano la forma che la costellazione aveva circa 30.000 anni fa, leggermente diversa da quella attuale. Orione è una delle costellazioni più visibili, che gli antichi Egizi identificarono con il dio Osiride e che ha avuto significati speciali per molte culture.

 

8 14.02.2003 Una fotografia dell'universo primordiale
I dati hanno permesso di misurare con maggiore precisione l’età dell’universo

La NASA ha reso pubblica la prima mappa dettagliata della radiazione cosmica di fondo, l’eco di microonde proveniente dal Big Bang. La mappa è stata realizzata grazie ai dati raccolti dal satellite Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (missione WMAP) nell’arco di dodici mesi. I risultati sembrano confermare il modello inflazionario del Big Bang e rivelano quando sono state create le prime generazioni di stelle.
I fotoni della radiazione cosmica di fondo sono stati creati al momento del Big Bang e poi continuamente scatterati dagli elettroni liberi dell’universo primordiale. Dopo che l’universo si fu raffreddato ed espanso abbastanza da permettere agli elettroni di combinarsi con i protoni per formare atomi di idrogeno, i fotoni vennero rilasciati e la loro lunghezza d’onda “stirata” fino a diventare microonde a causa dell’espansione dell’universo. Le loro proprietà possono perciò essere usate per studiare l’universo “al tempo dell’ultimo scattering”.
Molti esperimenti sono stati compiuti a livello del suolo o su sonde montate su palloni aerostatici. Il satellite WMAP, tuttavia, ha permesso di studiare con maggiore accuratezza le piccole fluttuazioni di temperatura nella radiazione di fondo, causate dalle variazioni nella densità dell’universo primordiale. E per la prima volta ha permesso di registrare immagini della radiazione proveniente da tutta la volta celeste.
I dati, con un errore dell’1 per cento, indicano che il momento dell’ultimo scattering risale a circa 380,000 anni dopo il Big Bang, e che l’universo ha oggi 13.7 miliardi di anni. Essi rivelano anche che le prime stelle del cosmo furono create solo 200 milioni di anni dopo il Big Bang.

 

9 febbraio Deinococcus Radiodurans: non alieno ma mutante?

Ultime notizie sul Deinococcus Radiodurans, lo sconcertante batterio super-resistente alle radiazioni: i ricercatori della Louisiana State University avrebbero identificato il segmento del genoma responsabile della straordinaria capacità del microbo di sopportare fino a 1,5 milioni di rad di radioattività, mille volte più di ogni altro essere vivente. Per confronto, 1000 rad bastano per uccidere un uomo.
La sorprendete resistenza del Radiodurans ha destato scalpore tra i biochimici, che sono giunti a ipotizzare una possibile evoluzione extraterrestre del batterio, tanto enorme il divario tra esso e qualsiasi altro organismo terrestre.
Appariva pertanto ragionevole, ma questo ovviamente non poteva costituire alcuna evidenza realistica, individuare in Marte il possibile luogo d'origine del Radiodurans: soltanto una lento adattamento alle molto ostili condizioni del Pianeta Rosso avrebbe potuto selezionare una forma vivente tanto resistente alle radiazioni.
Alcune spore sarebbero rimaste intrappolate in frammenti di roccia marziana scagliati nello spazio da qualche impatto meteoritico con Marte, per ricadere più tardi sulla Terra e sviluppare la specie oggi osservata sul nostro pianeta.
Un'ipotesi certamente molto suggestiva, ma qualcosa non quadrava: il Deinococcus appariva perfettamente analogo ad altre specie terrestri simili, a parte la resistenza alle radiazioni; troppo "terrestre" quindi per poter essere davvero un organismo alieno.
I biologi della Louisiana University hanno individuato nel gene irrE la probabile spiegazione della forte "fibra" del batterio: inibendo o eliminando questo frammento del genoma il Deinococcus diventa un comunissimo microbo terrestre, sensibile a intensità minime di radiazioni. Riattivando l'irrE il batterio riacquista i "superpoteri".
Ci troveremmo di fronte, quindi, a un caso singolare di mutazione genetica favorevole; i casi di mutazione genica in biologia sono molto frequenti, ma assai rari sono quelli che manifestano un vantaggio decisivo sul piano evolutivo. Le mutazioni sono infatti perlopiù indifferenti o negative.
La scoperta toglie forse un po' di fascino al batterio "alieno" ma potrebbe rivelarsi importantissima per applicazioni ecologiche o in medicina nucleare.

 

10 21.02.2003 Un buco nero al centro della Via Lattea
La stella SO-16 è stata scoperta di recente grazie al telescopio Keck delle Hawaii

Gli astronomi hanno da tempo ipotizzato che gran parte della massa della Via Lattea sia contenuta in un gigantesco buco nero. Questa teoria è tuttavia difficile da provare, in parte perché i buchi neri risucchiano la luce e sono perciò "invisibili".
Andrea Ghez, astronomo dell'Università della California di Los Angeles (UCLA), ha cercato le tracce di questo buco nero centrale osservando più di 200 stelle e registrando il loro tragitto lungo la galassia negli ultimi otto anni. In questo periodo di tempo, una stella chiamata SO-16 ha completato una perfetta svolta a U. Questo è compatibile con l'ipotesi che si sia avvicinata a un grande buco nero e che sia stata risucchiata nella sua orbita dall'immensa forza gravitazionale.
Altre stelle avevano già offerto forti prove dell'esistenza del buco nero. "Ma questo è un progresso sostanziale" ha commentato Ghez al convegno annuale dell'American Association for the Advancement of Science (AAAS).
La stella SO-16 è appena stata scoperta. Si muove a 9000 chilometri al secondo, dieci volte più veloce delle stelle vicine, ed è passata a circa seimila milioni di chilometri di distanza dal buco nero, molto più vicina di ogni stella osservata in precedenza.
L'osservazione è stata effettuata con il telescopio Keck alle isole Hawaii, il più grande telescopio ottico sulla Terra.

 

11 27.02.2003 Una corona di plasma per NGC 3079

Una nuova immagine composita della galassia spirale NGC 3079, ottenuta sovrapponendo una nuova ripresa del nucleo ottenuta dall'Osservatorio a raggi X CHANDRA a una foto nell'ottico del Telescopio Spaziale Hubble, rivela nuovi dettagli sorprendenti.
Il nucleo della galassia appare fortemente disturbato, in seguito all'eiezione di numerosi filamenti di plasma torreggianti, intrecciati a formare una curiosa struttura a forma di corona.
I colori delle varie zone della spirale (in blu l'emissione X registrata da CHANDRA, in verde e rosso le zone riprese nell'ottico da Hubble) rivelano zone a temperatura variabile da 10000°K a oltre 10 milioni, dovuti all'attività esplosiva delle regioni centrali della galassia. Da queste si dipartono violentissimi flussi di gas, probabilmente espulsi da esplosioni di supernovae a cascata, oppure da un mostruoso buco nero centrale gigante.
I plasmi incandescenti si scavano una cavità nel gas più freddo dell'alone galattico che circonda la spirale, e la violenta corrente ne strappa via i lembi, distorcendoli in forma di lunghi filamenti, fino a formare una specie di corona conica, brillante ai raggi X.
I superventi che si dipartono dai nuclei delle galassie probabilmente giocano un ruolo chiave nell'evoluzione di nuove formazioni stellari, e nell'inseminazione degli elementi più pesanti sintetizzati nelle esplosioni di supernova. La quantità di materiale espulsa da NGC 3079 a causa del "supervento" del nucleo appare veramente enorme, e probabilmente tale parametro è stato sottostimato nei modelli teorici che descrivono l'evoluzione di questi oggetti. NGC 3079 si trova nella costellazione dell'Orsa Maggiore, ed è lontana 50 milioni di km dalla Terra.

 

12 27.02.2003 L'oggetto più freddo dell'Universo

Nell'Universo esiste un solo oggetto ancora più "freddo" della radiazione cosmica di fondo, il residuo fossile del Big Bang, che come è noto ha una temperatura "fossile" di soli 2,7°K (-271°C).
Si tratta della Nebulosa Boomerang, lontana 5000 anni luce dalla Terra, nella costellazione australe del Centauro (Rh 44.8m -54°31'). Questa planetaria ha una "minima" davvero record: soltanto 1°K al di sopra dello zero assoluto, vale a dire -272°C.
Una nuova immagine della nebulosa planetaria, diffusa dall'Hubble Science Team e ottenuta con il Telescopio Spaziale nel 1998, mostra in maggior dettaglio questo oggetto, scoperto nel 1979 durante la Southern Sky Survey dell'ESO/Uppsala, e classificato dapprima come oggetto peculiare ESO 172-07 di classe sconosciuta. Riconosciuta in seguito come una nebulosa bipolare dai ricercatori del South African Astronomical Observatory, venne definitivamente identificata nel 1980 come nebulosa protoplanetaria da K.Taylor e M.Scarrott con il telescopio AAT da 3,9 m, osservando dai cieli dell'Australia.
La planetaria appariva allora come un debole archetto di forma allungata e ricurva, da cui il nome Boomerang, anche in omaggio alla tradizionale cultura aborigena locale.
L'immagine ripresa dalla camera WFPC2 rende giustizia alla Boomerang, rivelando una struttura complessa e una forma a farfalla, segnata da evanescenti inviluppi di gas di forma arcuata e filamentosa, che si estendono esternamente su entrambi i lobi di una trama simmetrica, alquanto peculiare rispetto alla morfologia tipica di questi oggetti. Le planetarie mostrano in genere una simmetria lobata che ricorda una doppia bolla di gas in espansione: la struttura più differenziata della Boomerang potrebbe essere in relazione con la giovane età della planetaria, probabilmente ancora nei primissimi stadi della sua evoluzione.
Il raffreddamento, davvero straordinario, dei gas espulsi dall'esplosione della stella centrale, è dovuto alla rapidissima espansione dei materiali eiettati dalla stella morente, che sembra aver generato un vento stellare ultrafreddo alla velocità di 500000 km/h. Questo ha comportato una perdita di massa pari a un millesimo di masse solari all'anno per gli ultimi 1500 anni, una quantità enorme e circa 100 volte maggiore della media per questi oggetti.


13 03.03.2003 Alla ricerca di nuove forze
Uno studio permette di restringere il range d’azione delle interazioni previste

Ricercatori dell’Università del Colorado di Boulder, usando due sottili lamine di tungsteno, hanno effettuato un accurato esperimento nel tentativo di dimostrare l’esistenza di forze previste dalla teoria delle stringhe e finora mai osservate. Il tentativo non ha però consentito di individuare alcuna interazione sconosciuta fra due masse separate da una distanza pari a due volte il diametro di un capello umano.
Il risultato permette in ogni caso di escludere una sostanziale porzione di spazio dal possibile range entro cui agirebbero queste forze. Secondo i fisici teorici, dovrebbero essere individuate entro un range compreso fra un decimo e un centesimo di millimetro. “I nostri risultati - commenta Joshua Long, autore dello studio che è stato pubblicato sulla rivista “Nature” il 27 febbraio - rappresentano la ricerca più accurata e sensibile di nuove forze a queste distanze”.
La teoria delle stringhe, considerata l’approccio più promettente verso la tanto attesa unificazione di tutte le forze fondamentali, suppone che le particelle elementari siano costituite da vibrazioni in minuscoli circoli chiusi mono-dimensionali. Perché la teoria funzioni e sia consistente, devono esistere sei ulteriori dimensioni spaziali oltre le tre che possiamo osservare. I fisici teorici ritengono che queste dimensioni extra siano “accartocciate” in spazi molto piccoli, impossibili da percepire direttamente. Questa compattificazione genera forze di intensità paragonabile alla gravità che, secondo recenti previsioni, potrebbero essere osservate su scale di lunghezza di circa un decimo di millimetro.
“Se queste forze esistono, - conclude il fisico teorico John Price - sappiamo adesso che devono agire a distanze ancora più piccole di quelle che abbiamo misurato. Questi risultati non mostrano affatto che le teorie sono sbagliate”.

 

14 03.03.2003 Un alone di raggi gamma
L’osservazione proverebbe che le esplosioni stellari sono la principale sorgente di raggi cosmici

Un team di scienziati giapponesi ha scoperto che la galassia NGC 253, già nota per il suo notevole tasso di formazione e di esplosione di stelle, è situata all’interno di un alone di raggi gamma estremamente caldi. Si tratta della prima volta che gli scienziati hanno rivelato raggi gamma di tale energia provenire da una galassia di dimensioni simili alla nostra. Secondo i ricercatori, questa osservazione fornisce nuove prove che la fonte primaria di raggi cosmici nell’universo siano le esplosioni stellari.
Il gruppo, guidato da Chie Itoh dell’Università di Ibaraki, ha discusso la propria scoperta sul numero del 20 febbraio della rivista “Astrophysical Journal Letters”. L’osservazione è stata effettuata dall’entroterra australiano grazie a un innovativo telescopio, CANGAROO-II.
I raggi gamma sono la forma di luce più energetica e comprendono la parte di spettro elettromagnetico che va dalle onde radio di bassa energia, attraverso l’infrarosso e il visibile, fino all’ultravioletto e ai raggi X.
Normalmente i raggi gamma vengono osservati dallo spazio con i satelliti, perché l’atmosfera terrestre impedisce loro di raggiungere la superficie del pianeta. I raggi con maggior energia, tuttavia, riescono a penetrare nell’atmosfera e collidono con le molecole creando una pioggia di particelle secondarie. CANGAROO-II rivela queste particelle e ricostruisce il flusso di raggi gamma originario.

 

15 04.03.2003 Cellule per la NASA
L’ente spaziale americano finanzierà i ricercatori dell’UCLA

Anche se il programma spaziale ha subito un duro colpo con la tragedia dello Space Shuttle, i ricercatori della NASA stanno già pensando al futuro. In occasione dell’inaugurazione del nuovo Istituto di Esplorazione dello Spazio all’Università della California di Los Angeles (UCLA), gli scienziati hanno discusso lo sviluppo di una nuova navetta futuristica, modellata su cellule viventi.
Molti gruppi di ricerca stanno esplorando i processi cellulari di base nella speranza di poterli applicare su scale più grandi. L’ingegnere biomedico Carlo Montemagno dell’UCLA, per esempio, sta sviluppando sacche microscopiche di reagenti biologici, che sarebbero in grado di sospingersi in avanti da sole, come un’ameba, attraverso un substrato. Le sacche includerebbero filamenti di actina, che normalmente costituiscono gli scheletri delle cellule viventi. Secondo la teoria di Montemagno, queste biosacche si muoverebbero a diversi micrometri al minuto, estendendo un filamento di actina e trascinandosi lungo di esso.
Lo scopo della ricerca è di fornire alle biosacche l’abilità di individuare e di muoversi verso sostanze specifiche, più o meno nello stesso modo in cui le estremità dei nervi crescono verso i segnali chimici nel corpo. Le biosacche, suggerisce Montemagno, potrebbero essere usate in grandi quantità per cercare tracce di contaminazione chimica o biologica all’interno di un’astronave.
Altri gruppi si occupano di sistemi differenti, come reticoli cellulari che raccolgono la luce del sole, che trasmettono informazioni attraverso segnali chimici, o che riparano danni strutturali.

 

16 04.03.2003 Simulare una galassia
Ora è possibile trovare soluzioni anche per sistemi con più stelle in movimento

Gli astrofisici che usano i computer per studiare l’evoluzione delle galassie hanno a che fare con numerosi problemi: una galassia è infatti un sistema complesso e difficile da modellizzare. Un articolo apparso sulla rivista “Physical Review Letters” suggerisce un nuovo modo per verificare l’accuratezza di molte simulazioni. L’autore, Wayne B. Hayes dell’Università del Maryland, descrive tecniche per trovare soluzioni “ombra” accurate ed esatte, che seguono da vicino i risultati delle simulazioni.
Quando gli astrofisici vogliono rispondere a una domanda - come si sviluppano le braccia di una spirale, per esempio -, cominciano a fissare le posizioni iniziali di un gruppo si stelle. Poi, con l’aiuto di equazioni delle forze gravitazionali che le stelle esercitano l’una sull’altra, simulano l’evoluzione futura della galassia. Poiché si tratta di un sistema caotico, un minuscolo cambiamento nelle condizioni iniziali può influire enormemente nella forma che la galassia assume dopo due miliardi di anni.
Persino i migliori computer devono far uso di approssimazioni per risolvere i problemi, e un certo margine di errore è inevitabile. Ma in un sistema caotico gli errori crescono esponenzialmente e il risultato finale può risultare perciò completamente errato.
Un’”ombra” è una soluzione esatta di un set di equazioni che segue il percorso di una soluzione fornita dal computer per un lungo periodo di tempo, come quello corrispondente a 50 o 100 rotazioni di una galassia. Una simulazione che non possiede un’ombra non è necessariamente sbagliata, ma la presenza di un’ombra fornisce comunque una buona indicazione che la simulazione è accurata.
Fino al lavoro di Hayes, la ricerca di un’ombra era possibile soltanto per sistemi molto semplici, con una sola stella in movimento in un campo di stelle fisse, in quanto il metodo matematico che veniva usato richiedeva molto lavoro di elaborazione dati. Il nuovo metodo, grazie ad algoritmi di calcolo innovativi ed eleganti, permette di trovare le ombre di sistemi molto complessi, con numerose stelle in movimento.

 

17 06.03.2003 Una nube gassosa orbita intorno a Giove
La sua osservazione è stata possibile grazie a immagini prese alla fine del 2000

Grazie a uno strumento particolarmente sensibile a bordo della sonda Cassini, ora in viaggio verso Saturno, i ricercatori della NASA hanno scoperto una grande nube di gas, sorprendentemente densa, che condivide l'orbita di Europa, la luna ghiacciata di Giove.
Estesa per milioni di chilometri intorno al pianeta, la nube a forma di ciambella potrebbe essere il risultato di un pesante bombardamento di radiazioni ionizzanti che Giove ha inviato verso Europa. Questa radiazione ha danneggiato la superficie del satellite, frantumando e sollevando molecole di acqua e ghiaccio e disperdendole lungo l'orbita di Europa sotto forma di una nube di gas la cui massa è attorno alle 60.000 tonnellate.
“La massa della nube - afferma il fisico Barry Mauk - mostra che l'intensa radiazione che investe Europa ha conseguenze ben maggiori di quanto si riteneva”. Mauk guida il gruppo di ricercatori, la cui scoperta è stata pubblicata sul numero del 27 febbraio della rivista “Nature”.
La massa indica anche che Europa, in orbita a 671.000 chilometri da Giove, ha un'influenza considerevole sulla configurazione magnetica attorno al pianeta gigante.
“Il gas di Europa - afferma Mauk - può essere paragonato a quello generato dal satellite Io, vulcanicamente attivo. Tuttavia, mentre i vulcani di Io stanno continuamente espellendo materiale, soprattutto zolfo e ossigeno, Europa è una luna piuttosto calma e il vapore che osserviamo è una diretta conseguenza del bombardamento intenso della sua superficie ghiacciata.”

 

18 06.03.2003 La produzione di elio nelle stelle
I nuovi dati potrebbero fornire indizi per risolvere l'enigma della materia oscura

In uno studio pubblicato sulla rivista "Science", astrofisici dell'Università della Pennsylvania e di altre istituzioni americane, finlandesi e australiane, affermano di aver calcolato, con una precisione superiore a quelle precedenti, il tasso di produzione di elio delle stelle. Il dato può fornire una migliore conoscenza della composizione dell'universo primordiale e potrebbe aiutare a determinare l'esatta natura dell'energia oscura.
"L'elio - spiega il fisico e astronomo Raul Jimenez - rappresenta oggi dal 27 al 30 per cento della materia contenuta nell'universo, ma il nostro lavoro mostra che 14 miliardi di anni fa costituiva solo il 24 o il 25 per cento della materia dell'universo primordiale. Abbiamo scoperto che le stelle ricche di metalli producono circa 2,1 volte più elio che metalli, contribuendo a questo arricchimento cosmico".
Il tasso di produzione di elio cosmico rispetto ai metalli è di grande interesse per gli astrofisici e i cosmologi. Il rapporto influisce sulla durata di vita delle stelle ed è anche una variabile importante per determinare l'età delle galassie, che a sua volta entra nelle equazioni che descrivono l'ancora misteriosa e inosservabile materia oscura, che si ritiene comprendere il 73 per cento della massa dell'universo.

 

19 11.03.2003 Marte avrebbe un nucleo morbido
La parte esterna del nucleo del pianeta è probabilmente liquida

Fisici del Jet Propulsion Laboratory della NASA, negli Stati Uniti, hanno scoperto che il nucleo del pianeta Marte potrebbe essere morbido e forse liquido. Lo studio, che analizza dati presi in più di tre anni dalla missione Mars Global Surveyor (MSG), è in contraddizione con risultati precedenti che indicavano un nucleo solido.
Precedenti analisi sui meteoriti avevano mostrato che la crosta marziana è magnetica. Questa informazione, insieme alle misure del momento di inerzia, implica che il pianeta rosso possiede un grande nucleo di ferro che in passato era liquido.
I ricercatori hanno studiato il fenomeno delle maree solide, causate dall’attrazione del campo gravitazionale solare sul pianeta. Queste maree provocano anche leggere alterazioni nell’orbita del MSG attorno a Marte. Dalla misura di queste alterazioni, gli scienziati hanno calcolato la deformazione che subisce il pianeta, che a sua volta dipende dalla sua rigidità.
I risultati indicano che Marte è maggiormente deformato, e quindi meno rigido, di quanto si stimasse in precedenza. Questo implica un centro liquido, almeno per quanto riguarda la parte più esterna del nucleo. Il gruppo di scienziati spera ora di migliorare il proprio studio usando nuovi dati del MSG e le informazioni della navicella Odyssey, anch’essa in orbita attorno a Marte.

 

20 15.03.2003 Come si è formato il centro della Terra
Il decadimento di isotopi radioattivi ha provocato le alte temperature necessario a fondere i composti di ferro

La Terra, affermano i geologi, è formata da un nucleo metallico circondato da un guscio di silicato. L'origine di questa struttura, tuttavia, rappresenta una questione a cui la scienza planetaria non sa ancora rispondere.
Ricercatori dell'Università di Okayama, in Giappone, hanno ora mostrato, per mezzo di misure di conduttività elettrica, che la Terra potrebbe essersi formata da corpi rocciosi che si erano già separati nel mantello e nel nucleo. Un articolo (di T. Yoshino et al.) è stato pubblicato sulla rivista "Nature".
Si pensa che la formazione del nucleo sia avvenuta quando il sistema solare era molto giovane, non più vecchio di 30 milioni di anni. La Terra si è formata a partire da una nube di gas e polvere, quando la materia cominciò ad aggregarsi per formare piccoli pianetini, di pochi chilometri di diametro, che poi si unirono fra loro per dare origine a un pianeta più grande. I ricercatori credono che il nucleo si formò già in questa fase.
Il mantello superiore è costituito per lo più di ossido di silicio, o silicato, da ferro e ossido di magnesio. Tomoo Katsura e colleghi hanno misurato la conduttività elettrica del silicato e del ferro a condizioni di temperatura e pressione corrispondenti a quelle che si trovano 100 chilometri sotto la superficie della terra. La conduttività dei composti ferrosi è molto superiore a quella dei silicati, il che contribuisce a far sì che il metallo si separi fluendo attraverso canali nel silicato. La separazione del nucleo dal mantello potrebbe dunque essere avvenuta molto rapidamente, in meno di 3 milioni di anni, quando i piccoli pianetini avevano raggi inferiori ai 30 chilometri.

 

21 14.03.2003 Cacciatori di alieni
Il telescopio di Arecibo verrà usato per osservare i segnali più promettenti

Dopo quasi quattro anni terrestri - e milioni di anni di tempo computazionale - gli astronomi stanno per annunciare i primi, promettenti risultati del progetto SETI@home per la ricerca di vita su altri mondi. L'enorme quantità di dati da elaborare è stata suddivisa in migliaia di computer domestici di utenti di tutto il mondo.
Questo stesso mese, ricercatori dell'Università della California di Berkeley, useranno il radiotelescopio Arecibo a Porto Rico, il più grande del mondo, per osservare i centocinquanta segnali più promettenti tra quelli provenienti dallo spazio esterno. Una piccola antenna sul telescopio di Arecibo ha già raccolto 3500 gigabyte di onde radio provenienti dalle stelle, nell'attesa di poter utilizzare finalmente il telescopio principale.
"C'è una probabilità su 10.000 di trovare una civiltà aliena", mette le mani avanti Dan Werthimer, lo scienziato a capo del progetto, che prevede di stabilire un contatto entro i prossimi cento anni. "Sono ottimista, ma forse finora abbiamo cercato nelle direzioni sbagliate".
Ian Morrison, ricercatore del SETI, è più cauto: "Ci sono forti possibilità che noi siamo l'unica civiltà avanzata nella galassia". Fa inoltre notare che gli alieni dovrebbero trasmettere verso di noi per poter essere rivelati.

 

22 17.03.2003 Nuove strutture nella pulsar del Granchio
Emettono onde radio, isolate e non sovrapposte, di pochi nanosecondi

Da tempo si sa che la pulsar del Granchio emette impulsi radio periodici ed eccezionalmente luminosi. Alcuni astronomi del New Mexico Institute of Technology e del National Radio Astronomy Observatory nel New Mexico hanno ora scoperto che insieme a questi emette anche detti sotto-impulsi di intensità minore. I ricercatori ritengono che le strutture responsabili di queste emissioni abbiano un diametro inferiore a un metro, il che le renderebbe i più piccoli oggetti mai rivelati al di fuori del sistema solare e le più intense sorgenti radio del cielo. Un articolo (di H. Hankins et al.) è stato pubblicato sulla rivista "Nature".
La pulsar del Granchio è una stella di neutroni in rotazione nella costellazione del Toro, a circa 6520 anni luce dalla Terra. Formatasi in seguito all'esplosione di una supernova osservata nel 1054, durante la sua rotazione emette trenta volte al secondo impulsi radio estremamente brillanti. Emette anche radiazioni nelle regioni spettrali ottiche, a raggi X e a raggi gamma, ma gli astronomi non sono ancora certi di come funzioni il meccanismo di emissione.
Grazie al telescopio dell'osservatorio di Arecibo, Tim Hankins e colleghi hanno osservato lo spettro di emissione radio della pulsar con un nuovo metodo di rivelazione con una risoluzione temporale dell'ordine dei nanosecondi. In questo modo hanno registrato anche impulsi estremamente brevi, isolati e non sovrapposti, che duravano poche decine di microsecondi e in alcuni casi solo due nanosecondi. Il gruppo ritiene che possano essere prodotte da un processo noto come "turbolenza di plasma", ovvero dalla conversione dell'energia cinetica nell'atmosfera magnetica della pulsar in energia radio.

 

23 23.03.2003 Il sole irradia sempre di più
Lo studio aiuterà a quantificare gli effetti delle radiazioni sui cambiamenti climatici globali

Negli ultimi decenni, la quantità di radiazione emessa dal sole nei periodi di bassa attività delle macchie solari è aumentata di quasi il 0,05 per cento ogni dieci anni. Lo afferma uno studio finanziato dalla NASA e pubblicato sulla rivista "Geophysical Research Letters".
"Si tratta di una scoperta importante - afferma Richard Willson, che ha diretto lo studio - perché, se questa tendenza dovesse essere confermata, potrebbe produrrebbe significativi cambiamenti climatici. Le registrazioni storiche sull'attività solare indicano che la radiazione è in aumento sin dal diciannovesimo secolo. Se un andamento confrontabile con quello che abbiamo scoperto fosse persistito lungo tutto il ventesimo secolo, avrebbe di sicuro costituito una componente significativa del riscaldamento globale che si è verificato negli ultimi cento anni".
Gli andamenti della radiazione solare possono costituire un fattore importante nei cambiamenti climatici globali. Il ciclo solare si verifica approssimativamente ogni 11 anni, quando il sole attraversa un periodo di attività magnetica intensa chiamato "massimo solare", seguito da un periodo tranquillo detto "minimo solare". Anche se l'aumento di irradiazione non è così elevato da provocare cambiamenti osservabili, il trend assumerebbe importanza se mantenuto per più di un secolo. Le osservazioni da satellite vengono ormai prese da un tempo sufficiente per cominciare a cercare questi effetti.
Wilson ha compilato un registro con i dati degli ultimi 24 anni, e ha così scoperto un andamento positivo significativo (0,05 per cento per decade) fra i minimi solari degli ultimi tre cicli (dal 1978 a oggi). Questa scoperta potrà aiutare i climatologi a distinguere fra le influenze sul clima dovute al sole e quelle dovute all'uomo.

 

24 21.03.2003 Quanto pesa un buco nero?
La massa è stata determinata dallo studio dello spettro di emissione degli ioni di magnesio

Per la prima volta, un team di astronomi ha pesato un buco nero che si trova ai confini dell’universo. Gli scienziati, del Canada e della Gran Bretagna, hanno studiato la luce infrarossa proveniente dal quasar più distante che si conosca e hanno scoperto che contiene un buco nero con una massa pari a un milione di miliardi di volte quella della Terra. L’osservazione è stata effettuata con il telescopio UKIRT (United Kingdom Infrared Telescope) alle isole Hawaii, usando un nuovo spettrometro, e verrà pubblicata sulla rivista “Astrophysical Journal Letters”.
I quasar sono galassie eccezionalmente luminose e visibili anche a grandi distanze. La loro luce è molto più brillante della normale luce stellare, a causa del rilascio di energia gravitazionale dovuta all’attrazione della materia da parte di un buco nero supermassivo al loro interno.
“Abbiamo studiato - spiega Chris Willot, dell’Istituto di astrofisica Herzberg del Canada - il quasar più distante che si conosca, SDSS J1148+5251, e abbiamo osservato la luce che ha emesso 13 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva soltanto il 6 per cento dell’età che ha adesso”.
Grazie allo spettrometro, gli astronomi hanno identificato gli ioni di magnesio che fanno parte del gas che circonda il buco nero al centro del quasar. Osservando la linea di emissione nello spettro e confrontandola con quella di quasar più vicini, hanno potuto determinare la massa del buco nero, in quanto la larghezza della linea dà un’indicazione della velocità del gas. Più il buco nero e massivo, più la velocità della materia è elevata.

 

25 30.03.2003 Più acqua sulla Luna
Secondo alcuni ricercatori, il satellite conterrebbe un miliardo di tonnellate d'acqua

La Luna potrebbe ospitare cinque volte più acqua di quanto si riteneva. Lo affermano ricercatori degli Stati Uniti, che hanno raddoppiato anche le stime precedenti sull'estensione della superficie lunare che rimane permanentemente al buio. Si tratta di notizie incoraggianti in vista di un'eventuale futura colonizzazione umana della Luna.
"Il ghiaccio che si è accumulato sulla Luna miliardi di anni fa - spiega Ben Bussey dell'Università delle Hawaii -, all'interno di pozzi e crateri non esposti al sole, dovrebbe essere ancora lì, non essendo mai sublimato e grazie anche alla bassa gravità".
Una colonia, sostenuta dalle riserve di ghiaccio lunare, darebbe nuove energie al programma spaziale degli Stati Uniti e potrebbe occuparsi della ricerca di materiali preziosi, stando a quanto afferma un altro membro del team di ricercatori, Paul Spudis. Il ghiaccio lunare verrebbe fuso per fornire acqua ai coloni, e grazie all'energia solare potrebbe essere scisso in idrogeno e ossigeno per produrre carburante.
La navicella Lunar Prospector della NASA ha rivelato grandi quantità di ghiaccio, forse centinaia di milioni di tonnellate, già nel 1998, nei crateri al buio presso i poli del satellite. La nuova scoperta sembra confermare la teoria di uno strato di ghiaccio presso il Polo Sud, ipotizzata dalla missione lunare Clementine nel 1996.
Il gruppo di Bussey sostiene che sulla Luna potrebbe esserci quasi un miliardo di tonnellate d'acqua.

Bussey, D. B. J. et al. Permanent shadow in simple craters near the lunar poles. Geophysical Research Letters, 30, 1278, pubblicato online, doi:10.1029/2002GL016180 (2003).

 

26 29.03.2003 Una supergigante fredda
Gli astronomi hanno osservato gli "echi di luce" provocati dalla sua trasformazione

Lo scorso gennaio una stella nella costellazione dell'Unicorno, nota come V838 Monocerotis, è diventata temporaneamente la stella più luminosa della Via Lattea. Astronomi italiani, americani e delle isole Canarie hanno ora usato il telescopio spaziale Hubble per studiare la luce emessa dalla stella. Il lavoro, pubblicato sulla rivista "Nature", ha fornito un nuovo metodo per misurare la distanza delle stelle più lontane.
Nove e supernove eiettano spesso materiale stellare nello spazio, producendo vere e proprie esplosioni energetiche. Quando V838 Mon ha eruttato, è diventata più luminosa di un fattore 10.000 e ha così spinto gli astronomi a ritenere che si trattasse di una nova classica. Tuttavia, la stella non ha proiettato i propri strati esterni esponendo un nucleo caldo, come una nova convenzionale, ma si è semplicemente espansa per diventare una supergigante fredda e luminosa. Questa trasformazione sfida le teorie convenzionali sul ciclo di vita delle stelle.
Howard Bond, dello Space Telescope Science Institute del Maryland, e colleghi hanno scoperto che la stella ha subito cambiamenti di luminosità rapidi e complessi fra gennaio e aprile del 2002. Le immagini di Hubble mostrano "echi di luce", ovvero una serie di archi e anelli quasi circolari, centrati sulla stella. Questi echi sono creati dalla luce che si propaga nella polvere stellare che la circonda.
Con queste misure, i ricercatori hanno calcolato che la stella si trova a una distanza di circa 20.000 anni luce. Sembra trattarsi di un nuovo tipo di esplosioni con cui una stella si espande rapidamente a dimensioni di supergigante con un meccanismo finora poco conosciuto.

 

27 31.03.2003 Quasar che espellono materia
L'assorbimento dei raggi-X è stato studiato grazie al metodo della lente gravitazionale

I buchi neri sono ben noti per la loro capacità di inghiottire la materia. Ora, tuttavia, un gruppo di astronomi degli Stati Uniti ha scoperto che essi possono anche risputarne fuori in quantità sostanziali.
George Chartas e colleghi, della Penn State University, hanno osservato alcune quasar - oggetti quasi stellari che si ritiene alimentati da buchi neri supermassivi - che espellono nello spazio quantità significative di gas, compresi elementi come carbonio, ossigeno e ferro. I teorici hanno previsto che la luce emessa dalle quasar si possa comportare come una specie di vento, soffiando nello spazio intergalattico parte del gas che forma il disco che circonda un buco nero di una quasar. Questo si verifica perché gli ioni nel gas assorbono i fotoni e ne acquisiscono la quantità di moto.
Chartas e colleghi hanno osservato questo fenomeno studiando l'assorbimento di raggi-X da parte di due quasar, APM 08279+5255 e PG1115+080, usando la "lente gravitazionale" delle galassie frapposte per ingrandire la radiazione non assorbita. Gli astronomi avevano già scoperto questo effetto nella regione ultravioletta dello spettro, ma i nuovi dati suggeriscono che i raggi-X possono espellere materia nello spazio a un tasso circa dieci volte superiore della radiazione a lunghezza d'onda maggiore.
"I venti che abbiamo misurato - sostiene Chartas - implicano che, nel corso della vita di una quasar, venga soffiata via una quantità di materia pari a un miliardo di soli".
Misurando lo spostamento Doppler relativistico delle linee di assorbimento, i ricercatori hanno calcolato che il gas espulso viaggia al 40 per cento della velocità della luce, molto più rapidamente di quanto previsto dalla teoria. I risultati sono stati presentati il 25 marzo a un convegno dell'American Astronomical Society nel Quebec.

 

28 07.04.2003 Un vento galattico di particelle
La chimica interstellare può rivelare alcune proprietà della galassia

Grazie a misure di chimica, alcuni scienziati dell’Università della California di Berkeley hanno ipotizzato l’esistenza di un vento di particelle di raggi cosmici di bassa energia che soffia nella galassia. I raggi cosmici non hanno energia sufficiente per far fronte al vento solare e raggiungere così la Terra, ma sembrano avere un grande impatto sulla chimica delle tenui nubi di gas fra le stelle, le cosiddette nubi interstellari diffuse.
“Questo - commenta l’astrofisico Benjamin J. McCall - implica una nuova popolazione di raggi cosmici, non abbastanza energetici da penetrare nelle nubi più dense, ma in grado di svolgere un ruolo nelle nubi diffuse”. A differenza delle nubi dense, che appaiono nere e vuote perché la polvere e il gas blocca la luce delle stelle, le nubi diffuse sono invisibili, tradite solo dal rosso delle stelle la cui luce passa loro attraverso.
McCall e colleghi hanno stimato che il flusso di raggi cosmici a bassa energia sia 40 volte maggiore di quanto previsto dalle osservazioni sulle nubi dense. La scoperta, pubblicata sul numero del 3 aprile della rivista “Nature”, implica che i raggi cosmici siano una fonte di riscaldamento e di ionizzazione nelle nubi di gas interstellare molto più significativa di quanto si ritenesse. Questo rinvigorirebbe una teoria proposta circa 30 anni fa. La maggiore ionizzazione implica anche una produzione di molecole complesse più abbondante.
Anche se l’interpretazione di McCall non è condivisa da tutti gli astronomi, i risultati mostrano chiaramente che le attuali conoscenze della chimica delle nubi diffuse devono essere modificate.

 

29 07.04.2003 Attraverso un buco nero
Fonti di radiazione non compatte genererebbero distorsioni finite e non distruttive

Una astronave, passando attraverso un buco nero, potrebbe raggiungere un altro universo: forse sembrerà improbabile, ma è qualcosa che non può essere escluso del tutto, almeno secondo un articolo pubblicato sulla rivista “Physical Review Letters” che esplora il concetto di “singolarità ibrida”.
Come sanno sia i fisici sia i lettori di fantascienza, se si volesse passare all’interno di un buco nero si dovrebbe attraversare una “singolarità dello spazio-tempo”. Con questo si intende tradizionalmente una regione di densità infinita che esercita una distorsione distruttiva su qualsiasi oggetto non puntiforme, ovvero con una propria estensione nello spazio, che si tratti di un’astronave o di una semplice molecola.
Ma ora alcuni fisici sospettano che questo quadro sia incompleto e che possa esistere un secondo tipo di singolarità, molto meno pericoloso. Questa “singolarità dell’orizzonte di Cauchy”, impartirebbe solamente distorsioni finite sugli oggetti estesi e si svilupperebbe solo quando un flusso regolare di materia o di energia cade nel buco. Gli studi precedenti avevano preso in considerazione esclusivamente brevi “lampi” di energia, ma nel buco nero potrebbero cadere anche flussi di radiazione “non compatti” e di lunga durata, come il fondo cosmico a microonde.
Lior Burko, dell’Università dello Utah, ha preso in considerazione queste sorgenti non compatte e ha esplorato il modo in cui l’interno di un buco nero reagirebbe a questo tipo di radiazione. Se le sorgenti non compatte sono deboli, secondo Burko si formerebbe una singolarità ibrida, con un settore forte (inevitabilmente distruttivo) e uno debole (con distorsioni di marea finita). In teoria, un’astronave che entrasse nel settore debole potrebbe viaggiare fino a un’altra regione dello spazio-tempo.

 

30 09.04.2003 La rottura della simmetria di carica
La produzione di pioni potrebbe aiutare i fisici a comprendere le differenze fra le particelle subatomiche

Due gruppi di fisici delle particelle elementari hanno osservato delle reazioni rare che coinvolgono nucleoni (ovvero protoni e neutroni, i componenti dei nuclei atomici) e che potrebbero portare a stime più precise della massa dei quark che a loro volta li compongono. Queste misure dovrebbero contribuire a mettere alla prova diverse teorie sulle origini dell’universo. I risultati sono stati comunicati al convegno di aprile dell’American Physical Society.
Neutroni e protoni sono costituiti da due tipi di quark: il neutrone è formato da due quark “down” e uno “up”, mentre il protone da uno “down” e da due “up”. A causa di un fenomeno noto come rottura della simmetria di carica, i quark “down” sono più pesanti, e questo fa sì che il neutrone abbia una massa leggermente maggiore di quella del protone. La differenza fra le due masse significa che un neutrone libero può decadere spontaneamente in un protone. Dopo il Big Bang, tutti i neutroni non legati all’interno di nuclei atomici, hanno subito questo destino. E unendosi con elettroni carichi negativamente, hanno dato origine ad atomi di idrogeno, il carburante delle stelle.
“Più protoni nell’universo - spiega Edward Stephenson, dell’Università dell'Indiana - significa più idrogeno. In caso contrario, la composizione e la chimica dell’universo sarebbe differente: tutto dipende dalla rottura della simmetria di carica”. L’abbondanza dei diversi elementi dunque è dovuta alle differenze nelle masse dei quark, che non sono mai state misurate con esattezza.
Il team dell’Università dell’Indiana ha fatto collidere due nuclei di deuterio, l’isotopo dell’idrogeno contenente un protone e un neutrone, producendo elio e un pione, una reazione che viola la conservazione dell’isospin. Un altro gruppo, guidato da Allena Opper dell’Università dell'Ohio, ha fuso un neutrone e un protone, producendo deuterio e un pione. I due risultati permetteranno di comprendere meglio quanta della differenza fra quark “up” e “down” è dovuta alla massa e quanta alla carica elettrica.

Stephenson, E. Observation of the isospin-forbidden d+dto^4He+pi^0 Reaction near Threshold. Session C3 - Charge Symmetry Breaking, American Physical Society Meeting (April 2003).
Opper, A.
Measuring Charge Symmetry Breaking in n p rightarrow dpi^0. Session C3 - Charge Symmetry Breaking, American Physical Society Meeting (April 2003).

 

31 11.04.2003 Dinamica della materia oscura
La galassia conterrebbe migliaia di globi che si spostano al suo interno

Forse i fisici stanno cominciando a fare progressi nel riuscire a svelare il mistero che circonda la materia oscura, l’elusiva controparte della materia visibile che costituisce l’ottanta per cento della massa dell’intero universo. Di qualsiasi cosa si tratti, la materia oscura non si muoverebbe in modo misterioso, ma si sposterebbe proprio come un gas di comuni particelle. Lo hanno annunciato alcuni ricercatori al convegno annuale dell’American Physical Society che si è svolto a Filadelfia.
La materia oscura, come suggerisce il nome, non riflette la luce e interagisce raramente, o addirittura mai, con la materia visibile. In effetti, la sola prova della sua esistenza è l’attrazione gravitazionale che esercita sulla luce e sulle stelle. “La materia oscura - spiega il fisico Chung-Pei Ma dell’Università della California di Berkeley - lascia la sua impronta su tutto, ma non sappiamo ancora di cosa è costituita”.
Ma e il suo collega Ed Bertschinger, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), hanno simulato al computer i movimenti di milioni di particelle di materia oscura per un periodo di miliardi di anni. I movimenti digitali così ottenuti rispecchiano da vicino quelli di particelle di diverse dimensioni all’interno di un gas. I ricercatori sono stati in grado di predire ogni mossa della loro materia oscura grazie a un’equazione sviluppata da Einstein per descrivere il moto browniano dei gas.
I risultati potrebbero spingere a riconsiderare il modo in cui la materia oscura è distribuita nelle galassie. Molti ritengono che giganteschi aloni di materia oscura avvolgano ogni galassia. Secondo Ma, invece, la simulazione indica che migliaia di ammassi di materia oscura relativamente piccoli, ciascuno pesante milioni di volte più del nostro Sole, potrebbero orbitare nella Via Lattea e nelle altre galassie. Se questi globi esistono, il loro campo gravitazionale piegherebbe la luce che proviene da oggetti distanti prima che giunga sulla Terra.

 

32 3.5.2003 Galassie prive di materia oscura
La "materia oscura", o massa mancante, è diventata ormai uno dei postulati base nella maggior parte dei modelli cosmologici che descrivono l'evoluzione dell'Universo, ma qualcosa ancora continua a non quadrare. Stavolta viene da Nottingham l'annuncio che gli astronomi della locale università avrebbero identificato ben tre galassie ellittiche che non mostrano traccia alcuna di materia oscura.
Il modello assunto dai teorici è che le galassie fatte di materia normale siano in realtà immerse in aloni di materia oscura, invisibili ma in grado di influenzarne le proprietà. Ad esempio, gli oggetti più lontani dal nucleo verrebbero accelerati rispetto agli oggetti in rotazione su orbite più interne, a causa dell'influenza della materia oscura vicina alle regioni periferiche. Questo è proprio ciò che si osserva per le nubi gassose nei bracci esterni delle grandi spirali, tracciandone l'emissione radio. Le grandi galassie ellittiche, che derivano dalla fusione di galassie spirali, non hanno però nubi gassose esterne, e finora non era stato possibile verificare in esse la presenza di materia oscura col metodo delle velocità periferiche. Grazie al nuovo spettrografo installato al telescopio W.Herschel di La Palma è ora possibile osservare un effetto simile sulle nebulose planetarie delle galassie ellittiche. I primi risultati di una survey in corso su 25 galassie contraddicono però clamorosamente questa ipotesi: sembra che le nebulae si muovano tanto lentamente da escludere del tutto la presenza di effetti dovuti a materia oscura. Risultato assai intrigante, ma estrapolato dai dati ricavati per tre sole galassie, tra cui sembra davvero sorprendente il caso di M105, gigante ellittica nella costellazione del Leone. Sarà in ogni caso meglio aspettare l'esito dell'intera ricerca prima di trarre le dovute conclusioni.

 

33 3.5.2003 Espansione a velocità "variabile": lo confermano le supernovae
La nuova camera ACS, montata nel marzo 2002 sul Telescopio Spaziale Hubble, fornisce immagini sempre più spettacolari e profonde, consentendo di verificare teorie altrimenti destinate a rimanere sulla carta. I ricercatori delle università di S.Cruz e Johns Hopkins hanno sovrapposto l'immagine di un medesimo campo nell'Orsa Maggiore ripreso dall'allora avanzatissima camera WFPC2, tratta dalla celebre Hubble Deep Field Nord del 1995 con la ripresa, 10 volte più profonda, effettuata con l'ACS tra maggio e giugno del 2002.
E hanno scoperto la traccia, fortemente arrossata, dell'esplosione di una supernova lontana 8 miliardi di anni luce dalla Terra (SN2002dd), e di una seconda supernova a 5 miliardi di anni luce (SN2002dc). Entrambe supernovae di classe Ia, del tipo usato dagli astronomi come "candele standard" per la valutazione delle distanze nell'Universo.
L'analisi spettroscopica della loro radiazione consente inoltre di riconoscere la velocità dell'espansione dello spazio-tempo in cui l'evento si verifica. Se l'Universo scaturito dal Big Bang continua a espandersi, la sua velocità di espansione dovrebbe progressivamente rallentare, per effetto della gravità combinata di galassie e ammassi formatisi. La scoperta, avvenuta 5 anni fa, di una misteriosa "energia oscura" che contraddice questa ipotesi, rivelando una progressiva accelerazione dell'espansione in atto da qualche miliardo di anni, ha provocato parecchio sconcerto tra gli astrofisici. Nel 2001 Hubble con la WFPC2 aveva infatti individuato una supernova ancora più remota, a circa 10 miliardi di anni luce, che indicava una decelerazione nell'espansione, in conformità col modello teorico originale.
È evidente che deve essersi verificato, a un certo punto nella "storia" dell'espansione dell'Universo, un'inversione di tendenza, in cui la repulsione dovuta all'energia oscura ha prima equilibrato e poi superato l'attrazione dovuta alla gravità. Sembra che la nuova supernova scoperta dall'ACS a 8 miliardi di anni luce (red-shift 0,97) rientri, assieme all'altra (red-shift 0,47), nella seconda fase, caratterizzata dall'accelerazione dell'espansione. La facilità con cui le due supernovae sono state individuate conferma le fantastiche potenzialità dell'ACS.
Sarà presto possibile ricostruire per intero il "film" dell'espansione nata col Big Bang: un Universo a velocità variabile, con una prima fase caratterizzata dalla forte accelerazione dell'esplosione iniziale, seguita da una lunga frenata dovuta alla gravità, per poi riprendere ad accelerare, sulla spinta dall'energia oscura.

 

34 18.04.2003 L’origine del lampi di raggi gamma
Osservata l’impronta spettrografica di una supernova all’interno di GRB 030329

Una gigantesca esplosione stellare ha fornito un’ulteriore prova che i lampi di raggi gamma (GRB) sono innescati da supernove, il collasso esplosivo di stelle estremamente massive in buchi neri. Anche se questa teoria era accettata da tempo, gli scienziati avevano problemi a dimostrare la sua evidenza sperimentale. La nuova scoperta dovrebbe ora aiutare gli astronomi a comprendere meglio quelli che rientrano a tutti gli effetti fra i fenomeni più violenti dell’universo.
Il primo indizio che collegava le supernove ai lampi di raggi gamma fu trovato nell’aprile del 1998, quando un debole lampo si verificò simultaneamente e nella stessa regione del cielo dove fu osservata un’insolita esplosione di supernova. Questo suggerì che i raggi gamma fossero prodotti dall’esplosione di una stella massiva alla fine della propria vita, quando il nucleo denso collassa in un buco nero. Da allora gli astronomi osservarono altri fenomeni di questo tipo, ma senza una prova definitiva che permettesse di escludere una spiegazione di altro genere.
Ora un gruppo guidato da Thomas Matheson e Krzysztof Stanek dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, nel Massachusetts, e da Peter Garnavich dell’Università di Notre Dame, nell’Indiana, ha potuto trovare l’anello mancante che collega i due fenomeni. Usando due grandi telescopi in Arizona e in Cile, hanno osservato l’impronta spettroscopica di una supernova molto simile a quella del 1998 nel bagliore residuo di GRB 030329, un lampo di raggi gamma scoperto il 29 marzo dal satellite HETE-2 della NASA.
L’osservazione rende molto meno probabili le teorie alternative, come quella secondo cui i lampi si verificano un paio di mesi dopo le esplosioni delle supernove. Stanek, tuttavia, avverte che non è sicuro che tutti i GRB siano associati alle supernove. I lampi più brevi, in particolare, quelli che durano meno di due secondi, potrebbero anche essere prodotti da un altro meccanismo.