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ntroduzione

Sono ebreo e tre dei miei quattro nonni erano nati in Russia. Il quarto veniva dalla Polonia. Tutti partirono tra il 1900 ed il 1919, evitando così l’Olocausto di alcuni decenni. Fossero rimasti, tutti si sarebbero direttamente trovati sulla via della peggiore distruzione; i miei nonni materni avrebbero potuto finire uccisi dagli Einsatzgruppen a Babi Yar, e i miei nonni paterni avrebbero potuto essere gassati ad Auschwitz.

 

Essere un bambino ebreo in America, persino a New York, implica una certa spaccatura nella realtà. Da un lato (se sei un ebreo secolarizzato, molto assimilato) può darsi che tu trascorra molto tempo sentendoti un normale bambino americano. Poi, di tanto in tanto, la gente ti ricorda che non lo sei. Un altro bambino nel cortile della scuola ti dice che "gli ebrei hanno ammazzato nostro Signore", oppure qualcuno afferma che l’Olocausto non è mai accaduto o è molto esagerato, oppure leggi sul giornale che un esponente del Ku-Klux-Klan nel sud ha dichiarato che gli ebrei non sono bianchi. Quel che più conta, mentre cammini per strade piene di cattolici e protestanti che per lo più ti trattano esattamente come chiunque altro, una parte di te immagina che nel 1942 in Europa avresti portato la stella gialla, saresti stato fucilato sull’orlo di una fossa, o mandato in una camera a gas.

 

Circa il venticinque per cento della popolazione di New York è costituito da ebrei – il che significa che ci sono più ebrei a New York che in Israele – e nelle scuole non difetta l’insegnamento sull’Olocausto. Il sig. Natoli, insegnante di Sociologia dall’affabile aria da zio, scrive sulla lavagna in seconda media la sua versione della citazione di Santayana: "Coloro che non ricordano il passato sono CONDANNATI a ripeterlo". Scrive "condannati" in stampatello e lo sottolinea due volte per maggiore enfasi. L’intera scuola è condotta all’auditorio e viene mostrato il breve film di Alain Resnais, "Notte e Nebbia". Ragazzini di dodici anni guardano i cadaveri che vengono accatastati e impilati, spinti dai bulldozer e calati dagli scivoli.

 

Ma il messaggio non è chiaro. Da una parte, dobbiamo ricordare il passato; dall’altra, ciò che accadde là non potrebbe mai accadere qui, perché i nazisti erano diversi, e noi non siamo come loro. Metti il naso fuori New York e scopri che c’è gente che non ha mai imparato niente dell’Olocausto, università dove viene considerato materia di studi esclusivamente ebraici, e molta, molta gente che pensa che gli ebrei abbiano ammazzato "Nostro Signore". C’è gente simpatica, decorosa e amichevole là fuori, senza alcun segno esplicito di pregiudizio, che quando legge che è stato arrestato un settantenne ex-guardiano di campi di concentramento, che ha ucciso con le sue mani, si chiede: "Ma quando li lasceranno in pace?" Poi, c’è una minoranza verbale che va in giro a affermare che l’Olocausto non è mai accaduto; che Auschwitz esisteva, come campo di prigionia, ma che nessuno è mai stato gassato laggiù, e che i soli decessi verificatisi erano dovuti alle mancanze e privazioni ugualmente sofferte dagli stessi tedeschi man mano che gli Alleati avanzavano.

 

Questi sono i fatti. Tra il 1941 e il 1945, una nube passò sulla faccia dell’Europa e, al suo dissolvimento, gli ebrei di Germania, Austria, Francia, Belgio, Olanda, Grecia e dell’intera Europa Orientale ne uscirono decimati, insieme a zingari, omosessuali e milioni di civili coinvolti nella guerra. L’Olocausto è un fatto umano; come dirò nella mia postfazione, non è altro che il più enorme e significativo dei molti genocidi di questo secolo, e uno dei molti nella storia dell’umanità. Gli ebrei furono prescelti questa volta come già in passato (a volte, pare che chiunque sia in cammino verso una guerra si fermi per strada a pestare un ebreo) ma molte altre razze furono vittime.

 

Alfabeto di Auschwitz è il risultato di molti anni di letture sull’Olocausto, e in particolare sul campo di sterminio di Auschwitz. Da adulto, la mia introduzione a questo materiale è stato il libro di Primo Levi "I sommersi e i salvati", del quale ho fatto largo uso. Levi, al quale quest’Alfabeto è dedicato, riemerse da Auschwitz con animo ancora delicato, dotato di senso dell’umorismo e d’una gran compassione. Egli sarà la vostra migliore guida attraverso questi orrori.

 

Alfabeto rappresenta la mia personale selezione (macabro termine) dei più significativi aspetti della vita e della morte ad Auschwitz. In ventisei "spaccati" ho fatto un tentativo d’illustrare l’intero paesaggio umano del campo: chi uccideva e chi moriva? Come sopravvivevano le persone? Che accadeva alla lingua che parlavano? Quali regole governavano aguzzini e vittime? Dov’era Dio?

 

Ci sono due percorsi attraverso questo materiale. Ho creato collegamenti di pagina in pagina che permettono di leggere in sequenza, dall’inizio alla fine, senza tornare all’indice. Altrimenti, si può usare l’indice come piattaforma per valutare gli elementi che interessano. Ho preso anche in considerazione un terzo percorso – ma ho dei dubbi, etici e d’efficacia – che metterebbe il lettore nei panni di un internato nel campo, con scelte o eventi che comportano certe conseguenze, come "sulla banchina del binario, il dott. Mengele ti manda a destra o a sinistra", con ognuna delle due possibilità – ad esempio, essere mandati al crematorio – collegata al pertinente materiale descrittivo. Potrò sempre aggiungere questa possibilità in futuro, se dovessi giungere alla conclusione che questo aumenta l’impatto anziché banalizzare l’argomento, o trasformarlo in un gioco.

 

L’obiettivo principale era quello di creare un luogo, nello spazio virtuale, che rendesse testimonianza di ciò che accadde, e tentasse di fornire un qualche punto di riferimento alla comprensione. Di tutto quel che è importante per noi, o è importante capire nel mondo esterno, si dovrebbe trovare qui un’eco.

 

Vi prego di farmi sapere ciò che pensate.

 

Jonathan Blumen

 

 

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