l ettera di mio zio               
 

 

Durante il séder di Pésach della famiglia Blumen, raccontai a mio zio Sy che stavo leggendo molto a proposito dell’Olocausto. Non gli dissi perché. Qualche giorno dopo, ricevetti da lui questa lettera. In quel periodo sua moglie, mia zia, era malata terminale di cancro allo stomaco; morì pochi giorni dopo che avevo ricevuto la lettera.

 

Seymour Schechtman, per gli amici Sy, è un dentista recentemente pensionato, un vorace lettore, ed è stato presidente della sua congregazione.

 

Caro Jon,

 

Dopo la nostra conversazione al séder ho deciso di aiutare e favorire il tuo crescente interesse per l’Olocausto. In qualche misura questa è forse un’apologia delle mie idee politiche antidiluviane – idee da vecchio strambo, che provocano un qualche imbarazzo nelle giovani generazioni. Da un punto di vista più pratico direi forse che si profila all’orizzonte il tuo compleanno, o se no possiamo chiamarlo un regalo per il quattro di luglio (alla lettera Sy allegò la trilogia di Wiesel ed una copia di Painted Bird).

 

In realtà, quel che mi ha più probabilmente mosso è stata la splendida appropriatezza del parlare dell’Olocausto a Pésach, quando l’Haggadà celebra l’effettiva nascita della nazione ebraica con l’aiuto della potente mano di Dio, con Dio coinvolto in ogni miracoloso passo di quella strada, e l’Olocausto, dove la completa assenza di Dio "presiede" il peggiore disastro che la nostra storia millenaria e pregna di disastri ci riporta.

 

Il libro di Wiesel, Night, fu pubblicato nel 1960, quindici anni dopo che la conoscenza dell’Olocausto era entrata negli annali del lato oscuro della storia dell’umanità. Il libro ruppe quella che era allora una "congiura del silenzio", per usare la famosa citazione di George Steiner su quello che allora era un oggetto di studi molto circoscritto. Da allora, come sai, si sono aperte le cateratte ed il ruscello di scritti sull’argomento si è tramutato in un torrente che ora permette con facilità a chiunque di guadagnarsi di che vivere con agio scrivendo, recensendo, dibattendo e tenendo lezioni sugli aspetti maggiori e minori della questione all’infinito.

 

Il libro di Wiesel rimane però il più alto risultato letterario del genere, in parte perché si occupa del problema centrale dell'assenza di Dio (gli   altri due lavori di questo volume sono certamente meravigliosi ma non dello stesso livello). In Night egli rinuncia a Dio per il male manifesto del terrore e dell'assassinio nazista, ma alla fine prova sentimenti diversi. Oggi egli è un ebreo praticante, osservante dell'Halachà. Ironicamente però, ha anche scritto dell'hassid mezzo matto che irrompe nella sinagoga seminterrata in Europa centrale durante l'Olocausto e trova gli ebrei che pregano in segreto. "Ebrei!, non pregate così forte, o Dio si accorgerà che ci sono ancora ebrei in giro." O del rabbino hassidico che racconta ai suoi studenti nel campo di concentramento che Dio è un bugiardo. "Come potrebbe il Padrone dell'Universo essere un bugiardo?", protestano i discepoli, sbalorditi. "Perché se aprisse la sua finestra in cielo e ci vedesse, Egli direbbe, 'non sono stato io', e sarebbe un bugiardo."

 

Da qualche altra parte Wiesel ha scritto della necessità di creare un nuovo Talmud per spiegare la relazione tra il genocidio degli ebrei e la moralità di Dio. La sua risposta definitiva, almeno sino ad ora, è che l’Olocausto è il fallimento sia di Dio, sia dell’uomo. (Egli ha scritto molti altri libri, nonostante non si sia cimentato nella summa teologica o spirituale di un nuovo Talmud, ma questo non dovrebbe inficiare il suo status di Santo vivente!) Ma specialmente a Pésach mi sembra molto appropriato, ed in particolare mentre ci stiamo avvicinando, nel corso della nostra vita terrena, ad un tempo millenario, riflettere sul nostro destino d’ebrei e su quanto è ancora importante il nostro legame con Dio.

 

Come indubbiamente sai, ci fu dopo la guerra un vivace movimento "anti-Dio" fra molti protestanti in vista ed alcuni teologi ebrei. Ufficialmente ed orgogliosamente noti come il movimento della Morte di Dio, persero presto d’incisività e svanirono quando cessò l’effetto scioccante della novità. Persino il Giudaismo Ricostruzionista, che cominciò la sua esistenza già prima di Hitler senza Dio, ma con tutte le trappole d’orgoglio del nostro retaggio di civiltà secolare, ora ammette che il concetto di Dio ha significato nell’adorazione. E Wiesel è un ebreo osservante. E la maggioranza schiacciante della società in questo paese è timorata di Dio.

 

L’ebreo moderno lo è invece in misura minore, statisticamente. I numeri della sua frequentazione della sinagoga e della comunità sono molto bassi, forse per la persistente paura di pregare a voce troppo alta come lo erano i suoi ritrosi ma tristemente presenti antenati. Più probabilmente, però, la sua mancanza di devozione religiosa è un segno della sua raffinatezza illuministica e dell’imbarazzo provato dinanzi alla superstizione dei suoi pii e retrogradi fratelli. Il cuore della questione però, è che senza il concetto di Dio, proprio di quella Divinità "vivente" e coinvolta che può intervenire nella storia quando è necessario, il Giudaismo si ferma, senza carburante, privo di qualunque idea o speranza vivificante.

 

La creazione dello stato d’Israele è certamente una manifestazione miracolosa, ma naturalmente abbiamo bisogno di qualcosa di più, perché nessun bilancio tra il bene ed il male può mettere alla pari l’assassinio degli ebrei con la rinascita d’Israele, uno stato il cui futuro è ancora assediato da molti gravi problemi, al punto che persino il pensiero di un altro massacro genocida non è ancora una semplice fantasia paranoica. Quindi, a Pasqua, il Dio che guidò l’Esodo, che divise il Mar Rosso, fece cadere la manna nel deserto e parlò dal Monte Sinai, chiamandoci a servire come nazione di sacerdoti ed insegnanti, e che doveva aspirare alla santità di Dio nelle opere e nella pratica (non solo nel credo), quella Divinità – il ribbono shel olom, il padrone dell’universo – deve essere implorata perché manifesti e spieghi il significato ultimo dell’uccisione dei Suoi ebrei innocenti. La palla è certamente nella Sua metà campo, il Suo Campo Celeste. Maimonide scrisse che "benché egli tardi aspetto con fede perfetta la venuta del Messia". Non ho fretta che il Messia si materializzi di fatto, ma attendo la giustificazione del credo ebraico essenziale che questo è un universo morale, la cui geometria spirituale va molto di là delle nostre rozze equazioni fisiche, ma i cui contorni essenziali, per quanto oscuramente percepiti, non possono contenere quei vasti buchi neri di malvagità che noi abbiamo visto senza le intuizioni che potrebbero ancora guidarci nel rammendo del tessuto consunto della fede che abbiamo nella regola aurea di questa vita, e condurci alla salvezza e redenzione finale grazie a questa vita santa, come insistono la Torah ed il Talmud.

 

A mio avviso questo è ciò che l’Olocausto ci sfida a fare. A ricomporre la nostra fede ebraica di fronte a quest’evento orrendo, l’esempio della peggiore inumanità dell’uomo contro l’uomo. Non si tratta ora del mero conteggio delle razzie, della "vittimologia" degli ebrei (e naturalmente degli zingari, degli omosessuali e dei prigionieri politici accidentalmente coinvolti). Cinquant’anni dopo i fatti, ancora ci aggiriamo cautamente intorno a quest’enorme ferita nel paesaggio della civiltà, ma forse anche noi avremo presto la capacità di reinterpretare i fatti in modo più compiutamente ebraico. Einstein affermò che Dio "non gioca a dadi con l’universo"; egli naturalmente parlava della bramata unità di tutte le forze fisiche basilari. Il Giudaismo aggiunge che Dio non gioca a dadi con la moralità ultima. Che l’umanità ha uno scopo morale, quello di trascendere il male e la bestialità della sua natura animale, di trattare l’uomo con giustizia e senso di responsabilità (la regola aurea), e di essere il protettore ed il tutore del suo fratello.

 

Ricorda, questi sono tempi millenari! Ben Gurion, un socialista ateo, affermò che in ultima analisi ogni razionalista sa che le tendenze cambiano e che i miracoli vanno creduti. E naturalmente il Rebbe (Menachem Schneerson, il rabbino Lubavitch che è morto l’anno scorso [1]) adesso è in Paradiso. Forse lui può convincere Dio a manifestare alcuni raggi di luce che diano un significato al terribile mistero del nostro secolo e di tutta la storia umana.

 

Sy

 

[1] Nota dell’autore, in corsivo nel testo (N.d.T.)

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