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L’intero campo degli zingari ad Auschwitz, di 4000 persone, fu sterminato il 1° agosto 1944:

 

Organizzata come un campo per famiglie, l’unità riservata agli zingari si deteriorò molto rapidamente e divenne straordinariamente sudicia e insalubre persino per gli standard di Auschwitz, un posto d’infanti, bambini ed adulti morenti d’inedia. B. insisteva che c’erano "razioni a sufficienza… spedite al campo, da permettere a tutti loro di sopravvivere", ma che certi zingari adulti d’alto rango tenevano per sé la maggior parte del cibo, quindi negandolo a tutti gli altri, bambini affamati compresi. I capi di Auschwitz, "scioccati" dalla situazione, arrivarono alla conclusione che fosse virtualmente impossibile cambiarla e che l’unica soluzione fosse di "gassare l’intero campo". Secondo B., Mengele si oppose strenuamente a questa decisione, fece diversi viaggi a Berlino per ottenerne la revoca, e arrivò addirittura al punto di dichiarare alle altre autorità di Auschwitz che sterminare il campo dei gitani sarebbe stato "un crimine".

 

 

(La maggior parte delle altre fonti concorda sul fatto che Mengele vedeva con favore l’eliminazione degli zingari.)

 

Dottori prigionieri che avevano lavorato là a quell’epoca, mi riferirono che Mengele sembrò improvvisamente buttarsi a capofitto in quel campo proprio quel giorno, prendendo attivamente parte agli accordi per mandare i gitani in gas. Si era affezionato ad alcuni bambini, regalando loro cibo e caramelle, a volte piccoli giocattoli, e portandoli a fare brevi escursioni. Ogni qual volta egli appariva lo salutavano gioiosamente al grido di "Onkel (zio) Mengele!" Quel giorno però i bimbi erano spaventati. Il dott. Alexander O. descrisse la scena e la supplica di una dei bambini a Mengele:

 

Mengele arrivò verso le otto, o le sette e mezzo. Faceva giorno. Arrivò, e poi i bambini… una ragazzina gitana di circa undici o dodici anni, … la più grande di un’intera famiglia – forse ne aveva tredici, con la denutrizione a volte crescono meno. "Zio Mengele (grida), il mio fratellino piange da morire. Non sappiamo dov’è la mamma. Piange da morire, Onkel Mengele!" Da chi andò a lamentarsi? Da Mengele, quello cui vuol bene e sa che le vuole bene, perché lui davvero li amava. La risposta di lui: "Willst du die Schnauze halten!" Lo disse in modo ordinario, volgare… ma … con una sorta di tenerezza… "Vuoi chiudere quella boccaccia?"

Altri raccontano di come Mengele rastrellò le baracche, stanando i bimbi gitani che si erano nascosti, e di come lui stesso trasportò alcuni di quei bambini verso le camere a gas in macchina – profittando della loro fiducia in lui e parlando loro in tono delicato e rassicurante fino alla fine.

 

Lifton, pagg. 323; 185-186

 

 

Uscii e andai verso la baracca dov’erano i miei figli. Erano solo pelle e ossi, irriconoscibili. Giacevano là, si può dire, già morenti. E così dissi a mio padre, porta i bambini in infermeria, portaceli, dissi, e vedrò cosa posso fare. Se fossero venuti prima, magari sarebbe stato diverso. E così mio padre portò la più grande il giorno dopo, aveva dieci anni. E quando la vidi, già non riusciva più a dire una parola. Stava lì, cogli occhi spalancati, e non una parola. Giaceva lì, più morta che… respirava appena. Così le parlai… e poi morì. La buttarono là e basta, cogli altri corpi. La mia bambina.

 

E così uno dopo l’altro. Una, quella di sei anni, era già morta quando arrivai. Non la vidi più. Non molto dopo, morì anche l’altro. Erano solo pelle ed ossi. Ossa e pelle, nient’altro, si potevano contare le costole. Gli occhi infossati nel viso. I bambini erano morti, tutti e tre.

 

 

Testimonianza di una donna gitana sopravvissuta al campo delle famiglie zingare, Anatomia, pag. 452.

 

 

Così morì Emilia, che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte.

Scomparvero così, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli. … Li vedemmo un po’ di tempo come una massa oscura all’altra estremità della banchina, poi non vedemmo più nulla.

 

Levi, Se questo è in uomo, pagg. 20-21

 

 

Le tre vittime montarono insieme sugli sgabelli.

 

I tre colli furono infilati nei cappi allo stesso momento.

 

"Viva la libertà!" gridarono i due adulti.

 

Ma il ragazzo rimase in silenzio.

 

"Dov’è Dio? Dov’è?" chiese qualcuno dietro di me.

 

Ad un segno del comandante del campo, i tre sgabelli rotolarono…

 

Cominciò la marcia dinanzi alle forche. I due grandi non vivevano più. Le lingue cianotiche penzolavano gonfie. Ma la terza corda si muoveva ancora; così leggero, il ragazzo era ancora vivo…

 

Stette là per più di mezz’ora, lottando tra la vita e la morte, morendo d’una lenta agonia sotto i nostri occhi. E lo dovemmo guardare bene in faccia. Era ancora vivo quando io passai. La lingua ancora rossa, gli occhi non ancora vitrei.

 

Dietro di me, udii lo stesso di prima domandare:

 

"Dov’è Dio adesso?"

 

E udii una voce dentro di me rispondergli:

 

"Dov’è? Eccolo lì – appeso a quella forca…"

 

Quella notte la zuppa sapeva di morto.

 

Wiesel, pag. 72

 

 

 

Il numero delle persone assassinate ad Auschwitz è una questione dibattuta. La stima più precisa è di un milione e centomila persone, nove decimi delle quali ebrei.

 

Subito dopo la guerra, commissioni sovietiche e polacche riferirono di quattro milioni di vittime del campo; il Comandante del campo Rudolf Höss testimoniò che vi morirono tre milioni di persone.

 

È impossibile accertare con esattezza quante persone passarono da Auschwitz per due ragioni. Innanzi tutto, non vi erano registri delle persone assassinate dopo le selezioni alla stazione; non venne loro assegnato un numero né furono mai inseriti nei registri del campo, ma svanirono semplicemente dentro quella che gli stessi nazisti definivano "notte e nebbia" ("Nacht und Nebel").

Secondariamente, i nazisti distrussero molti dei registri prima di abbandonare Auschwitz.

 

Studiosi come Franciszek Piper, scrivendo nel saggio Anatomia, pagg. 61-67, giungono alle loro personali stime tramite il controllo dei registri, più accurati, delle persone deportate ad Auschwitz dalle diverse nazioni, e la successiva sottrazione di quanti si sa essere stati trasferiti ad altri campi, o essere sopravvissuti alla guerra.

 

Basandosi su questi calcoli (1.300.000 deportati meno 200.000 sopravvissuti) almeno 1.100.000 persone furono uccise o lo stesso morirono in questo campo.

 

Piper, pag. 71

 

 

Franciszek Gajnowiczek… è un uomo curvo e ingrigito, che è sopravvissuto ad Auschwitz per testimoniare come, quando egli fu selezionato a caso per essere ucciso un giorno del 1941, un prete francescano di nome Maximilian Kolbe fece un passo avanti e si offrì volontariamente di prendere il suo posto, e prese effettivamente il suo posto ed effettivamente morì. (Il Vaticano proclamò a tempo debito la beatificazione di padre Kolbe, ed egli è sulla via della santificazione.)

 

Friedrich, pag. 102

 

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