POGGIO  IMPERIALE uno sguardo al passato.

 

Alfonso Chiaromonte, Da Fattoria a Poggio Imperiale, p. 204, con illustrazioni.

                La fondazione di Poggio Imperiale risale ad un periodo non molto lontano. Poche, infatti, sono state le notizie scritte sull'origine e sul progressivo sviluppo del comune.

                Il primo ad affrontare l’argomento fu il segretario comunale G. Furlan, che pensò di scrivere qualcosa su Poggio Imperiale e sugli albanesi che per primi vennero a popolarla. Nella ricerca egli impiegò molto tempo, ma poco o nulla conobbe di cose che non fossero già note; infatti, egli attinse le notizie dagli archivi comunali di Lesina e Poggio Imperiale e dall’opera del Fraccacreta: “Teatro topografico poetico storico della Capitanata...”

                Al Furlan seguì l’altro segretario comunale Antonio Chiaromonte (10 maggio 1881 - 15 giugno 1910), che, riprendendo il lavoro del suo predecessore, lavorò tanto, senza ottenere grandi risultati. Compito suo fu quello di rintracciare le mappe antiche del territorio comunale, distrutte ed incendiate nel 1862 da un’incursione di briganti, dove erano segnate le vie ed i tratturi.

                Nel 1906, dietro ripetuti reclami dei cittadini, l’amministrazione del comune, sindaco Roberto Nista, decise di provvedere alla reintegra delle vie e dei tratturi usurpati nel territorio e nell’abitato, affidando l’incarico per queste ricerche al dott. Antonio Chiaromonte ed all’ing. Francesco Morrico. Il signor Chiaromonte affrontò da solo questo lavoro, giacché il Morrico era ammalato.

                Ad Antonio Chiaromonte seguì il maestro Primiano De Palma, il quale raccolse tutte le notizie in un quaderno, che rimase ad impolverarsi in un cassetto di una scrivania per lunghissimi anni.

                Nel 1978 Alfonso De Palma riprese il lavoro di suo padre, ridotto ormai a soli frammenti, per cercare di cucire una storia di Poggio Imperiale dalle origini fino ai giorni nostri.

                “Le Noterelle”, scrive Alfonso De Palma, “sono un condensato e delle cognizioni personali e di quanto si è riuscito ad attingere nell’ambiente paesano”.

                Già dal gennaio 1967 avevo incominciato a visionare questi appunti su Poggio Imperiale, ma solo per approfondire le mie conoscenze personali sull'origine del paese e sul suo celere sviluppo.

                Il parroco “don Giovanni Giuliani senior” m' incoraggiò ad approfondire le ricerche, dandomi utili suggerimenti. Molte, infatti, furono le notizie che appresi da lui, oltre a quelle attinte dall’archivio parrocchiale e dalle varie biblioteche provinciali e consorziali.

                Per conoscere le vicende su Poggio Imperiale, ho dovuto fare delle accurate ricerche sulla Capitanata, sul Circondario di San Severo, su Lucera, sul feudo di Lesina e sui territori dei feudi viciniori.

                Non ho trascurato altresì di visionare i documenti che esistono nell’archivio di Stato di Foggia.

                Da tutte queste indagini ho cercato di mettere insieme notizie che riguardano le zone limitrofe di Poggio Imperiale e di conseguenza la sua storia.

                “Da Fattoria a Poggio Imperiale” è un lavoro che intende dimostrare l’origine reale di un casale, che, grazie alla laboriosità dei suoi abitanti, non è rimasto tale, ma è cresciuto così velocemente, tanto da diventare ben presto un comune autonomo.

                Questi appunti furono anch'essi abbandonati in un cassetto in seguito alla lontananza dal mio paese per tanti anni. Questo ha contribuito a trascurare e dimenticare le tante sudate ricerche.

                Grazie all’insistenza e all’incoraggiamento di alcuni amici, desiderosi di conoscere le vicende del nostro paese, ho pensato di tirare fuori del cassetto i miei amati appunti su Poggio Imperiale.

                “Da Fattoria a Poggio Imperiale” rappresenta un aspetto di storia patria, in cui si evidenziano atteggiamenti e momenti che si sono succeduti nel tempo e che hanno acquistato importanza storica al pari di quella nazionale, regionale e provinciale, così da avere una piccola panoramica sulla situazione del regno di Napoli e di Poggio Imperiale, che rappresenta un granello di sabbia nell’immenso territorio del regno.

                E’ vero che la storia è in continuo “fieri”, ma Poggio Imperiale è un comune singolare e per certi aspetti eterogeneo. Non ha una propria tradizione, non ha un proprio linguaggio, perché l’alternarsi continuo di famiglie residenti, dalla sua origine ai giorni nostri, ha contribuito a trasformare completamente alcune abitudini, creandone sempre delle “nuove”.

                La storia non si esaurisce con il lavoro di un solo autore, ma si completa e si perfeziona con nuove ricerche e nuovi documenti.

                Frutto di un minuzioso lavoro di ricerca è questo libro. Ho cercato di andare alle radici degli eventi mediante la consultazione delle fonti reperibili più antiche; di svolgere una trattazione fondata essenzialmente su documenti inediti, di chiarire e correggere certi luoghi comuni, di organizzare il materiale secondo precise linee di svolgimento, affrontando i fatti in tutte le loro componenti, sotto l’aspetto religioso, politico, sociale ed economico.

         In appendice un’ampia trattazione sulla cittadina di Lesina: origine e fondazione, la contea, il feudo. Punti extraterritoriali del Comune.

         Tipografia Scepi, Lucera, 1997.

 

       Alfonso Chiaromonte, Poggio Imperiale, note di storia sociale e religiosa, p. 157, con illustrazioni.

       Edizioni del Rosone, Foggia 1999.

 

La ricerca storica oggi ha ampliato notevolmente i suoi orizzonti, servendosi di scienze ausiliarie come l’antropologia, la psicologia, la sociologia, l’economia, la demografia...

                Per delineare le condizioni e il modo di vita del passato è opportuno approfondire la storia di una piccola comunità, conoscere la vita di una congregazione religiosa, interpretare alcuni canti dialettali di qualche decennio fa, recuperare uno strumento agricolo abbandonato in soffitta, studiare alcuni reperti archeologici rinvenuti nel proprio territorio[1].

                Le recenti pubblicazioni di alcune opere sul territorio di Lesina e Poggio Imperiale mi esentano dal tracciare un panorama dettagliato della storia di quest’area, così privilegiata per le ricerche archeologiche e paleontologiche. Mi limiterò soltanto a rilevare alcuni punti essenziali, nella seconda parte, della diocesi di Lesina, perché essa è stata nel medioevo centro di irradiazione cristiana su tutto il territorio del feudo, come lo dimostrano i vari ordini di vita monastica, che si sono succeduti nei secoli, nelle diverse abbazie sorte in quel luogo.   

                Parlerò della speciale devozione che nutre l’intero Gargano per San Michele Arcangelo e San Nazario M. Cercherò di far rivivere alcuni monasteri, ormai distrutti dal tempo. Mi sforzerò di presentare quegli aspetti di vita sociale che più hanno caratterizzato il nostro ambiente, tramite alcuni canti in vernacolo terranovese, oppure per mezzo di atteggiamenti che hanno assunto i cittadini di fronte ad avvenimenti della vita quotidiana.

                Ritorneranno in vita le feste cicliche e quelle occasionali per rappresentare esperienze vere e vissute della nostra gente, e per presentare alle nuove generazioni la bellezza, la semplicità e la genuinità con cui i nostri nonni hanno dato un valore alla vita quotidiana.

                Affronterò, infine, un compito piuttosto arduo, quello di raccogliere e mettere insieme alcuni profili biografici di nostri concittadini, che si sono distinti in ogni campo dell’umana attività. Al loro ricordo spetterà un notevole posto nella storia del luogo d’origine.

                Non si può parlare di Poggio Imperiale, senza aver prima accennato alle lotte che i lesinesi hanno dovuto sostenere nel corso della loro esistenza, per tenersi quel lembo di acqua, quasi stagnante, che esalava miasmi ed era fonte di malaria e di morte. Quel lembo di acqua ha garantito, nonostante ogni cosa, la sopravvivenza, la rinascita di un popolo, che non poteva arrendersi, né scomparire.

                Il lesinese nei secoli ha dovuto sempre lottare contro calamità climatiche, contro i soprusi dei vari baroni e padroni, contro le invasioni, le carestie, la malaria, contro le avversità politiche ed è diventato, per forza maggiore, battagliero e geloso della propria identità e libertà.

                Il tanto grande (?) Biase Zurlo non è riuscito a domare la volontà di un popolo, il lesinese, cresciuto e sviluppatosi a causa della sua atavica attività: la pesca.

                E’ necessario pensare alla storia non come alla “riproduzione” del passato, ma come ad una serie di operazioni intellettuali, di comparazione, integrazione e narrazione, che costituisce un sapere verificabile e continuamente rimesso in questione. In quest’ottica è possibile superare il pregiudizio, che vede la storia come un blocco di fatti correlati tra loro e dotati di una sorta di intrinseca e originaria storicità. Ciò è possibile, se si pensa che i fatti storici non esistono di per sé, ma sono tali solo all’interno della ricostruzione che li ha sottratti dal buio del passato, riportandoli alla vita[2].

                Il feudatario Placido Imperiale, nel 1751, successe alla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli e gestì il feudo di Lesina con il suo lago omonimo[3]. I lesinesi esercitarono sempre l’uso civico della pesca in detto lago insieme con il feudatario, il quale, nel 1807, riuscì ad ottenere un ordine che vietava la pesca alla popolazione di Lesina in quel lago, che appartenne ai padri suoi[4].

                A quel divieto seguì una serie di rappresaglie, di persecuzioni e di condanne, che fecero dei lesinesi, spogliati dei loro secolari diritti, tanti ladri e malfattori.

                Seguì per Lesina una lunga serie di calunnie, soprusi e soprattutto di ricatti morali, perché fossero distolti dall’uso della pesca[5]ed avviati alla pratica dell’agricoltura per dissodare e coltivare i vastissimi possedimenti del feudatario Imperiale.

                Biase Zurlo, che aveva visto le campagne incolte (parecchie migliaia di ettari) e le vigne poco estese, giudicò i cittadini di Lesina inetti e poltroni.

                Essi, infatti, trascorrevano il tempo dedicandosi alla caccia alle folaghe e alla pesca. Le donne, invece, si applicavano a riparare le reti ed a svolgere altri piccoli lavori. Da queste attività i cittadini di Lesina traevano la propria sussistenza.

                A Biase Zurlo e al feudatario del luogo non era gradito questo modo di vita dei lesinesi, perché la vastissima estensione di terreno aveva bisogno di molte braccia per essere dissodata e coltivata.

                Fu così diramato l’ordine del 1807, che vietava ai lesinesi la pesca nel lago per spingerli alla ricerca della sopravvivenza verso altri lidi: la coltivazione dei campi.

                Dopo diverse persecuzioni, Lesina trovò il suo angelo tutelare: Davide Winspeare, sostituto procuratore generale della corte di cassazione in Napoli e presso la commissione feudale.

                Lesina, così, il 13 giugno 1810, ottenne i pieni usi della pesca in tutto il lago ed il commercio della stessa tra i cittadini.

                Non cessarono, in ogni modo, rappresaglie e nuove persecuzioni da parte del feudatario e i conduttori del lago contro i lesinesi. Giulio Imperiale si lamentava verso Winspeare che i cittadini di Lesina sconfinavano nell’esercizio degli usi liberi della pesca, mentre i lesinesi si lamentavano del principe, che, per distoglierli dagli usi liberi della pesca, aveva fatto spedire dalla corte criminale di Lucera gli ordini per l’esazione di tutte le pene, in cui i cittadini erano incorsi nel tempo della proibizione[6].

                Biase Zurlo aveva giurato di spogliare i lesinesi di ogni loro diritto, se non avessero chinato la testa di fronte ai desideri del padrone e non si fossero rimboccati le maniche e dedicati esclusivamente all’agricoltura, abbandonando definitivamente l’attività della pesca.

                Biase Zurlo mantenne quel suo giuramento e nella divisione del territorio commise abusi ed anomalie, tanto da dividerlo in un modo bizzarro ed irrazionale (come si evince dalla carta topografica del territorio di Poggio Imperiale), [7] racchiudendo i lesinesi, che un tempo furono ricchi di territorio, in un piccolo lembo di terra.

                Contrariamente avvenne per i cittadini di Poggio Imperiale, tenuti in gran considerazione, perché più inclini a coltivare i terreni del feudatario. Quest'inclinazione forse dipese dal fatto che essi provenivano da zone diverse e prettamente agricole. Erano spinti dal bisogno di avere un’occupazione ed una paga anche minima, per sopravvivere e sfamare la propria famiglia. La vita misera, che conducevano, è un modo che ci fa capire come essi trascorrevano le ore e i giorni.

                Il ceto contadino era sparso nelle campagne, abitava in casolari, oppure viveva nel paesello, come Poggio Imperiale, dove regnava la pace e permanevano più vive le tradizioni.

                Nella casetta solitaria che era il santuario delle affezioni domestiche, l’amore era più ingenuo, casto e gentile. Il matrimonio era l’aspirazione più ardente dell’uomo e della donna. La vita del contadino, priva di ritrovi, di giochi e di divertimenti, si concentrava negli affetti familiari. Per lui una buona ragazza, semplice, onesta, virtuosa, che potesse divenire sua moglie, e l’aiutasse nel cammino della vita, costituiva la gioia più pura.

                Il campagnolo che viveva nelle solitarie masserie, elevava le sue melodie a sfogo del cuore per cantare la bellezza della sua amata, gli affetti del proprio animo[8].

 

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                Con il presente lavoro intendo far riscoprire al concittadino angoli nascosti della storia della nostra terra. Trasmettere alle nuove generazioni, con lo stesso entusiasmo di chi le ha vissute, tradizioni e usanze ormai sepolte dal tempo.

                Non si può liquidare nell’oblio un patrimonio popolare per il gusto del nuovo.

                Tornare nel proprio paese, per chi vi ha trascorso una “stagione” della sua vita, deve essere un richiamo piacevole e significativo per rivivere, ricordare, ritrovare le proprie radici.

                Un’ampia e dettagliata bibliografia consente al lettore di approfondire ulteriormente notizie e personaggi inseriti nel testo.

                In appendice sono inseriti due capitoli che riguardano la diocesi di Lesina e il lago.


 

Alfonso Chiaromonte, La vita politica e amministrativa dal 1816 in un comune della Capitanata: Poggio Imperiale.

        

         Sarà utile per i lettori avere una conoscenza sul territorio della Capitanata, compreso tra il fiume Fortore e l’Ofanto. Esso era suddiviso in tre zone: una zona montuosa, il Gargano; una collinosa, lungo il confine molisano e beneventano, dalle foci del Fortore a Bovino e Candela; una zona piana che si estendeva dall’uno all’altro fiume con il nome di Tavoliere. E’ inserito, inoltre, un capitolo relativo al sistema feudale della Capitanata e all’importanza che ebbe tutto il territorio nel periodo dei Normanni, quando ai feudatari fu dato il possesso e la proprietà dei feudi con tutto quello che in loro si trovava: uomini, cose, animali.

         Successivamente i baroni abusarono del loro potere e, prevalendosi della debolezza dei popoli, ora sotto un pretesto ora sotto un altro, imposero nuove gravezze sopra i particolari territori e si appropriarono d'altra porzione di beni comuni.

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Con questo lavoro intendo completare un ciclo di studi avviato su Poggio Imperiale, così come mi ero proposto di fare.  

Il lungo periodo di ricerca mi ha consentito di conoscere e verificare parecchi documenti, che, confrontati con altri, mi hanno permesso di avere una conoscenza reale e completa dei fatti accaduti in un determinato luogo.  

         Solo questo controllo incrociato fa giungere ad una valida comparazione sulla veridicità dei fatti e dei luoghi trattati.

         Proprio per questo motivo intendo correggere alcuni errori di data, di personaggi e di luoghi, che sono stati inseriti nelle precedenti pubblicazioni, confermando ancora una volta il concetto che una ricerca non si esaurisce con il lavoro di un solo autore, ma si completa e si perfeziona con nuovi studi e nuovi documenti.

         La vita politica e amministrativa del comune di Poggio Imperiale dal 1816 ai giorni nostri rappresenteranno una situazione reale del patrimonio culturale e storico di questa ridente cittadina, dove emergeranno in modo particolare i campagnoli e i massari di campo, che hanno saputo dare una svolta ed un assestamento definitivo alle risorse economiche e sociali del Comune.

         La fortuna, però, non ha arriso a tutti in eguale misura. Le modeste e talvolta veramente difficili condizioni di vita di tanta fetta della popolazione non hanno trovato voce nemmeno nelle delibere del Consiglio Comunale, dove ha trovato e trova spazio solo tutto ciò che dà lustro al paese.

         Una ricerca storica puntuale deve descrivere anche le situazioni di disagio sociale, perché non si fa storia solo delle conquiste, delle fasi di crescita, ma anche della sconfitta e dei periodi di crisi.

         Non mancheranno alcuni pettegolezzi di vita paesana inseriti nei vari capitoli del testo. Questi avvenimenti daranno più significato e più valore al ricordo dei nostri nonni, perché essi indicheranno come si siano interessati attivamente alla vita ed alla crescita del paesello, assumendo a volte anche atteggiamenti ostili per essere di sprone a tutti gli altri.

         La lotta interna, i contrasti, le divisioni dimostreranno come sia stata partecipativa la popolazione tutta allo sviluppo della propria terra.

         Sarà mia cura suscitare curiosità ed interesse intorno alla storia locale e nello stesso tempo offrire qualche modesta indicazione di carattere metodologico e tematico a quanti, specie giovani studenti, vorranno approfondire, con la ricerca personale, la storia della nostra terra e cimentarsi con la storiografia locale.

         Sono sicuro che il parlare del passato gioverà molto alle nuove generazioni, servirà ad evitare molti errori, che si sono commessi, e soprattutto a rendere i giovani più responsabili nella gestione della cosa pubblica.

         Ci sono stati nel passato dei mediocri e degli ottimi amministratori.  Sottoporrò i primi al giudizio dei concittadini per evitare di commettere simili errori, mentre additerò i secondi come esempi da imitare per valo-rizzare il nostro territorio e renderlo sempre più accogliente e ricco di iniziative.

         Questo lavoro, per quanto ampiamente sviluppato nei suoi singoli capitoli, lascia relegati nell’ombra alcuni punti perché manca il legame della successione di qualche anno.

         Lascio ad altri il compito di ricorrere ad ulteriori e più complete investigazioni. Dal canto mio ho cercato di raccogliere con passione quanto più notizie mi sono state possibili recuperare in libri, opuscoli, carte d'archivi o altro intorno agli eventi e alle sorti del mio paese natio.

 

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Una ricchezza particolare è costituita dalle ampie citazioni da documenti e testi, dalle continue note a piè di pagina che rinviano al materiale utilizzato, dalla ricca bibliografia finale: il lettore, insomma, è messo nelle condizioni di controllare quanto va via via leggendo e di approfondire aspetti che possono interessarlo. Al tutto si aggiungono piante topografiche abbastanza antiche, fotografie rappresentanti luoghi e personaggi di rilievo, disegni che, fra l’altro, pongono sotto gli occhi del lettore tanti momenti di vita paesana.  

 

 



(1) Pietro di Biase, Trinitapoli Sacra, appunti per una storia socio-religiosa del sud, Milano 1981, pag. 9.

[2] Gianluca Solfaroli Camillucci, Una storia ad imbuto, in “i Quaderni di Tuttoscuola”, supplemento al n. 370, marzo 1997, pag. 13.

[3] Alfonso Chiaromonte, Da Fattoria a Poggio Imperiale,Tip. Scepi Lucera, 1997, pag. 21.

[4] Carlo Cavalli e Raffaele Centonza, Per la redenzione igienica del lago di Lesina, parte II, San Severo, tip. G. Morrico 1903, pag. 68.

[5] Alfonso Chiaromonte, op. cit., pag. 31.

[6] Carlo Cavalli e Raffaele Centonza, op. cit. pag. 67.

[7] Alfonso Chiaromonte, op. cit. pag. 52.

[8] Saverio La Sorsa, Tradizioni popolari pugliesi, sez. I Canti d’amore, vol. I, Bari - Roma 1933, pag. 42.


 

 

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