§ 2 – I rapporti intrattenuti da Salvatore Lima con esponenti mafiosi

 

 

Al fine di verificare se il sen. Andreotti abbia arrecato, personalmente o avvalendosi dell’opera di altre persone, un consapevole contributo diretto ad assicurare l’esistenza ed il rafforzamento dell’organizzazione mafiosa, occorre prendere in esame i contatti intercorsi tra l’illecito sodalizio e l’on. Salvo Lima.

In proposito, significativi elementi di convincimento si traggono dalle convergenti dichiarazioni – intrinsecamente attendibili per la loro spontaneità, coerenza logica ed univocità – rese, in modo del tutto autonomo e disinteressato, da una pluralità di collaboratori di giustizia sulla cui credibilità soggettiva possono formularsi giudizi positivi per le ragioni esposte nella Sezione I e nel capitolo relativo ai rapporti tra il sen. Andreotti e Michele Sindona.

Va, peraltro, osservato che, sulla base dei principi enunziati nel capitolo III, nell’esame dei diversi fatti che formano oggetto della presente pronunzia, occorre procedere ad una valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti dai collaboratori di giustizia; conseguentemente l'attendibilità del dichiarante, anche se denegata per una parte del suo racconto, non ne coinvolge necessariamente tutte le altre, che reggano alla verifica giudiziale della conferma, in quanto suffragate da idonei elementi di riscontro esterno; così come, per altro verso, la credibilità ammessa per una parte dell'accusa non può significare in modo automatico attendibilità per l'intera narrazione.

Dagli elementi di prova acquisiti si desume che già prima di aderire alla corrente andreottiana, l'on. Lima aveva instaurato un rapporto di stabile collaborazione con "Cosa Nostra".

All’associazione mafiosa egli era vicino anche per la sua estrazione familiare, poiché suo padre, Vincenzo Lima, era un "uomo d’onore" della "famiglia" di Palermo-Centro, che faceva capo ai fratelli Angelo e Salvatore La Barbera.

Convergono sul punto le deposizioni rese dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta, Francesco Di Carlo ed Angelo Siino.

Tommaso Buscetta, escusso all’udienza del 9 gennaio 1996, ha riferito che Vincenzo Lima, il quale gli fu presentato ritualmente come "uomo d’onore" della "famiglia" di Palermo, aveva "raccomandato" il figlio ai fratelli La Barbera perché lo sostenessero elettoralmente.

Le dichiarazioni rese dal collaborante sull’argomento sono di seguito riportate:

DOMANDA - Lei ha conosciuto anche il padre di Lima?

RISPOSTA - Io l'ho conosciuto sì, il padre di Lima anche lui era uomo d'onore, faceva parte della famiglia di Palermo ed era stato uno di quelli che hanno raccomandato suo figlio ai fratelli La Barbera e Angelo La Barbera era suo rappresentante.

DOMANDA - In che senso aveva raccomandato Lima?

RISPOSTA - Elettoralmente, perché i fratelli La Barbera si interessavano veramente di Lima a quell'epoca.

DOMANDA - In che modo si interessava?

RISPOSTA - Sempre alla solita maniera, io non so come dovrei spiegarlo, l'interessamento politico è una cosa difficile che cambia, perlomeno in Sicilia non c'è né il pacco della pasta, né il paio di scarpe. In Sicilia è l'influenza che il rappresentante di una borgata ha su quel rione, ed allora su quel rione quasi si possono stabilire i voti che ci saranno per la Democrazia Cristiana.

DOMANDA - La domanda era per capire se lo avevano aiutato nella carriera politica.

RISPOSTA - Lo avevano aiutato, è logico, era uno dei suoi candidati Lima.

DOMANDA - Dei suoi di chi?

RISPOSTA - Dei fratelli La Barbera.

DOMANDA - Il padre di Lima da chi le fu presentato?

RISPOSTA - Io non lo ricordo perché questa è una domanda che si fa sempre, in tutti i processi ascolto questo: da chi le fu presentato? L'importante è averlo avuto presentato, ma non è necessario conoscere la persona che me lo presentò.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Lei risponda alla domanda. Se lei ricorda da chi le è stato presentato o non lo ricorda. Non faccia commenti sulle domande.

RISPOSTA - Non lo ricordo.

DOMANDA - Comunque le fu presentato ritualmente come uomo d'onore?

RISPOSTA - Sì.

DOMANDA - Le fu presentato una sola volta o più volte?

RISPOSTA - Come più volte? Una volta. Una volta è sufficiente.

Dalle suesposte affermazioni del Buscetta emerge, quindi, lo stretto nesso di dipendenza tra l’affiliazione di Vincenzo Lima a "Cosa Nostra" e l’interessamento spiegato dai fratelli La Barbera in favore di Salvo Lima.

L’inserimento di Vincenzo Lima nella cosca mafiosa di Palermo Centro, riconducibile ai fratelli La Barbera, è stato confermato dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, il quale ha riferito quanto segue:

P.M.: (…) lei ha fatto riferimento già all'onorevole Lima e ha detto che l'onorevole Lima non era amico vostro, non era uomo d'onore. Sa se qualcuno della sua famiglia lo è stato o lo era?

DI CARLO F.: Per quello che mi risulta, perché io non lo conosciuto, era il padre Cosa Nostra. Il padre di Lima era Cosa Nostra.

P.M.: Sa a quale famiglia, di quale famiglia faceva parte?

DI CARLO F.: Faceva parte della vecchia famiglia di La Barbera Palermo Centro. I La Barbera, fratelli La Barbera, i famosi fratelli La Barbera.

Anche il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha dichiarato di avere appreso da alcuni esponenti mafiosi che il padre dell’on. Lima era un "uomo d’onore" della "famiglia" di Palermo Centro, ed ha rilevato che quindi il medesimo uomo politico godeva di una particolare considerazione nell’ambito di "Cosa Nostra", specificando quanto segue:

SIINO A.: (…) è un periodo ancora dove io ero abbastanza giovane (…). Io di riunioni politiche me ne ricordo diverse dove partecipò sia LIMA, sia dove partecipò l'allora ... era Ministro mi pare allora, FRANCO RESTIVO. C'erano anche delle altre riunioni dove partecipava GIOIA, dove c'era anche l'Onorevole CERAMI. Insomma ce ne sono state di tutti i tipi e colori a cui io vi ho partecipato.

P.M.: Signor SIINO, mi scusi, la domanda era incentrata sull'Onorevole LIMA.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Quali ricorda in quel periodo e ad esempio, per collocarlo un pò nel tempo se è in grado di dire se LIMA era già stato eletto Sindaco di Palermo oppure siamo addirittura ...

SIINO A.: Prima.

P.M.: Prima che venisse ...

SIINO A.: Sì, sì, ed è stato eletto ... In che anno è stato eletto non me lo ricordo io, comunque sicuramente era prima perchè ...

P.M.: '58 ...

SIINO A.: No, allora era diciamo intorno qualche anno prima, '57, '58, perchè ero sempre ragazzino. Lui mi pare che prima di essere eletto Sindaco di Palermo fu per, non lo so, aveva un incarico di partito, per cui chiaramente già girava come consigliere comunale, oppure fu proprio in occasione della sua elezione a consigliere comunale. Comunque c'erano le solite mega mangiate nei posti più disparati della Conca d'oro, anche ...

P.M.: Ecco, ci vuole descrivere quindi questa ... queste occasioni che sta ricordando, chi c'era insieme a LIMA in queste riunioni?

SIINO A.: Io mi ricordo che c'era anche oltre LIMA c'erano degli altri personaggi che non ricordo, personaggi pseudo politici. I mafiosi invece me li ricordo. C'era NINO RICCO, NINO SORCE, c'erano un altro che si chiamava LO VERDE, c'erano dei personaggi della zona che si chiamavano CIRAFICI, insomma c'erano un sacco di gente. C'erano i COTTONE, intendo dire i COTTONE originari di Villabate e c'erano parecchi personaggi a cui lui era molto legato, che lo tenevano in grandissima considerazione. Tanto è il fatto anche ...

P.M.: Che significa lo tenevano in grandissima considerazione?

SIINO A.: Cioè praticamente quello che io sento ... quello che si diceva allora è che LIMA fosse figlio di un uomo d'onore, di un uomo d'onore appartenente alla famiglia di Palermo centro. E per cui praticamente era tenuto in certa considerazione, mafiosamente parlando. Cioè poi che era un ragazzo sveglio, dicevano che andava forte, si sarebbe fatto e cose di questo genere. In effetti lui camminava sempre con un codazzo di personaggi che ... politici e non, che praticamente erano anche riconducibili a mafiosi, ci camminava con BRANDALEONE, camminava con altri personaggi della zona di Corso dei Mille, camminava con GUTTADAURO, GUTTADAURO era il padre dell'attuale ... del medico, di GIUSEPPE GUTTADAURO, CARLO GUTTADAURO e l'altro fratello non so come si chiama. Comunque camminava con tutti questi personaggi.

La statura delinquenziale di Vincenzo Lima non era sfuggita alle forze dell’ordine: dalla deposizione resa dal teste isp. Salvatore Bonferraro all’udienza del 22 maggio 1996 si evince, infatti, che a carico di Vincenzo Lima risultano diversi precedenti di polizia e giudiziari, relativi al periodo dal 1910 al 1958. Contro di lui vennero sporte numerose denunce (tra l’altro, per i reati di minacce, furto aggravato, favoreggiamento, porto di rivoltella senza licenza, truffa, lesioni, insolvenza fraudolenta). In data 30 settembre 1931 egli fu denunciato all'Autorità Giudiziaria per rispondere del reato di tentato omicidio in danno del vigilato speciale Arturo Mingoia, di varie estorsioni, di associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di reati contro il patrimonio e la persona, e di favoreggiamento nei confronti dei latitanti Salvatore Scrima e Giuseppe Ingrassia; tra gli imputati in tale processo, figuravano Gaetano Pennino e Gioacchino Pennino, rispettivamente padre e nonno dell'attuale collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino. Il tentato omicidio era stato commesso dai latitanti Scrima e Ingrassia, per vendetta nei confronti del Mingoia. Il teste Bonferraro ha precisato che "fallito questo tentativo (…) lo Scrima con la complicità del Lima, del Marrone Vincenzo ed altri, pensò di ricostituire una nuova organizzazione criminale che si andava formando in quegli anni con la denominazione di nuova Sicilia, che si riproponeva la ricostituzione della mafia che già era stata debellata (…) dalle energiche azioni di Polizia di quegli anni del Prefetto Mori". All’esito del relativo processo, Vincenzo Lima venne assolto dalle imputazioni di tentato omicidio e di estorsione; venne pure prosciolto, per amnistia, dai reati di favoreggiamento e di associazione per delinquere.

Questa vicenda giudiziaria era conosciuta anche dal collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, il quale nel suo esame dibattimentale, essendogli stato domandato se avesse conosciuto il padre dell’on. Lima, ha dichiarato: "io non ho conosciuto il padre di… sapevo che si chiamava VINCENZO in quanto mio padre mi ebbe a dire che il predetto, negli anni '30, (…) era stato inquisito con mio padre per un'associazione a delinquere e di cui era il capolista".

I contatti di Salvo Lima con esponenti di "Cosa Nostra" furono, dunque, favoriti dalla sua estrazione familiare, ed accompagnarono tutte le fasi della sua carriera politica.

Salvo Lima, in particolare, instaurò, sin dal periodo in cui era Sindaco di Palermo, con Tommaso Buscetta rapporti improntati allo scambio tra appoggio elettorale e concessione di favori.

Il Buscetta, all’udienza del 9 gennaio 1996, ha ricostruito l’origine e l’evoluzione dei suoi rapporti con Salvo Lima specificando che quest’ultimo gli era stato presentato intorno alla fine degli anni ’50 da esponenti mafiosi di rilievo, come Ferdinando Brandaleone, Gioacchino Pennino "il vecchio" (zio dell’omonimo collaboratore di giustizia), ed i fratelli La Barbera. Ha chiarito che in quel periodo Salvo Lima aderiva alla corrente di Giovanni Gioia e si apprestava a divenire Sindaco di Palermo. Ha evidenziato di essere divenuto amico di Salvo Lima e di averlo frequentato spesso mentre costui ricopriva la carica di Sindaco di Palermo. Ha esplicitato che il medesimo uomo politico gli inviava ogni anno i biglietti per tutta la stagione operistica del Teatro Massimo di Palermo. Ha aggiunto di essersi recato più volte, insieme con i predetti soggetti affiliati a "Cosa Nostra", nell’abitazione di Salvo Lima, dove si svolgevano riunioni con altri uomini politici.

Le dichiarazioni rese sull’argomento dal collaborante sono di seguito riportate:

DOMANDA – (…) Vuole riferire i fatti che sono a sua conoscenza sui rapporti tra esponenti di Cosa Nostra ed esponenti del mondo politico a far data dal suo ingresso in Cosa Nostra? Cioè, lei entra in Cosa Nostra, quando si accorge che esistono rapporti tra la politica e Cosa Nostra, e in che modo se ne accorge?

RISPOSTA - Io entro a far parte giovanissimo in Cosa Nostra, (…) e comincio ad entrare nell'appoggiare i politici verso la fine degli anni '50. Il mezzo me lo offre un membro della famiglia mia stessa di Cosa Nostra che si chiama Ferdimando Brandaleone e un altro è Gioacchino Pennino, per dirlo più chiaramente, "Il vecchio", sono loro che mi fanno conoscere i primi politici e Ferdinando Brandaleone, ombra di Salvo Lima, sempre, in tutti gli anni, che ho saputo sempre ombra di Salvo Lima e membro della famiglia di Porta Nuova che mi fanno conoscere il mondo politico.

DOMANDA - Fermiamoci un attimo, prima di andare avanti. Vuole dirci quello che sa su Ferdinando Brandaleone e poi quello che sa su Gioacchino Pennino il vecchio?

RISPOSTA - Ferdinando Brandaleone, l'ho già detto, era membro della famiglia di Porta Nuova, famiglia a cui appartenevo, era figlio dell'iniziatore della Borgata di Porta Nuova che era il rappresentante e si chiamava Carlo Brandaleone, padre di Ferdinando Brandaleone.

(…)

DOMANDA - Aveva un fratello Ferdinando Brandaleone?

RISPOSTA - Sì, ma non era uomo d'onore, era un fratello assessore, credo, comunque ai miei tempi non era ancora assessore, ho saputo che dopo è diventato assessore. Mi sembra che si sia suicidato il fratello di Brandaleone.

DOMANDA - Passiamo ora a Gioacchino Pennino, chi era, e che ruolo aveva all'interno di Cosa Nostra?

RISPOSTA - Gioacchino Pennino era figlio di un altro Gioacchino Pennino padre, rappresentante della famiglia di Brancaccio. Prima di passare a lui, a Gioacchino Pennino, alla famiglia di Brancaccio, passò a un'altra persona, cognato o genero di Gioacchino Pennino nonno, e dopo la morte di quest'ultimo il rappresentante della famiglia di Brancaccio divenne Gioacchino Pennino vecchio, inteso per me.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

E nei confronti dell'attuale collaborante, qual' era il rapporto di parentela?

RISPOSTA - Zio.

(…)

DOMANDA - Riprendiamo il discorso che avevamo lasciato in sospeso poco fa, quando lei ha detto che i primi politici le vengono presentati da questi due personaggi: Ferdinando Brandaleone e Gioacchino Pennino, riprendiamo da qui: chi sono i politici che le vengono presentati, e dove, e in quale occasione?

RISPOSTA - I politici che mi vengono presentati a quell'epoca sono Salvo Lima, poi ne ho uno che lo conosco personalmente che si chiama Trapani che...

DOMANDA - Il nome di battesimo lo ricorda?

RISPOSTA - Giuseppe.

DOMANDA - Era un uomo d'onore o no?

RISPOSTA - Era un uomo d'onore e consigliere della mia famiglia, della famiglia di Cosa Nostra. Uomini d'onore ce n'erano altri, per esempio c'era Antonino Sorci.

DOMANDA - Intende dire uomini d'onore che facevano politica?

RISPOSTA - Che facevano politica, tutti per la Democrazia Cristiana e Antonino Sorci era uomo d'onore e cugino di quell'Antonino Sorci famoso, detto U'ricco a Palermo che era rappresentante di Villagrazia .

DOMANDA - C'erano altri politici uomini d'onore?

RISPOSTA - Sì, ce n'è qualche altro, per esempio c'è il rappresentante del Corso Calatafimi, Giuseppe Guttadavo che è rappresentante, uomo d'onore e che è deputato nazionale, però nei primi tempi è deputato nazionale per la Monarchia, negli anni '50.

DOMANDA - Altri politici uomini d'onore?

RISPOSTA - In questo momento non mi ricordo.

DOMANDA - Ed allora passiamo ai politici che conobbe in quel periodo tramite questi personaggi e che non erano uomini d'onore.

RISPOSTA - Ma dobbiamo passare un po' più nel tempo perché io sto dicendo agli inizi quando io conosco Lima, poi, superato il '60, i politici diventano un po' di più, i posti di riunione avvengono per questi politici di cui parlerò o a casa di Lima o a casa di Gioacchino Pennino, che io chiamo sede naturale della Democrazia Cristiana a Palermo.

DOMANDA - La casa di Gioacchino Pennino?

RISPOSTA - Nella casa di Gioacchino Pennino, se non vado errato, che era in via Sperlinga.

DOMANDA - Mentre la casa di Lima dov'era?

RISPOSTA - La casa di Lima era in via Roma Nuova, sul lato destro, andando verso la Favorita, credo che giù dove lui abitasse ci fosse un negozio grandissimo o l'Upim o la Standa.

DOMANDA - E lei c'è andato molte volte a casa di Lima?

RISPOSTA - Sì, sono stato molte volte. Prima lui abitava in un'altra casa, poi quando furono costruiti questi palazzi che davano su via Roma Nuova lui andò ad abitare ed io andavo insieme a Ferdinando Brandaleone o con Gioacchino Pennino.

DOMANDA - Quindi a casa di Lima e a casa di Gioacchino Pennino, chi ha conosciuto di uomini politici?

RISPOSTA - Di uomini politici ho conosciuto D'Acquisto.

DOMANDA - Il nome di battesimo se lo ricorda?

RISPOSTA - Mario. Ho conosciuto Attilio Ruffini, ho conosciuto Barbaccia.

DOMANDA - Barbaccia come?

RISPOSTA - Non mi viene in questo momento.

DOMANDA - Poi?

RISPOSTA - Poi ho conosciuto Di Fresco (…)

DOMANDA - E che rapporti aveva con queste persone?

RISPOSTA - Rapporti elettorali, cioè far pesare quando si votava, i voti farli affluire ad uno o ad un altro personaggio, ho conosciuto Reina.

DOMANDA - Reina era un politico?

RISPOSTA - Uomo politico che diventò, mi sembra, il primo Presidente della Regione, no no, della Provincia.

DOMANDA - Della Provincia di Palermo?

RISPOSTA - Sì, provinciale di Palermo. Credo che sia stato il primo Presidente.

(…)

DOMANDA - Signor Buscetta, lei ha già accennato al fatto di aver conosciuto l'Onorevole Salvo Lima. Entriamo più nello specifico, in particolare, quando e come lei ha conosciuto Salvo Lima.

RISPOSTA - Ho conosciuto Salvo Lima alla fine degli anni '50, mi è stato presentato da Ferdinando Brandaleone, dai fratelli La Barbera, dallo stesso Gioacchino Pennino, che poi tra l'altro mi ero anche scordato di dirlo, che a quell'epoca l'onorevole più anziano della Democrazia Cristiana a Palermo era Gioia, e tutta questa gente più giovane faceva capo a quell'epoca a Giovanni Gioia.

DOMANDA - Tutta questa gente, intende i politici?

RISPOSTA - Sì, intendo parlare dei politici, ho parlato di Mario
D'Acquisto, ho parlato di Salvo Lima, allora anche lui giovane, ho
parlato di Di Fresco, allora democratico-cristiano, non ho parlato di Ciancimino, ma anche lui a quell'epoca, anche se non faceva capo, e Giovanni Gioia era uno dei giovani che si prestava ad avere voti da parte dei mafiosi, come del resto tutti i parlamentari, escluso i comunisti che non ne cercavano e i fascisti sapevano che non li avevano, e quindi non li cercavano e ci combattevano. Quindi la domanda che mi ha fatto lei?

DOMANDA - Come è quando ha conosciuto Salvo Lima?

RISPOSTA - Conosco Lima alla fine degli anni '50 e lui si candida per consigliere, ha moltissimi voti, e diventa Sindaco del Consiglio comunale di Palermo. Durante il periodo in cui lui è Sindaco, ed io sono a Palermo libero, ci frequentiamo spesso. Ogni anno all'apertura del Teatro dell'Opera Massimo di Palermo mi manda i biglietti per tutta la stagione, diventiamo buoni amici.

(…)

DOMANDA - Quindi i suoi rapporti con Lima diventano rapporti che durano nel tempo?

RISPOSTA - Che durano fino al 1980.

In ordine al livello delinquenziale dei fratelli La Barbera, il Buscetta ha chiarito che Angelo La Barbera era capo della "famiglia" di Palermo Centro, e Salvatore La Barbera era capo del "mandamento" che comprendeva le "famiglie" di Palermo Centro, del Borgo e di Porta Nuova.

Dopo avere evidenziato che il padre di Salvo Lima era affiliato alla "famiglia" di Palermo Centro ed aveva "raccomandato" il figlio ai fratelli La Barbera, i quali lo avevano appoggiato avvalendosi della loro influenza, il collaboratore di giustizia ha illustrato le modalità attraverso le quali veniva offerto agli esponenti politici il sostegno elettorale di "Cosa Nostra", riferendo quanto segue:

RISPOSTA - Prima dovrei spiegare la maniera che si ha di aiutare, i politici molte volte distribuiscono i fac-simili, li lanciano dalla macchina, io non ricordo di aver mai fatto questo. Io ricordo che quando si proponeva l'aiuto al candidato, o il candidato richiedeva l'aiuto di un determinato rione, ci si recava in quel determinato rione in compagnia del candidato, e sempre si trovava il rappresentante di Cosa Nostra della borgata per prendere un caffè, nient'altro, perché la gente potesse vedere che il rappresentante di quel rione aveva ricevuto la visita del Sindaco o del prossimo candidato, e quindi i voti andavano a quel candidato che noi volevamo.

DOMANDA - Può essere più chiaro, forse si è capito, ma siamo un po' più chiari, si prendeva un appuntamento del rappresentante di Cosa Nostra nel rione, ma poi all'appuntamento c'era solo il rappresentante o c'erano altre persone?

RISPOSTA - C'ero io, c'era Gioacchino Pennino, c'era Ferdinando Brandaleone, in certi posti c'erano i fratelli La Barbera.

DOMANDA - Allora, c'era il rappresentante della borgata, c'erano altri uomini d'onore, ma c'erano anche normali cittadini, le persone della borgata oppure erano...?

RISPOSTA - No no, appuntamento con noi loro non ne avevano, ma erano loro che dovevano vedere che il rappresentante della borgata... io dovrei far capire a questa Corte che cosa significa a Palermo, il rappresentante della borgata è, cosa significa per l'umile palermitano il rappresentante della borgata. Significa il Presidente del Tribunale, significa il Presidente dello Stato, significa la legge, significa l'uomo che può amministrare nel bene e nel male la vita di quel rione, perlomeno in quei tempi. Quindi, quando si andava a cercare l'aiuto per il politico da candidare, era al rappresentante della borgata che ci rivolgevamo, era al rappresentante della borgata che si faceva trovare dove noi poi arrivavamo, anche se separati, insieme al sindaco o al candidato che noi portavamo, per far notare che quel rappresentante o quella persona nota a tutti, era l'uomo a cui si doveva fare il favore di votare per quel signore.

DOMANDA - E partecipavano molte persone a queste riunioni?

RISPOSTA - Chi non conosce Palermo non può capire cosa significa, ma la curiosità nella borgata, arrivando delle macchine, arrivando personaggi a livello di La Barbera, noti malauguratamente alla cronaca nera, arrivando il sindaco Lima, o arrivando il dottore Barbaccia, era fonte di gente che vedeva come se fossero comizi.

DOMANDA - E poi i comizi si facevano, qualcuno parlava?

RISPOSTA - Assolutamente no, non ho mai assistito a un comizio.

DOMANDA - C'erano anche dei rinfreschi, si offriva qualcosa alla gente?

RISPOSTA - E' logico, il caffè, il rappresentante di quella borgata predisponeva con anticipazione i rinfreschi che sarebbero stati serviti, caffè, gli spumoni, tutto quello che si può fare per dare il benvenuto a chi si presentava.

DOMANDA - C'erano degli uomini d'onore che erano consiglieri o assessori al Comune di Palermo?

RISPOSTA - Sì, l'ho detto. Credo di averlo detto, o mi sbaglio? Ho detto Giuseppe di Trapani, era assessore e consigliere.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Trapani o Di Trapani?

RISPOSTA - Giuseppe Trapani, non Di Trapani. C'era Sorci, c'era Cerami che non era uomo d'onore, perlomeno a quell'epoca non lo era.

Con specifico riferimento al sostegno assicurato da "Cosa Nostra" a Salvo Lima, il Buscetta ha dichiarato di essersi recato, insieme ad altri "uomini d’onore" ed allo stesso uomo politico, nelle zone dove quest’ultimo era interessato ad accrescere il proprio consenso elettorale ed "avrebbe potuto dimostrare di essere amico degli amici" (cioè esternare la propria vicinanza alle "persone che contano"); sul punto, il collaborante ha esposto quanto segue:

DOMANDA - Lei, personalmente, e altri uomini d'onore vi siete impegnati per aiutare Lima elettoralmente?

RISPOSTA - Io sono uno che mi sono impegnato, e Gioacchino Pennino è un altro che si è impegnato, i fratelli La Barbera si sono impegnati. Certo che ci siamo impegnati per fare eleggere.

DOMANDA - Forse lei ripeterà cose che ha già detto, ma è importante ripetere. Come vi siete impegnati, può raccontare episodi specifici?

RISPOSTA - Ci recavamo nelle zone dove si considerasse da parte dell'eletto, che non avesse i voti sufficienti in quel determinato rione, in quella determinata zona non avessero i voti sufficienti per essere a posto con i voti, allora chiedeva a noi...

DOMANDA - Chiedeva, chi è il soggetto?

RISPOSTA - Lui.

DOMANDA - Lui chi?

RISPOSTA - L'interessato ad essere votato, e in questo caso Lima.

DOMANDA - Quindi Lima chiedeva a voi?

RISPOSTA - Chiedeva a noi di recarci in quella zona insieme a lui, dove lui avrebbe potuto dimostrare di essere amico degli amici, così è la parola.

DOMANDA - Amici degli amici cosa intende? Traduciamolo bene.

RISPOSTA - Gli amici sono gli uomini d'onore, amico degli amici è l'amico dell'uomo d'onore, però anche se questo è occulto, è solo l'atteggiamento, è solo la maniera di chi è vissuto, di chi è nato in Sicilia che può capire che cosa intendo dire con questa frase. Amico degli amici è uno che può esternare a chi osserva che lui è vicino alle persone che contano.

DOMANDA - Ed allora queste riunioni nelle borgate, per i motivi che ha spiegato, si sono svolti una volta, due volte, più volte?

RISPOSTA - No, più volte.

DOMANDA - Quelle a cui lei ha partecipato personalmente?

RISPOSTA - Più volte, ma non saprei indicare gli anni, stiamo parlando di cose avvenute 35 anni fa.

DOMANDA - Cosa intende per più volte? 5 volte, 10 volte, 20 volte?

RISPOSTA - Tutte le volte che fosse necessario, ma logicamente siamo andati in molti posti che io ricordi così a memoria, siamo andati in molti posti e il risultato si otteneva. Il candidato che noi appoggiavamo era eletto.

DOMANDA - Oltre a lei, quali altri uomini d'onore partecipavano a queste riunioni elettorali a favore di Lima?

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Erano riunioni? Perché non l'ha detto il collaborante. Che cosa facevate?

RISPOSTA - Riunioni erano apparizioni, come potrei dirlo, io credo che una riunione si fa, o per fare un discorso oratorio o per...

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Dica che cosa facevate.

RISPOSTA - Apparivamo in quel posto, in quella zona dove avremmo incontrato il capo mafia di quella zona e che avrebbe visto quella gente di quella borgata il candidato vicino al capo mafia che prendeva il caffè, che prendeva il sorbetto o la camomilla, non saprei indicare cosa prendeva. Però era una cosa che si contava, e addirittura facevamo conti ancora prima che si andasse a votare veramente.

DOMANDA - In che senso facevate conti?

RISPOSTA - Sui voti che si sarebbero riportati in quelle zone che noi visitavamo.

DOMANDA - E da questi conti cosa risultava fuori?

RISPOSTA - Che il nostro candidato era eletto.

DOMANDA - Presidente, ripeto la domanda di poco fa: a
questo tipo di incontri, di apparizioni, come lei l'ha definito, oltre a lei, quali altri uomini d'onore partecipavano accompagnando Lima?

RISPOSTA - Io credo di averlo detto, La Barbera, io stesso, Gioacchino Pennino, l'uomo d'onore del posto, ed altri uomini d'onore del posto, anche della borgata, non è che veniva solo il rappresentante. Logicamente non erano masse, erano numeri, ma era l'importante perché questo numero così limitato poi a sua volta aveva i suoi 50 familiari o i 20 familiari che avrebbero votato secondo quello che stavano vedendo.

Il Buscetta si è poi soffermato sulle riunioni svoltesi nell’abitazione di Salvo Lima, fornendo le seguenti precisazioni:

DOMANDA - Si sono svolte delle riunioni a casa dell'onorevole Salvo Lima che avevano per oggetto la scelta di candidati, le elezioni, discussioni di carattere politico alle quali lei o altri uomini d'onore avete partecipato?

RISPOSTA - Alla scelta dei candidati io non ho mai partecipato, anche perché non ne avrei avuto la competenza, ma le riunioni c'erano a casa di Lima o a casa di Pennino. E a casa di Pennino molto spesso hanno parlato di candidare, per esempio, la candidatura dell'onorevole Barbaccia è stato un fulmine a ciel sereno perché era una candidatura che non si aspettavano, e visto il risultato per l'elezione al Municipio di Palermo, lo zio volle candidarlo per le elezioni nazionali. E quindi non fu poca la battaglia che successe per candidare Franco Barbaccia. Ma io a queste cose non ho partecipato, anche perché io non avevo abbastanza...

DOMANDA - Quando lei dice: non ho partecipato, intende dire che non ha partecipato alla discussione o che non ha partecipato alla riunione?

RISPOSTA - Non ho partecipato alla discussione.

DOMANDA - Ma ha partecipato alla riunione?

RISPOSTA - Sì, ho partecipato alla riunione, ma non trattavo io questi argomenti perché non avevo la capacità, riconosco, non le avevo le capacità per ragionare il giusto o il non giusto.

Il collaboratore di giustizia ha menzionato tre episodi di favoritismo da parte di Salvo Lima, divenuto Sindaco di Palermo, nei confronti di esponenti di "Cosa Nostra":

- il mutamento di destinazione urbanistica di un'area sita "in una zona centrale di Palermo alla fine della via Libertà"; il Buscetta e Salvatore La Barbera, "attraverso l'interessamento del Sindaco Lima", avevano ottenuto la trasformazione da "zona verde" ad "area edificabile", ed avevano poi venduto il terreno al costruttore Salvatore Moncada, anche lui "uomo d'onore";

- la concessione (avvenuta per interessamento di Salvo Lima) della facoltà di edificare due ulteriori elevazioni su un immobile nella cui costruzione era impegnato il Buscetta insieme a tale Annaloro;

- il mutamento di destinazione urbanistica ("da verde ad area edificabile") della villa "Duca d'Orléans" di Palermo; si trattò di un favore fatto dal Lima ad Antonino Sorci, Rosario Mancino ed altri.

Le dichiarazioni del Buscetta sono di seguito trascritte:

DOMANDA - Lei o altri uomini d'onore che tipo di favori avete chiesto, se li avete chiesti, all'onorevole Salvo Lima?

RISPOSTA - I favori che io conosco di Salvo Lima sono, quando lui era Sindaco di Palermo, il cambiare dei terreni da zona verde ad area edificabile, uno di questi favori l'ha fatto a me e a Salvatore La Barbera, un altro favore...

DOMANDA - Andiamo per ordine, il primo, in cosa consisteva questo favore che ha fatto a lei e a Salvatore La Barbera?

RISPOSTA - C'era un'area in una zona centrale di Palermo alla fine della via Libertà, dove era stata definita quell'area zona verde, mentre noi, attraverso l'interessamento del Sindaco Lima, abbiamo potuto trasformarla in area edificabile che poi abbiamo venduto ad un costruttore che si chiamava Salvatore Moncada, anche lui uomo d'onore di Palermo.

DOMANDA - E questo è un esempio, poi?

RISPOSTA - Il secondo esempio che io personalmente ho chiesto l'elevazione di due piani su una costruzione che stavo facendo insieme ad un tale Annaloro, cosa che mi fu accordata per suo interessamento, e a quell'epoca l'assessore...

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Che significa la costruzione di due piani?

RISPOSTA - Era stata concessa la licenza per esempio di arrivare a 8 piani ed invece poi avevo chiesto il favore di arrivare a 10 piani, e mi è stato concesso.

DOMANDA - Ricorda...?

RISPOSTA - Un'altra, io non ho preso parte in questa, è una zona di Palermo, che era una villa detta Duca d'Orléans che fu trasformata interamente da verde ad area edificabile, e questa era una concessione che veniva fatta ad Antonino Sorci, ad un tale che si chiamava Rosario Mancino ed altri.

DOMANDA - Sorci e Mancino erano uomini d'onore?

RISPOSTA - Erano uomini d'onore tutti e due. Mancino era uomo d'onore a Brancaccio, nella famiglia di Gioacchino Pennino e Sorci era rappresentante, lui, della famiglia di Villagrazia.

DOMANDA - E chi è che fece questo favore?

RISPOSTA - Lima, era il Sindaco.

Il collaboratore di giustizia ha altresì specificato di avere inviato una "lettera di accompagnamento" per Carlo Gambino e Joe Bonanno in occasione di un viaggio di Salvo Lima (allora Sindaco di Palermo) negli Stati Uniti; sul punto, il Buscetta ha riferito quanto segue:

DOMANDA - Lei sa se l'onorevole Lima si recò mai negli Stati Uniti?

RISPOSTA - Sì.

DOMANDA - E come lo sa lei?

RISPOSTA - Io ho fatto una lettera, se così posso chiamarla, di accompagnamento, perché lui dovendosi recare negli Stati Uniti se poteva essere accolto da gente del posto. Io feci una lettera per Carlo Gambino e Jo Bonanno, che avevo conosciuto. Jo Bonanno l'avevo conosciuto nel 1957, mentre Carlo Gambino non l'avevo mai conosciuto, ma avevo conosciuto i fratelli di Carlo Gambino che si chiamavano Paolo e Giuseppe Gambino. Avevo questa conoscenza diretta perché abitando a corso Liguzza a Palermo, non ricordo più il piano dove io abitavo, ma mettendo che io abitavo al secondo piano, al terzo piano abitava la sorella di Carlo Gambino, sposata a Palermo con un uomo d'onore della famiglia del Borgo.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Chi era questo Carlo Gambino?

RISPOSTA - Carlo Gambino era il rappresentante della famiglia palermitana di New York.

DOMANDA - Perché questa lettera di accompagnamento, quale scopo, che funzione aveva?

RISPOSTA - La funzione di essere accompagnato in vari posti e sapere, avere qualcuno che poteva indicare, ma io so che loro, a detta dello stesso Sindaco di allora, avevano avuto accoglienze molto festose negli Stati Uniti.

DOMANDA - Cioè Lima aveva avuto accoglienze festose? RISPOSTA - Sì, e al ritorno mi aveva ringraziato.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE - In quel periodo era Sindaco?

RISPOSTA - Sì, era sindaco in quel periodo.

Le affermazioni del Buscetta trovano specifica conferma in numerosi elementi di convincimento.

Il rapporto di conoscenza e di amicizia tra il Buscetta e l’on. Lima, e l’importanza che il predetto uomo politico vi attribuiva (qualificando il Buscetta come "uno che conta"), emergono chiaramente dalle dichiarazioni rese, davanti al P.M. di Roma ed al P.M. di Palermo, dall’on. Franco Evangelisti (le cui deposizioni sono state acquisite al fascicolo del dibattimento come atti irripetibili, a seguito del decesso del dichiarante).

Infatti l’on. Evangelisti, nel verbale di esame di persona informata sui fatti reso il 28 maggio 1993 davanti al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, affermò quanto segue: "ero legato da profonda amicizia con Salvo LIMA e mai avrei sospettato che potesse essere legato a mafiosi. L’unica cosa che ora mi viene in mente è che una volta LIMA mi disse di conoscere bene BUSCETTA e che questi era democristiano.

(…) LIMA mi disse che BUSCETTA era stato iscritto nei gruppi giovanili democristiani".

Nel verbale di assunzione di informazioni del 1° luglio 1993, davanti al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, l’on. Evangelisti precisò: "confermo, altresì, che Salvo LIMA mi disse – una volta – di conoscere BUSCETTA Tommaso e che quest’ultimo era stato iscritto ai gruppi giovanili della Democrazia Cristiana.

Quando io chiesi a Salvo LIMA che cosa pensasse di BUSCETTA egli disse: "è un mio amico, è uno che conta". LIMA non aggiunse altro; egli era uno che parlava poco, anzi si può dire che parlava con le sopracciglia (…) preciso che io chiesi a Salvo LIMA "non cosa pensasse di BUSCETTA, ma chi fosse BUSCETTA". ".

Il legame tra l’on. Lima ed il Buscetta era emerso anche nel corso dell’istruttoria del c.d. maxiprocesso. Infatti il teste Mario Cammarata, escusso in data 24 giugno 1986 dal giudice istruttore dott. Giovanni Falcone, dichiarò di avere incontrato Tommaso Buscetta in un ricevimento tenutosi presso la villa di Salvo Lima, sita a Mondello, in occasione di una campagna elettorale, e di essersi quindi allontanato, poiché l'ambiente non era di suo gradimento (cfr. la deposizione testimoniale resa dall’isp. Salvatore Bonferraro all’udienza del 22 maggio 1996).

Le risultanze dell’istruttoria dibattimentale hanno consentito di acquisire diversi elementi che forniscono univoco riscontro alle dichiarazioni rese dal Buscetta in ordine alle tre specifiche ipotesi di condotte illegittime attuate da Salvo Lima, mentre era Sindaco di Palermo, in favore di "uomini d’onore".

Infatti, per quanto attiene al primo episodio di favoritismo (consistente nell’interessamento del Sindaco Lima per la trasformazione da "zona verde" ad "area edificabile" di un terreno sito a Palermo "alla fine della via Libertà", poi venduto dal Buscetta e da Salvatore La Barbera al costruttore Salvatore Moncada), dalla deposizione testimoniale resa dall’isp. Brigida Mangiaracina all’udienza del 22 maggio 1996 si desume che l’imprenditore edile Salvatore Moncada, indicato come mafioso dal collaboratore di giustizia Leonardo Vitale, instaurò rapporti di affari con Salvatore La Barbera. Quest’ultimo utilizzava alcuni locali del Moncada come garage per i propri automezzi. Il Moncada scrisse, in data 30 ottobre 1953, una lettera indirizzata alla Questura di Palermo, con cui rappresentava la figura di Salvatore La Barbera (che doveva presentarsi davanti alla Commissione provinciale per l'assegnazione al confino di polizia) come quella di un onesto lavoratore. Nel corso delle indagini esperite a seguito della scomparsa di Salvatore La Barbera nel 1963, all’interno dell'autovettura semidistrutta di costui venne rinvenuta un'agendina tascabile contenente anche i numeri telefonici del Moncada. Nell’ottobre del 1960 il Moncada acquistò da Amedeo Chiaramonte Bordonaro di Gebbiarossa un terreno, attualmente occupato dallo stabile sito a Palermo in via Brigata Verona n.6 all’angolo con via Sicilia n.12. Tale immobile fu costruito dal Moncada, il quale ottenne la relativa licenza edilizia anche se nel terreno erano comprese alcune particelle destinate a verde pubblico ed una particella destinata per la maggior parte ad edificio monumentale e per il resto a verde pubblico. All’epoca Salvo Lima era Sindaco di Palermo e Vito Ciancimino era Assessore comunale ai lavori pubblici.

L’ubicazione dell’immobile (sito nelle vicinanze del tratto finale di via Libertà), la carica allora ricoperta da Salvo Lima, il significato sostanziale dell’intervento dell’amministrazione comunale (concretatosi nel riconoscimento della facoltà di edificare in relazione ad un’area per cui sussisteva una, sia pure parziale, destinazione a verde pubblico) e l’individuazione del destinatario finale del beneficio, corrispondono alle indicazioni fornite dal Buscetta.

L’unico dato che non ha ricevuto conferma in elementi estrinseci è costituito dalla riferita originaria titolarità dell’immobile in capo al Buscetta ed a Salvatore La Barbera, poiché il terreno risulta essere stato ceduto direttamente dal Chiaramente Bordonaro al Moncada. Può tuttavia rilevarsi che il Buscetta e Salvatore La Barbera, notoriamente inseriti nell’organizzazione mafiosa, erano interessati a non fare risultare ufficialmente la loro partecipazione alla vicenda traslativa riguardante l’immobile, evitando di intestare il terreno a proprio nome, secondo una prassi abituale per gli aderenti all’illecito sodalizio. E’, poi, appena il caso di osservare come fosse estremamente agevole, per due esponenti di spicco di "Cosa Nostra", avvalersi di molteplici forme di interposizione fittizia o comunque di occultamento della loro cointeressenza nell’affare.

La circostanza che notoriamente Salvo Lima agevolasse in modo illegittimo il Moncada nella sua attività di imprenditore edile trova conferma nelle seguenti dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo all’udienza del 30 maggio 1996: "i palermitani sanno che per costruire a Palermo e in certe aree ci sono stati diciamo magari dei palazzi che si poteva costruire al settimo piano, al dodicesimo piano. C'erano dei mafiosi fin d'allora, tipo il La Barbera, Salvatore Moncada ed altri, i Graziano, che questi erano mafiosi che purtroppo costruivano grazie diciamo all'intervento dell'On. Lima per cui per esempio in un area dove magari si poteva costruire fino al quinto piano, però con l'interessamento dell'On. Lima allora Sindaco Lima si poteva costruire fino a undicesimo piano".

Il secondo episodio di favoritismo menzionato dal Buscetta (e cioè l’interessamento di Salvo Lima per l’attribuzione della facoltà di edificare ulteriori elevazioni su un immobile nella cui costruzione erano impegnati lo stesso Buscetta e l’Annaloro) ha trovato preciso riscontro nelle dichiarazioni rese dal costruttore Giuseppe Annaloro nel procedimento penale a carico di Angelo La Barbera ed altri 116 imputati, conclusosi con la sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro (acquisita al fascicolo per il dibattimento).

L’Annaloro, infatti, nell’esame testimoniale reso il 28 novembre 1963 davanti al Giudice istruttore presso il Tribunale di Palermo dott. Cesare Terranova, dichiarò quanto segue:

"Buscetta Vincenzo volle partecipare con me alla costruzione di un edificio in Via Cirrincione angolo Via Sampolo. (…) Avevo presentato al comune il relativo progetto per la costruzione di un edificio di sette piani oltre l’attico. L’approvazione era stata concessa per un edificio di sei piani oltre l’attico perché nelle more era intervenuto un provvedimento dell’amministrazione comunale con cui la zona prima intensa veniva dichiarata semi intensa. Poiché mi ero reso conto che Buscetta Tommaso certamente per motivi elettorali era in rapporto con personalità politiche locali, mi rivolsi a lui perché cercasse di farmi ottenere l’approvazione integrale del progetto.

(…) Avevo visto una volta Buscetta Tommaso parlare col Sindaco Lima davanti l’abitazione di costui in via Marchese di Villabianca, lo avevo visto inoltre in compagnia dell’On/le Gioia e dell’On/le Barbaccia, anzi a quest’ultimo fui presentato dallo stesso Buscetta allorché volevo farmi operare di tonsille. Il predetto On/le Barbaccia in quella occasione era in compagnia di uno zio, di cui non ricordo il nome, compare del Buscetta. Buscetta Tommaso inoltre si vantava spesso e si compiaceva delle sue relazioni altolocate oltre che con personalità locali anche con personalità di Roma. Una volta ebbe a dirmi di essere amico degli On/li Andreotti e Scelba.

Per l’approvazione del progetto che venne effettivamente approvato integralmente in un secondo tempo mi rivolsi anche ad un mio amico a nome Villasevaglios, impiegato del Banco di Sicilia, collega del Sindaco Lima e con costui in buoni rapporti, nonché al Rag. Mostacci, impiegato all’Ufficio dei vigili urbani, acquirente di un appartamento, il quale si offerse spontaneamente di aiutarmi. Ottenuta l’approvazione Buscetta Tommaso mi chiese di vendergli due appartamenti al settimo piano e mi offrì la somma di L. 13 milioni. Accettata la proposta mi disse che mi avrebbe pagato solo L. 8 milioni trattenendo L. 5 milioni a titolo di compenso per l’approvazione del progetto (…) Tale somma a suo dire era destinata anche agli "amici" del comune senza però che in proposito facesse alcun nome".

Nel successivo esame testimoniale reso il 9 dicembre 1963 davanti al Giudice istruttore presso il Tribunale di Palermo dott. Cesare Terranova, l’Annaloro aggiunse:

"ripetutamente Buscetta Tommaso a parte quanto io stesso ebbi a constatare (…) ebbe a parlarmi dei suoi amichevoli rapporti con l’On/le Gioia e col Sindaco Lima. Sono convinto in proposito della veridicità di Buscetta Tommaso perché una volta lo vidi passeggiare con l’On/le Gioia tenendolo sotto braccio. Non conoscevo il predetto parlamentare e fu lo stesso Buscetta a dirmi poi che si trattava di detto On/le Gioia. Per quanto riguarda il Sindaco Lima li vidi parlare insieme. Ritengo invece che Buscetta Tommaso si sia vantato senza alcun fondamento della conoscenza degli On/li Andreotti e Scelba. Per quanto riguarda costoro, una volta, tornando da Roma, mi disse di essere stato con loro a pranzo".

Dalla deposizione testimoniale resa dall’isp. Brigida Mangiaracina all’udienza del 22 maggio 1996 si evince che l’istanza tendente all’aggiunta del piano ammezzato e del settimo piano era stata presentata nell’agosto 1961 dall’Annaloro (al quale nel marzo dello stesso anno era stata rilasciata una licenza che lo autorizzava alla costruzione di uno stabile composto da scantinato, piano terra, 6 piani elevati). Benché tale richiesta non fosse conforme alle previsioni del regolamento edilizio, la Commissione Edile del Comune di Palermo il giorno successivo alla presentazione dell’istanza espresse parere favorevole, ponendo talune condizioni; venne quindi rilasciata al predetto costruttore la licenza riguardante l'aggiunta del piano ammezzato e del settimo piano.

La sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro assolse, per insufficienza di prove, Tommaso Buscetta dall’imputazione di concorso in estorsione continuata (consistente nell’avere costretto Giuseppe Annaloro a cedergli, per l’importo di L.5.000.000, due appartamenti del valore di oltre 10.000.000), ma affermò la sua responsabilità penale in ordine al reato di associazione per delinquere, evidenziando quanto segue: "Buscetta Tommaso, intromessosi con autorevole malefica influenza negli affari commerciali del fratello Buscetta Vincenzo, fabbricante di vetri, ha fatto sentire il timore del suo prestigio di mafioso al costruttore Annaloro Giuseppe. Quest’ultimo ha chiarito di aver compensato Buscetta Tommaso con la somma di cinque milioni per avere ottenuto l’approvazione di un progetto edilizio per l’autorevole intercessione dell’imputato presso il Sindaco del Comune di Palermo dell’epoca nonchè di alcuni parlamentari secondo quanto lo stesso imputato aveva riferito all’Annaloro, spiegando che quel compenso egli aveva versato a suoi amici".

Nella medesima pronunzia, inoltre, si rilevò la carenza di prova in ordine al rapporto societario tra l’Annaloro ed i fratelli Tommaso e Vincenzo Buscetta, ma si aggiunse: "non può però escludersi che gli stessi abbiano potuto operare congiuntamente, di fatto, in affari poi conclusisi, secondo l’assunto dell’Annaloro in dibattimento, con un danno per quest’ultimo, valutato in lire 3.200.000, ch’egli avrebbe dovuto accollarsi pro bono pacis onde evitare conseguenza per lui più dannose.

Deve ammettersi che la narrazione dell’Annaloro relativa ai rapporti di affari avuti con i fratelli Buscetta, ha, attesa la dovizia di circostanze fornite, un apparente fondamento di verità. L’esistenza di quei rapporti comuni risulta implicitamente ammessa dallo stesso imputato Buscetta Vincenzo il quale ne ha solo contestato le lamentate irregolarità".

Dalla sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro si trae, dunque, puntuale conferma proprio del fatto che l’Annaloro aveva corrisposto la somma di £. 5.000.000 per ottenere l’approvazione di un progetto edilizio attraverso l’intercessione del Buscetta presso il Sindaco del Comune di Palermo e presso alcuni parlamentari.

Il terzo comportamento di illecito favoritismo (cioè quello che, secondo le affermazioni del Buscetta, fu realizzato da Salvo Lima nei confronti di Antonino Sorci, Rosario Mancino ed altri, in relazione al mutamento di destinazione urbanistica della villa "Duca d'Orléans" di Palermo) ha trovato conferma nelle seguenti dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino in ordine al coinvolgimento del Lima, del Sorci e di altri soggetti in una speculazione edilizia riguardante un terreno sito nei pressi della Villa d'Orleans: "mi ha parlato di questo, credo, se non rammento male GIACINTO MAZZARA e mi disse, facendo il nome di GIOIA pure insieme a quello di LIMA, a quello di TOMMASO BUSCETTA, di mio zio, non rammento se fosse fatto anche quello dei fratelli LA BARBERA, che furono al centro di una speculazione a quell'epoca, che aveva, come oggetto, un terreno che era sito nei pressi della VILLA D'ORLEANS. Al centro di quella operazione c'era pure (…) un certo NINO SORCE detto "‘U RICCU", il ricco "'U RICCO", che io ho saputo essere uomo d'onore ma che non ho mai conosciuto. L'oggetto di questa speculazione, io non ne so con precisione i contenuti ma, trattandosi di un terreno doveva essere una speculazione edilizia. Mi disse proprio, in particolare, l'interlocutore che me ne parlò, mi disse: ci avevano tanto denaro e di stancavano di contarlo, in contanti. Ecco questo il particolare che rammento. Non so dire altro o in merito perché non mi è stato riferito nè avevo interesse a chiedere".

Nella sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro si specificò che Rosario Mancino aveva "impiegato forti somme per l’acquisto di suoli edificatori (lire 14 milioni per Ha. 14 di terreno nella villa d’Orleans…)" ed aveva reso dichiarazioni del seguente contenuto: "Angelo La Barbera, versando circa dieci milioni e conferendo materiale, costruì in società col Mancino numerosi appartamenti sul terreno che questi aveva acquistato nella Villa d’Orleans".

Gli stretti rapporti instaurati da Salvo Lima, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, con i fratelli La Barbera, Ferdinando Brandaleone, Gioacchino Pennino (zio dell’omonino collaboratore di giustizia) e Tommaso Buscetta, e la partecipazione degli ultimi due soggetti ad una delicata riunione di carattere politico svoltasi presso l’abitazione del Lima, sono desumibili dalle seguenti dichiarazioni rese dal collaborante Gioacchino Pennino all’udienza del 15 dicembre 1996:

PENNINO G.: (…) la mia famiglia dal 1956 cominciò a votare per la Democrazia Cristiana, in quanto un mio cugino acquisito il Dottor FRANCESCO BARBACCIA, acquisito in quanto aveva sposato la figlia di una sorella di mio padre fu candidato alle elezione comunali su invito di mio zio GIOACCHINO PENNINO e di SALVO LIMA. Fu candidato alla Democrazia Cristiana alle elezioni comunali del 1956, risultando primo eletto. Appunto in quell'occasione io cominciai avere rapporti con l'ambiente della Democrazia Cristiana, fu in quell'occasione che ebbi a conoscere anche LIMA, fu in quell'occasione che ebbi anche a conoscere mi rammento, BRANDALEONE, FERDINANDO BRANDALEONE e noi ci operammo tutti per le elezioni di mio cugino che fu il primo eletto, successivamente lo stesso cugino nel '58 fu candidato alle elezioni nazionali e venne eletto, mentre dal '63 non risultò eletto però poi subentrò ad un parlamentare che decedette, e credo che fosse l'Onorevole ALDISIO, e quindi cominciai non ad essere attivista diretto, ma a occuparmi della Democrazia Cristiana. Questi rapporti e questa gravitazione nel mondo della Democrazia Cristiana aumentarono soprattutto alla fine degli anni '50, quando... mentre io frequentavo il tiro a volo avevo una amicizia particolare con... allora avvocato e poi senatore GIUSEPPE CERAMI. Lo stesso era socio del Circolo della Stampa e questo fatto era risaputo anche dagli altri frequentatori, quindi dal BUSCETTA, (...) da mio zio GIOACCHINO, per cui un giorno fui invitato a casa dell'Onorevole SALVO LIMA che allora abitava in un palazzo costruito dal Banco di Sicilia, che era sito tra la Via Lazio e il Verde Terrasi, il Verde Terrasi esattamente dovrebbe essere o la continuazione del Viale Piemonte o l'inizio del Viale Campania (…). In quell'occasione io fui invitato per il rapporto di amicizia, anche se c'era una differenza di età fra me e PIPPO CERAMI, fui invitato a casa del predetto (…) LIMA, dove c'erano mio zio GIOACCHINO e TOMMASO BUSCETTA, l'oggetto di quell'invito era politico. Si desiderava che il CERAMI non entrasse in giunta, perché CERAMI non faceva parte del grosso correntone cui aderiva la maggior parte degli operatori della DC di allora il correntone di fanfaniano, faceva parte del gruppo FASINO del gruppo FASINO, e allora si voleva convincere il CERAMI e poi tramite il CERAMI anche ERNESTO DI FRESCO a non entrare in giunta, se non rammento male, invece gli stessi entrarono nella Giunta, quindi era per motivi politici questa riunione. Successivamente FERDINANDO BRANDALEONE che con...

PRESIDENTE: la Giunta da chi era presieduta?

PENNINO G.: no, questo non lo so, non le saprei dire, io presumo...

PRESIDENTE: però in che anni siamo?

PENNINO G.: siamo sempre fine anni '50, vicino al '60. Io non rammento se fosse presieduto allo stesso LIMA perché LIMA era subentrato ad un Sindaco che era deceduto se non rammento male, però mi allaccio proprio a questo mio dire, perché FERDINANDO BRANDALEONE che aveva nei confronti di mio zio e lo stesso LIMA, dei rapporti di affinità sul piano politico e sul piano personale insieme a MASINO BUSCETTA e i fratelli LA BARBERA, FERDINANDO BRANDALEONE mi ebbe a invitare negli anni... proprio nel '60 a frequentare una sezione della DC che allora aveva i locali fra la VIA ROSOLINO PILO e la VIA RUGGERO VII°, questa sezione fungeva da comitato elettorale per il LIMA che si riproponeva nella veste di Sindaco alle elezione che si erano indette nel... che erano state indette nel '60, e là io ebbi modo di conoscere e frequentare numerosi personaggi che poi ebbero delle affermazione dalla Democrazia Cristiana, fra questi mi ha dato ricordare MURATORE GIACOMINO che poi fu consigliere regionale eh..., era assessore regionale rammento agli enti locali, il senatore RIGGIO, NINO RIGGIO che fu..., era intimo amico mio, fu prima Presidente della provincia e poi Senatore, il defunto MICHELE REINA che fu Presidente della provincia e poi Segretario Provinciale della DC, e PAOLINO BEVILACQUA che era medico e mio collega, che fu Sindaco di Palermo e Senatore, mi rammento di MATTA e così tanti altri, del fratelli di BRANDALEONE che mi sempre si chiamasse GIUSEPPE e che fu candidato a quelle elezione, fu eletto e poi disgraziatamente si suicidò, in quel contesto non..., invece non ebbi mai l'occasione d'incontrare l'Onorevole GIOIA in quell'epoca.

Il Pennino ha inoltre riferito di avere preso parte, su invito di Ferdinando Brandaleone, a due riunioni tenute in zone periferiche di Palermo: una riunione che si svolse presso una Sezione della Democrazia Cristiana sita nella borgata della "Rocca", con la partecipazione, tra gli altri, dei fratelli La Barbera, del Buscetta, dei fratelli Mancino, e dello zio del collaborante, giunti sul luogo al seguito di Salvo Lima; ed un’altra riunione che si tenne nella borgata di Croceverde-Giardini, presso l’abitazione di Piddu Greco ‘u tenente (padre di Michele e Salvatore Greco), con la presenza dei suddetti individui e di Nicola Greco.

Il Pennino ha confermato la qualità di "uomini d’onore" di Ferdinando Brandaleone e di Francesco Barbaccia, ed ha aggiunto di essere stato invitato da Gioacchino Testa e Giacinto Mazzara – i quali agivano in nome e per conto dello zio del collaborante, di Ferdinando Brandaleone e di Salvo Lima – a candidarsi alle elezioni provinciali del 1960. Avendo egli rifiutato la proposta, vennero candidati, al suo posto, alcuni suoi parenti, tra cui Giovanni Di Giuseppe, appartenente alla "famiglia" di Brancaccio.

Le dichiarazioni rese dal Pennino sull’argomento sono di seguito trascritte:

PENNINO G.: In quell'epoca fui invitato a un paio di riunioni che si svolgevano nelle borgate di Palermo, proprio su invito di FERDINANDO BRANDALEONE, FERDINANDO BRANDALEONE e difatti mi rammento che fui invitato alla Rocca, la Rocca è una borgata alla periferia di Palermo prima di arrivare a Monreale dove c'era una sezione della DC, io la potei notare per quello che mi ha dato rammentare che arrivarono numerose macchina (…) di "codazzo", al seguito di LIMA e di FERDINANDO BRANDALEONE con cui io parlavo di norma, e fra gli altri c'erano i fratelli MANCINO, i fratelli LA BARBERA, mio zio, TOMMASO BUSCETTA, rammento che in loco c'erano due persone che gravitavano nell'ambiente del Circolo della Stampa, un certo GIOACCHINO TESTA e un certo RIZZO. Anzi a proposito del RIZZO debbo dire che era gestore di un bar che era proprio a Piazza Rocca si trovava.

P.M. SCARP.: Piazza?

PENNINO G.: Piazza Rocca del Corso Calatafimi in fondo, e in quell'occasione alla locale sezione queste persone che avevano un modo di proporsi all'esterno particolare, rammento che SARO MANCINO aveva un grosso sigaro avana, te lo mostrava con esibizionismo e con proposizione arrogante all'esterno...

PRESIDENTE: questo MANCINO chi era?

PENNINO G.: ROSARIO MANCINO era un amico di mio zio, un amico di BRANDALEONE e un amico di LIMA, col fratello molto vicino per rapporti di affinità agli stessi, nessuno mi ha mai detto che fosse uomo d'onore.

PRESIDENTE: e l'altro come si chiamava?... L'altro fratello?

PENNINO G.: ENZO, VINCENZO. Poi c'era un terzo fratello dei MANCINO che frequentava invece il tiro a volo.

PRESIDENTE: quindi questi MANCINO erano uomini d'onore o no?

PENNINO G.: a me non è stato mai partecipato da nessuno che fossero uomini d'onore e non posso dire, anche se presumo che lo potessero essere dato le loro frequentazione e dato il modo di comportarsi. Mentre i fratelli LA BARBERA ANGELO e SALVATORE io ho saputo successivamente che erano uomini d'onore, così come FERDINANDO BRANDALEONE, anche se faceva politica era uomo d'onore, così come TOMMASO BUSCETTA così come anche il... il TESTA GIOACCHINO, del RIZZO non so dire se fosse uomo d'onore o meno, tutta questa gente...

P.M. SCARP.: e il Dottore FRANCESCO BARBACCIA?

PENNINO G.: era uomo d'onore nella "famiglia" di BADALAMENTI. Nella sezione questa gente, mentre LIMA parlava, mentre veniva presentato agli altri, praticamente gli accompagnavano al predetto ed esibivano la loro presenza la esibivano in maniera manifesta con proposizione precisa, erano conosciuti sicuramente da molti locali era questo scomportamento di questo gruppo. Successivamente fui anche invitato ad una riunione che si svolse a Croce Verde Giardini a casa del defunto PIDDU GRECO, GRECO PIDDU è... dovrebbe essere il... il diminuitivo di GIUSEPPE, ma di questo non sono sicuro, era il padre di MICHELE e SALVATORE GRECO che se non rammento male aveva... era soprannominato il "TENENTE", se non rammento male, mi sembra di avere sentito PIDDU 'U TENENTE però di questo è un ricordo vago, Presidente vago. In quella casa oltre questo predetto "codazzo" mi rammento che c'erano anche presenti un certo GRECO "altissimo"...

PRESIDENTE: predetto "codazzo" che significa, che c'erano le stesse persone che erano in quella riunione alla Rocca?

PENNINO G.: esattamente, eccetto... il "codazzo" di quelli che arrivarono e al seguito di SALVO LIMA di FERDINANDO BRANDALEONE non il RIZZO ed il GIOACCHINO TESTA che aspettavano localmente, era sempre questa compagnia che si.... e insieme a questi rammento che c'era anche un certo ARTURO VITRANO che era frequentato pure del Circolo della Stampa, mi rammento perché era un giovane alto, aitante e possente e uno dei GRECO esattamente il COLA lungo che era anch'esso aitante e che lo chiamavano COLA GRECO, alto e aitante di questo rammento. Ho avuto sentore che ci sono state numerose riunioni di questo tipo in altre borgate e luoghi della città, ma io non ho presenziato, quindi non posso dire altro in merito. Successivamente alle elezioni comunali seguirono le elezioni provinciali.

PRESIDENTE: siamo sempre?

PENNINO G.: 1960 (…) allora in quel contesto vennero a casa mia proprio due appartenenti a quel gruppo il predetto TESTA e un certo GIACINTO MAZZARA (…), a venirmi a proporre a nome di mio zio, di FERDINANDO BRANDALEONE e di LIMA di candidarmi a queste elezioni, io prima perché nel '60 non ancora non ero laureato e quindi non potevo assolutamente dedicarmi a questa attività, anche se è remunerata, anche se poteva rappresentare per un giovane un motivo di compiacimento e di ambizione e poi perché non mi piacevano quei due personaggi che erano portatori di una ambasciata da parte di un mondo che io non accettavo in cuor mio, per cui rifiutai l'offerta, a mio posto vennero canditati dei miei parenti fra cui un altro medico il Dottor LO VERDE SALVATORE che fu poi eletto consigliere provinciale, venne candidato anche un altro mio parente GIOVANNI DI GIUSEPPE che poi io seppi essere anche lui uomo d'onore (…), era figlio di una sorella di mio padre, che poi io ho saputo successivamente essere uomo d'onore perché mi è stato presentato uomo d'onore della "famiglia" di BRANCACCIO, ambedue insieme al fratello di CICCIO BARBACCIA, LUIGI BARBACCIA anch'egli medico furono eletti tutti e tre come consigliere provinciale.

(…)

P.M. SCARP.: (…) la domanda era: se c'erano interferenze di "COSA NOSTRA" nella vita delle sezioni della DEMOCRAZIA CRISTIANA e nello svolgimento dei congressi provinciali della DEMOCRAZIA CRISTIANA e in genere la vita delle correnti e del partito.

PENNINO G.: eh, eh, appunto. Glielo debbo anche aggiungere alcune cose. C'erano anche delle correnti. Addirittura (...) dei personaggi che erano aderenti a "COSA NOSTRA" che addirittura facevano parte del partito, alla segreteria provinciale. All'uopo cito FERDINANDO BRANDALEONE, uomo d'onore, FRANCESCO MINEO dott. FRANCESCO MINEO di BAGHERIA che faceva parte del Comitato Provinciale della DEMOCRAZIA CRISTIANA. (…) il dottore FRANCESCO MINEO (…) era nella DEMOCRAZIA CRISTIANA del gruppo andreottiano

(…)

P.M. SCARP.: specificando per ciascuno di questi nominativi se è possibile chi le disse che erano uomini d'onore?

PENNINO G.: per esempio FERDINANDO BRANDALEONE, io conosco, l'ho conosciuto dagli anni... nei primi anni '60 addirittura '50, FERDINANDO BRANDALEONE mi fu detto da GIOVANNI LO IACONO che apparteneva a una "famiglia" mafiosa di Palermo, non mi si specificò la "famiglia", e poi me lo disse anche MINEO, lo dissero altri. Me lo disse MINEO, me lo dissero altri, per esempio il dottore SORCE ANTONINO, che io ho conosciuto perché era medico, e che avrebbe fatto politica nel PARTITO MONARCHICO e forse anche nella DEMOCRAZIA CRISTIANA, mi fu detto da GIACINTO MAZZARA, rammento che era suo cliente, da un suo parente CICCIO SORCE che era uomo d'onore, e dallo stesso LO IACONO, PICONE, quello, quella persona, quel medico di cui ho parlato presidente alla Cassa di Soccorso all'AMAP, mi fu riferito appunto da LO IACONO che faceva parte, che faceva... era uomo d'onore

(…)

P.M. SCARP.: senta, tra gli uomini politici e uomini d'onore, e tra gli uomini d'onore in genere, quali erano quelli vicino a SALVO LIMA, con i quali SALVO LIMA aveva un rapporti di frequentazione, di conoscenza di amicizia?

PENNINO G.: eh, i due cugini, SALVO, FERDINANDO BRANDALEONE e MINEO FRANCESCO, quelli che mi ha dato conoscere a me.

(…)

AVV. SBACCHI: (…) Senta, lei che rapporti aveva con BRANDALEONE?

PENNINO G.: rapporti...

AVV. SBACCHI: FERDINANDO lei ha detto.

PENNINO G.: ...di stima e di cordialità.

AVV. SBACCHI: stima e cordi... cioè...

PENNINO G.: anche perché, anche perché avevamo la differenza di età considerevole fra me e FERDINANDO BRANDALEONE, che risalgono alla lontana fine degli anni '50 e che poi nel tempo si sono, si sono sempre prolungati tent'è che io nella sezione di Via Rosolino Pilo ho conosciuto, non so se me lo presentò anche il fratello GIUSEPPE che mi sembra che fosse insegnante di scuola o qualcosa del genere che si candidò pure alle comunali e che poi si suicidò poveraccio, poi (…) ho sentito parlare anche da LO IACONO, da GIOVANNI LO IACONO il coassociato del padre di FERDINANDO BRANDALEONE che si chiamava CARLO e (...) a dire del BRANDALEONE era anch'egli uomo d'onore di una "famiglia" di Palermo di cui non so precisare una cosa, non so precisare esattamente e fra l'altro che il BRANDALEONE era anche nella stessa "famiglia" (…) del defunto Assessore nella DC TRAPANI che era un proprietario di una fabbrica di birra, qualcosa del genere che era pure uomo d'onore nella stessa "famiglia".

AVV. SBACCHI: mi scusi quindi lei si frequentava con FERDINANDO BRANDALEONE, questo intendevo.

PENNINO G.: gliel'ho detto i rapporti cordiali ne che io... non ero amico perché non avevo frequentazione, c'era uno scarto di età e anche di ambienti (…), che io frequentavo i miei coetanei, frequentavo i professionisti i medici, era uno scarto generazionale, quindi era di grande rispetto, li incontravo sempre, ho sempre sentito parlare di lui nell'ambito della politica e di "COSA NOSTRA", come una persona di grande rispetto...

I contatti intercorsi tra Salvo Lima ed i fratelli La Barbera (ed, in generale, con i più importanti esponenti di "Cosa Nostra") sono stati confermati anche dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, il quale ha riferito quanto segue:

P.M.: Durante la sua permanenza in Cosa Nostra ha avuto per caso modo di apprendere notizie sul conto dell'Onorevole Salvo Lima e in caso positivo quali notizie ha appreso?

MUTOLO G.: Guardi, quello che io ho appreso dell'Onorevole Salvo Lima in seno a Cosa Nostra erano le conversazioni che si facevano che Salvo Lima era da moltissimi tempi, diciamo, in stretto contatto con esponenti di Cosa Nostra in quanto nel lontano 1950, 1960, c'erano a Palermo i fratelli La Barbera. Da lì insomma l'On. Salvo Lima ha avuto sempre i rapporti con i componenti più importanti di Cosa Nostra.

P.M.: Scusi, i fratelli La Barbera, vuole indicare i nomi dei fratelli La Barbera?

MUTOLO G.: Uno si chiamava Salvatore che è scomparso e un altro si chiamava Angelo che è stato ucciso in un carcere di Napoli. Erano diciamo i capi famiglia e il capo mandamento di Palermo centro. Erano persone di Partanna Mondello, erano molto legate diciamo alla famiglia dei Riccobono, del fratello Pino che è stato ucciso, insomma, c'era uno stretto legame quindi erano persone che Riccobono sempre ricordava anche quando è stato ucciso Angelo in galera che si commentava che una morte in quella maniera non era giusto insomma che un personaggio del genere potesse fare.

P.M.: Lei ha detto: "si diceva" o qualcosa del genere o "ho sentito parlare dei rapporti tra l'On. Lima e Cosa Nostra" Vuole riferire al Tribunale da chi ha sentito queste notizie e in che occasioni, se per caso è in grado di ricordarlo?

MUTOLO G.: Guardi, le occasioni erano tante, i personaggi che io ne ho sentito parlare molto frequentemente diciamo riallacciandomi ai periodi prima dell'80 erano Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Riccobono, Badalamenti, insomma, il cognato di Stefano Bontate, un certo Vitale che era un massone, insomma, ma tanti altri, non era un segreto che l'On. Salvo Lima fosse in contatto con i mafiosi, perchè era diciamo nel nostro territorio, aveva un villino a Valdesi quindi era un personaggio che si muoveva sempre dentro casa nostra.

P.M.: Per quali motivi parlavate, se vi erano dei motivi particolari, dell'On. Salvo Lima tra voi uomini d'onore o comunque tra le persone delle quali lei ha ricordato i nomi pocanzi? Vi erano dei motivi?

MUTOLO G.: Guardi, le occasioni potevano essere per esempio che si parlava delle costruzioni che si facevano a Palermo perchè Mimmo Teresi in quel periodo è uno dei più grossi, diciamo, per personaggi, che costruiscono, che hanno delle società con i Bontate ed altre persone. Se ne parlava in casi diversi quando c'era da aggiustare qualche processo, quando c'era qualche cosa, qualche intervento che si doveva fare al Tribunale di Palermo, insomma, le occasioni erano diverse, insomma. (…) Ma sempre da personaggi importanti.

P.M.: Un attimo soltanto signor Mutolo, quindi lei ha fatto riferimento a due materie, diciamo, per le quali sentiva parlare dell'On. Lima in seno a Cosa Nostra, licenze edilizie, motivi di costruzione e processi. Se vuole riferire, se è in grado di farlo, con maggiore determinatezza al Tribunale episodi concernenti la vita amministrativa del Comune di Palermo e quindi le licenze edilizie e poi passare a quello che ha definito l'aggiustamento dei processi. Quindi cominciamo con le licenze edilizie e la vita amministrativa in genere se è in grado di dire più analiticamente qualche cosa al riguardo.

MUTOLO G.: Guardi signor giudice, lei che è palermitano o i palermitani sanno che per costruire a Palermo e in certe aree ci sono stati diciamo magari dei palazzi che si poteva costruire al settimo piano, al dodicesimo piano. C'erano dei mafiosi fin d'allora, tipo il La Barbera, Salvatore Moncada ed altri, i Graziano, che questi erano mafiosi che purtroppo costruivano grazie diciamo all'intervento dell'On. Lima per cui per esempio in un area dove magari si poteva costruire fino al quinto piano, però con l'interessamento dell'On. Lima allora Sindaco Lima si poteva costruire fino a undicesimo piano e quindi i commenti erano questi insomma. (…)

La circostanza che il Mutolo abbia sentito parlare dei rapporti intercorrenti tra l’on. Lima e "Cosa Nostra" da una pluralità di esponenti mafiosi di primario rilievo (segnatamente, il Bontate, il Teresi, il Riccobono, il Badalamenti) rende evidente l’affidamento che l’illecito sodalizio riponeva nel predetto uomo politico.

L’intenso legame che univa Salvo Lima ad Angelo La Barbera non era, del resto, sfuggito all’attenzione degli organi giudiziari.

In particolare, il teste Bonferraro all’udienza del 22 maggio 1996 ha specificato che nella sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio emessa dal giudice istruttore presso il Tribunale di Palermo dott. Cesare Terranova in data 23 giugno 1964 a carico di Angelo La Barbera ed altri 42 imputati si evidenziava che il mafioso Vincenzo D'Accardi si era rivolto ad Angelo La Barbera per chiedergli una raccomandazione, sul presupposto che quest’ultimo conoscesse Salvo Lima, ed intrattenesse con lui rapporti tali da potere chiedergli favori.

Sul punto, nella sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro si rilevava quanto segue: "l’autorevolezza dei fratelli La Barbera emerge da una circostanza ammessa (udienza 4 dicembre 1967) dal La Barbera (Angelo: n.d.e.) secondo la quale egli aveva ricevuto da D’Accardi Vincenzo (il mafioso ucciso nell’aprile 1963) la richiesta di intercessione per fare assumere al lavoro un amico del D’Accardi presso il comune di Palermo; la richiesta venne passata al La Barbera Salvatore che il Sindaco dell’epoca, Lima, ammise di aver conosciuto".

Si sono, inoltre, già menzionate le ulteriori risultanze istruttorie confluite nel processo conclusosi con la sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro.

Dalle dichiarazioni del teste Bonferraro emergono anche altri elementi probatori che denotano la rilevanza dei rapporti intercorsi tra Salvo Lima e Salvatore La Barbera.

Precisamente, da una informativa del 4 febbraio 1963 si desumeva che Salvo Lima, Ferdinando Brandaleone e Salvatore La Barbera avevano alloggiato dal 9 al 12 gennaio del 1963 presso l’Hotel Mediterraneo di Roma.

Inoltre, da un'indagine svolta dal giudice istruttore del Tribunale di Palermo dott. Aldo Vigneri era emerso che l’esponente mafioso Gioè Imperiale, il quale aveva formulato un’istanza diretta ad ottenere la concessione di un distributore di un carburante, era entrato in contatto con Salvatore La Barbera, che gli aveva assicurato il proprio interessamento presso il Sindaco di Palermo per fargli ottenere questa concessione. Dalla deposizione dell’isp. Bonferraro e dalla documentazione acquisita si evince che:

- il Gioè Imperiale gestì nei primi anni '60 un distributore di carburanti unitamente a Salvatore La Barbera;

Gli stretti rapporti di collaborazione e di fiducia instauratisi tra Salvo Lima e Ferdinando Brandaleone sono altresì desumibili dalla deposizione resa all’udienza del 19 giugno 1996 dal teste on. Mario D’Acquisto, il quale ha esplicitato quanto segue:

D’ACQUISTO M.: Della vita organizzativa del partito c'era... se ne occupavano alcuni collaboratori nei quali Lima riponeva la massima fiducia, tra cui posso ricordare Nicola Graffagnini, Girolamo Di Benedetto, e altri, allora il senatore Nino Riggio, i fratelli Brandaleone.

P.M: Il nome dei fratelli Brandaleone, per piacere, lo vuole... se lo ricorda, lo vuole indicare?

D’ACQUISTO M.: Si, i fratelli Brandaleone erano due, uno si chiamava Giuseppe e l'altro Ferdinando.

Il teste D’Acquisto ha altresì affermato di avere preso parte, intorno alla fine degli anni ’50, ad una pluralità di riunioni di partito o manifestazioni politiche nelle quali erano presenti Gioacchino Pennino (zio dell’omonimo collaboratore di giustizia) e Tommaso Buscetta, e doveva certamente essere intervenuto anche Salvo Lima. In proposito, il teste ha reso le seguenti dichiarazioni:

P.M: Sempre con riferimento a quei suoi primi anni di attività, le pongo questa domanda. Ricorda per caso, di avere conosciuto, di avere incontrato in quegli anni Tommaso Buscetta.

D’ACQUISTO M.: Ho reso...

P.M: parliamo proprio dei primissimi anni '60, potremmo dire fino al 1963, ecco.

D’ACQUISTO M.: ma, penso, forse che questo ricordo risalga alla fine degli anni '50. Comunque, come ho già avuto modo di dire (…) in altra testimonianza, ricordo di avere incontrato, talvolta, nella sede della Democrazia Cristiana o in occasione di manifestazioni politiche organizzate...

P.M: Cortesemente, la sede della Democrazia Cristiana in qual momento, dove era ubicata, se riesce a ricordarlo?

D’ACQUISTO M.: Se non mi sbaglio era in via Principe di Belmonte, se non mi sbaglio.

P.M: In via Principe di Belmonte.

D’ACQUISTO M.: Se non mi sbaglio, ma è qui... bisognerebbe fare un riscontro di date, comunque, ripeto, nella sede delle Democrazia Cristiana o in manifestazioni pubbliche organizzate dalla Democrazia Cristiana ricordo di avere incontrato il signor Gioacchino Pennino, che non è l'attuale collaboratore di giustizia, ma credo che ne fosse lo zio, il quale, talvolta era accompagnato da un giovanissimo che, adesso, io ricostruisco da quello che ho letto sui giornali, che ho sentito dalle dichiarazioni dello stesso Buscetta che questo giovane dovesse essere proprio il Buscetta. Quindi non c'è stato mai un incontro personale, non c'è stata una conoscenza diretta però ho il ricordo di questa presenza, sia pure occasionale, della quale ho già riferito e continuo a riferire in questa sede.

P.M: Ciò avvenne quante volte, evidentemente con approssimazione dovuto al tempo trascorso?

D’ACQUISTO M.: Ma, sarà avvenuto... poche volte, senz'altro, 4 o 5 volte, (…) non posso definirlo perchè sono ricordi molto lontani e citati, adesso, dall'importanza dei processi che si stando conducendo, ma...

P.M: In queste occasioni, nel corso di queste manifestazioni pubbliche del partito, era presente anche quel Gioacchino Pennino al quale lei ha fatto riferimento, zio del collaboratore?

D’ACQUISTO M.: Si, era presente in quanto la funzione di questo giovane che io identifico, adesso, in Buscetta, era quella di accompagnarlo quindi...

P.M: Quindi erano presenti...

D’ACQUISTO M.: ...non c'era l'uno se non c'era l'altro.

P.M: ...sia Pennino che Buscetta.

D’ACQUISTO M.: Si.

P.M: Era presente (…) anche l'onorevole Lima a queste circostanze alle quali il suo ricordo accenna?

D’ACQUISTO M.: Presumo, in genere, si...

PRESIDENTE: Onorevole se lo ricorda lo dice, il presumo non ha valore nel dibattimento.

D’ACQUISTO M.: Posso dire, affermativamente, che l'onorevole Lima partecipava molto intensamente a tutte le riunioni che si svolgevano nel partito e che la Democrazia Cristiana organizzava pubblicamente.

P.M: Onorevole, per sollecitare il suo ricordo, eventualmente, nell'esame testimoniale da lei reso al nostro ufficio il 19 luglio del 1995, lei ha dichiarato: "Come ho detto, io ho conosciuto Pennino accompagnato da un giovane che, ora, ritengo di potere identificare in Buscetta, in circostanze in cui era presente nei luoghi anche l'onorevole Lima". I luoghi sono quelli da lei...

D’ACQUISTO M.: Si, si, i luoghi sono quelli...

P.M: ...ricordati.

D’ACQUISTO M.: ...le circostanze sono quelle.

P.M: Ecco.

D’ACQUISTO M.: Io non ho (…) il ricordo, Presidente, visivo, fisico, di Lima che partecipa a quella determinata riunione, però il ragionamento che io ho fatto e che mi ha indotto a quelle dichiarazioni e che mi ha indotto, questa mattina, a questa precisazione è un ragionamento che conduce a pensare e a ritenere che in quelle riunioni ci fosse anche l'onorevole Lima, ecco. Quindi è il frutto di un ragionamento, non di una fotografia visiva.

P.M: per la verità c'è da dire che continua la testimonianza o la deposizione dell'onorevole in questi termini: "Quindi, anche se io non ho, in questo momento, il ricordo di aver visto Lima parlare con Buscetta, ritengo abbastanza probabile che, come dice etc... etc... Lima lo conosceva e lo abbia pure incontrato.".

(…)

D’ACQUISTO M.: Comunque, avendo dato una lettura integrale di tutta la mia deposizione (…) io la posso riconfermare senz'altro.

(…)

PRESIDENTE: Che significa ritengo probabile?

D’ACQUISTO M.: Io ho tentato di chiarirlo, io sono arrivato all'affermazione che testè il P.M. ha letto, perchè nelle circostanze nelle quali io ricordo di avere visto il Pennino, talvolta accompagnato dal Buscetta, la presenza dell'onorevole Lima era, direi quasi, inevitabile, perchè si trattava (…) di quelle manifestazioni, di quelle riunioni in cui l'onorevole Lima, certamente, era presente perchè non posso pensare che una persona sempre presente non ci fosse proprio in quelle occasioni.

Il collaboratore di giustizia Angelo Siino all’udienza del 17 dicembre 1997 ha affermato che Gioacchino Pennino senior (il quale "aveva un carisma e uno spessore mafioso notevole" e partecipava spesso a "riunioni anche con esponenti di alto rango della mafia quale Piddu tenente (…) il padre di Michele Greco"), dopo essere stato legato all’on. Pivetti, si avvicinò all’on. Giovanni Gioia e a Salvo Lima; che Salvo Lima, prima di essere eletto Sindaco di Palermo, partecipava (come altri uomini politici) ad incontri conviviali con esponenti mafiosi come Antonino Sorci, tale Lo Verde, i Cirafici, i Cottone e "parecchi personaggi a cui lui era molto legato, che lo tenevano in grandissima considerazione"; che una tale considerazione dipendeva anche dalla notizia che allora circolava in merito al fatto che "Lima fosse figlio di un uomo d'onore (…) appartenente alla famiglia di Palermo centro"; che Salvo Lima "camminava sempre con un codazzo di personaggi (…) riconducibili a mafiosi", tra cui Brandaleone.

Le dichiarazioni del Siino sull’argomento sono di seguito riportate:

P.M.: (…) A queste persone e segnatamente a GIOACCHINO PENNINO Senior, lei vide frequentare soltanto mafiosi o anche persone appartenenti ad altre categorie sociali?

SIINO A.: No, frequentavano anche esponenti della Palermo bene, frequentavano qualche politico. Io mi ricordo allora che questo PENNINO era legatissimo all'allora Onorevole PIVETTI che mi pare che fosse monarchico

(…)

P.M.: Ho capito, quindi oltre all'Onorevole PIVETTI lo vedeva ...

SIINO A.: Sì, poi ad un certo punto si cominciò anche ad avvicinare all'Onorevole GIOIA, all'Onorevole LIMA.

P.M.: All'Onorevole GIOIA quale?

SIINO A.: (...) GIOIA GIOVANNI, non l'avvocato Luigi. GIOIA GIOVANNI. Praticamente anche a personaggi della zona, poi a personaggi tipo SPAGNOLO. SPAGNOLO era l'ex Sindaco di Palermo. Fu per un sacco di tempo Sindaco di Palermo. Anche lui era di provenienza monarchica. E praticamente tutti questi personaggi.

P.M.: Senta signor SIINO, e queste frequentazioni che ha appena finito di menzionare dove avvenivano?

SIINO A.: Ma avvenivano sempre in queste ...

P.M.: O perlomeno li dove le ha viste?

SIINO A.: Cioè praticamente in queste splendide case che avevano, case siciliane, bagli, masserie che c'erano nell'allora Conca D'Oro attorno alla zona di Corso dei Mille, alla zona di Maredolce, alla zona di ... Allora GIOVANNI GIOIA, non so perchè, ma poi l'ho capito, il fratello era amministratore delle proprietà TAGLIAVIA che avevano parecchie ...

P.M.: Il fratello del ...

SIINO A.: L'avvocato Luigi.

P.M.: Luigi.

SIINO A.: L'avvocato Luigi (...) amministrava per conto di questa famiglia, TAGLIAVIA, una serie di appezzamenti di terreno, ed in alcuni di questi si riunivano questi personaggi. Ma certamente non gli mancavano i posti.

P.M.: No, no, io desideravo che lei precisasse dove lei personalmente li ha visti, non ...

SIINO A.: Sì, dove li ho visti esatto è stata una volta in una proprietà di Corso dei Mille, cioè che era dietro Corso dei Mille, tra il Maredolce e il Corso dei Mille. Non mi ricordo di chi era, non so di chi era, anche perchè non è che ero ... Era abbastanza giovane.

P.M.: Senta, in questo periodo per caso ... Prego.

PRESIDENTE: In questa circostanza chi ha visto? Siccome lei ha detto: "Una volta sono stato" e chi ha visto in questa circostanza?

SIINO A.: Sì, ho visto il PENNINO, ho visto PIDDU TENENTE, ho visto certo ABBATE che era giovane allora che poi ho rivisto in altre occasioni.

P.M.: Scusi, e questo ABBATE è ancora vivente oppure no?

SIINO A.: No, no, è stato ucciso.

P.M.: E' stato ucciso. Poteva essere PINUZZO ABBATE?

SIINO A.: Sì, era PINUZZO ABBATE.

P.M.: Di quale zona era se lo ricorda?

SIINO A.: Di Roccella.

P.M.: Di Roccella, perfetto vada avanti.

SIINO A.: Roccella ... c'erano anche degli altri personaggi (…).

(…)

P.M.: Senta, nel ... lei ha fatto riferimento a riunioni politiche o comunque sia ad incontri ai quali partecipavano anche i politici in questo periodo.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Lei ha visto in qualcuna di queste occasioni l'Onorevole LIMA? (…) Lei ha già fatto accenno all'Onorevole LIMA che allora forse non era ancora Onorevole. Che cosa ... quando lo ha visto, chi altri c'era, con riferimento al periodo che sta rievocando.

SIINO A.: Ma diciamo che c'è ... è un periodo ancora dove io ero abbastanza giovane, per cui praticamente non ... Fu forse in un periodo successivo che io cominciai a prendere ... a capire esattamente la situazione com'era. Mi sono ricordato di PIVETTI perchè era monarchico, (…) anche PAOLINO BONTATE usciva come monarchico. Poi chiaramente le cose (…) andarono in maniera diversa. Io di riunioni politiche me ne ricordo diverse dove partecipò sia LIMA, sia dove partecipò l'allora ... era Ministro mi pare allora, FRANCO RESTIVO. C'erano anche delle altre riunioni dove partecipava GIOIA, dove c'era anche l'Onorevole CERAMI. Insomma ce ne sono state di tutti i tipi e colori a cui io vi ho partecipato.

P.M.: Signor SIINO, mi scusi, la domanda era incentrata sull'Onorevole LIMA.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Quali ricorda in quel periodo e ad esempio, per collocarlo un pò nel tempo se è in grado di dire se LIMA era già stato eletto Sindaco di Palermo oppure siamo addirittura ...

SIINO A.: Prima.

P.M.: Prima che venisse ...

SIINO A.: Sì, sì, ed è stato eletto ... In che anno è stato eletto non me lo ricordo io, comunque sicuramente era prima perchè ...

P.M.: '58 ...

SIINO A.: No, allora era diciamo intorno qualche anno prima, '57, '58, perchè ero sempre ragazzino. Lui mi pare che prima di essere eletto Sindaco di Palermo fu per, non lo so, aveva un incarico di partito, per cui chiaramente già girava come consigliere comunale, oppure fu proprio in occasione della sua elezione a consigliere comunale. Comunque c'erano le solite mega mangiate nei posti più disparati della Conca d'oro, anche ...

P.M.: Ecco, ci vuole descrivere quindi (…) queste occasioni che sta ricordando, chi c'era insieme a LIMA in queste riunioni?

SIINO A.: Io mi ricordo che c'era anche oltre LIMA c'erano degli altri personaggi che non ricordo, personaggi pseudo politici. I mafiosi invece me li ricordo. C'era NINO RICCO, NINO SORCE, c'erano un altro che si chiamava LO VERDE, c'erano dei personaggi della zona che si chiamavano CIRAFICI, insomma c'erano un sacco di gente. C'erano i COTTONE, intendo dire i COTTONE originari di Villabate e c'erano parecchi personaggi a cui lui era molto legato, che lo tenevano in grandissima considerazione. Tanto è il fatto anche ...

P.M.: Che significa lo tenevano in grandissima considerazione?

SIINO A.: Cioè praticamente quello che io sento ... quello che si diceva allora è che LIMA fosse figlio di un uomo d'onore, di un uomo d'onore appartenente alla famiglia di Palermo centro. E per cui praticamente era tenuto in certa considerazione, mafiosamente parlando. Cioè poi che era un ragazzo sveglio, dicevano che andava forte, si sarebbe fatto e cose di questo genere. In effetti lui camminava sempre con un codazzo di personaggi (…) politici e non, che praticamente erano anche riconducibili a mafiosi, ci camminava con BRANDALEONE, camminava con altri personaggi della zona di Corso dei Mille, camminava con GUTTADAURO, GUTTADAURO era il padre dell'attuale ... del medico, di GIUSEPPE GUTTADAURO, CARLO GUTTADAURO e l'altro fratello non so come si chiama. Comunque camminava con tutti questi personaggi.

Il legame del Brandaleone con "Cosa Nostra" ed il suo inserimento nella corrente dell’on. Lima trovano conferma anche nella deposizione del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, il quale lo ha incluso tra gli esponenti politici affiliati all’organizzazione mafiosa (e precisamente alla "famiglia" di Porta Nuova), ha specificato che anche il padre era "uomo d’onore", ed ha aggiunto che il soggetto in questione si occupava di politica "a livello palermitano" ed era "limiano". L’inesattezza nell’indicazione del cognome dell’esponente politico (che il Di Carlo ha ricordato come "Brantaleone" o "Brancaleone", senza precisarne il nome di battesimo) non impedisce di ritenere che si tratti della stessa persona menzionata dal Buscetta e dal Pennino; va anzi osservato che tale identificazione è imposta dalla convergenza delle restanti informazioni fornite dai tre collaboratori di giustizia in ordine al soggetto in esame.

Le ulteriori notizie esposte dal Buscetta e dal Pennino con riguardo a Ferdinando Brandaleone hanno trovato riscontro nella deposizione testimoniale dell’isp. Alfio Vinchiaturo, il quale ha altresì evidenziato il significativo ruolo esplicato dal medesimo e dal fratello Giuseppe Brandaleone nella vita politica locale.

Il teste Vinchiaturo all’udienza del 22 maggio 1996 ha infatti riferito che Ferdinando Brandaleone (figlio di Carlo Brandaleone) era impegnato politicamente nelle file della Democrazia Cristiana e precisamente della corrente di Lima, rivestì nella Provincia di Palermo le cariche di assessore al personale e all'economato dal 10 gennaio 1962 al settembre 1964, di assessore all'igiene e alla sanità dal 2 ottobre 1970 al 5 aprile 1971, di assessore alle opere delegate dal 2 febbraio 1972 al 28 luglio 1975, di assessore al personale, all’autoparco ed alle espropriazioni dall'1 gennaio 1976 all'1 dicembre 1976, dal 7 dicembre 1976 al 2 giugno 1977, dall'11 giugno 1977 al 28 aprile 1978, dal 20 aprile 1978 al 29 maggio 1978. Il teste ha specificato che il fratello del medesimo, Giuseppe Brandaleone, svolgeva l’attività di insegnante, aderì alla corrente fanfaniana nel 1956, venne eletto Consigliere Comunale, assunse l’incarico di assessore nelle giunte comunali presiedute dal Sindaco Lima, era considerato uno dei luogotenenti più fidati di Salvo Lima, e si suicidò nel 1971. Il teste ha, inoltre, chiarito che i fratelli Brandaleone e Salvo Lima intrattenevano cordiali rapporti di amicizia anche familiare, tanto che quando il figlio di Ferdinando Brandaleone contrasse matrimonio in data 10 dicembre 1968, uno dei testimoni alle nozze fu l’on. Lima.

Lo spessore criminale di Gioacchino Pennino (zio dell’omonimo collaboratore di giustizia) non era sfuggito all’Autorità giudiziaria. Al riguardo, il teste col. Domenico Pomi all’udienza del 5 dicembre 1995 ha riferito che il medesimo soggetto nel 1956 venne assegnato al confino di polizia per la durata di cinque anni (provvedimento, questo, che nel 1957 venne trasformato in diffida, per le precarie condizioni di salute del Pennino); nel 1967 venne sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di P.S. con provvedimento definitivo dalla Corte di Appello di Palermo; nel 1968 fu sottoposto a processo davanti alla Corte di Assise di Catanzaro per il reato di cui all’art. 416 c.p. unitamente a numerosi altri imputati, tra cui Tommaso Buscetta, i fratelli La Barbera, Giacinto Mazzara e Gaetano Badalamenti, e riportò la condanna a quattro anni di reclusione. In questo procedimento penale, emersero relazioni dell’imputato Pennino con Rosario Mancino e con Salvatore Greco "l'ingegnere", l’annotazione del numero telefonico del Pennino su un pezzo di carta rinvenuto nell’agenda di Calcedonio Di Pisa (rimasto vittima di omicidio), nonché la circostanza che il Pennino ed il Buscetta erano soliti riunirsi in alberghi di Roma e di Sanremo.

Le indicazioni fornite dal Buscetta sull’ubicazione delle abitazioni di Salvo Lima e di Gioacchino Pennino "il vecchio" hanno trovato puntuale riscontro nelle risultanze delle indagini. Infatti il teste isp. Salvatore Bonferraro all’udienza del 22 maggio 1996 ha precisato che Salvo Lima risiedette anagraficamente dal 4 agosto 1961 al 9 luglio 1979 in un appartamento sito a Palermo in via Marchese di Villabianca (comunemente nota come via Roma Nuova) n. 175, cedutogli dal costruttore Francesco Vassallo. Il teste isp. Alfio Vinchiaturo nella medesima udienza ha riferito che Gioacchino Pennino (zio dell’omonimo collaboratore di giustizia) risiedette dal 15 maggio 1957 al 24 aprile 1963 in un appartamento sito a Palermo in via Sperlinga n. 30.

Con riferimento a Giuseppe Trapani, è interessante notare che dal documento n. 93 si evince che in data 15 dicembre 1929 il medesimo era stato fermato insieme a Vincenzo Lima e ad altri pregiudicati.

L’adesione all’associazione mafiosa di Francesco Barbaccia è stata accertata con la sentenza emessa nei suoi confronti il 30 ottobre 1993 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo, passata in giudicato il 17 marzo 1994 ed acquisita al fascicolo del presente dibattimento all’udienza del 9 giugno 1998.

Anche le dichiarazioni del Buscetta in merito alla "lettera di accompagnamento" da lui indirizzata ad esponenti mafiosi americani come Joe Bonanno e Carlo Gambino in occasione del viaggio di Salvo Lima negli Stati Uniti d’America hanno trovato significativi riscontri estrinseci.

Il teste Bonferraro, all’udienza del 22 maggio 1996, ha riferito che Salvo Lima si recò negli U.S.A. dal 10 al 29 giugno 1961 con una delegazione comunale composta dal dott. Armando Celone (allora segretario del Comune di Palermo) e dal dott. Paolo Bevilacqua, in occasione della Conferenza Mondiale delle Amministrazioni Locali, ha precisato che è stata acquisita presso il giornale "Il Progresso Italo Americano" una fotografia raffigurante Salvo Lima insieme a Vincenzo Martinez, ed ha chiarito che quest’ultimo "era un grosso personaggio della mafia italo-americana originario (…) di Castellammare del Golfo trapiantato negli USA", aggiungendo: "più volte è emerso nel corso degli anni '60 quale noto boss (…) italo-americano".

Nella medesima udienza è stata acquisita la fotografia, pubblicata sul numero del 26 giugno 1961 del giornale "Il Progresso Italo Americano" che ritrae "V. Martinez da Marsala" tra gli "invitati d’onore al banchetto in onore del Sindaco di Palermo, Dott. Salvatore Lima".

Il teste Armando Celone, escusso all’udienza del 23 ottobre 1996, ha dichiarato che nel corso del viaggio gli fu presentata "una persona che si chiamava Gambino", e che i componenti della delegazione palermitana presero parte a New York ad un pranzo offerto dalla comunità siculo-americana, con la presenza di tale Martinez, di origine siciliana.

Il numero del 25 giugno 1961 del giornale "Il Progresso Italo Americano", acquisito al fascicolo del dibattimento con ordinanza del 15 dicembre 1998, riportava la notizia che, in onore del Sindaco di Palermo Dott. Salvatore Lima, la comunità siculo-americana aveva organizzato un banchetto presso il Commodore Hotel di New York, e che la cerimonia si era chiusa "con un brevissimo discorso di Vincenzo Martinez da Marsala, coordinatore unico del banchetto", il quale aveva consegnato alcuni doni agli ospiti.

Per quanto attiene al sostegno elettorale offerto da "Cosa Nostra" a Salvo Lima, significativi elementi di convincimento emergono dalle risultanze probatorie esaminate dalla sentenza n.6/88 emessa dalla Corte di Assise di Palermo il 16 aprile 1988 nel processo instaurato nei confronti di Abdel Azizi Afifi ed altri 79 imputati (c.d. maxiprocesso-bis).

In tale procedimento penale il collaboratore di giustizia Vincenzo Marsala ("uomo d’onore" della "famiglia" di Vicari e figlio di Mariano Marsala, il quale aveva assunto il ruolo di "rappresentante" della medesima cosca mafiosa) rese le seguenti dichiarazioni:

"Preciso che è da quando avevo circa 25 anni di età che mio padre aveva iniziato a confidarmi alcune delle vicende che lo avevano riguardato. Intendo cioè dire che a partire da quella età mi capitò di accompagnare mio padre e Marsala Giuseppe (testualmente "Peppe") con la mia autovettura da me guidata. A mio padre avevano ritirato la patente e Marsala Giuseppe non guidava la macchina. Sicchè quando si trattava di venire a Palermo mio padre mi pregava di accompagnarli. A quell'epoca il Marsala Peppe era il "capo-mandamento". Ricordo di tali viaggi alcuni particolari.

Una volta accompagnai mio padre e Marsala Giuseppe a casa dell'on. D’Acquisto che abitava a Palermo. Giunti sul posto mio padre e Marsala Giuseppe salirono a casa di D’Acquisto mentre io rimasi nell'autovettura. Questa fu l'unica volta che accompagnai mio padre a casa di D’Acquisto, dove però mi risulta che mio padre si recò altre volte accompagnato da altre persone. I motivi di tali ricorrenti visite erano dovuti all'interesse che mio padre aveva di ottenere la restituzione della patente, cosa della quale mio padre aveva per l'appunto interessato il D’Acquisto.

Altra volta accompagnai mio padre e Marsala Giuseppe a casa di Pergolizzi, esponente democristiano di quell'epoca, al quale mio padre si rivolse pure per ottenere la restituzione della patente.

Se non ricordo male mio padre ebbe alla fine restituita la patente di guida. Ricordo però che in epoca successiva ritirarono nuovamente a mio padre la patente di guida (…).

A proposito delle elezioni politiche ed amministrative in Sicilia, debbo dire che la mafia segue anche in queste vicende alcune precise regole. Si tratta anche in tale occasione di notizie che posso riferire in quanto apprese da mio padre ed anche per essere stato in taluni casi destinatario di precisi ordini. Da sempre, cioè da quando ho cominciato a parlare di queste cose con mio padre, l'unico partito politico per il quale si è votato è stato quello della Democrazia Cristiana, in quanto i suoi uomini e rappresentanti sono stati quelli che hanno protetto maggiormente la mafia. Ricordo in particolare che Marsala Giuseppe appoggiava sempre Lima Salvatore (testualmente "Salvo Lima") e so, per averlo appreso da mio padre, che tutta l'organizzazione appoggiava inoltre diversi altri uomini politici della D.C., come D’Acquisto, Carollo, Fasino.

La regola fondamentale era che era ammessa propaganda politica da parte degli affiliati solo in favore della D.C., mentre era severamente vietato fare propaganda e votare per i comunisti e per i fascisti. Era tuttavia ammesso che si potesse talvolta votare in favore di esponenti di altri partiti politici; ma ciò a titolo puramente personale, per ricambiare favori personali ricevuti, e comunque con divieto di propaganda.

In altra occasione è capitato che tutta la "famiglia" "portasse" un solo candidato. Ricordo che ultimamente la "provincia" aveva disposto che si dovessero convogliare i voti sul nome di Riggio. Ricordo che mio padre mi disse che era appositamente venuto il "capo-mandamento" Pizzuto Calogero che aveva portato quest'ordine dalla "provincia". A distanza però di poco tempo ci fu un contrordine di votare per Mineo. Vennero infatti a Vicari due individui, padre e figlio, di Bagheria, a bordo di un'autovettura BMW, i quali dissero a mio padre, Macaluso Salvatore ed Ocelli Aurelio (testualmente "Ocelli Lello") che non bisognava più votare per Riggio che "aveva fatto un protesto". Con quest'ultima frase si intende dire di una persona che, in occasioni pubbliche o private, abbia detto o fatto sapere che, se gli succede qualcosa di grave per la propria incolumità fisica, i responsabili vanno ricercati in certi ambienti ed in taluni casi vengono anche indicati con i loro nomi.

In tale occasione ero presente anche io e ricordo che mio padre assicurò i due di Bagheria che si sarebbe votato per Mineo.

Ritengo pertanto che quando arrivavano ordini di voto come il suddetto si trattava di uomini politici che la mafia aveva interesse a collocare in certi posti. Negli altri casi i voti venivano dati a quegli uomini della Democrazia Cristiana che, per il loro potere, potevano garantire il conseguimento di certi vantaggi. (…)

In effetti i contatti con gli uomini politici di cui ho parlato erano mantenuti soltanto da Marsala Giuseppe al tempo in cui egli era il "capo-mandamento". Mio padre non conosceva personalmente alcuna delle persone di cui ho detto, ma ebbe modo di conoscere il D’Acquisto e il Pergolizzi per il tramite di Marsala Giuseppe che glieli presentò. Con l'allontanamento di Marsala Giuseppe caddero questi contatti che aveva mio padre, ma non so dire se poi, per il tramite del nuovo "capo-mandamento" Pizzuto Calogero, ebbe poi modo di avere ulteriori contatti con uomini politici.

In realtà il contatto con gli uomini politici non può essere mantenuto da un qualsiasi affiliato, ma è necessariamente mantenuto soltanto da quelle persone della "famiglia" che, come i "capi-mandamento", hanno un grado elevato nella gerarchia dell'organizzazione.

Ricordo che mio padre in occasione delle diverse competizioni elettorali passò l'ordine di votare e di fare votare per alcuni uomini politici della D.C., tra i quali nel tempo i seguenti: Lima, D’Acquisto, Carollo e Fasino. questi sono i nomi che ricordo, ai quali deve aggiungersi quello di tale Ferrara, che venne appoggiato nelle elezioni di circa quattro o cinque anni fa, ma che non risultò fra gli eletti. Tale Ferrara subentrò tuttavia a un certo onorevole, di cui non so il nome, a seguito della sua morte. Ricordo che il nome di Ferrara era particolarmente sostenuto da Pizzuto Calogero in quanto, per averlo appreso da mio padre, i due si conoscevano. Per la verità il suddetto Ferrara di Lercara Friddi ebbi modo di conoscerlo pure io, dopo che ero stato arrestato dai Carabinieri che mi avevano trovato in possesso di una rivoltella. subii il processo e fui scarcerato; subito dopo mi si voleva ritirare la patente di guida (…) mio padre e Pizzuto Calogero si recarono al Municipio di Lercara Friddi per parlare della mia cosa con il Ferrara che era sindaco. Lo scopo era quello di ottenere che il Ferrara parlasse con i Carabinieri per rappresentare loro le mie necessità. Quando mio padre e Pizzuto uscirono dal Municipio mi presentarono il sindaco Ferrara. Io, invero, ero rimasto fuori ad attendere. In effetti la patente di guida non mi fu più ritirata, anche se il Tenente dei Carabinieri di Lercara Friddi era stato sempre severo nei miei confronti.

In sintesi, per quello che mi risulta, gli appoggi elettorali agli uomini politici di cui (si) è detto venivano dati a quelle persone che, per la loro importanza e per il potere che avevano, erano in grado di fare dei favori (…).

In merito alla visita di Marsala Giuseppe e di mio padre a D’Acquisto e Pergolizzi della quale ho riferito nelle dichiarazioni da me rese il 14/12/1984 al P.M., preciso che il rapporto con quegli uomini politici era tenuto da Marsala Giuseppe. Invero gli uomini politici non davano confidenza a chiunque ma soltanto a persone del livello di un capo-mandamento quale era Marsala Peppe".

D.r. D’Acquisto e Pergolizzi avrebbero dovuto interessarsi per la restituzione della patente a mio padre in cambio dell'appoggio elettorale che Marsala Giuseppe dava loro. Ricordo che Marsala Giuseppe dava a tutti l'indicazione di votare per D’Acquisto, Pergolizzi, Lima Salvo e Ciancimino Vito.

D.r. Dei rapporti tra Ocelli e Ciancimino so soltanto che Ocelli diceva di conoscere Ciancimino; io, in genere, ascoltavo quello che mi diceva e non facevo domande. come ho già dichiarato, mio padre, Macaluso Biagio, Buttacavoli ed altri erano contrari all'ingresso di Ocelli nella "famiglia" e fu Umina Salvatore (testualmente "Turi Umina") ad insistere. Ocelli si adoperava particolarmente per le campagne elettorali di Lima Salvo" (…).

Le suesposte dichiarazioni sono corroborate da numerosi riscontri estrinseci, menzionati nella sentenza emessa dalla Corte di Assise di Palermo il 16 aprile 1988, che si è espressa nei seguenti termini:

"Nel Rapporto giudiziario del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Palermo dell'11/03/1985 sono specificamente indicati i riscontri che le indagini condotte hanno offerto alle indicazioni del MARSALA, sovente generiche a causa del modesto ruolo dall'imputato svolto in seno all'organizzazione che gli impediva di venire a conoscenza di fatti e circostanze relative ai rapporti con esponenti politici, riservati ai personaggi più autorevoli di Cosa Nostra.

E se gli episodi ed i collegamenti emersi dalle dichiarazioni del MARSALA e riscontrati dalle indagini non appaiono sufficienti ad integrare illeciti aventi rilevanza penale, vanno tuttavia, sia pure per sintesi, rassegnati non solo al fine di verificare ancora una volta la sostanziale attendibilità del pentito su fatti di cui è stato spesso mero testimone, ma anche perchè attraverso essi si delinea compiutamente una realtà nella quale l'associazione mafiosa oggetto del presente procedimento risulta immersa e mediante la quale estende la sua nefasta influenza. Premesso che MARSALA Giuseppe ("Peppe"), conosciuto anche da BUSCETTA Tommaso che lo ha indicato come componente della "commissione" negli anni '60 (confr. interrogatorio negli U.S.A. udienza del 27.10.1987, pagg. 20-21), viene dal MARSALA Vincenzo accusato di essere stato "capo-mandamento" nonchè "rappresentante" della "famiglia" di Vicari, fino all'invio nel 1969 al soggiorno obbligato a Conigliano d'Otranto dove morì il 26/09/1972, risulta dalle indagini svolte che il predetto è stato in rapporti frequenti con diversi esponenti politici, così come riferito dal MARSALA Vincenzo.

Ed infatti egli risulta avere intrattenuto rapporti con l'ex-esponente democristiano CIANCIMINO Vito (oggi imputato dei reati di cui agli artt. 416, 416 bis C.P. ed altro nel proc. pen. n° 1817/85 R.G. U.I. pendente in istruttoria), secondo quanto specificamente e documentalmente indicato negli atti della I^ Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia:

"Alla lista va aggiunto MARSALA Giuseppe, capo-mafia di Vicari, sottoposto al soggiorno obbligato per 4 anni. MARSALA Giuseppe è assegnatario di un quartino dell'Istituto Autonomo Case Popolari, ottenuto su segnalazione di CIANCIMINO. D'altra parte il figlio di MARSALA, MARSALA Salvatore, è dipendente comunale, è stato autista di CIANCIMINO ed è assegnatario di un appartamento delle case popolari. A sua volta il genero di MARSALA, FARINA Carlo, è impiegato all'Azienda Municipalizzata dell'Acquedotto e vi fu assunto per chiamata diretta. CIANCIMINO, nel corso di un procedimento penale, non negò di conoscere MARSALA e non negò che costui si fosse occupato delle sue elezioni".

Emergono, poi, contatti anche con altri esponenti di spicco della Democrazia Cristiana isolana dell'epoca. Prosegue infatti la relazione della Commissione Antimafia (…):

"(…) Nel processo contro TORRETTA Pietro + 120 (…) sono documentate le irregolari assegnazioni di case popolari fatte a mafiosi come GENTILE Nicola, FILIPPONE Gaetano e MARSALA Giuseppe (capo-famiglia di Vicari) e congiunti, da LIMA Salvatore e DI FRESCO Ernesto, con l'interessamento di CIANCIMINO Vito, BRANDALEONE Giuseppe e PIVETTI Ernesto. Il figlio di MARSALA era autista di CIANCIMINO e di DI FRESCO".

E dell'interessamento del DI FRESCO e del LIMA in favore del figlio del noto capo-mafia di Vicari vi è traccia scritta in una emblematica lettera datata 27/06/1959 (…) ed indirizzata al predetto DI FRESCO, all'epoca consigliere comunale di Palermo, dal noto esponente democristiano LIMA Salvatore, all'epoca presidente della commissione comunale per l'assegnazione degli alloggi popolari, con la quale si comunicava che era stato assegnato un alloggio popolare al MARSALA Salvatore ("da te vivamente segnalato")".

Anche dell'onorevole D’Acquisto Mario e degli asseriti contatti con Marsala Giuseppe vi è menzione negli atti della citata Commissione Parlamentare di Inchiesta indicandosi in particolare che il suddetto uomo politico, alla vigilia di una campagna elettorale, sarebbe stato testimone di nozze del figlio del più volte menzionato Marsala Giuseppe, il cui genero sarebbe stato assunto all'Azienda Acquedotto palermitana (come si è già detto per chiamata diretta) all'epoca in cui il D’Acquisto ne era ancora Presidente (…). (…)

Quanto poi agli intimi rapporti del boss Pizzuto Calogero con tale Ferrara, ex sindaco di Lercara Friddi, subentrato all'Assemblea Regionale Siciliana al posto di altro candidato, nel frattempo deceduto, appare sufficiente evidenziare, all'esclusivo scopo della ricerca di riscontro alle indicazioni di Marsala Vincenzo, che nelle tasche del boss ucciso fu rinvenuto tra l'altro un appunto contenente l'annotazione "on.Ferrara 586879 casa, 298802-298804" (…), mentre a casa del Pizzuto venne trovato altro appunto contenente l'annotazione "711024"-Ferrara Antonino.

Questi, sentito dai CC., ha confermato di conoscere Pizzuto Calogero, al quale affermava espressamente di essere legato da vincoli di amicizia (…).

Anche le vicende relative al rilascio della patente di guida al vecchio Marsala Mariano presentano alcuni lati oscuri, accreditando l'ipotesi, non verificata per il lungo tempo trascorso che importerebbe comunque l'estinzione per prescrizione di illeciti penali eventualmente realizzabili, che il predetto abbia goduto o cercato di godere di appoggi e di favoritismi da parte di persone influenti.

E’ sufficiente a tal riguardo rammentare che:

- con provvedimento del 25/11/1959 il Prefetto di Palermo disponeva la sospensione a tempo indeterminato della patente di guida di Marsala Mariano, perché diffidato con ordinanza del 14/06/1958 (…);

- con nota del 06/07/1970 il I Distretto di Polizia della Questura di Palermo richiedeva ai Carabinieri di Vicari il parere in ordine alla richiesta di concessione della patente di guida presentata il 03/03/1970 dal predetto Marsala Mariano (…);

- l'istanza veniva accolta perché i Carabinieri di Vicari esprimevano parere favorevole (condiviso anche dalla Questura con nota del 27/07/1970) necessitando al Marsala la patente di guida per la sua attività di agricoltore e non dovendosi ritenere più capace di abusarne (…);

- con decreto del tribunale di Palermo del 19/07/1971 (meno di un anno dopo il rilascio della patente), però, veniva applicata al Marsala la misura di prevenzione della sorveglianza speciale e conseguentemente, con provvedimento prefettizio del 24/09/1971, la nuova patente, rilasciata il 13/08/1970, veniva revocata.

Appare quanto meno singolare che Carabinieri e Questura abbiano espresso, come si è visto, parere favorevole al rilascio della patente, assumendo che il Marsala si era ormai dedicato ad onesto lavoro, in contrasto con le risultanze di altri atti di Polizia sulla base dei quali il Marsala veniva, proprio nello stesso periodo, proposto per l'applicazione di una misura di prevenzione; ciò rende verosimile il racconto del Marsala Vincenzo che ha ipotizzato l'intervento in favore del padre di alcuni esponenti politici.

E tale tesi appare ulteriormente suffragata dall'esame della nota dei Carabinieri di Vicari del 07/03/1972, (…) indirizzata direttamente e d'ufficio al Prefetto di Palermo, con la quale, premesso che il Marsala aveva presentato il 4 marzo precedente una nuova istanza tendente ad ottenere la restituzione della patente di guida appena revocata, adducendo le solite esigenze di lavoro, veniva espresso parere favorevole al rilascio.

Ebbene, in calce alla nota dei Carabinieri si legge la seguente annotazione interna della Prefettura: "14/03/1972 rispondere al brigadiere che la patente revocata non si può restituire e che in seguito deve scrivere per via gerarchica e se le notizie sono richieste"".

Dalle dichiarazioni di Vincenzo Marsala si evince, dunque, che Giuseppe Marsala (capo del "mandamento" e rappresentante della "famiglia" di Vicari fino al 1969, il quale manteneva i contatti con gli esponenti politici) offriva costantemente il proprio appoggio elettorale a Salvo Lima e diffondeva l’indicazione di votare in favore di quest’ultimo e di altri candidati (segnatamente, D’Acquisto, Pergolizzi, Ciancimino); che anche Mariano Marsala impartì l’ordine di indirizzare il consenso elettorale verso Salvo Lima ed altri esponenti della Democrazia Cristiana (D’Acquisto, Carollo, Fasino, Ferrara); che Aurelio Ocelli si attivava nelle campagne elettorali di Salvo Lima; che in generale il sostegno elettorale di "Cosa Nostra" veniva rivolto verso gli uomini politici che, per il loro potere e la loro importanza, potevano garantire, mediante condotte di favoritismo, il conseguimento di vantaggi per l’associazione mafiosa.

Un significativo comportamento attuato dal Lima a favore di soggetti legati a "Cosa Nostra" è quello, menzionato – come si è detto - nella pronunzia del 16 aprile 1988 della Corte di Assise di Palermo, riguardante l’irregolare assegnazione di case popolari a mafiosi e a loro congiunti.

Sulla base delle risultanze probatorie precedentemente riassunte, è quindi rimasto dimostrato che, anteriormente alla sua adesione alla corrente andreottiana, Salvo Lima aveva già instaurato un intenso rapporto di scambio con una pluralità di articolazioni dell’organizzazione mafiosa, che gli assicuravano il proprio sostegno elettorale e ricevevano da lui molteplici favori attraverso illecite condotte di condizionamento dell’operato della pubblica amministrazione.

Si è precedentemente rilevato che l’on. Lima non nascose i propri contatti con un esponente di spicco di "Cosa Nostra" come Tommaso Buscetta all’uomo politico che aveva favorito, con una essenziale opera di impulso e di intermediazione, il suo ingresso nella corrente andreottiana: l’on. Evangelisti, cui l’on. Lima aveva esternato la propria amicizia con il Buscetta, esprimendo altresì una chiara consapevolezza dell’influenza di quest’ultimo soggetto ("è un mio amico, è uno che conta").

L’atteggiamento manifestato dall’on. Lima nella suesposta conversazione con l’on. Evangelisti palesa l’importanza che l’uomo politico siciliano attribuiva ai propri rapporti con un esponente mafioso che si era efficacemente attivato per assicurargli un diffuso sostegno elettorale in ambienti nei quali era particolarmente forte il condizionamento esercitato da "Cosa Nostra".

Non è, quindi, un caso che i rapporti dell’on. Lima con il Buscetta siano proseguiti anche dopo l’ingresso del primo nella corrente andreottiana e dopo la sottoposizione del secondo soggetto allo stato di detenzione.

Al riguardo, il Buscetta nel corso dell’udienza del 9 gennaio 1996 ha precisato che, mentre era detenuto presso la Casa Circondariale di Palermo, negli anni 1972-77, non ebbe contatti personali con l’on. Lima. Quest’ultimo, tuttavia, continuò ad inviargli informazioni, e gli comunicò - attraverso il Brandaleone, il quale trasmetteva tali messaggi avvalendosi dell’on. Barbaccia – di essere spiacente di non potersi interessare di lui, rappresentando che un eventuale interessamento non avrebbe prodotto risultati utili per il Buscetta ed avrebbe, invece, arrecato un danno allo stesso Lima, il quale sarebbe stato pubblicamente screditato. Il Buscetta veniva settimanalmente sottoposto a visita medica dal Barbaccia, ed in queste occasioni conversava con lui; il Barbaccia gli riferì che i Salvo (precedentemente ignoti al Buscetta) avevano acquistato importanza sia nell’ambito di "Cosa Nostra", sia come personaggi di primo piano nel mondo economico, ed appoggiavano l’on. Lima ("i cugini Salvo non avevano altro candidato all'infuori di Salvo Lima, nella Provincia di Palermo").

Il collaboratore di giustizia ha aggiunto che nell’estate del 1980, resosi latitante, incontrò a Roma, presso l’Hotel Flora, l’on. Lima. L’incontro avvenne per volontà dello stesso esponente politico, il quale desiderava salutare il Buscetta e scusarsi con lui per non avere avuto la possibilità di operare in suo favore durante la sua detenzione; ciò fu comunicato preventivamente al Buscetta da Antonino Salvo (il quale si trovava nella capitale perché doveva essere sentito da un giudice), nel corso di una colazione svoltasi nell’abitazione romana di Giuseppe Calò. Il Buscetta si recò presso il suddetto albergo in compagnia di Antonino Salvo. Quest’ultimo, dopo i saluti, lasciò soli il Buscetta e l’on. Lima, che si sedettero su una panca posta in un punto poco illuminato, sulla destra dell’atrio dell’albergo, e si soffermarono a discutere per circa quindici minuti.

Nel corso della conversazione, l’esponente politico affermò di essere dispiaciuto di "non essersi potuto interessare" del Buscetta, e quest’ultimo non potè dargli torto, avuto riguardo alla fortissima attenzione che avevano manifestato nei suoi confronti le forze di polizia. L’on. Lima ed il Buscetta, poi, parlarono dei fatti che rientravano nei loro comuni ricordi. Il discorso cadde sulla personalità del Ciancimino e sui problemi creati da costui. L’on. Lima faceva riferimento alle pretese avanzate dal Ciancimino, e desiderava che il Buscetta comprendesse che i "corleonesi" gli arrecavano un notevole fastidio proprio attraverso il Ciancimino.

Durante l’incontro, il Buscetta e l’on. Lima videro passare davanti all’albergo il loro comune amico sen. Giuseppe Cerami, ma non lo chiamarono per non interrompere la loro discussione.

Dopo la conclusione dell’incontro, Antonino Salvo rappresentò al Buscetta che i "corleonesi" creavano gravi difficoltà all’on. Lima attraverso il Ciancimino, il quale era appoggiato da costoro in modo incondizionato.

Da questi discorsi, il Buscetta trasse la conclusione che l’on. Lima intendeva avvalersi della sua mediazione per la gestione dei rapporti con i "corleonesi". Anche i Salvo in altre occasioni gli espressero un analogo intento.

Le dichiarazioni rese dal Buscetta in proposito sono di seguito trascritte:

DOMANDA - Prima di passare alla prossima domanda sul prosieguo dei suoi rapporti con Lima, se ve ne furono, desidererei che lei precisasse al Tribunale il periodo della sua detenzione in Italia, dal momento in cui venne estradato la prima volta dal Brasile.

RISPOSTA - Il periodo è dal 3 o 4 dicembre del 1972 fino al gennaio del 1980.

(…)

DOMANDA - E durante la sua carcerazione (…) dal '72 all'80 per la precisione, ricorda in che carceri passò la sua detenzione? Cominciamo con il carcere dell'Ucciardone, fu mai detenuto all'Ucciardone?

RISPOSTA - Sì, e ci rimasi fino a che fui trasferito alla fine degli anni '73 per passare un processo d'appello alla Corte d'Assisi (rectius Assise: n.d.e.) di Catanzaro. Ritornai nuovamente all'Ucciardone nel mese di gennaio del 1974. Quindi rimasi a Catanzaro circa un mese e mezzo.

DOMANDA - Poi?

RISPOSTA - Poi fui trasferito al carcere di Barcellona, Sicilia, per un periodo di un mese e mezzo, credo, nel mese di maggio del 1974 stesso. (…) Da Barcellona rientrai all'Ucciardone (…). E vi rimasi fino all'agosto del 1977, ininterrottamente, tranne qualche sortita di pochi giorni per andare alle cliniche di Palermo, agli ospedali, ma due o tre giorni.

DOMANDA - Quindi diciamo dalla fine del '72 all'agosto del '77 lei è stato quasi ininterrottamente all'Ucciardone?

RISPOSTA - Sì.

DOMANDA - All'Ucciardone dove dimorava, solitamente?

RISPOSTA - All'infermeria. Quando ritorno dal centro clinico di Barcellona, vado direttamente all'infermeria e di là esco solo nel 1977.

(…)

DOMANDA - Dopodiché lei passa (…) nel circuito dei supercarceri?

RISPOSTA - Sì.

DOMANDA - E quali carceri frequenta nel periodo '77-'80?

RISPOSTA - Vengo trasferito prima all'Asinara, dall'Asinara a Sassari, da Sassari a Paliano, da Paliano a Roma, da Roma a Cuneo, da Cuneo a Napoli, da Napoli a Cuneo, da Cuneo a Milano, da Milano a Palermo, da Milano a Cuneo, da Cuneo a Palermo. (..) Quando esco dal circuito carcerario mi trovo a Torino. (…) In semilibertà. Credo che questa semilibertà mi venne concessa nel mese di gennaio o di febbraio del 1980.

DOMANDA - Lei rispetta l'obbligo della semilibertà?

RISPOSTA - Sì. Lo rispetto fino al mese di giugno o maggio, che mi viene concesso dal giudice di sorveglianza di Torino un permesso per recarmi a Palermo (…) e non ritorno più a Torino.

DOMANDA - E da quel momento?

RISPOSTA - Divento latitante.

DOMANDA - Fino a quando poi non viene di nuovo ricatturato, dove e quando?

RISPOSTA - Vengo ricatturato in Brasile nel 1983, nel mese di ottobre.

(…)

DOMANDA - Fatte queste premesse di ordine cronologico, ritorniamo al periodo in cui lei dal 1972 fu detenuto nel carcere dell'Ucciardone. I suoi rapporti con l'on. Lima in questo periodo si interruppero?

RISPOSTA - Certamente e personalmente sì, ma non si interruppero a livello di avere informazioni da Lima, o Lima stesso mandarmi a dire, attraverso Brandaleone, che trasmetteva all'on. Barbaccia che gli dispiaceva non potersi interessare di me, perché se si fosse interessato di me avrebbe causato un danno a me, senz'altro, perché non avrebbe ottenuto lo scopo, ma un danno a se stesso, perché pubblicamente sarebbe stato messo alla berlina.

DOMANDA - L'on. Barbaccia è il dottor Barbaccia, otorino, del quale lei ha parlato?

RISPOSTA - Sì.

DOMANDA - Ed i suoi contatti con il dottore Barbaccia quando avvenivano, se avvenivano?

RISPOSTA - Avvenivano tutti i lunedì di tutti i mesi, tranne quei periodi di ferie che lui prendeva logicamente, come qualsiasi persona, ma se lui non era in ferie ogni lunedì era all'Ucciardone, che io ricordi.

DOMANDA - Lei tutti i lunedì si faceva visitare?

RISPOSTA - Beh, mi facevo visitare e certe volte mi facevo anche visitare per poter scrivere qualcosa nella cartella clinica, ma non era una visita ma era più che altro stare quella mezzoretta, quei tre quarti d'ora insieme al suddetto Barbaccia, discutendo cosa graziosa, oppure cosa non graziosa, era che lui era un fumatore che aveva smesso di fumare. Ma ogni lunedì lui si fumava le sue 5, 6 sigarette tutta in una volta e diceva: "Adesso fumo, fumerò nuovamente lunedì prossimo". E la passavamo discutendo.

DOMANDA - E nel corso di queste discussioni Barbaccia le parlava dell'on. Lima?

RISPOSTA - Sì, parlava dell'on. Lima, del nuovo stato di cose che si erano instaurate a Palermo, che dopo... Per esempio una cosa che trattavo era che i fratelli La Barbera non c'erano più, Gioacchino Pennino era vecchio, non si interessava più. I nuovi amici che si interessavano per Lima si chiamavano i Salvo. Solo in quell'epoca io appresi che c'erano delle persone che si chiamassero Salvo, prima non l'avevo saputo.

DOMANDA - Quindi negli anni '70 lei sa se Lima era ancora appoggiato dalla famiglia di Palermo Centro, nonostante fossero venuti meno i La Barbera o se era passato ad altro appoggio, a cercare altri appoggi politici?

RISPOSTA - La famiglia di Palermo non c'era più, né con i La Barbera e né senza i La Barbera, dopo quello che si era verificato nel 1963, avevamo stabilito che famiglia a Palermo per molti anni non ce ne dovevano essere più. Intendo dire Palermo Centro.

DOMANDA - Ritorniamo all'appoggio di Cosa Nostra all'on. Lima: cosa le dice più esattamente Barbaccia nel corso di questi vostri colloqui?

RISPOSTA - Che il candidato dei cugini Salvo, di cui mi fa una relazione, chi erano e le importanze che avessero e in Cosa Nostra e come persone di primo piano nel mondo economico, erano i cugini Salvo. Il candidato, l'unico candidato dei cugini Salvo si chiamava Salvo Lima; i cugini Salvo non avevano altro candidato all'infuori di Salvo Lima, nella Provincia di Palermo; quello che io conosco è nella Provincia di Palermo.

DOMANDA - Passiamo al 1980, periodo in cui lei, come ha detto, si rende latitante approfittando di un permesso. Ha avuto più modo di incontrare personalmente Salvo Lima?

RISPOSTA - Sì. L'ho incontrato a Roma nel 1980. E proprio a proposito di questo, quando si parla a Falcone, politici, mafia e politica, io dissi a Falcone che nel 1980 avevo incontrato un parlamentare in un hotel di Roma. Dissi poi che l'avevo incontrato insieme ai Salvo, non feci mai il nome di Lima, malgrado Falcone ci fosse arrivato per cognizione personale. Ricordo che una volta interrogandomi, il giudice Falcone, gli disse: "Non lo accetto e non lo smentisco, comunque quando arriverà il tempo di parlare di mafia e politica ne parlerò". L'ho incontrato, adesso lo so meglio, all'Hotel Flora di Roma, l'ho indicato come un hotel che andava visto come se venendo da Piazza Barberini ed andando verso quei muri, quegli archi antichi, sulla destra, al finale di Via Veneto. Adesso so che si chiama Hotel Flora, ed in quell'Hotel Flora io mi recai insieme a Nino Salvo, perché Lima l'aveva voluto e perché desiderava salutarmi.

DOMANDA - Nino Salvo cosa le dice, prima di questo incontro?

RISPOSTA - Nino Salvo cosa mi dice!

DOMANDA - Esattamente, se riesce a ricordarlo?

RISPOSTA - Perché lui si trova a Roma?

DOMANDA - Anche.

RISPOSTA - Lui si trova a Roma perché deve rispondere o deve essere interrogato da qualche giudice e noi ci troviamo a colazione, no a pranzo, a casa di Giuseppe Calò, che abita a Roma, e mi dice che c'è Salvo Lima che mi vuole salutare e che si vuole scusare per quello che non ha potuto fare durante gli anni della tua detenzione.

DOMANDA - Lei quindi accetta di incontrarlo, vi incontrate all'Hotel Flora; qual è l'oggetto della conversazione durante questo incontro?

RISPOSTA - Anche se l'incontro non è stato molto lungo, è stato breve, non si tratta di ore, si parlò. Prima di ogni cosa mi disse che gli dispiaceva di non essersi potuto interessare di me, ed io non potei dargli torto, perché effettivamente aveva ragione lui, quando si parlava, a quell'epoca non esisteva né Totò Riina, né i Corleonesi, non esisteva nessuno, esisteva solo Tommaso Buscetta, che era il re dei due mondi, era il re della droga, era l'uomo a cui tutta la polizia d'Italia doveva dedicare il suo tempo. E quindi io ritenevo che l'on. Lima avesse ragione, quindi non ce l'avevo proprio con lui. Poi passammo a parlare dei fatti che ci ricordavamo insieme, di chi era Ciancimino, che Ciancimino continuava a essere sempre lo stesso, che Ciancimino dava dei problemi, che Ciancimino "non so che cosa pretendeva" diceva lui, se sono arrivato al punto che si discute dei 4 quartieri di Palermo e l'abbiamo dedicato proprio a lui per amministrarli. Quindi la conversazione è stata piuttosto futile, niente di importante, ma comunque una cosa era certa: lui voleva che io capissi che i Corleonesi gli davano molto fastidio a lui, che non lo lasciavano vivere e che questo avveniva attraverso Ciancimino. Nino Salvo, quando ci lasciammo, fu più esplicito.

DOMANDA - Nino Salvo partecipa a questo incontro oppure no?

RISPOSTA - No. Nino Salvo partecipa all'incontro, però ci lascia soli, non so se lo fa per un rispetto a me, ma non credo, lo farà forse per un rispetto all'on. Lima. Ma quando noi, dopo esserci salutati, ci siamo appartati, Nino Salvo rimase nei pressi però senza intervenire agli scambi di opinione che avevamo io e Lima. Ma ripeto...

DOMANDA - Io l'ho interrotta, lei stava riferendo che Nino Salvo, conclusosi l'incontro, le sta dicendo qualcosa; che cosa?

RISPOSTA - Mi sta dicendo proprio che i Corleonesi fanno la vita impossibile a Lima, attraverso Ciancimino, perché Ciancimino è indomabile ed è appoggiato incondizionatamente dei Corleonesi.

DOMANDA - Quindi lei che conclusione trae da questo incontro con Salvo Lima prima e con Nino Salvo poi? Che cosa si voleva da lei?

RISPOSTA - Come al solito la mediazione. Io potrei dirle, saprei dirlo molto bene se potessi parlare in siciliano, ma devo parlare in italiano e devo dire, come al solito, la mia mediazione, perché lui ha dato un messaggio ben chiaro: "Aiutami nella gestione di questi benedetti Corleonesi".

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Lui chi?

RISPOSTA - Salvo Lima, che poi, tra l'altro, erano anche i Salvo che lo volevano, e che in altre occasioni non ne fecero segreto, dicendomi ben chiaramente che cosa erano i Corleonesi per loro. Però non siamo a proposito dei Salvo.

DOMANDA - Durante l'incontro dell'Hotel Flora, ha visto qualche altro uomo politico, o qualche altro palermitano, oltre a Nino Salvo, ovviamente? Lo ha visto, intendo lo ha visto passare, non che abbia partecipato all'incontro?

RISPOSTA - Sì.

DOMANDA - Chi era?

RISPOSTA - No, ho visto, abbiamo visto passare Giuseppe Cerami, Senatore, amico di Lima ed amico mio. Abbiamo preferito non fare interrompere il rapporto che si stava creando tra me e Lima, perché averlo chiamato, se lui ci avesse visto non ci avrebbe dato fastidio.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Dove lo avete visto passare?

RISPOSTA - Davanti l'hotel.

DOMANDA - A proposito dell'hotel, questo incontro, questo pour parler tra lei e Lima, dove avviene nell'hotel, se lo ricorda? Lo può descrivere?

RISPOSTA - Io ho un ricordo vago adesso, ma comunque tenterò. Entrando dall'hotel, sulla destra c'è una zona d'ombra, dove c'è una panca, dove c'era una panca perché non so se c'è più, noi, al momento di salutarci, con Lima, ci siamo salutati nell'atrio dell'hotel, poi ci siamo avviati verso questa panca, ci siamo seduti, quando saranno passati 10 minuti, 15 minuti, non saprei dire quanto, ci siamo alzati quasi andando incontro a Nino Salvo che era un po' più appartato sulla sinistra dell'ingresso dell'hotel.

DOMANDA - Ritorniamo a Nino e Ignazio Salvo. Lei ha già detto di averne sentito parlare, per la prima volta, nel carcere di Palermo, attraverso il dottor Barbaccia, li ha mai conosciuti personalmente, e se sì, quando?

RISPOSTA - Li ho conosciuti personalmente nell'agosto-luglio, subito dopo che mi sono dato alla latitanza mi sono stati presentati da Stefano Bontade.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Quindi siamo nell'anno?

RISPOSTA - 1980, subito dopo la latitanza.

DOMANDA - Quando dice: mi furono presentati, intende...?

RISPOSTA - Ufficialmente, nel senso di uomini d'onore.

(…)

DOMANDA - I Salvo, lo ha già accennato, erano in rapporti con Salvo Lima. Sa qualche cosa di più di ciò che ha detto su questi rapporti tra i cugini Salvo e Salvo Lima?

RISPOSTA - Qualcosa di più, i rapporti sono elettorali, perché ho detto poc'anzi che il candidato per i cugini Salvo era Salvo Lima, e logicamente consideravano Salvo Lima come se fosse uno della loro stessa famiglia, intendo dire famiglia, non Cosa Nostra, come se fosse un parente. Loro parlavano di Salvo Lima come se fosse una cosa loro, Salvo Lima significava per loro difenderlo e portarlo incondizionatamente perché Salvo Lima rispondeva a tutti i requisiti dell'uomo di cui loro avevano bisogno.

(…)

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

L'incontro all'Hotel Flora quando avviene?

RISPOSTA - Avviene durante l'estate dell'80, perché è un'estate caldissima.

E’ particolarmente significativo il fatto che Salvo Lima, in questa occasione, abbia chiesto di incontrare un esponente mafioso latitante, come Tommaso Buscetta, proprio per avvalersi della sua opera di mediazione in ordine ai rapporti con lo schieramento "corleonese" di Cosa Nostra, dal quale era energicamente sostenuto Vito Ciancimino.

Un simile contegno dimostra inequivocabilmente l’inestricabile intreccio venutosi a creare nelle relazioni tra esponenti politici e mafiosi per effetto del rapporto di stabile collaborazione rispettivamente instaurato dal Ciancimino con lo schieramento "corleonese" e dal Lima con lo schieramento contrapposto. La decisione dell’on. Lima di avvalersi della mediazione del Buscetta costituisce, infatti, un inequivocabile indice dell’impossibilità di risolvere attraverso canali politici i contrasti esistenti con il Ciancimino, ed, al contempo, una palese accettazione dell’influenza esercitata da "Cosa Nostra" sul piano politico.

Per quanto attiene all’episodio in esame, le dichiarazioni del Buscetta trovano univoco e preciso riscontro in diversi altri elementi di convincimento.

Il collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, all’udienza del 15 dicembre 1995, ha dichiarato che nel 1983 il sen. Cerami gli riferì di avere intravisto nel 1980 a Roma, nella hall dell’Hotel Flora, Antonino Salvo e Salvo Lima, i quali si intrattenevano con Tommaso Buscetta. Il sen. Cerami (il quale alla fine degli anni ’50 aveva partecipato ad una riunione nell’abitazione di Salvo Lima con il Buscetta, lo stesso Gioacchino Pennino e l’omonimo zio di costui) espresse al Pennino il proprio stupore per il fatto che l’on. Lima continuasse ad avere rapporti, dopo tanto tempo, con il Buscetta.

Le suindicate dichiarazioni del Pennino sono di seguito trascritte:

P.M. SCARP.: Dottore lei sa se i rapporti tra LIMA, l'Onorevole LIMA e TOMMASO BUSCETTA proseguirono anche negli anni '80?

PENNINO G.: io lo so indirettamente, lo so indirettamente perché rammento che proprio in quell'epoca ebbi ad incontrare in uno dei bar che ci sono in Via Veneto, non mi rammento se si chiama Doney o altro "Cafe de Paris" il defunto Senatore GIUSEPPE CERAMI, io mi ero recato in quel presidio perché avevo diritto (rectius aderito: n.d.e.) già alle posizione di ALBERTO ALESSI per incontrarlo, e lo incontrai casualmente mi sedetti al bar con lui, si parlava del più e del meno dei personaggi di origine siciliana che erano suoi amici e che gravitavano intorno a noi uomini d'onore e lui (…) parlò di un certo COSENTINO che aveva un ruolo considerevole alla Camera dei Deputati e mi disse che era (...) vicino al mondo di "COSA NOSTRA", era disponibile, era disponibile...

PRESIDENTE: chi era questo Signore?

PENNINO G.: a suo dire questo COSENTINO era un grosso funzionario (...) della Camera dei Deputati. Non rammento quale ruolo avesse, funzionario... no, non era un eletto.

PRESIDENTE: sì, sì, abbiamo capito, prego.

PENNINO G.: e, fra l'altro, parlandomi di altri mi ebbe a stranizzarsi di un fatto: come mai SALVO LIMA continuava ad avere rapporti dopo tanto tempo con TOMMASO BUSCETTA, perché a suo dire lui lo avrebbe intravisto, qualche anno prima, no... giusto, no, no, avrebbe intravisto questo... sì, no, l'avrebbe int... sì, sì, no l'aveva intravisto proprio nell'80. Io nell'83 incontrai CERAMI.

PRESIDENTE: quindi lei lo incontrò...

PENNINO G.: nell'83.

PRESIDENTE: ...in Via Veneto...

PENNINO G.: nell'83.

PRESIDENTE: '83.

PENNINO G.: nell'83. Lui mi ebbe a riferire che alcuni anni prima, nell'80 esattamente, aveva incontrato in una hall di un albergo, rammento anche il nome dell'albergo "HOTEL FLORA" e lo rammento perché poi ebbe a acquistare a PALERMO un "HOTEL FLORA" e quindi... ricollego...

PRESIDENTE: "HOTEL FLORA" di ROMA?

PENNINO G.: di ROMA. Nella hall ebbe a incontrare NINO SALVO, SALVO LIMA che si intrattenevano, a suo dire, con TOMMASO BUSCETTA. E si stranizzava, appunto, (…) perché come mai potessero essere dopo tanto tempo, mantenuti dei rapporti fra il LIMA e TOMMASO BUSCETTA, perché lui aveva partecipato a quella riunione della fine degli anni '50 a casa del LIMA con me mio zio GIOACCHINO e CERAMI e si era stranizzato. Non mi fece alcun commento. Anzi non mi disse se... che si era fermato a salutarli, mi disse mi son fatto stranire e non feci nessun... assolutamente nessun apprezzamento, non dissi niente anche se sapevo che il BUSCETTA era molto amico, (…) giusto il BUSCETTA era amico di NINO SALVO perché me l'aveva detto TONY SANGIORGI che era amico di NINO SALVO.

Un rilevante riscontro alle dichiarazioni del Buscetta è desumibile dalle risultanze dell’interrogatorio reso da Antonino Salvo in data 17 novembre 1984 davanti ai Giudici Istruttori del Tribunale di Palermo dott. Falcone e dott. Borsellino. Antonino Salvo, infatti, ammise di essere stato interrogato nel 1980 a Roma da un Giudice (a suo avviso, della Sezione Fallimentare) in relazione al fallimento dei Caltagirone, e di avere alloggiato in un albergo sito in Via Veneto. Pur negando di avere preso parte all’incontro con il Buscetta e con un "parlamentare palermitano" (che in quel periodo non era ancora stato indicato nominativamente dal collaboratore di giustizia), Antonino Salvo non fu in grado di spiegare come mai il Buscetta fosse a conoscenza del fatto che egli era stato sottoposto ad interrogatorio a Roma ed aveva preso alloggio in un albergo di via Veneto.

Le suindicate dichiarazioni di Antonino Salvo sono di seguito trascritte:

"Ricordo vagamente che nel 1980 ho alloggiato in un albergo di via Veneto e mi riservo di indicarne il nome. Ricordo che in quel periodo sono stato interrogato da un giudice di Roma, credo della sezione fallimentare, in relazione al fallimento dei Caltagirone. Le SS.LL. mi informano che Tommaso Buscetta ha dichiarato di essersi incontrato con me e con un parlamentare palermitano in un albergo di via Veneto in occasione di un mio interrogatorio da parte di un giudice romano. Escludo categoricamente che ciò sia vero ma non so dire come il Buscetta fosse a conoscenza dell’episodio del mio interrogatorio a Roma e del mio alloggio in un albergo di via Veneto".

Nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 23 maggio 1996, il dott. Domenico Farinacci ha specificato che Antonino Salvo soggiornò a Roma presso il Grand Hotel Excelsior, sito in via Veneto, dal 23 al 24 gennaio 1980, dal 31 gennaio al 1° febbraio 1980, dal 5 al 6 giugno 1980, dal 3 al 6 novembre 1980, dal 2 al 4 dicembre 1980.

La descrizione del luogo dell’incontro fornita dal Buscetta ha trovato puntuale riscontro nelle risultanze investigative esposte dal teste isp. Lorenzo Giacomini all’udienza del 23 maggio 1996.

Dalla deposizione di quest’ultimo teste si desume, infatti, che l'Hotel Flora, sito a Roma in via Veneto n. 191, nelle vicinanze degli Archi di Porta Princiana ed a poche centinaia di metri dal Grand Hotel Excelsior, presenta alcune sale, tra cui il salone Impero, nel quale vi sono rientranze laterali arredate con panche. Il portiere dell'Hotel Flora, Giacomo Franco, assunto a sommarie informazioni, ha dichiarato che l'albergo era frequentato dall’on. Lima, il quale, pur senza prendervi alloggio, era solito incontrarsi nel salone Impero con altri uomini politici come l’on. Drago, l'on. Rino Nicolosi, l'on. D'Acquisto ed il sen. Grassi Bertazzi; ha, inoltre, chiarito che l'albergo non ha subito modifiche architettoniche, nè nell'arredamento, nè nella collocazione del mobilio.

Il teste on. Drago, all’udienza del 25 settembre 1996, ha affermato che l’on. Salvo Lima aveva preso in locazione o acquistato un piccolo appartamento nelle immediate vicinanze dell'Hotel Flora.

La circostanza che il Buscetta sia stato ospitato nel 1980 presso l’abitazione romana di Giuseppe Calò, sita in Via Aurelia n. 471, è stata ammessa dallo stesso Calò nel corso del processo n. 29/85 svoltosi davanti alla Corte di Assise di Palermo nei confronti di Abbate Giovanni ed altri 459 imputati (c.d. maxiprocesso), come si evince dalla sentenza emessa il 16 dicembre 1987 a conclusione del giudizio di primo grado (pag. 4300 e segg.).

Sempre con riferimento al periodo successivo all’adesione dell’on. Lima alla corrente andreottiana, le dichiarazioni - del tutto autonome, completamente disinteressate ed intrinsecamente attendibili (per il loro contenuto puntuale e dettagliato, per la loro coerenza logica, per la loro univocità, per la loro spontaneità) - di una pluralità di collaboratori di giustizia soggettivamente credibili convergono nell’affermare che il medesimo esponente politico sviluppò intensi rapporti con Stefano Bontate, uno dei più autorevoli capi di "Cosa Nostra".

Il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia all’udienza del 4 novembre 1996 ha riferito che Stefano Bontate (capo del "mandamento" di Santa Maria di Gesù), attraverso Rosario Nicoletti, Matteo Citarda (rappresentante della "famiglia" di Viale Lazio) e Giuseppe Albanese ("uomo d’onore"), instaurò stretti rapporti con Salvo Lima.

Il Marino Mannoia vide diverse volte Stefano Bontate e Gaetano Fiore ("uomo d'onore" della "famiglia" di Pagliarelli) incontrarsi con Salvo Lima all’interno dei locali del bar Baby Luna (nei giorni in cui l’esercizio era chiuso), ed in appartamento adibito ad ufficio, di proprietà del Fiore, sito nelle vicinanze dello stesso bar. Il Marino Mannoia in queste occasioni accompagnò il Bontate e notò che quest’ultimo si incontrava con i predetti individui, ma non prese parte ai colloqui, mantenendosi entro i limiti inerenti al suo ruolo di semplice "uomo d’onore".

Stefano Bontate, intorno al 1978-79, riferì al Marino Mannoia che Salvo Lima era un "uomo d’onore" riservato della "famiglia" di Viale Lazio.

Il collaborante ha aggiunto che anche Salvatore Riina e Giuseppe Calò conoscevano Salvo Lima.

Le dichiarazioni rese in proposito dal Marino Mannoia all’udienza del 4 novembre 1996 sono le seguenti:

P.M. NATOLI: (…) Quali erano i rapporti tra "COSA NOSTRA" ed il mondo della politica?

MANNOIA F.: ecco, ritornando... facendo un passo indietro, dapprima PAOLO BONTADE, VINCENZO RIMI, ANTONINO SALAMONE, prediligevano, diciamo, la monarchia, poi, col passare degli anni, si resero conto che non potevano restare indietro, ma adeguarsi e, quindi, (…) abbracciare la DEMOCRAZIA CRISTIANA, che era il partito più importante di allora. Quando poi diviene rappresentante STEFANO BONTADE, lui ha cercato diciamo di ingrandire (...) le sue conoscenze politiche. Dapprima intraprende rapporti con VINCENZO NICOLETTI, perché aveva (...) un terreno con una villa adiacente alla proprietà del BONTADE stesso, al Magliocco (…). Attraverso il NICOLETTI, e poi, successivamente, con l'amicizia del vecchio MATTEO CITARDA, per tramite del vecchio MATTEO CITARDA e GIUSEPPE ALBANESE allacciò rapporti anche con SALVO LIMA. BONTADE conosceva molto bene, perché era un personaggio politico che era anche nelle sue mani, e aveva anche lui terreni nel nostro territorio, nel territorio di STEFANO BONTADE, l'Onorevole GIOIA, il Senatore CERAMI, l'Onorevole D'ACQUISTO...

PRESIDENTE: chi è che aveva questi terreni, MANNOIA?

MANNOIA F.: sì, allora, i terreni che erano nel territorio di BONTADE erano quelli dell'Onorevole NICOLETTI, che era proprio adiacente alla villa del BONTADE, alla proprietà BONTADE di Magliocco. E... nello stesso territorio, controllato dalla "famiglia" BONTADE, vi era anche una grossa proprietà l'Onorevole GIOIA.

P.M. NATOLI: scusi Signor MANNOIA, lei ha detto VINCENZO NICOLETTI, è sicuro di questo nome di battesimo?

MANNOIA F.: no!

(…)

P.M. NATOLI: chi era questo NICOLETTI?

MANNOIA F.: e... sì, era...

P.M. NATOLI: era un uomo d'onore? Era...

MANNOIA F.: no, no, era un democri... un onorevole della DEMOCRAZIA CRISTIANA, certamente...

P.M. NATOLI: quindi...

MANNOIA F.: ...ho sbagliato nel dire VINCENZO, ma sicuramente è il NICOLETTI di cui parlo io, Onorevole democristiano, e che aveva la proprietà a Fondo Magliocco, limitrofa a STEFANO BONTADE, non si può sbagliare con questi, diciamo, particolari situazioni.

P.M. NATOLI: sa se per caso si chiamasse ROSARIO?

MANNOIA F.: ROSARIO NICOLETTI.

P.M. NATOLI: ROSARIO.

MANNOIA F.: sì.

P.M. NATOLI: ma...

MANNOIA F.: ...scusate, ma a volte uno può fare dei lapsus...

(…)

P.M. NATOLI: (...) MATTEO CITARDA, GIUSEPPE ALBANESE chi sono o chi erano?

MANNOIA F.: MATTEO CITARDA, il vecchio MATTEO CITARDA era suocero di (...) GIOVANNI BONTADE, suocero di MIMMO TERESI, GIROLAMO TERESI, e suocero di GIUSEPPE ALBANESE, noi lo chiamavamo PINUZZO ALBANESE. Era il rappresentante della "famiglia" di Viale Lazio.

P.M. NATOLI: quindi, uomo d'onore, rappresentante di questa "famiglia" e suocero di tre uomini d'onore, pure loro? Tutti e tre?

MANNOIA F.: sì, tutti e tre uomini d'onore, come l'Onorevole LIMA, che faceva parte della sua... della sua "famiglia".

P.M. NATOLI: Onorevole...

MANNOIA F.: SALVO, SALVO LIMA.

P.M. NATOLI: lei ha conosciuto l'Onorevole SALVO LIMA come uomo d'onore?

MANNOIA F.: no, io l'ho avuto detto da STEFANO BONTADE, in maniera riservata, non mi è stato mai presentato.

P.M. NATOLI: che cosa esattamente, vuole chiarire questo punto?

MANNOIA F.: io ebbi modo di vedere diverse volte STEFANO BONTADE insieme a GAETANO FIORE, che si incontravano con il LIMA, sia nella... in un ufficio, in una casa adibita ad ufficio, nelle vicinanze del "BABY LUNA", e sia nel "BABY LUNA", alcune volte nei giorni di chiusura. Il BONTADE mi disse che era uomo d'onore riservato della "famiglia" di MATTEO CITARDA.

P.M. NATOLI: quindi, di questa "famiglia" di VIA LAZIO.

MANNOIA F.: sì.

P.M. NATOLI: riesce a collocare nel tempo questa notizia? Quando BONTADE le parla di LIMA come uomo d'onore?

MANNOIA F.: ma... negli ultimi anni, prima della sua morte, verso il '78, '79.

P.M. NATOLI: ecco, quindi, ad esempio, con riferimento a fatti della sua vita, lei era già sposato?

MANNOIA F.: sì, io sì.

P.M. NATOLI: quindi, siamo dopo il...?

MANNOIA F.: '78.

P.M. NATOLI: dopo il '78. E questa notizia, scusi se insisto, BONTADE gliela dà in termini di certezza, ovviamente?

MANNOIA F.: e certamente.

P.M. NATOLI: le disse BONTADE o comunque è a sua conoscenza, se vi fosse qualche altro familiare dell'Onorevole LIMA che faceva parte o aveva già fatto parte di "COSA NOSTRA"?

MANNOIA F.: no! Questo non lo ricordo.

P.M. NATOLI: quindi, le parlò soltanto di SALVO LIMA?

MANNOIA F.: sì.

P.M. NATOLI: senta, questi rapporti con gli uomini politici, ai quali lei ha fatto riferimento finora, erano intrattenuti soltanto da STEFANO BONTADE o anche da altri esponenti di "COSA NOSTRA"?

MANNOIA F.: no, erano intrattenuti, come ho già detto, da STEFANO BONTADE, da GIUSEPPE ALBANESE e da MATTEO CITARDA, ma anche da SALVATORE RIINA e PIPPO CALO', anche loro conoscevano SALVO LIMA, e soprattutto avevano nelle mani VITO CIANCIMINO. Anche MICHELE GRECO aveva diciamo, nelle mani, diciamo... gli Onorevoli palermitani.

PRESIDENTE: al plurale ha detto? Gli Onorevoli!

MANNOIA F.: sì.

P.M. NATOLI: ecco, vuole chiarire giustamente al Tribunale questo riferimento agli Onorevoli? Cioè, chi erano queste persone, questi uomini politici? Soltanto quelli che lei ha menzionato o anche qualche altro?

MANNOIA F.: no, in poche parole io non ricordo tutti gli Onorevoli, ma avevano l'intera... l'intera classe politica siciliana nelle mani.

P.M. NATOLI: eh! Vuole arricchire, se ci riesce...

MANNOIA F.: soprattutto la DEMOCRAZIA CRISTIANA, io ho parlato di GIOIA, di CIANCIMINO, di (...) ROSARIO NICOLETTI, di SALVO LIMA, di CERAMI, D'ACQUISTO e tanti altri che io non posso ricordare.

(...)

P.M. NATOLI: ecco, ma limitiamoci soltanto, appunto, ai suoi ricordi personali. Lei questi personaggi politici, questi uomini politici li ha visti personalmente incontrarsi con alcuni uomini d'onore?

MANNOIA F.: sì, io personalmente ho visto incontrare SALVO LIMA e il NICOLETTI con BONTADE.

P.M. NATOLI: e questo lo ha già detto! GIOVANNI GIOIA?

MANNOIA F.: so che GIOIA era in buoni rapporti col BONTADE, io non credo di averlo incontrato.

P.M. NATOLI: e quindi lo apprende da chi di questo rapporto?

MANNOIA F.: da STEFANO BONTADE.

P.M. NATOLI: da STEFANO BONTADE!

MANNOIA F.: aveva... e poi era sotto la... diciamo, la protezione di STEFANO, aveva una vasta estensione di terra nel nostro territorio.

P.M. NATOLI: ricorda se quest...

MANNOIA F.: vi era una "guardianeria" (guardiania), diciamo, all'interno della... del terreno di GIOIA.

(…)

P.M. NATOLI: che significa una guardiania, lo vuole spiegare?

MANNOIA F.: cioè, guardiania significa che vi era una persona che era... diciamo, addetta al controllo di questa... di questa tenuta, e il quale GIOIA, naturalmente, usciva qualcosa di soldi per garantire, perché (…) la tranquillità.

P.M. NATOLI: ...questa persona faceva parte di "COSA NOSTRA"?

MANNOIA F.: sì, io non so esattamente chi era, perché in epoche molto... molto lontane, di cui non mi sono addentrato, ma faceva parte della "famiglia" di STEFANO.

Dopo essersi soffermato sui rapporti instaurati negli anni ’70 da Stefano Bontate con alcuni esponenti politici, il Marino Mannoia ha precisato:

P.M. NATOLI: senta, tra i personaggi politici frequentati da STEFANO BONTADE, ve ne era qualcuno che per quella che è la sua personale conoscenza, aveva una maggiore intimità con STEFANO BONTADE? E se sì quale.

MANNOIA F.: ma certamente SALVATORE LIMA.

(…)

P.M. NATOLI: (…) A proposito, ecco, di SALVO LIMA, SALVATORE LIMA, lei vede incontrarsi BONTADE e LIMA, a parte i locali del "BABY LUNA" quando... cioè nelle occasioni alle quali ha già fatto riferimento, ne ricorda qualche altra?

MANNOIA F.: sì, ho detto anche l'appartamento adibito a ufficio di proprietà di GAETANO FIORE.

P.M. NATOLI: quindi, GAETANO FIORE lì aveva due luoghi, diciamo: un appartamento ed i locali del "BABY LUNA".

MANNOIA F.: sì. I due posti dove io ho visto che si sono riuniti, incontrati STEFANO con GAETANO FIORE con SALVATORE LIMA, con SALVO LIMA. (…) questi sono i due posti (…) in cui io, personalmente, accompagnando il BONTADE, vidi incontrare GAETANO FIORE e SALVO LIMA.

P.M. NATOLI: senta, ma GAETANO FIORE chi è? Lo vuole descrivere al Tribunale?

(…)

MANNOIA F.: GAETANO FIORE era un anziano uomo d'onore della "famiglia" di PAGLIARELLI.

P.M. NATOLI: la "famiglia" di PAGLIARELLI di quale mandamento faceva parte a quel tempo?

MANNOIA F.: a quel tempo era ancora, siamo... verso il '78/'79 ancora fa parte del mandamento BONTADE.

P.M. NATOLI: del mandamento di STEFANO BONTADE. E quindi GAETANO FIORE che attività svolgeva? Faceva soltanto l'uomo d'onore o faceva dell'altro? Aveva un'attività apparente?

MANNOIA F.: lui aveva, oltre ad avere il "BABY LUNA", aveva rifornimento di carburanti ed era, diciamo, un grosso costruttore edile.

P.M. NATOLI: ed era un grosso costruttore edile. Senta Signor MANNOIA, questi locali del "BABY LUNA" ricorda qualche altro incontro particolare in quegli anni?

MANNOIA F.: sì, nel gennaio, nei primi mesi del '79, ci riunimmo nei locali sottostanti al "BABY LUNA" con alcuni componenti di "COSA NOSTRA" statunitensi, parenti di SALVATORE INZERILLO, e membri di "COSA NOSTRA" sia della "famiglia" DI STEFANO, sia della "famiglia" di TOTO' INZERILLO.

P.M. NATOLI: chi erano? Ne ricorda qualche nome?

MANNOIA F.: come americano vi era JOHN GAMBINO e un suo zio; poi (...) come palermitani, vi ero io, STEFANO BONTADE, SALVATORE FEDERICO, molti, molti altri della stessa "famiglia". Vi era poi SALVATORE INZERILLO, vi era SANTINO INZERILLO, e tanti altri uomini d'onore della "famiglia" di INZERILLO. Insieme certamente GAETANO FIORE ed altri.

P.M. NATOLI: per caso ricorda le ragioni di questo incontro? Ha detto all'inizio del '79.

MANNOIA F.: sì, allora le ragioni di questo incontro erano soprattutto per un riferimento a grossi quantitativi di eroina che da lì a poco si doveva... io stesso dovevo raffinare.

P.M. NATOLI: quindi traffico di stupefacenti. (…) Lei sa per chi votava "COSA NOSTRA" o perlomeno, a questo riguardo che cosa può dire al Tribunale?

MANNOIA F.: io posso dire che in epoche antecedenti al periodo BONTADE, tutta "COSA NOSTRA" votava per la DEMOCRAZIA CRISTIANA.

P.M. NATOLI: sa se vi era necessità da parte di "COSA NOSTRA", o perlomeno come si sviluppava, si manifestava questo voto. Era spontaneo o c'era una organizzazione?

MANNOIA F.: no, il voto era spontaneo nel senso che la DEMOCRAZIA CRISTIANA era il partito prediletto e quindi il partito votato da tutta l'intera "COSA NOSTRA". E quando dico "COSA NOSTRA" si allarga il raggio a tutti i parenti, amici e conoscenti. E non vi erano particolari pressioni per votare questo partito, ma era una cosa oramai stabile nel tempo che si votava DEMOCRAZIA CRISTIANA.

Nella successiva udienza del 5 novembre 1996 il Marino Mannoia ha aggiunto quanto segue:

AVV. COPPI: (…) Quando LIMA, BONTADE e FIORE si incontravano nell'ufficio di FIORE, oppure al "BABY LUNA", lei prendeva parte a questi incontri?

MANNOIA F.: no, io accompagnavo e notavo che loro si incontravano, ma io non ho partecipato mai direttamente a queste...

AVV. COPPI: la ragione di questa sua esclusione, è quella che lei ha già detto prima, e cioè che lei era un semplice soldato, e quindi partecipava o meno a seconda che venisse ammesso o meno?

MANNOIA F.: no, era una forma di delicatezza anche nei miei confronti, anche da parte mia.

AVV. COPPI: appunto dico, comunque lei partecipava a questi incontri solo nella misura in cui veniva ammesso perciò?

MANNOIA F.: no nella misura in cui venivo ammesso, anch'io a volte mi astenevo da allontanarmi per non...

AVV. COPPI: ecco, allora negli incontri che si svolgevano nell'ufficio di FIORE o al "BABY LUNA", era lei che si asteneva dal partecipare o era BONTADE che non la invitava a partecipare?

MANNOIA F.: ma BONTADE mi chiedeva di accompagnarlo, e io così, diciamo, sapendo mantenere i miei limiti e il mio ruolo, io mi allontanavo e (…) non aspettavo che mi...

AVV. COPPI: ecco, e BONTADE l'ha mai invitata a partecipare a questi colloqui, da cui lei poi per ragione di delicatezza ha ritenuto di doversi astenere?

MANNOIA F.: no, non mi...

AVV. COPPI: non l'ha invitata. Benissimo. BONTADE, dopo questi incontri e questi colloqui, le riferiva il contenuto dei colloqui che aveva avuto con LIMA e con FIORE?

MANNOIA F.: a volte sì e a volte no.

AVV. COPPI: sicuro?

MANNOIA F.: come sicuro? Cioè non era sempre che BONTADE mi raccontasse i rapporti tra... fra lui, FIORE e...

PRESIDENTE: questo, nell'ambito di questo... quando si incontrava con LIMA, lì al "BABY LUNA", poi (...) glielo riferiva BONTADE?

MANNOIA F.: no, in quell'occasione non ricordo che mi abbia riferito particolari.

AVV. COPPI: non ricorda o lo esclude?

MANNOIA F.: lo vorrei escludere.

AVV. COPPI: ah! Quindi non accadeva sempre che BONTADE le riferisse il contenuto di colloqui che egli aveva con altri personaggi, o di "COSA NOSTRA" o vicini a "COSA NOSTRA"? Qualche volta sì, qualche volta no?

(…)

MANNOIA F.: sì.

(…)

AVV. COPPI: senta, lei ha detto che l'Onorevole LIMA era un uomo d'onore della "famiglia" di MATTEO CITARDA, parliamo dell'Onorevole LIMA, SALVO LIMA.

MANNOIA F.: sì.

AVV. COPPI: il MATTEO CITARDA di VIALE LAZIO. Lo conferma questo?

MANNOIA F.: così mi disse STEFANO BONTADE, lo confermo.

AVV. COPPI: bene. Le risulta, però, che molti altri collaboranti degni di fede quanto lei, hanno invece escluso o comunque hanno detto che a loro non constava che l'Onorevole LIMA fosse un uomo d'onore?

MANNOIA F.: a me non mi risulta perché io non ascolto mai cosa dicono gli altri e non ho mai letto in vita mia nessun verbale riferente ad altri collaboratori, tranne quelli di CONTORNO e BUSCETTA quando io ero imputato nel Maxi-Processo e quindi dovevo difendermi e leggere quei verbali.

AVV. COPPI: va bene. Quindi però lo sa che BUSCETTA non è stato in grado di affermare se LIMA fosse o non fosse uomo d'onore?

MANNOIA F.: no, non so assolutamente niente.

(…)

AVV. SBACCHI: (…) Senta, lei ha conosciuto LIMA? L'Onorevole LIMA.

MANNOIA F.: sì, l'ho conosciuto così, diciamo, durante quelle volte che accompagnavo STEFANO che si incontrava con...

AVV. SBACCHI: lei l'ha visto mai in casa BONTADE, LIMA?

MANNOIA F.: no, a casa BONTADE no.

(…)

MANNOIA F.: io ho dichiarato che più volte ho visto (…) l'Onorevole SALVO LIMA all'ufficio... casa adibita ad ufficio di GAETANO FIORE. Altre volte nelle... nella sala del "BABY LUNA", in giorno di chiusura.

(…)

AVV. SBACCHI: senta, a proposito di... dei rapporti con LIMA. Quindi CITARDA... lei ha visto mai CITARDA e LIMA assieme?

MANNOIA F.: io ho visto PINO ALBANESE insieme.

AVV. SBACCHI: lei ha visto PINO ALBANESE. CITARDA non l'ha visto mai?

MANNOIA F.: no, CITARDA era una persona...

(…)

AVV. SBACCHI: se ha mai visto CITARDA e LIMA assieme.

MANNOIA F.: no.

AVV. SBACCHI: non li ha mai visti.

MANNOIA F.: io non andavo spesso a trovare MATTEO CITARDA.

AVV. SBACCHI: non lo... alle riunioni di cui lei ha parlato, cioè (…) in una casetta di FIORE e in "BABY LUNA" in giorni di chiusura. Ha mai visto CITARDA?

MANNOIA F.: no.

(…)

AVV. SBACCHI: (…) sa se LIMA è intervenuto mai in favore di BONTADE?

MANNOIA F.: io so che era... era molto intimo con BONTADE.

Per quanto attiene alla formale affiliazione dell’on. Lima all’associazione mafiosa, le dichiarazioni de relato del Marino Mannoia non hanno trovato riscontro in altri elementi di convincimento, e sono, anzi, contraddette dalle asserzioni di altri collaboranti.

Con riguardo, invece, alle affermazioni compiute dal Marino Mannoia in ordine agli incontri tra l’on. Lima e Stefano Bontate presso il bar Baby Luna, sono emersi inequivocabili riscontri estrinseci che ne confermano la veridicità.

In particolare, il collaboratore di giustizia Angelo Siino, all’udienza del 17 dicembre 1997, ha dichiarato di avere visto Salvo Lima incontrarsi con Stefano Bontate nei primi anni ’70 presso il bar Baby Luna, di cui erano titolari i fratelli Fiore. Ha aggiunto che il Bontate cercava di avvicinare Lima esclusivamente per questioni di alto livello, e si avvaleva quale tramite, per inviare i suoi "ordini" al Lima, del proprio cognato Giacomo Vitale. Ha specificato che l’on. Lima fu sempre aiutato in tutti i modi dall’organizzazione mafiosa, fu il referente politico di tutti gli esponenti mafiosi (tra cui Stefano Bontate e diversi soggetti appartenenti alla "famiglia" mafiosa in cui era inserito il padre dello stesso Lima), e "rimase sempre ai vertici del rapporto mafia-politica".

Le dichiarazioni rese sul punto dal Siino sono di seguito riportate:

P.M.: (…) ha conosciuto o sentito nominare i fratelli FIORE?

SIINO A.: I fratelli FIORE, sì, l'ho conosciuto ... li ho visti parecchie volte in parecchie occasioni. I fratelli FIORE oltre a gestire il bar Baby Luna (…) avevano un deposito di carburanti, oltre ad essere costruttori. Una volta c'è stato un problema con mio suocero per una fornitura di carburanti, ed io praticamente ho avuto modo di conoscere i FIORE. Comunque l'ho rivisto anche in un altra situazione quando io ritornavo da Milano con Stefano e l'ho rivisto a Roma in una stazione di servizio prima di Roma.

(…)

PRESIDENTE: Aspetti, aspetti, a chi ha rivisto? Siccome ha parlato dei fratelli FIORE, lei ha detto:"L'ho rivisto" chi?

SIINO A.: Io praticamente il FIORE più grande conoscevo. In questo momento non mi viene il nome. Era il FIORE più grande, l'altro non lo conosco. Cioè lo vedevo, stava alla cassa (…), però sapevo che era uno dei FIORE però non mi ricordo neanche il nome.

(…)

P.M.: Ad esempio uno poteva essere Gaetano.

SIINO A.: Sì, TANINO FIORE.

(…)

PRESIDENTE: Questo il grande?

SIINO A.: Sì, il grande, TANINO FIORE.

P.M.: Senta, nel ... lei ha fatto riferimento a riunioni politiche o comunque sia ad incontri ai quali partecipavano anche i politici in questo periodo.

SIINO A.: Sì.

(…)

P.M.: E allora ritorniamo ... Lei ha già fatto accenno all'Onorevole LIMA che allora forse non era ancora Onorevole. Che cosa ... quando lo ha visto, chi altri c'era, con riferimento al periodo che sta rievocando.

SIINO A.: Ma diciamo che (…) è un periodo ancora dove io ero abbastanza giovane (…) Fu forse in un periodo successivo che io cominciai (…) a capire esattamente la situazione com'era. (…) Io di riunioni politiche me ne ricordo diverse dove partecipò sia LIMA, sia dove partecipò (…) FRANCO RESTIVO. (…)

P.M.: Signor SIINO, mi scusi, la domanda era incentrata sull'Onorevole LIMA.

SIINO A.: Sì.

(…)

P.M.: Senta, al Baby Luna dei fratelli FIORE lo ha visto mai?

SIINO A.: Sì, sì, al Baby Luna dei fratelli FIORE, però in un epoca successiva.

P.M.: Cioè quando?

SIINO A.: Cioè diciamo, primi anni '70. L'ho visto quando si incontravano ... anche si incontravano con Stefano, perchè il Baby Luna ...

P.M.: Stefano chi è?

SIINO A.: BONTATE.

(…)

SIINO A.: (…) il Baby Luna, prima di diventare nell'attuale edizione, era diverso. Era un casottino con sotto si accedeva ad una specie di ufficetto, di saletta che era sotto il Baby Luna, attigua mi pare ad un ... ad un laboratorio per dolci o cose di questo genere, c'era questa saletta dove facevano queste riunioni e lì ...

P.M.: Facevano queste riunioni chi quindi?

SIINO A.: STEFANO BONTATE, una volta l'ho visto con NINO RICCO, cioè sarebbe ANTONINO SORCE e poi STEFANO BONTATE, suo fratello Giovanni e se non mi sbaglio c'era anche TOTO' GRECO "u senature" o "u zzu Totò".

P.M.: Senta, per caso è in grado di dirci di che cosa parlassero nel corso di questi incontri?

SIINO A.: Ma sicuramente parlavano di problemi politici. Anche perchè c'era ... i candidati di elezione della zona erano FRANCO RESTIVO e praticamente LIMA e gente del suo entourage, per cui chiaramente stavano a parlare di queste cose, cioè di fatti di politica. Poi alle volte parlavano anche di questioni di costruzioni a livello di modifiche di piano regolatore, a livello di cose, di licenze. NINO RICCO era molto ma molto inserito nel mondo dell'edilizia palermitana.

PRESIDENTE: Lei era presente a queste riunioni?

SIINO A.: Sì, sì, sì.

P.M.: Senta, ricorda qualche cosa di più specifico per caso su questo settore delle costruzioni, delle modifiche dei piani regolatori eccetera, cioè di queste discussioni, se nonostante il tempo riesce ...

SIINO A.: Ma naturalmente qualcosa ... mi ricordo che c'era qualche problema per una società che aveva Stefano che costruì un mega palazzone ...

P.M.: Sempre BONTATE è Stefano.

SIINO A.: Sì, STEFANO BONTATE, perchè stava costruendo un mega palazzone in zona Sant'Erasmo e praticamente questo mega palazzone che era la Immobiliare Atlantide mi pare che si chiamasse, aveva qualche problema di ordine di costruzioni, per cui chiaramente mi pare che in quella occasione o fu in un altra, comunque si parlavano di queste situazioni. Poi si parlava di certe lottizzazioni che dovevano esserci nella zona di Ciaculli e Croceverde che dovevano interessare i PRESTIFILIPPO. Questo mi ricordo di quello che abbiamo ...

P.M.: I PRESTIFILIPPO per chiarirli, chi sono?

SIINO A.: Come?

P.M.: Per chiarirli, per identificarli meglio.

SIINO A.: Sì, i PRESTIFILIPPO sono VANNUZZO PRESTIFILIPPO, GIOVANNI PRESTIFILIPPO padre di MARIO e GIUSEPPE PRESTIFILIPPO.

(…)

P.M.: (…) in questo periodo che lei sta rievocando, dei cugini SALVO, vivente STEFANO BONTATE. Ha fatto riferimento all'Onorevole LIMA. Desidero chiederle: l'Onorevole LIMA frequentava STEFANO BONTATE?

SIINO A.: Sì, certamente.

P.M.: Lei lo ha visto ...

SIINO A.: Ho già riferito della riunione che ho visto io con i miei occhi, a cui ho partecipato, all'interno del ... sotto il Baby Luna.

P.M.: Al Baby Luna dei fratelli FIORE.

SIINO A.: Sì, sì, FIORE.

P.M.: Ma a parte questo episodio che ha già ricordato stamattina ve ne sono degli altri, se li ricorda.

SIINO A.: Ma praticamente STEFANO BONTATE non avvicinava ... cercava di non avvicinare se non per questioni di alta ... di cose di alto livello, il LIMA. Praticamente il tramite con il LIMA era suo cognato GIACOMO VITALE e GIACOMO VITALE portava spesso gli ordini del cognato a LIMA.

P.M.: E in questo quadro, perchè stiamo parlando dei SALVO, lei i SALVO o qualcuno di loro, LIMA e STEFANO BONTATE insieme li ha mai visti oppure no?

SIINO A.: No, in questa ... in questa configurazione, mai.

P.M.: E in quale altra configurazione allora?

SIINO A.: Ho visto LIMA con i SALVO, ho visto LIMA con BONTATE, ma LIMA con BONTATE e i SALVO, no.

Nella successiva udienza del 18 dicembre 1997 il Siino ha riferito quanto segue:

P.M.: (…) Ora io le chiederei, intanto di ripetere le cose che ha già detto ieri, di raccontarci quale è stato nel tempo il suo rapporto con l'Onorevole LIMA, che cosa sa lei dell'Onorevole LIMA dall'inizio della sua carriera, sino alla sua morte, cioè di eventuali appoggi da parte della mafia alla sua ascesa politica (…).

SIINO A.: Perfettamente. Da sempre, da quando proprio LIMA faceva parte delle organizzazioni giovanili della DC, è stato sempre sponsorizzato dalla mafia. In quanto LIMA era considerato figlio di uomo d'onore e praticamente, oltre ad essere figlio di uomo d'onore, diciamo era di mentalità mafiosa, cioè capiva bene quelli che erano i desiderata dei mafiosi. E praticamente questo ... LIMA lo ha portato questo marchio sempre, perchè praticamente è stato sempre aiutato in tutti i modi e in tutte le maniere dalla mafia. Cioè era il personaggio politico di riferimento della mafia. Intendo dire di mafia in senso lato, di tutti i personaggi di rilievo della mafia. A cominciare da STEFANO BONTATE, da NINO RICCO, da un po' da tutti, da CECE' SORCE, da GNOFFO, praticamente tutti questi personaggi che, o erano e facevano parte della famiglia mafiosa di appartenenza del padre, tipo CECE' SORCE e IGNAZINO GNOFFO, e praticamente che erano dei personaggi che facevano parte della famiglia di Palermo Centro, a cui apparteneva suo padre. Poi chiaramente anche di personaggi di altre famiglie però sempre importanti. Stiamo parlando sempre di personaggi di vertice. (…)

P.M.: (…) Se si ricorda, ecco, di episodi in particolare, questi ci interessano, proprio fatti specifici. Perchè lei a fatto una sintesi, ha detto che era il referente della mafia. Ha fatto una carrellata di personaggi, se in questo suo racconto può inserire dei fatti specifici.

SIINO A.: Ho già riferito del fatto dell'incontro al Baby Luna, ho riferito degli incontri che avevano con LIMA, ho riferito poi degli incontri che avevano ... che ho avuto io, IGNAZIO SALVO e l'Onorevole LIMA. (…)

P.M.: Quindi, lei che cosa sa della carriera politica di LIMA intanto?

SIINO A.: La carriera politica che è stata un crescendo. Prima è stato un ... era in organizzazioni giovanili DC, poi è stato deputato nazionale, mi pare. Poi è stato deputato europeo. Praticamente è stato poi sempre ai vertici della politica regionale, escluso un certo momento, 1984 in poi, quando ha avuto un’ impasse politica. Ma certamente non un’ impasse mafiosa, perchè praticamente lui rimase sempre ai vertici del rapporto mafia-politica. Ha avuto un momento di tentennamento quando dopo il congresso di Agrigento. Insomma, questo so della carriera politica.

(…)

AVV. COPPI: D'accordo, una matrice siciliana. Senta, lei, per quanto sa, ci può rispondere adesso a questa domanda e cioè se LIMA sia stato sempre l'uomo politico di riferimento della mafia, dei vertici della mafia? Tra questi anche STEFANO BONTATE fin dalla sua età più giovane?

SIINO A.: Dalla sua età più giovane no, ma subito dopo, quando cominciò a prendere ... ad avere, acquistare una forza politica notevole, cominciò ad essere il punto di riferimento principale nella Sicilia.

AVV. COPPI: Quando quindi lei questa mattina ha detto che LIMA è stato sempre l'uomo politico di riferimento della mafia, può adesso indicarci, sia pure approssimativamente, l'epoca, se non l'anno, comunque l'epoca a partire dalla quale LIMA è diventato questo punto di riferimento? Perchè vede, questa mattina lei ...

SIINO A.: Dai primi anni '70 alla sua morte, Professore.

AVV. COPPI: Dai primi anni '70 fino alla sua morte. Questa sua qualità di punto di riferimento deriva dal fatto che era il figlio di VINCENZO LIMA?

SIINO A.: Oltre che da questo, dal suo savoir-faire nei confronti degli esponenti del mondo mafioso. Cioè si metteva a disposizione, era uno che si metteva a disposizione, uno che seguiva per esserci nato in mezzo, sapeva con chi aveva a che fare; per cui aveva acquisito una certa forma mentis che era vicina alla forma mentis del mafioso.

AVV. COPPI: Quindi diciamo questa sua qualità, questa sua posizione di punto di riferimento nasce indipendentemente dal fatto che facesse parte della corrente fanfaniana o della corrente andreottiana. Era un qualche cosa che gli derivava ...

SIINO A.: Senza dubbio. Ai primordi mi pare che non facesse parte della corrente andreottiana, mi pare, non mi ricordo.

Il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, escusso all’udienza del 17 settembre 1996, ha confermato che Gaetano Fiore, appartenente alla "famiglia" di Pagliarelli, si occupava intensamente di politica, "era vicino agli uomini politici", ed intratteneva stretti rapporti con Stefano Bontate, il quale talvolta organizzava riunioni presso i locali del bar Baby Luna nei giorni di chiusura dell’esercizio.

Le dichiarazioni del suddetto collaborante sono di seguito trascritte:

P.M.: Senta lei durante la sua permanenza a Palermo ha conosciuto una persona che si chiamava Gaetano Fiore o che si chiama Gaetano Fiore?

CALDERONE A.: Gaetano Fiore era, è un uomo, mi pare capo decina dei Pagliarelli, della famiglia dei Pagliarelli, un mandamento dove cade Stefano Bontate.

P.M.: E si occupava di...

CALDERONE A.: Era un uomo che faceva molta politica, era un'impresa edile, era proprietario del bar Baby Luna, ma era un uomo che faceva molto politica.

P.M.: Che cosa vuol dire "Faceva molto politica"?

CALDERONE A.: Però non lui, era vicino agli uomini politici e gli faceva la politica.

P.M.: Ed era uomo d'onore?

(…)

CALDERONE A.: Sì, era uomo d'onore dei Pagliarelli, mi pare che era capo decina.

P.M.: E che rapporto aveva con Stefano Bontate?

(…)

CALDERONE A.: Intimissimi, intimissimi, molto intimi, andavano a caccia sempre insieme. Stefano Bontate alle volte indiva anche riunioni sotto il Baby Luna, c'erano gli uffici, c'erano dei giorni speciali dove si faceva la pizza, c'erano delle giornate che non si lavorava il ristorante sotto e si facevano anche le riunioni, ci sono stato io parecchie volte in questo ufficio.

La circostanza che presso il bar Baby Luna venissero organizzate da "uomini d’onore" riunioni elettorali è stata confermata dal collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino all’udienza del 15 dicembre 1995.

Dalla deposizione testimoniale resa dall’isp. Salvatore Bosco all’udienza del 19 febbraio 1997 si desume che:

- i fratelli Gaetano, Salvatore, Giovanni, Umberto, Michele e Pietro Fiore erano soci della GECO S.p.A., costituita in data 10 Novembre 1973, che aveva come oggetto sociale la gestione commerciale di aziende ed esercizi pubblici (quali bar, caffè, pasticcerie, ristoranti, alimentari, supermercati, rivendita di tabacchi ecc.);

- Umberto Fiore era amministratore unico della GECO S.p.A. ed era titolare della licenza di esercizio pubblico per il bar-ristorante-pasticceria Baby Luna, sito a Palermo in viale della Regione n.1843;

- in data 1° Dicembre 1994 venne escusso, quale persona informata sui fatti, Nicolò Di Gregorio, il quale dichiarò di avere prestato servizio come banconista presso il bar Baby Luna, alle dipendenze della GECO S.p.A., dal 1973 al 1992, specificò che l'esercizio era già avviato da diverso tempo quando lui era stato assunto, aggiunse che nel piano inferiore del bar vi erano una piccola pizzeria ed una piccola stanza adibita ad ufficio, esplicitò che il giorno di chiusura settimanale del bar coincideva con il martedì (ad eccezione dei periodi di festività quando l’esercizio rimaneva chiuso), riferì di avere conosciuto, tra gli avventori del bar, il fratello dell’on. Lima e Stefano Bontate, e precisò che il Bontate conosceva e frequentava i fratelli Umberto, Gaetano e Pietro Fiore, indicati come proprietari del bar; il Di Gregorio affermò inoltre di non avere mai visto l’on. Lima nei giorni di apertura del bar;

- in pari data venne escusso Domenico De Lisi, che riferì di avere lavorato presso il bar Baby Luna come capo pizzaiolo nel periodo compreso fra il 1968 e il 1983, evidenziò che i fratelli Umberto, Gaetano, Salvatore e Pietro Fiore ricevevano numerose visite in una piccola stanza adibita ad ufficio posta nel piano inferiore del bar, e sostenne di non avere mai visto Stefano Bontade e l'on. Salvo Lima tra i frequentatori dell'esercizio;

- i fratelli Fiore avevano cointeressenze in diverse società imprenditoriali, nel campo dell'edilizia, del commercio di carburanti, della conduzione di esercizi pubblici, dei terreni agricoli;

- Gaetano e Umberto Fiore furono raggiunti da un mandato di cattura emesso in data 9 Marzo 1988 perchè accusati dei reati di cui all’art. 416 c.p. ed agli artt. 112 e 416 bis c.p..

Il fatto che il Di Gregorio ed il De Lisi non abbiano mai visto l’on. Lima all’interno del bar Baby Luna nei giorni lavorativi è perfettamente coerente con il contenuto delle dichiarazioni del Marino Mannoia, il quale ha precisato che il predetto esponente politico si recava in tale luogo per incontrare Stefano Bontate e Gaetano Fiore nei giorni di chiusura dell’esercizio. Del resto, lo spessore mafioso dei suoi interlocutori rappresentava certamente un fattore idoneo ad indurre il Lima ad adottare particolari cautele per evitare che simili colloqui giungessero a conoscenza di una pluralità indeterminata di persone.

Il rapporto privilegiato intercorso tra Salvo Lima e Stefano Bontate è stato evidenziato anche dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, il quale all’udienza del 30 maggio 1996 ha reso le seguenti dichiarazioni:

P.M.: Senta signor Mutolo, vuole ripetere per chiarezza quali erano i tramiti che Cosa Nostra utilizzava per l'aggiustamento dei processi, con riferimento ad esempio all'epoca della morte di Stefano Bontate, cioè fino a quando Stefano Bontate è vivo e dopo che Stefano Bontate viene ucciso. Per quella che è la sua esperienza personale come avveniva? Chiunque di voi poteva parlare con l'On. Lima oppure vi erano delle modalità particolari da seguire?

MUTOLO G.: No, guardi, c'era diciamo una regola che era più che altro una regola di rispetto e di riservatezza, cioè non tutti potevano parlare diciamo con questi personaggi importanti. In quel periodo quelli che potevano parlare diciamo con l'On. Salvo Lima erano Stefano Bontate, diciamo Gaetano Badalamenti, Mimmo Teresi, Vitale. Se voleva anche Riccobono, però se volevo io, io non ci andavo mai. Bisognava diciamo seguire tutta una prassi, perchè c'erano degli uomini appositamente che avevano i contatti con questi personaggi, altrimenti chiunque si sentiva autorizzato a disturbare una persona del genere. Però chiunque poteva avere di bisogno poteva interferire tramite diciamo questi personaggi. Dopo la morte di Stefano Bontate il compito è passato diciamo a Ignazio Salvo e a Nino Salvo.

(…)

AVV.SBACCHI: (…) Ed era Salvo il contatto con Lima, esatto?

MUTOLO G.: Sissignore.

AVV.SBACCHI: Quindi non sa di altri contatti con Lima se non quelli attraverso Salvo?

MUTOLO G.: Con i cugini Salvo. Cioè quelli però dopo la morte di Stefano Bontate.

AVV.SBACCHI: Dopo la morte di Stefano Bontate.

MUTOLO G.: Certo se ci voleva parlare Salvatore Riina insomma ... non è che Riina guardava insomma ... quelle che erano le regole. Riina insomma ...

AVV.SBACCHI: Ma lei sa niente di questo?

MUTOLO G.: ... Riina se voleva parlare insomma ci andava ...

PRESIDENTE: Lei lo sa o è una sua deduzione questa? Mutolo, lei lo sa perché lo ha saputo oppure è una sua deduzione?

AVV.SBACCHI: No, non è una mia deduzione. Cioè c'erano delle regole comportamentali che potevano valere per me ma non per un personaggio come Rosario Riccobono e nel tempo dopo come Salvatore Riina. Io non ci potevo andare da Salvo Lima ..

AVV.SBACCHI: Riina le risulta che abbia mai parlato con Lima?

MUTOLO G.: ... Ma se Riina ci voleva andare ci andava.

AVV.SBACCHI: Se ci voleva andare ci andava. Ma le risulta che Riina sia andato a trovare Lima.

MUTOLO G.: Guardi io non ci ho una cosa specifica in cui io le posso dire Riina tale giorno andò da Lima, era una cosa risaputa che Salvatore Riina era in contatto con diversi personaggi politici di Palermo e non solo con Salvo Lima.

AVV.SBACCHI: (…) Lo sa o non lo sa se Lima e Riina si sono incontrati?

MUTOLO G.: Guardi con precisione ... lei dopo mi dice chi te l'ha detto e quando è stato io ...

(…)

MUTOLO G.: ... Si incontrava con Salvo Lima. Riccobono si incontrava con Salvo Lima. Tanti personaggi si incontravano con Salvo Lima non era una cosa cioè ...

(…)

AVV.SBACCHI: Se lei lo sa e come? Ecco.

MUTOLO G.: Come? Erano cose che si parlavano dentro il carcere con personaggi che appartenevano alla commissione.

AVV.SBACCHI: Ho capito. Erano cose quindi che lei ha sentito al carcere. E' così o no?

MUTOLO G.: Sissignore.

Dalle dichiarazioni del Mutolo si evince, dunque, che Stefano Bontate (al pari di Gaetano Badalamenti, Girolamo Teresi, Giacomo Vitale, Rosario Riccobono) espletava, nell’interesse di "Cosa Nostra", il compito di mantenere i contatti con l’on. Lima anche per trasmettergli le istanze provenienti da altri "uomini d’onore"; dopo l’uccisione di Stefano Bontate, questo compito venne assunto dai cugini Salvo, ferma restando la possibilità che taluni esponenti di vertice di "Cosa Nostra" come Salvatore Riina conferissero direttamente con il predetto uomo politico.

Dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo emerge il collegamento esistente negli anni ’70 tra l’on. Salvo Lima e Michele Greco.

Il Di Carlo, infatti, ha riferito che i Greco, dopo una iniziale vicinanza alla corrente fanfaniana, si schierarono con la corrente andreottiana, cui erano assai legati già nel 1974-75.

Le affermazioni compiute sull’argomento dal Di Carlo sono di seguito riportate:

DI CARLO F.: (…) mi piaceva Totò il senatore, Totò Greco perché aveva un sentimento, un principio di Cosa Nostra non violenta e poi sapeva parlare di politica e di tutto, era un uomo aperto, un liberale, chiamiamolo un liberale di Cosa Nostra. Mi sono messo in macchina con lui. Io ho avuto sempre l'abitudine di stuzzicare sempre qualcuno e abbiamo cominciato a parlare di politica ... Di politica non so come è stato si va a finire a parlare del presidente Mattarella, che in quel periodo non so se era Presidente della Regione. Parlando di corrente e di politica e di persone, io le dico che lui vantava tanto Lima, vantava tanto D'Acquisto, Mario D'Acquisto, politico siciliano ... che io ci conoscevo un'amicizia anche a lui di prima, i primissimi anni '70 con Mario D'Acquisto ...

P.M.: Non interrompa il ricordo, vada avanti con questo. Poi riprendiamo Mario D'Acquisto.

DI CARLO F.: Stiamo sulla macchina e parlando così e le dico: sì, però la corrente di Mattarella e Mattarella vedo che va forte. Mi fa: Mattarella è finito. Ci ho detto: no, vedi che io ... No, no, dice, Fra', Mattarella è finito. Io lo guardo, ci facciamo un sorrisino. Ho detto: come è finito politicamente? In tutti i sensi. Ma non siamo andati più avanti di là.

P.M.: E siamo in che periodo, Di Carlo?

DI CARLO F.: Verso settembre.

P.M.: Del 19...?

DI CARLO F.: Settembre '79.

(…)

DI CARLO F.: (…) c'è un altro incontro che io faccio nel '79, alla fine del '79, (…) la mattina, ero con la mia macchina, dopo avere attraversato il cancello nella stradella che si andava verso il caseggiato dove ci aveva Michele Greco (...) e Totò Greco aveva una specie di ufficio amministrativo e poi riceveva là tutti i politici e cose ... Sulla macchina che stava uscendo incontro Nino Salvo e accanto c'era seduto Maio (rectius Mario: n.d.e.) D'Acquisto. Nino Salvo si è fermato con la macchina, da macchina e macchina ci siamo dato la mano, la mano sinistra, ci siamo salutati così e se ne è andato. Questo è uno dei politici che ho incontrato e questo era uno di quelli che portava pure notizie ai vari Greco o a Lima o ai Salvo perché era intimo con i Salvo, Mario D'Acquisto.

(…)

P.M.: Lei aveva fatto riferimento poc'anzi raccontando di qualche incontro di Mario D'Acquisto e lo avevamo accantonato e le avevo detto poi ci ritorneremo. Stava parlando di qualche incontro con l'onorevole Mario D'Acquisto, a che cosa intendeva riferirsi?

DI CARLO F.: Una volta che ho visto, che ho incontrato i D'Acquisto l'ho incontrato in uno studio che c'era anche Lima presente. Io ero andato là con Totò Ciriminna. Totò Ciriminna era il vice capo della famiglia di Borgo Vecchio (...) Eravamo andati in un ufficio tra via Francesco Crispi, di fronte il porto, là in un ufficio ... siccome sono passati tantissimi anni, almeno mi sembra là in un angolo e ho visto che c'era l'onorevole Lima e c'era questo onorevole D'Acquisto. Ho visto, la prima volta l'ho visto là poi l'ho visto qualche volta sfuggitamente, come si può incontrare a Palermo qualsiasi cittadino. E poi come presenza l'ho visto ... il fatto che ho narrato prima, sulla macchina con i Salvo però mi ricordo che il senatore, chiamiamolo di nuovo senatore, Totò Greco, (…) mi ricordo già nel '74, '75, non mi ricordo che assessorato aveva il D'Acquisto e aveva sbrigato delle cose ... se era assessorato alle finanze o casa era. Per ciò mi ricordo che già c'erano vicino perché i Greco erano vicinissimo, specialmente prima ai Fanfaniani e anche i Limiani, quelli di Lima corrente. Poi si sono schierati tutti per la corrente del presidente Andreotti, Lima e Salvo, specialmente che c'era questa situazione di potere arrivare direttamente, specialmente che Nino Salvo era Cosa Nostra, le strade si sono cominciate ... quelli che non avevano potere non potevano sbrigare o portare qualche favore che ci si chiedeva e allora si tralasciava e si prendeva solo una certa corrente. Ma all'inizio, mi ricordo, tutti ognuno ci aveva, dai piccoli ai più grandi chi ci aveva una strada la cercava di sfruttare se aveva di bisogno.

La circostanza che Salvatore Greco (fratello di Michele Greco), intorno al 1976-78, appoggiasse la corrente andreottiana, è desumibile anche dalla deposizione del collaboratore di giustizia Tullio Cannella, il quale ha riferito che Salvatore Greco caldeggiava la candidatura di Sebastiano Purpura (appartenente alla corrente dell’on. Lima), ed ha specificato di avere preso parte ad una riunione svoltasi - in occasione di una competizione elettorale verificatasi in quegli anni - presso la Sezione di Via Conte Federico della Democrazia Cristiana, diretta da Girolamo Di Vita (indicato come "un limiano di ferro, personaggio vicino a Pino Castellana, cognato di Michele Greco, personaggio amico e vicino a Salvatore Greco"), con la partecipazione di Salvo Lima, Sebastiano Purpura, Ignazio Pullarà e Salvatore Greco. Il Cannella ha aggiunto di avere partecipato anche ad un’altra riunione, organizzata da Girolamo Grigoli presso la Sezione di Guarnaschelli-Roccella della Democrazia Cristiana, con la presenza dell’on. Lima, del Purpura, e di alcuni esponenti mafiosi di spicco.

Le dichiarazioni rese al riguardo dal Cannella all’udienza del 18 giugno 1996 sono di seguito riportate:

P.M.: Signor Cannella, un'altra domanda più specifica: lei ha conosciuto e frequentato l'onorevole Salvo Lima?

CANNELLA T.: Sì. Io ho conosciuto l'onorevole Salvo Lima e io le posso dire che l'onorevole Salvo Lima in quell'epoca, siamo sempre intorno al '73/'74, aveva una grossa competizione all'interno della Democrazia Cristiana con l'onorevole Ninni Gioia, fu anche Ministro, credo, della Marina Mercantile l'onorevole Gioia, e in quegli anni il sopravvento all'interno della Democrazia Cristiana, all'interno di tutte le sezioni, perchè all'improvviso tutte le sezioni diventarono limiani, non si sa perchè tutte le sezioni, dico eccetto qualcuna, diventarono tutte limiani, abbandonarono le altre correnti. Il Lima, quindi, ha questo sopravvento, la corrente cianciminiana aderisce alla corrente limiana, successivamente questa corrente cianciminiana addirittura viene diretta dal dott. Gioacchino Pennino, la acquisisce Gino Pennino assieme con Vito Zanchì che era presidente dell'Acquedotto, ed era cugino di Vito Ciancimino - è, perchè penso che sia vivo. E voglio dire, la corrente limiana acquisisce questo ruolo, diciamo preponderante all'interno della Democrazia Cristiana, all'interno delle varie sezioni, per cui i candidati che venivano designati nel momento delle varie competizioni elettorali, erano candidati della corrente limiana. Ad esempio ve ne cito uno: che so, Sebastiano Purpura. Sebastiano Purpura che ci venne caldeggiato da Salvatore Greco; Sebastiano Purpura che vidi in riunione di comitato elettorale con lo stesso Ignazio Pullarà e che anche in una riunione che si svolse in via Conte Federico, in epoca di una delle tante elezioni elettorali, organizzata dal segretario della sezione Di Vita, che ho detto da sempre limiano, era presente Lima, ero presente io, erano presenti vari personaggi, insomma la gente del quartiere, era presente anche Ignazio Pullarà a quella riunione mentre c'era Lima. E un'altra riunione poi si fece al Roccella, Guarnaschelli - Roccella, nella sezione democristiana. Anche là vi erano personaggi di spicco mafioso, c'ero io, c'era Lima, fu organizzata da un tale Girolamo Grigoli, una brava persona, avevamo fondato assieme un centro studi, centro studi Giuseppe Toniolo, e avevamo organizzato, lui era stato sindaco di Settecannoli, e avevamo organizzato questa riunione elettorale.

P.M.: Signor Cannella, mi ascolti un attimo. Precisiamo un attimo nel tempo, le date, gli anni in cui si svolsero queste riunioni elettorale: cioè la riunione della sezione di Roccella, se ho capito bene, e la riunione in via Conte Federico. In che anni, più o meno si svolsero queste riunioni?

CANNELLA T.: Ma più o meno credo che dovremmo essere intorno agli anni '76 e '78 io parlo.

P.M.: E vogliamo precisare ancora meglio gli esponenti di Cosa Nostra che lei nella prima e nella seconda occasione vide insieme all'onorevole Lima, in occasione di queste riunioni?

CANNELLA T.: Nella prima riunione io vidi Ignazio Pullarà, vidi Salvatore Greco. Nella seconda riunione a Roccella c'era un tale Muratore, e mi pare che questa persona credo che sia stato poi ucciso, insomma se non ricordo male. Comunque, c'erano personaggi Baiamonte, credo, questo personaggio che è stato ucciso. Poi c'era anche un certo Muratore, e altri personaggi della zona di Guarnaschelli. Lei deve pensare che a questa riunione eravamo seduti nel tavolo, diciamo, della presidenza io, Girolamo Grigoli che iniziò la presentazione, e Salvo Lima. E siccome Girolamo Grigoli è uno che parla molto e si dilungava, Lima mi tirò la giacca e mi disse: "tiraci a giacca, fallo stare zitto", perchè l'onorevole Lima non amava parlare molto, era di brevi discorsi.

Per quanto attiene alle relazioni sviluppatesi, sul piano politico e sul piano personale, tra Salvo Lima ed i cugini Salvo, è sufficiente richiamare le osservazioni formulate nella Sezione I di questo capitolo.

Da diversi elementi di prova (alcuni dei quali formano oggetto di specifica trattazione in altre parti della presente pronunzia) emergono condotte idonee a rafforzare l’organizzazione mafiosa, poste in essere dall’on. Lima dopo il suo ingresso nella corrente andreottiana.

Un episodio nel quale l’on. Lima, tra la fine del 1982 e l’inizio del 1983, si attivò per condizionare l’operato della magistratura in senso favorevole ad un potente imprenditore vicino a "Cosa Nostra", è emerso grazie alle deposizioni rese dal dott. Paolo Borsellino davanti al Procuratore della Repubblica di Caltanissetta in data 4 agosto 1983 e in data 12 giugno 1991, nell’ambito dei processi relativi all’omicidio del Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo dott. Rocco Chinnici.

Nel verbale del 4 agosto 1983 (acquisito al fascicolo del presente dibattimento come atto irripetibile all’udienza del 15 dicembre 1998), il dott. Borsellino riferì quanto segue:

"D.R.: Sostanzialmente nel 1982 non ebbi assegnati altri processi di mafia di grosso rilievo e mi furono assegnati processi di reati contro la pubblica amministrazione tra cui quello del palazzo dei congressi. (…)

Non posso quindi dire con particolari del lavoro svolto dal Chinnici. Mi risulta che egli si interessava del processo cosiddetto dei 162, di quello contro ignoti dell’uccisione di Mattarella e dell’altro contro ignoti di Pio La Torre, mentre il collega Falcone istruisce il processo per l’uccisione del prefetto Dalla Chiesa per il quale ha emesso dei mandati di cattura nei confronti dei Greco di Ciaculli e di altri, già imputati anche nel processo dei 162 per il quale ultimo processo il Chinnici aveva emesso da recente altri mandati di cattura. Il Chinnici un giorno (uno o due giorni prima che andassi in ferie), mi chiese notizie sul processo del palazzo dei congressi, ove è imputato l’imprenditore catanese Carmelo Costanzo. Mi disse che questo processo gli interessava in relazione a sue indagini. Io mi mostrai perplesso perchè sapevo che del Costanzo si interessava il Falcone nell’ambito del procedimento "Dalla Chiesa". Egli mi chiarì che vi erano possibilità che tutti questi processi (quello dei 162, quello per l’omicidio Dalla Chiesa, quello La Torre, e forse qualche altro) venissero riuniti. Faccio presente che questa era una voce, sia pure incontrollata, che da qualche tempo circolava nel palazzo di giustizia (ricordo che anche un giornalista una volta me ne chiese ed io risposi che non sapevo nulla); si diceva anche che questa era una idea del Chinnici che avrebbe accentrato a lui stesso la trattazione dei processi. Il Chinnici in quel colloquio manifestò il suo convincimento, per altro reiterato, in quanto già lo aveva manifestato prima, che tutti questi fatti e soprattutto l’omicidio La Torre e Dalla Chiesa, avessero unica matrice mafiosa ed anzi rispondessero ad unico disegno. Mi disse che conferma della connessione tra omicidio La Torre e Omicidio Dalla Chiesa, l’aveva in una relazione (della quale anzi lamentava un grosso ritardo nella trasmissione al suo ufficio) nella quale si affermava che nella zona in cui era stato commesso l’omicidio La Torre era stata vista una persona con dati somatici corrispondenti a persona indiziata per l’omicidio Dalla Chiesa (non posso dire se ciò risultasse dalla relazione oppure, come mi pare che fosse il vero senso delle parole del Chinnici, che l’avesse desunto egli stesso).

D.R.: Per quanto altro devo fare presente che il Chinnici era convinto che ai fatti di mafia, almeno ad un livello alto, fossero coinvolti anche gli esattori Salvo. Ciò desumeva da una telefonata fra taluno dei Salvo e il mafioso Buscetta risultante da una intercettazione contenuta nel processo Spatola, se non erro; telefonata che è stata pubblicata integralmente dalla stampa ove interlocutori sono certo "Roberto", in cui si ritiene di identificare, il Buscetta, e tale Lo Presti parente dei Salvo, un anno fà scomparso senza che se ne abbia notizia. Non so poi da quali altri elementi, che ritengo ci fossero dal modo come il Chinnici parlava, egli desumesse la partecipazione di costoro. Contemporaneamente lamentava, ed era amareggiato per questo fatto che finiva con l’intralciare il rapido ed efficace svolgimento di attività, che nei confronti di costoro si agisse con "i guanti gialli" da parte di tutti, ed anzi aggiunse, nei loro confronti una volta, che se gli stessi elementi li avessero avuti nei confronti di altri certamente si sarebbe proceduto.

Ancora per quanto attiene il palazzo dei congressi ricordo che una volta il Chinnici dopo che erano stati arrestati il Costanzo e il Di Fresco, su mandato di cattura, quest’ultimo, del collega Barrile, disse di avere avuto un colloquio con l’on. Lima sollecitato dal sen. Coco, in casa di quest’ultimo, nel corso del quale il Lima gli aveva fatto presente che questa iniziativa giudiziaria veniva considerata come una forma di persecuzione per la Democrazia Cristiana al che egli Chinnici, aveva risposto che l’ufficio si interessava dei fatti specifici, contestati a determinate persone senza che potesse avere rilevanza l’appartenenza politica".

Nel verbale di assunzione di informazioni del 12 giugno 1991 (anch’esso acquisito al fascicolo del presente dibattimento all’udienza del 15 dicembre 1998), il dott. Borsellino confermò quanto aveva riferito nella precedente deposizione ed aggiunse: "in effetti in periodo che precisamente non ricordo e comunque compreso tra la fine del 1982 e la prima parte del 1983, il Consigliere Chinnici, con il quale correvano ottimi rapporti personali, mi confidò riservatamente, e nessuno fu presente a tale colloquio, che era stato invitato a casa del Senatore Silvio Coco e lì aveva trovato anche l’On.le Salvo Lima. Non mi disse se c’erano altre persone. Aggiunse che il Lima in quella occasione si era con lui lamentato di recenti iniziative dell’Ufficio Istruzione e precisamente: il mandato di cattura da me emesso contro Carmelo Costanzo e quello emesso dal collega Barrile di Ernesto Di Fresco potevano essere intepretati come una forma di persecuzione nei confronti del partito di Democrazia Cristiana.

Il Chinnici mi disse di essersi limitato a replicare che i Giudici dell’Ufficio Istruzione trattavano i casi dei quali erano investiti da parte della Procura della Repubblica, guidati da considerazioni esclusivamente giuridiche e senza preoccuparsi dei risvolti che ciò potevano avere nel mondo politico".

Per quanto attiene al legame tra Carmelo Costanzo e "Cosa Nostra", significativi elementi di convincimento si traggono dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Calderone. Quest’ultimo all’udienza del 17 settembre 1996 ha affermato che l’impresa Costanzo era sottoposta alla protezione di suo fratello Giuseppe Calderone (capo della cosca mafiosa di Catania), il quale veniva interpellato prima dell’assunzione dell’impegno di effettuazione di lavori, conferiva con gli esponenti mafiosi locali, svolgeva una attività di intermediazione rispetto ai fornitori, assicurava che non avvenissero danneggiamenti e riceveva per le sue prestazioni uno stipendio mensile. Sul punto, il collaborante ha precisato quanto segue:

P.M.: (…) i rapporti allora quali erano fra suo fratello, lei e il Cavaliere Costanzo o il Pasquale Costanzo?

CALDERONE A.: Ma mio fratello era l'uomo che proteggeva l'impresa Costanzo. Se l'impresa Costanzo prendeva un lavoro... Anzitutto prima di prendere un lavoro gli facevano vedere a mio fratello una scheda "Dobbiamo prendere lavori in questo paese, in questo paese, in questo paese" mio fratello "In questo paese possiamo prenderlo, in questo possiamo prenderlo, in questo non lo possiamo prendere, in questo possiamo fare così" poi gareggiavano, se vincevano la gara dicevano "Abbiamo preso un lavoro a Caltanissetta in questo paese" e mio fratello dice "Va bene" andava, partiva, parlava col rappresentante del paese, diceva "l'impresa ha preso questo lavoro, che cosa avete di bisogno voi altri, avete camion, avete cave di pietrisco, cosa potete fornire?" e quelli facevano una lista di quello che potevano fornire. Dopodichè si faceva... allora i Costanzo invitavano i loro fornitori a fare delle sottomissioni, dei prezzi, dopo che erano arrivate tutte queste buste si guardavano i prezzi, arrivava la busta dell'amico nostro, magari che ci leggevamo 50 centesimi in meno vinceva questa gara questo amico nostro, però dopo un mese, due mesi, si faceva la revisione prezzi e l'amico nostro prendeva di più.

P.M.: E in cambio di questa attività di protezione come l'ha definita lei, che cosa chiedevate all'impresa Costanzo?

CALDERONE A.: La tranquillità, non c'erano bombe nei cantieri, non c'era niente, lavoravano tranquilli.

P.M.: Questo era il vantaggio dell'impresa Costanzo, dico voi uomini d'onore che cosa chiedevate?

(…)

CALDERONE A.: Noi, io e mio fratello?

P.M.: O la famiglia di Catania.

CALDERONE A.: La famiglia di Catania? Niente, ci davano come stipendio 1 milione al mese a mio fratello.

P.M.: E quando venivano impiantati i cantieri come ha detto lei, che cosa avveniva al di là del lavoro che veniva fornito come subappalti, subforniture? (…) Dico, avveniva qualcos'altro, venivano dati dei soldi ai rappresentanti locali di Cosa Nostra o altri benefici?

CALDERONE A.: Se ci si metteva un guardiano soldi non se ne davano, se non si metteva un guardiano ci si dava qualche cosa come se poteva essere una guardiania.

Il collaborante ha aggiunto che Benedetto Santapaola, dopo l’omicidio di Giuseppe Calderone, subentrò nel ruolo precedentemente attribuito a quest’ultimo e divenne il "protettore" dei Costanzo; ha esplicitato di essere stato invitato da Carmelo Costanzo a sostenere elettoralmente l’on. Salvatore Urso (deputato nazionale eletto nelle liste della Democrazia Cristiana); ha evidenziato che i Costanzo consentirono che si tenesse in una stanza dei loro uffici una riunione degli esponenti mafiosi Salvatore Greco "cicchiteddo", Giuseppe Calderone, Salvatore Inzerillo, Giuseppe Di Cristina, Salvatore Marchese ("uomo d’onore", cugino di Antonino Calderone e marito di una nipote di Carmelo Costanzo).

Le affermazioni compiute da Antonino Calderone in ordine al particolare rapporto instauratosi tra i Costanzo ed i soggetti succedutisi al vertice della "famiglia" di Catania trovano riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, il quale ha riferito quanto segue:

P.M.: Senta, lei ha mai sentito parlare in Cosa Nostra dei costruttori di Catania, i fratelli Costanzo?

DI CARLO F.: Certo che ne ho sentito parlare.

P.M.: Quando e da chi?

DI CARLO F.: Sia dell'uno che dell'altro fratello. Ho sentito parlare prima, ho sentito parlare anche ... che li ho conosciuti, voglio precisare.

P.M.: Ah, li ha conosciuti.

DI CARLO F.: Prima ... prima dai Calderone, Pippo Calderone e Nino anche e poi anche da Santapaola, Nitto Santapaola, che Nitto Santapaola con me è diventato intimissimo.

P.M.: In che termini ne ha sentito parlare? A che proposito?

DI CARLO F.: Sia perché non si muoveva un passo, di andare a fare qualche lavoro sia a Catania, sia in tutta la Sicilia se prima non lo dicevano a Pippo Calderone, prima. Quando Pippo Calderone finisce, il posto lo ha preso Nitto Santapaola, nel senso di farci ... come dire ... da guardia spalle. Mi sembra una parola ... in Cosa Nostra non la usiamo mai. Insomma di cercare di metterlo a posto se doveva fare un lavoro in qualche zona di andare a parlare con il capo-mandamento di quello zona o capo-famiglia che cosa era, per non essere disturbati, per non avere problemi. Questo è il lavoro che si facevano ...per i Costanzo. Ma erano intimissimi a parte questo ...

P.M.: Senta ... Intimissimi di chi? (…)

DI CARLO F.: Di Calderone e sia dopo di Santapaola.

P.M.: Di Nitto Santapaola.

DI CARLO F.: Perché non è solo che se avevano bisogno di andare a fare un lavoro Santapaola andava a parlare con la zona, ma era tutta una situazione ... perché poi in quella zona, c'erano i vari camionisti che dovevano fornire, calcestruzzi e tanti lavori, falegnameria, tutte queste cose ognuno era quasi ... in quei paesi, in quelle zone c'erano camionisti che erano Cosa Nostra, era tutto un lavoro che dovevano cercare di frazionare e ognuno avere il suo compito.

Anche il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia ha menzionato lo stretto legame instauratosi tra i fratelli Costanzo ed alcuni esponenti mafiosi come i fratelli Calderone e Stefano Bontate, rendendo le seguenti dichiarazioni:

MANNOIA F.: sì, i fratelli COSTANZO erano persone vicine, comunque persone alle... alle dipendenze dei... dei fratelli CALDERONE e anche di STEFANO BONTADE, in qualche modo aveva buoni rapporti con loro.

P.M. NATOLI: che ha da dire per "alle dipendenze", si rende conto del (...) significato della frase?

MANNOIA F.: dipendenze nel senso che erano nelle mani, i CALDERONE avevano (...) pieno dominio su di loro.

P.M. NATOLI: e dopo la morte di PIPPO CALDERONE, dopo l'uccisione di PIPPO CALDERONE cessa questo rapporto con "COSA NOSTRA" o si perpetua attraverso qualche altro?

MANNOIA F.: ma io questo non lo so esattamente, ma (...) so che i COSTANZO erano sempre vicini ad ambienti di "COSA NOSTRA" del catanese, del... Io mi ricordo che i FERRERA, "PIPPO CAVADDUZZO", soprannominato "PIPPO CAVADDUZZO", durante una permanenza in carcere, mi parlava che i COSTANZO erano ancora vicino a loro, vicino a NITTO SANTAPAOLA, anche se con NITTO io non ho avuto tanta confidenza.

Ulteriori elementi circa le relazioni dei Costanzo con esponenti di "Cosa Nostra" sono stati forniti dal collaboratore di giustizia Angelo Siino, il quale all’udienza del 17 dicembre 1997 ha dichiarato che "i COSTANZO avevano rapporti con il gruppo catanese di Cosa Nostra per quanto riguardava le cose della messa a posto, cioè per i problemi di ordinaria amministrazione. Per quelli di straordinaria amministrazione e non so perchè, i COSTANZO facevano capo direttamente a SALVATORE RIINA tramite PINO LIPARI. Il loro interfaccia era PINO LIPARI. Arrivavano a SALVATORE RIINA tramite PINO LIPARI. Infatti il RIINA raccomandava sempre i COSTANZO per l'aggiudicazione di lavori".

Assai significative sono, poi, le dichiarazioni rese dal teste Giovanni Gallenti (gestore dal 1975 al 1988 del complesso alberghiero "La Perla Jonica", di proprietà dei Costanzo), il quale ha riferito:

- che i fratelli Carmelo e Pasquale Costanzo gli presentarono Giuseppe Calderone, e "dissero che si trattava di una persona molto perbene, di una persona di riguardo";

- che Giuseppe Calderone trascorse una parte del periodo estivo del 1978 in una villetta compresa nel suddetto complesso alberghiero;

- che, dopo l’omicidio di Giuseppe Calderone, Carmelo Costanzo gli disse: "l'hanno ucciso perchè era contro la droga e il sequestro delle persone, (…) ora (…) c'è Nitto (…) che ha preso il suo posto", facendo riferimento al fatto che Benedetto Santapaola aveva assunto la stessa posizione di vertice prima occupata da Giuseppe Calderone nell’ambito dell’organizzazione mafiosa;

- che anche Benedetto Santapaola iniziò quindi a frequentare il suddetto complesso alberghiero, soggiornandovi per alcuni mesi nel periodo estivo.

Dei legami tra Carmelo Costanzo ed esponenti di "Cosa Nostra" si era interessato anche il Prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa; dopo che quest’ultimo fu ucciso, nel suo studio vennero rinvenuti alcuni appunti riguardanti i rapporti del predetto imprenditore con i mafiosi Francesco Madonia e Benedetto Santapaola (sul punto, v. la deposizione testimoniale resa dall’isp. Antonino Leo all’udienza dell’11 febbraio 1997).

Ulteriori interventi di rilevante importanza, compiuti dall’on. Lima a vantaggio dell’associazione mafiosa attraverso il controllo, la spartizione e la gestione degli appalti pubblici banditi dalla Provincia di Palermo (il cui Presidente era, in quel periodo, Girolamo Di Benedetto, appartenente alla corrente andreottiana), sono stati menzionati dal collaboratore di giustizia Angelo Siino, il quale ha evidenziato che l’on. Lima fu il suo referente per questa attività illecita, da lui svolta tra il 1986 ed il 1991.

Dalla sua deposizione si desume che in questo periodo il Siino arrivò a movimentare tangenti per 30 miliardi di lire, le quali vennero ripartite tra il gruppo andreottiano, l’organizzazione mafiosa e la Commissione Provinciale di Controllo.

In particolare, il Siino all’udienza del 18 dicembre 1997 ha dichiarato quanto segue:

P.M.: (…) Per la sua esperienza vissuta, per la sua conoscenza diretta, LIMA era coinvolto nel settore delle tangenti per il mondo degli appalti? Lei ha dato soldi a LIMA? Ha ricevuto soldi da LIMA?

SIINO A.: Sì.

P.M.: Ha fatto da tramite?

SIINO A.: Sì, certamente. Praticamente era il mio riferimento di elezione per la questione degli appalti, dal 1986 al 1991. E' stato il personaggio a cui io mi sono rivolto sia in ... in positivo abbiamo fatto diverse operazioni, diverse cose. Veramente quelle che se le faceva ero io, però col suo benestare e informandolo minutamente.

P.M.: Mi può quantificare il volume di soldi che, grazie a questo riferimento di LIMA, lei ha movimentato?

SIINO A.: Ho movimentato in generale?

P.M.: In generale.

SIINO A.: In generale mafia-appalti, 30 miliardi.

P.M.: Di tangenti o di lavori 30 miliardi?

SIINO A.: No, no, 30 miliardi di tangenti, che di lavori!

PRESIDENTE: Cioè dall'86 al 1991?

SIINO A.: Sì. Solo SALAMONE mi dava 200 milioni al mese.

P.M.: Senta, e questi 30 miliardi di tangenti, li prendeva tutti LIMA, oppure c'era una ripartizione?

SIINO A.: No, no, erano ripartiti. Praticamente LIMA a un certo punto si trovò in condizione di nascondere parte di queste cose, perchè naturalmente c'erano i mafiosi che facevano la parte del leone. Praticamente alle volte noi eravamo diventati ...

P.M.: La percentuale ci dica, la percentuale.

SIINO A.: La percentuale era così divisa: 2% la mafia, 2% al gruppo andreottiano, lo 0,50% era per la commissione provinciale di controllo. (…) Stiamo parlando del solo accordo provincia. Perchè poi ce ne erano altri.

P.M.: Ho capito. Quello gestito direttamente da LIMA?

PRESIDENTE: Pubblico Ministero, 2% rispetto a cosa?

SIINO A.: All'importo dei lavori.

P.M.: Quindi, lei ha detto che stiamo parlando del settore provincia, perchè il settore provincia era quello gestito da LIMA personalmente?

SIINO A.: Sì, la provincia è mia, e se la gestiva lui. Cioè praticamente dice:-"Questa qua non me la deve toccare nessuno".

(…)

SIINO A.: (...) Io ero un avvicinato prima. Poi nel 1987 ho avuto modo di mettere a punto un congegno che determinò l'accordo mafia-appalti con ... tra l'Onorevole LIMA e la mafia.

AVV. COPPI: Prendo atto di questa sua precisazione che, se quindi ho ben capito, sta a significare questo, che dal 1987 in poi lei ha prestato in favore della mafia questa sua attività nel campo degli appalti.

SIINO A.: Sì.

AVV. COPPI: Prima però lei già in qualche modo era inserito, sia pure, d'ora in poi quando dico inserito lo intendo secondo la sua precisazione, quindi non iniziato formalmente ma ...

SIINO A.: Avvicinato.

AVV. COPPI: Certo, non inserito formalmente ma comunque vicino a "Cosa Nostra", quindi lei già prima dell'87 comunque aveva questi contatti e questi rapporti con "Cosa Nostra"?

SIINO A.: Sì.

AVV. COPPI: Però lei si occupava di appalti anche prima del 1987.

SIINO A.: Sì.

AVV. COPPI: Allora mi spiega perchè solo a partire dal 1987 la mafia si accorge di lei, di questa sua competenza nel campo degli appalti, e decide di servirsi di lei nel campo degli appalti solo a partire da questa data?

SIINO A.: Professore Coppi, non è che la mafia si accorge della mia competenza proprio nell'87. E' stato un caso, erano venuti a mancare quelli che erano i cardini su cui si basava la gestione dell'appalto mafioso che non era un fatto solo mio; c'era stato l'arresto di VITO CIANCIMINO, proprio quando io ho avuto il primo contatto per questo affare con l'Onorevole LIMA, e lui mi disse che non c'era nessuno dei palermitani in grado di potere gestire adeguatamente il settore degli appalti, riferendosi che invece ad Agrigento c'erano dei personaggi che già gestivano degli appalti.

AVV. COPPI: Sì, le devo fare però due domande. Innanzitutto lei ricorda però che l'arresto di CIANCIMINO, se ricordo bene, se non cado in errore, è del 1984? Non nel 1987. Quindi son passati ...

SIINO A.: Ma c'è stata una vacatio evidentemente, Professore, perchè in quel momento c'era un modo di gestire degli appalti che era stato demandato verso altre città della Sicilia e verso altri personaggi. C'era stato l'eclissarsi della stella CIANCIMINO e c'erano stati nuovi astri che stavano per nascere che già gestivano gli appalti.

(...)

AVV. COPPI: (…) Fino al 1987, la data in cui inizia questa sua collaborazione con "Cosa Nostra", sul fronte degli appalti, lei ...

SIINO A.: Mi scusi Professore, vorrei fare una piccola precisazione. Non è 1987, è 1986-1987.

Nella medesima udienza il collaborante ha specificato: "l'accordo Provincia era l'accordo che avevo io per gestire gli appalti della provincia, dell'ente provincia di Palermo".

Il Siino ha altresì evidenziato che l’imprenditore Cataldo Farinella, il quale aveva instaurato "legami mafiosi e politici" per esercitare la propria attività, si attivò, nelle elezioni europee del 1989, in favore dell’on. Lima, con il quale aveva "un buonissimo rapporto"; al riguardo, il collaborante ha precisato: "fu infatti il LIMA che mi segnalò in via primaria l'aggiudicazione della San Mauro Gangi per CATALDO FARINELLA" (riferendosi all’appalto per la realizzazione della strada tra San Mauro Castelverde e Gangi, bandito dalla Provincia di Palermo).

Nella successiva udienza del 19 dicembre 1997 il Siino ha aggiunto di avere ottenuto, in occasione delle elezioni politiche del 1987 (quando diversi esponenti di "Cosa Nostra" diedero indicazione di votare per candidati del P.S.I.), una deroga in favore di Girolamo Di Benedetto (già Presidente della Provincia di Palermo); sul punto, il collaborante ha esplicitato: "per quella particolare situazione inerente un collegio senatoriale di Palermo io avrei fatto votare per DI BENEDETTO. Perché l'ho chiesto? Mettendo subito un cambio, attenzione quello è stato Presidente della Provincia e ci è prezioso. DI BENEDETTO non sapeva esattamente come era organizzata la situazione Provincia, però era al corrente di determinate situazioni". Il Siino ha, inoltre, compiuto le seguenti precisazioni:

P.M.: Ora intanto DI BENEDETTO era un andreottiano?

(…)

SIINO A.: Sì sì, era un andreottiano, era un andreottiano...

P.M.: Vuole esplicitare un attimo meglio cosa significa che era prezioso?

SIINO A.: Prezioso nel senso che presiedendo la Provincia poteva... debbo dire che nell'accordo Provincia, accordo mafia-Provincia, che riguardava l'Ente Provincia, il DI BENEDETTO sapeva qualcosa, però non sapeva effettivamente come era strutturato. Per esempio, non sapeva che dietro di me c'era la mafia e per molto tempo non sapeva che dietro di me c'era anche l'Onorevole LIMA. Una volta l'Onorevole LIMA, su istanza del DI BENEDETTO, fece un appuntamento con me e poi mi disse di non andarci, infatti io piantai il DI BENEDETTO e non ci sono andato. Poi dietro le reiterate insistenze del DI BENEDETTO, il LIMA (…) organizzò un altro finto appuntamento con me, dove addirittura il DI BENEDETTO mi si presentò.

PRESIDENTE: La domanda era perché era prezioso?

SIINO A.: Era prezioso perché era Presidente della Provincia e per questo poteva determinare delle situazioni di ordine amministrativo, che potevano essere preziose per l'accordo mafia e appalti.

P.M.: Ecco, ma poteva determinare su quale input? Cioè suo, di Siino, di LIMA, di chi? Cioè... Poteva determinare che significa, autonomamente?

SIINO A.: Io a BRUSCA ho detto che era autonomamente, cioè era un fatto...

P.M.: No, non quello che ha detto a BRUSCA.

SIINO A.: Che interessava a me.

P.M.: Il fatto oggettivo. Lei dice "poteva determinare", poteva determinare perché e su input di chi?

SIINO A.: Mio.

P.M.: Soltanto suo?

SIINO A.: Sì, perché praticamente il DI BENEDETTO, pure avendo chiesto se io ero una persona affidabile, non sapeva esattamente come l'accordo era strutturato, andò a chiedere "ma è venuto questo Siino...

P.M.: Andò a chiedere a chi?

SIINO A.: A LIMA.

P.M.: A LIMA?

SIINO A.: E' persona affidabile? Sì sì. Cioè praticamente era un discorso dove tutti sapevamo e facevamo finta di non sapere niente.

P.M.: Mi scusi un attimo. Perché DI BENEDETTO chiese a LIMA se lei era affidabile?

SIINO A.: Perché il LIMA mi aveva mandato dal DI BENEDETTO e mi aveva detto di discutere su fatti di appalti.

P.M.: E perché LIMA l'aveva mandato da DI BENEDETTO?

SIINO A.: Perché non si voleva scoprire con DI BENEDETTO, perché mi disse letteralmente "io mi fido, ma non tanto, perché questo signore qualche giorno se ne va con ORLANDO", letterale.

P.M.: Ho capito. Quindi ricapitolando, LIMA le dice "vai da DI BENEDETTO per problemi di appalti", però vuole restare dietro le quinte.

SIINO A.: Certo.

P.M.: DI BENEDETTO, quando lei va da lui, chiede a LIMA se lei è una persona affidabile...

SIINO A.: Sì.

P.M.: E LIMA gli risponde affermativamente.

SIINO A.: Sì.

P.M.: E' giusto?

SIINO A.: No, guardi, quello che rispondeva LIMA era letterale, quello che sto per dire "mah, mi pare, sì, m'hannu dittu ca è un picciottu bonu, si ci può aviri a chi fari". Ma non è che anche in altre occasioni, anche per altri personaggi a lui vicini, lui esprimesse il suo... più di tanto la sua cosa, questo era il suo modo per... diceva e non diceva, parlava e non parlava, cioè era un modo di esprimere (…) se mi permette di dire mafiosesco.

P.M.: Ho capito. La domanda che io le vorrei fare è questa: per quale motivo DI BENEDETTO, che era Presidente della Provincia e, quindi, era titolare di una carica pubblica, si rivolgeva a LIMA, che invece era un parlamentare europeo e, quindi, non aveva nessun rapporto con la Provincia di Palermo?

SIINO A.: Era il suo capo corrente e parlamentare di riferimento. (…) Era il suo capo corrente. La Provincia era un Ente che era stato assegnato agli andreottiani, mentre il Comune era stato assegnato a ORLANDO, ai mattarelliani allora, perché allora ORLANDO faceva riferimento a MATTARELLA.

L’attività svolta dal Siino, per conto di "Cosa Nostra", ai fini dell’illecito controllo delle gare di appalto bandite dalla Provincia di Palermo, il cui Presidente era l’esponente andreottiano Girolamo Di Benedetto, trova puntuale conferma nelle dichiarazioni rese all’udienza del 29 luglio 1997 dall’imputato di reato connesso Giovanni Brusca, il quale ha aggiunto di essersi interessato, unitamente al Siino, anche degli appalti della S.I.R.A.P. S.p.A., nella quale aveva un ruolo importante l’ing. Ciaravino (indicatogli dall’ing. Giuseppe Zito come "uomo di Lima").

Il Brusca ha specificato di avere appreso dallo Zito che l’on. Lima sarebbe stato "la persona giusta" per ottenere il finanziamento dei lavori di pertinenza della S.I.R.A.P. S.p.A., e di essersi quindi rivolto ad Ignazio Salvo per ricevere aiuto in tal senso. Ignazio Salvo suggerì al Brusca di inviare l’imprenditore Cataldo Farinella a discutere dell’argomento con l’on. Lima, e si impegnò a comunicare al medesimo uomo politico che i predetti lavori interessavano a soggetti che erano suoi amici (e quindi ad "uomini d’onore"). Conseguentemente, su invito del Brusca, il Farinella ed il Siino si recarono a conferire con l’on. Lima, il quale si attivò, con esito positivo, per ottenere il finanziamento dei lavori, e diede precise indicazioni sul modo di risolvere gli imprevisti che sarebbero insorti.

Il Brusca ha altresì confermato che le tangenti riscosse dal Siino sui lavori pubblici venivano corrisposte in parte ad esponenti di "Cosa Nostra" ed in parte ad uomini politici, ed ha chiarito che il Farinella ottenne l’aggiudicazione, oltre che di un appalto della Provincia di Palermo relativo alla realizzazione della strada tra San Mauro Castelverde e Gangi, anche di un appalto della S.I.R.A.P. S.p.A. concernente lavori da eseguire in località Madonnuzza.

Le principali dichiarazioni rese dal Brusca sull’argomento sono di seguito riportate:

P.M.: (…) lei si è mai occupato di appalti, voglio dire in modo illecito di appalti? Di condizionare le gare di appalto e cose di questo genere?

(…)

BRUSCA G.: In maniera lieve verso l'83-84, al ritorno di Linosa in maniera massiccia, cioè si può dire la mia attività principale erano questa... era questa l'attività.

P.M.: E cosa faceva in questa attività di illecito condizionamento alle gare di appalto pubbliche?

BRUSCA G.: Ma io, assieme ad Angelo SIINO, gestivo gli appalti della Provincia, poi ma man mano andava crescendo... cresceva la nostra posizione e poi (…) ci siamo interessati per gli appalti della SIRAP.

(…)

P.M.: Che cosa è sta SIRAP?

BRUSCA G.: La SIRAP è un ente, non so come è stata costruita, è un ente che faceva parte alla Regione.

P.M.: Siciliana? Regione Siciliana?

BRUSCA G.: Sì, Regione Siciliana, sì.

P.M.: E in che senso vi siete interessati, lei e SIINO, di questi appalti SIRAP?

BRUSCA G.: Dunque, allora io rientrando da Linosa (…) mi comincio a interessare con Angelo SIINO di appalti, cominciamo a gestire gli appalti della Provincia, l'amministrazione Provinciale di Palermo. Dove il Presidente è... Vito... Vito... DI BENEDETTO. Anche costui andreottiano.

P.M.: Vito o Mimmo DI BENEDETTO?

BRUSCA G.: Mimmo DI BENEDETTO, chiedo scusa, Mimmo DI BENEDETTO. Al che poi, bene o male (…) a Palermo e in Sicilia conoscevano a livello imprenditoriale e a livello di gente normale comune e Cosa Nostra, sapevano che quelli che gestivamo gli appalti (…) in Sicilia o per la Provincia eravamo io e Angelo SIINO. A un dato punto viene un paesano nostro, un mio paesano, Giuseppe ZITO. Sapeva che io mi interessavo di appalti, dice guardi io ho avuto l'incarico progettuale da parte della SIRAP di realizzare molte aree industriali in Sicilia. Al che dice perché non vedete di poterli fare finanziare e poterli fare andare avanti? Perché siccome lui aveva interesse di (…) farli finanziare in maniera che lui (…) allora facesse la progettazione (…) per poi prendersi la sua parcella. Al che mi da le indicazioni, sia quale era il quadro della situazione, più mi da la strada chi poteva dare... cioè chi mi poteva aiutare al finanziamento. Cioè per fare finanziare questi lavori. Al che mi faccio dare tutti gli estremi, e si parlava di lavori a un certo livello, cioè non erano lavoretti da un miliardo, due miliardi, tre miliardi, erano lavoretti di dieci, venti, trenta, quaranta miliardi e che poi nel tempo andavano crescendo. A un dato punto io mi faccio dare tutti gli estremi e mi dice che per potere finanziare questi lavori dice la persona giusta sarebbe l'Onorevole LIMA. Al che dico, va bene Pippo, me la sbrigo io, cioè Giuseppe ZITO. Mi rivolgo... vado da Ignazio SALVO, mi rivolgo a Ignazio, ci dico mi può dare possibilità, mi può dare aiuto in tal senso a... perché io avrei bisogno di andare avanti in quanto ero interessato (…) sia nella gestione e sia nell'appalto direttamente. Dice guarda... dice io con Salvo LIMA non abbiamo mai parlato di appalti, non mi sono mai interessato di appalti e poi se ci vado io per questo tipo di fatti, dice da me mi viene più difficile potergli dare soldi, parcelle in nero per il... come si suol dire il pizzo, quella che era la tangente...

P.M.: A LIMA?

BRUSCA G.: A LIMA, sì. (…) Però mi da la strada e mi dice... tu non conosci imprenditori, non ne conosci imprenditori che stanno bene con LIMA senza che c'è bisogno del mio intervento? Dice... gli dico sì, ci dico Cataldo FARINELLA. Va bene dice, tu fagli parlare da Cataldo FARINELLA, dice che io (…) gli faccio arrivare un messaggio all'Onorevole LIMA, dice in maniera che tu ti puoi fare la strada bella tranquilla senza nessun tipo (…) di problema. Va bene, al che io parlo con Angelo SIINO e con Cataldo FARINELLA, e gli dico di andare dall'Onorevole LIMA per fare finanziare questi lavori. Al che il FARINELLA dice ma... dice una cosa così grossa... ci dico tu vacci, cioè io... voi andateci da... dall'Onorevole LIMA e vedete cosa vi dice.

P.M.: Mi scusi, lei dice al FARINELLA Vacci a nome mio da LIMA? Cioè digli che ti mando?

BRUSCA G.: No, andate voi per i fatti vostri, cioè... il rapporto tra imprenditore (…) e contatto politico. (…) Però già io (…) ho la riassicurazione da parte di Ignazio SALVO che lui avrebbe parlato (…) a LIMA dicendo che questi interessi erano da parte di amici, quindi di dare manforte, cioè nel potere portare a buon fine (…) questi lavori.

P.M.: Allora, mio scusi, vediamo se ho capito, Ignazio SALVO si è impegnato a parlare a LIMA, quindi a anticipargli che sarebbero venuti gli amici, tra virgolette, per chiarire....

BRUSCA G.: No gli amici, ci sarebbero andate delle persone, quindi appaltatori per questi lavori, però LIMA sapeva che interessavano a degli amici.

P.M.: Cioè gli amici cosa intende lei?

BRUSCA G.: Cioè (…) amici a Ignazio SALVO, quindi uomini d'onore, cioè persone vicine a Ignazio SALVO.

P.M.: Ho capito. E quindi che cosa succede?

BRUSCA G.: Succede che io chiamo Angelo SIINO e a Cataldo FARINELLA e li faccio andare (…) da LIMA per cominciare a lavorare per ottenere il finanziamento di questi lavori. Al che, come gli ho detto poco fa, all'inizio erano un poco titubanti, invece poi ci sono andati e hanno avuto il risultato positivo.

P.M.: Cioè che vuol dire il risultato positivo?

BRUSCA G.: Il risultato positivo che l'Onorevole LIMA (…) si è attivato nel fare finanziare (…) questi lavori. Ma nel frattempo (…) oltre a farci finanziare questi lavori ci da l'indicazione dove noi possiamo avere (…) degli intoppi o (…) degli imprevisti a livello regionale per dire appena cominciano a spuntare questi miliardi ci saranno le altre correnti politiche che vi bloccheranno in qualche modo perché loro non hanno avuto (…) nessuna parcella, cioè nessuna tangente su questi lavori, quindi vi creeranno qualche problema perché sicuramente vorranno qualche cosa.

P.M.: E quindi che succede?

BRUSCA G.: Al che, effettivamente quando i finanziamenti arrivano alla Regione, la Regione poi li confluisce alla SIRAP, però in questo... io tecnicamente non glielo so spiegare, perché tecnicamente li seguiva Angelo SIINO e Cataldo FARINELLA, tecnicamente cioè, man mano che c'erano degli imprevisti cercavamo di risolvere.

P.M.: Chi è che cercava di risolvere gli imprevisti che sorgevano?

BRUSCA G.: Quando erano di roba minima li risolveva Angelo SIINO e Cataldo FARINELLA, però quando erano di un certo livello, che poi è spuntato un grosso problema di un certo livello intervenivo io in prima persona.

P.M.: Interveniva lei, e LIMA che faceva quando sorgevano imprevisti?

BRUSCA G.: LIMA ci dava le indicazioni come potere risolvere questo problema.

(…)

P.M.: Senta, ma in questa gestione illecita degli appalti, SIINO era il portatore di interessi di Cosa Nostra, il portatore di interessi propri, il portatore di interessi politici, ci fa capire SIINO che ruolo aveva in questo...

BRUSCA G.: Inizialmente (…) interessi di portatore di Cosa Nostra, però anche per interessi nostri personali, il mio e il SIINO. (…) Strada facendo diventano interessi di Cosa Nostra, ma anche personali, perché poi noi ci appaltavamo anche qualche lavoro. (…) Strada facendo ci appaltavamo anche qualche lavoro, cioè nella gestione degli appalti.

P.M.: Ci appaltavamo chi?

BRUSCA G.: Il SIINO si appaltava qualche lavoro.

P.M.: Ma praticamente il SIINO che faceva?

BRUSCA G.: Il SIINO faceva gestione degli appalti, cioè dall'ente pubblico li divideva alle imprese, nello stesso tempo riscuoteva il pizzo per la zona...

P.M.: Il pizzo per conto di chi?

BRUSCA G.: Per i vari mandamenti, per i vari paesi.

P.M.: Quindi per Cosa Nostra?

BRUSCA G.: Sì, per cosa nostra, però riscuoteva anche quella parte per i soldi per i politici, che noi in parte davamo ai politici e in parte ci tenevamo.

P.M.: Scusi, vediamo se ho capito bene, SIINO riscuoteva sui lavori pubblici...

BRUSCA G.: Sì.

P.M.: Una tangente che andava a finire a Cosa Nostra...

BRUSCA G.: Sì.

P.M.: E una... e poi veniva suddivisa tra i vari mandamenti e una parte di tangenti che andava a finire ai politici?

BRUSCA G.: Sì, una parte... cioè una parte ai politici e una parte a me e a Angelo SIINO e una parte li consegnavo a Salvatore RIINA, a mio padre che poi con questi soldi noi compravamo armi, li davamo a chi di bisogno, cioè tutta l'attività per Cosa Nostra, quali erano i bisogni del... di quel momento.

P.M.: Quindi scusi, lei e SIINO avevate una quota personale in tutto questo giro?

BRUSCA G.: Noi avevamo... nella quota personale, cioè quando dovevamo dare i soldi ai politici, non glieli davamo tutti ma ce li trattenevamo noi, perché noi avevamo dei problemi e ce li siamo risolti (…) in questa maniera.

(…)

P.M.: Ho capito. Senta, lei ha mai sentito parlare, a proposito della SIRAP, di una persona che si chiama CIARAVINO?

BRUSCA G.: Sì, era il... la figura del... della SIRAP, ma uomo di LIMA.

P.M.: La figura, vuol dire che rivestiva un ruolo alla SIRAP?

BRUSCA G.: Cioè non so se era Presidente, Sottopresidente, non so che cosa era, comunque aveva una figura, cioè un...

P.M.: Un ruolo...

BRUSCA G.: Un ruolo importante alla SIRAP. Ed era l'amico di Giuseppe ZITO in quanto gli diceva che gli aveva dati gli incarichi per la progettazione.

P.M.: Senta, Giuseppe ZITO che era un ingegnere?

BRUSCA G.: Ingegnere ZITO, sì.

P.M.: Quindi questo CIARAVINO era uomo di LIMA alla SIRAP, ho capito bene?

BRUSCA G.: Sì.

P.M.: Ho capito, questo lei come lo sa?

BRUSCA G.: Perché me lo dice Giuseppe ZITO, e noi da qua... io da Giuseppe ZITO ho tutte queste indicazioni.

P.M.: Perché ZITO doveva fare i progetti per tutti questi appalti SIRAP?

BRUSCA G.: Non Giuseppe ZITO in persona, la SASI, SASI progetti.

P.M.: Cioè lo studio di Giuseppe ZITO.

BRUSCA G.: Lo studio di Giuseppe ZITO.

P.M.: Ho capito. E questo Cataldo FARINELLA chi era esattamente?

BRUSCA G.: Un'impresa di un certo spessore...

P.M.: No, lui la persona, voglio dire chi era? Titolare di un'impresa...

BRUSCA G.: Di un impresa... di un impresa delle Madonie.

P.M.: Ho capito.

BRUSCA G.: Di Ganci (rectius Gangi: n.d.e.).

P.M.: Di Ganci (rectius Gangi: n.d.e.). E sa se questo Cataldo FARINELLA si assegnò... ebbe, voglio dire, un appalto grosso della SIRAP o più appalti?

BRUSCA G.: Cataldo FARINELLA ebbe prima un lavoro grosso per la Provincia, la San Mauro Castelverde, San Mauro Ganci, queste di qua, poi si appaltò, assieme ad Angelo SIINO il lavoro di Madonnuzza, vicino a Ganci (rectius Gangi: n.d.e.).

P.M.: Era un appalto SIRAP questo?

BRUSCA G.: Un appalto SIRAP.

Attraverso questo sistema di illecito controllo degli appalti pubblici, nel quale assumeva un ruolo determinante l’on. Lima, si realizzò quindi una significativa interazione tra "Cosa Nostra" e la corrente andreottiana nella provincia di Palermo, attivamente cooperanti nella realizzazione di un accordo criminoso che assicurava loro ingenti disponibilità finanziarie.

I rapporti dell’on. Lima con l’ing. Ciaravino e con il Farinella sono confermati dalle risultanze dell’attività di intercettazione effettuata in relazione all’utenza telefonica intestata alla S.I.R.A.P. (Siciliana Incentivazioni Reali per Attività Produttive) S.p.A. (con sede a Palermo in Via Mariano Stabile n.160).

Di particolare interesse, sono, infatti, i seguenti passaggi della conversazione telefonica svoltasi il 6 aprile 1990 alle ore 18.45 tra l’on. Lima e l’ing. Antonino Ciaravino (dirigente della S.I.R.A.P. S.p.A.), acquisita al fascicolo per il dibattimento con ordinanza del 14 aprile 1997:

LIMA: io ho qua un mio amico che è un consigliere comunale nostro di Petralia Soprana.

CIARAVINO: sì.

LIMA: ci sono questi lavori.

CIARAVINO: sì…

LIMA: che devono cominciare tra poco… lì a Madonnuzza.

CIARAVINO: sì

LIMA: io lo conosco Farinella siamo in buoni rapporti… però ti pregherei tu…

CIARAVINO: sì…

LIMA: questo ha problemi, questo mio amico, che è nostro rappresentante di Petralia di avere assunto qualche operaio…

CIARAVINO: sì…

LIMA: oppure di fare travagliare… se hanno bisogno… loro hanno delle cooperative di lavori che possono avere fatto…

CIARAVINO: che fa mi dai il nome? Oppure me lo mandi…

LIMA: ti do il nome oppure te lo mando quando mi dici tu.

CIARAVINO: lunedì… perché ora chiudiamo.

LIMA: lunedì? E a che ora viene?

CIARAVINO: lunedì… alle dodici e mezza?

LIMA: alle dodici e trenta, Si chiama Agnello.

CIARAVINO: Agnello… va bene… va bè… ci penso io.

Dalla suesposta conversazione telefonica si desume che l’on. Lima era in buoni rapporti con il Farinella (il quale avrebbe iniziato l’esecuzione di alcuni lavori nella zona di "Madonnuzza" poco tempo dopo) ed era interessato a far sì che quest’ultimo, su sollecitazione del Ciaravino, soddisfacesse le esigenze di un consigliere comunale di Petralia Soprana riguardanti l’assunzione di alcuni operai o l’affidamento di parte dei lavori a determinate società cooperative.

Il riferimento ai lavori che sarebbero dovuti iniziare poco tempo dopo la data della telefonata (6 aprile 1990) nella zona di "Madonnuzza" consente di individuare senza alcun dubbio il destinatario finale della segnalazione nell’imprenditore Cataldo Farinella.

Infatti dalla sentenza n.171/94 emessa il 2 marzo 1994 dal Tribunale di Palermo nei confronti di Angelo Siino, Cataldo Farinella ed altri quattro imputati (acquisita al fascicolo del dibattimento all’udienza del 10 giugno 1998) si desume che il 30 ottobre 1989 era stato aggiudicato alle imprese associate Siino Costruzioni s.r.l. e Cataldo Farinella S.p.A. l’appalto dei lavori di completamento infrastrutturale dell’area mista della "Madonnuzza" in Petralia Soprana, per l’importo di oltre 26 miliardi di lire. La società appaltante era la S.I.R.A.P. S.p.A..

Le risultanze processuali menzionate nella suddetta pronunzia evidenziano che la gara di appalto in esame era stata pilotata dall’organizzazione criminale in cui era inserito Angelo Siino, il quale aveva altresì tenuto un contegno intimidatorio di chiaro stampo mafioso nei confronti dei dirigenti della Tor Di Valle S.p.a. (il cui amministratore era il dr. Paolo Catti) per indurre la medesima società a rinunziare al proposito di presentare al giudice amministrativo un ricorso tendente ad invalidare la gara.

La circostanza che l’on. Lima abbia deciso di avvalersi dell’ing. Ciaravino per trasmettere la suindicata segnalazione al Farinella conferma l’esistenza di rapporti privilegiati tra i soggetti in questione.

La conversazione intercettata costituisce, dunque, per quanto attiene alla posizione dell’on.Lima, un univoco riscontro logico alle dichiarazioni rese, sull’argomento, dal Siino e dal Brusca.

Il Siino, all’udienza del 18 dicembre 1997, ha aggiunto che l’on. Lima lo rimproverò energicamente per il comportamento tenuto nei confronti dell’imprenditore Catti De Gasperi, il quale era stato raccomandato al sen. Andreotti da un altissimo personaggio.

Tale iniziativa dell’on. Lima appare pienamente coerente con l’interessamento da lui esplicato - nella suesposta conversazione telefonica intercettata - con riguardo alla gestione del predetto appalto.

In merito all’intervento del sen. Andreotti non sono, invece, stati acquisiti adeguati riscontri estrinseci, che confermino la veridicità delle circostanze riferite – peraltro, de relato – dal collaborante.

L’on. Lima tenne indubbiamente comportamenti idonei ad agevolare l’organizzazione mafiosa in occasione delle elezioni regionali del 1991, attivandosi per ottenere la candidatura nella lista della Democrazia Cristiana, per la circoscrizione elettorale di Enna, di un soggetto affiliato all’illecito sodalizio: l’avv. Raffaele Bevilacqua.

L’organico inserimento dell’avv. Bevilacqua nella struttura associativa di "Cosa Nostra" è univocamente desumibile dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Leonardo Messina, Paolo Severino ed Angelo Siino.

Il Messina, esaminato all’udienza del 12 marzo 1997, ha affermato che l’avv. Bevilacqua era "uomo d’onore", rivestiva la carica di "sottocapo" della "provincia" mafiosa di Enna, militava nella Democrazia Cristiana ed aderiva alla corrente andreottiana.

Il Siino, nella deposizione resa all’udienza del 18 dicembre 1997, ha precisato di avere appreso che, dopo il suo arresto, l’avv. Bevilacqua era stato nominato "vicerappresentante provinciale della mafia di Enna"; ciò gli fu riferito da Gaetano Leonardo (il quale per un determinato periodo assunse la carica di "rappresentante" della medesima "provincia"), nel corso di una traduzione.

Il Severino, escusso all’udienza del 24 aprile 1997, ha riferito che l’avv. Bevilacqua era "consigliere" della "provincia" di Enna e capo della "famiglia" di Barrafranca.

Sulla credibilità soggettiva dei predetti collaboranti possono formularsi valutazioni positive.

Per quanto attiene al Siino, è sufficiente richiamare le osservazioni svolte nel capitolo relativo ai rapporti tra il sen. Andreotti e Michele Sindona.

L’importanza della collaborazione offerta dal Messina all’autorità giudiziaria è stata sottolineata dal teste dott. Antonio Manganelli, esaminato all’udienza del 27 marzo 1997.

Il dott. Manganelli, nel periodo in cui svolgeva le funzioni di Vice Direttore del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, assistette al primo interrogatorio reso dal Messina – dopo la manifestazione del suo proposito di collaborare con la giustizia - in data 30 giugno 1992, davanti al Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dott. Paolo Borsellino.

Dalla deposizione del teste Manganelli si desume che grazie alle informazioni fornite dal Messina fu possibile procedere alla cattura dei latitanti nisseni Giuseppe (detto "Piddu") Madonia (arrestato in provincia di Vicenza) e Salvatore Ferraro (arrestato in Canada), succedutisi nella carica di "rappresentante" provinciale di "Cosa Nostra" per Caltanissetta; che il Messina fornì un quadro assolutamente completo della struttura di "Cosa Nostra" in provincia di Caltanissetta, ma molto parziale in ordine all’articolazione dell’organizzazione mafiosa nelle altre province; che il Messina indicò alcuni soggetti che fungevano da "cerniera" tra "Cosa Nostra" e la ‘ndrangheta nell’Italia settentrionale, alcuni dei quali (tra cui Calogero Marcianò) in seguito resero ampie confessioni, confermando le accuse loro mosse dal predetto collaborante; che, a seguito delle dichiarazioni rese dal Messina e della relativa attività investigativa, furono emessi dall’autorità giudiziaria di Caltanissetta e da quella di Milano provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico di un elevato numero di persone.

L’inserimento di Leonardo Messina nella "famiglia" di San Cataldo trova puntuale riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Paolo Severino, esaminato all’udienza del 24 aprile 1997, e nelle frequentazioni menzionate dal teste M.llo Vincenzo Licitra all’udienza del 26 marzo 1997.

Tenuto conto del profondo radicamento del Messina nella realtà criminale nissena e della particolare rilevanza del contributo conoscitivo da lui offerto all’autorità giudiziaria, deve certamente riconoscersi la sua credibilità per quanto attiene alla ricostruzione della struttura e delle attività illecite di "Cosa Nostra" nella provincia di Caltanissetta e nelle zone vicine, ben note al collaboratore di giustizia per la sua diretta esperienza di vita.

Sulla base del generale criterio della frazionabilità delle dichiarazioni accusatorie, questa positiva valutazione non può essere inficiata dalle discrasie presenti nelle dichiarazioni de relato del Messina relative a soggetti e vicende riconducibili ad altri contesti territoriali ed ambientali.

Per quanto attiene al collaboratore di giustizia Paolo Severino, va osservato che dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 25 marzo 1997 dall’isp. Francesco Paolo Longi (in servizio presso il Centro Operativo della D.I.A. di Caltanissetta) emergono con chiarezza i suoi pregressi rapporti con esponenti mafiosi della provincia di Enna. In particolare, già nel 1990 era stato rilevato che il Severino svolgeva il compito di autista in favore di Gaetano Leonardo, divenuto "vice-rappresentante" della "provincia" di Enna dopo la morte di Liborio Miccichè e "rappresentante" della stessa "provincia" nel 1992, alla morte di Salvatore Saitta. Nella notte tra l'8 e il 9 Settembre 1992 il Severino fu arrestato nel territorio di Enna, in un luogo in cui erano state depositate varie armi da caccia e da guerra. Subito dopo l’arresto, il Severino iniziò a collaborare con la giustizia, ammettendo la propria appartenenza a "Cosa Nostra" e indicando numerosi associati operanti nella provincia di Enna.

Nel corso dell’esame dibattimentale, il Severino ha spiegato che la propria decisione di collaborare con l’autorità giudiziaria fu motivata dal convincimento di essere stato tradito dai suoi stessi complici (in considerazione delle modalità dell’arresto), dall’intento di non andare incontro al rischio di essere condannato all’ergastolo, e dall’aspirazione a "cambiare vita subito".

Anche in ordine alla credibilità soggettiva del Severino può esprimersi un giudizio favorevole, tenuto conto della sua diretta conoscenza della struttura organizzativa dell’associazione mafiosa nella provincia di Enna e della serietà della sua scelta collaborativa.

Va altresì osservato che dagli elementi di convincimento raccolti non emerge alcuno specifico movente che possa avere indotto i predetti collaboratori di giustizia ad accusare falsamente i soggetti cui attengono le loro dichiarazioni prese in esame nella presente pronunzia.

Ciò posto, deve rilevarsi che appaiono assai significative le vicende che resero possibile la presentazione della candidatura dell’avv. Bevilacqua per le elezioni regionali del 1991.

L’avv. Raffaele Bevilacqua nel 1990 era stato eletto Consigliere Provinciale di Enna (cfr. la deposizione resa dal teste Longi).

Il teste Giuseppe Abbate (il quale ha ricoperto le cariche di segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Enna dal marzo 1983 al giugno 1991, di deputato regionale e di Assessore regionale), esaminato all’udienza del 26 novembre 1996, ha riferito di essersi rivolto, prima delle elezioni regionali del 1991, al Prefetto di Enna, segnalandogli che aveva ricevuto dalla segreteria nazionale del partito l’invito a vigilare sulle possibili infiltrazioni delinquenziali, e che correvano voci allarmanti sull’avv. Bevilacqua, il quale aveva notorie frequentazioni con ambienti mafiosi ed aspirava ad essere candidato.

A seguito di ciò, il Prefetto di Enna mostrò all’Abbate un fascicolo nel quale – a suo dire – erano indicate "le accertate frequentazioni malavitose del Bevilacqua e del Miccichè con gli ambienti della mafia della provincia", ed aggiunse "che avrebbe cercato di avere elementi di certezza per trasferire il tutto alla sede competente che era la sede di partito". L’Abbate chiese al Prefetto di trasferire gli elementi conoscitivi in suo possesso alla Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana.

L’on. D’Angelo, che era stato nominato Presidente della commissione elettorale del partito, si dimise da tale incarico e non presentò all’approvazione del Comitato provinciale di Enna della Democrazia Cristiana la lista per le elezioni regionali, perchè si rifiutò di inserirvi l’avv. Bevilacqua.

Nel Comitato provinciale si votò sui nominativi dei possibili candidati; tra essi, i primi quattro (che avrebbero dovuto essere inseriti nella lista) risultarono l’Abbate, l’on. Salvatore Plumari, l’on. Antonino Rizzo, il dott. Filippo Sammarco; al quinto e sesto posto vi erano, rispettivamente, l’avv. Grippaldi e l’avv. Bevilacqua (i quali, pertanto, non avrebbero dovuto essere inclusi nella lista elettorale, che poteva comprendere soltanto quattro candidati).

In seguito l’on. Rizzo rinunziò a presentare la propria candidatura, sicchè occorreva inserire nella lista, in sostituzione di lui, un altro candidato. Tale decisione era di competenza della Direzione Nazionale del partito.

L’Abbate chiese all’on. Sergio Mattarella un autorevole intervento in ordine al problema delle frequentazioni mafiose dell’avv. Bevilacqua.

In seguito il Prefetto di Enna comunicò all’Abbate: "Sergio mi ha parlato, ora vediamo quello che si può fare".

La Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana, tuttavia, inserì nella lista dei candidati, in sostituzione dell’on. Rizzo, l’avv. Bevilacqua.

Il teste Abbate ha specificato che l’avv. Bevilacqua militava nella corrente andreottiana ed era sostenuto dal dott. Alerci, il quale rappresentava le posizioni politiche dell’on. Lima nella provincia di Enna. Nel Novembre del 1990 si era tenuto a Barrafranca un convegno con la partecipazione dei massimi esponenti siciliani della corrente andreottiana, tra cui l’on. Lima, il quale aveva assicurato che l’avv. Bevilacqua sarebbe stato candidato nelle successive elezioni regionali.

L’on. Sergio Mattarella, esaminato in qualità di teste all’udienza dell’11 luglio 1996, ha riferito che la candidatura dell’avv. Bevilacqua fu propugnata con insistenza, all’interno della Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana, dall’on. Lima, benché altri esponenti del partito (come l’on. Abbate o l’on. Lo Giudice) avessero suggerito allo stesso Mattarella di non includerlo nella lista ipotizzando che il medesimo soggetto "avesse frequentazioni mafiose". L’on. Mattarella ed altri dirigenti del partito si adoperarono per evitare questa candidatura, ma non furono in grado di addurre elementi concreti a sostegno delle loro preoccupazioni circa le frequentazioni del Bevilacqua con ambienti mafiosi. Gli esponenti andreottiani che facevano parte della Direzione Nazionale del partito, indotti a ciò dall’on. Lima, insistettero molto per la candidatura dell’avv. Bevilacqua ed ottennero il risultato voluto.

Le dichiarazioni rese sul punto dall’on. Mattarella sono di seguito riportate:

P.M.: (…) lei ha conosciuto o ha sentito il nome dell'avvocato Raffaele Bevilacqua?

MATTARELLA S.: Si, è stato come candidato alle elezioni regionali (…) nella provincia di Enna.

P.M.: Ecco, sa se in relazione alla candidatura di questo personaggio si svolse... vi fu un contrasto all'interno della direzionale nazionale della D.C. e se è si per quale motivo?

MATTARELLA S.: Si, questo lo ricordo bene, venne indicato sdal'aria (rectius dall’area: n.d.e.) limiana, dalla corrente andreottiana in Sicilia. Io ho avuto... non ricordo se dall'onorevole Abbate che (…) nel '91, era il nuovo segretario provinciale della D.C. non era deputato, o dall'onorevole Lo Giudice o da entrambi, tutti e due di Enna, un suggerimento di non includere in lista questa persona perchè non aveva una buona reputazione e si ipotizzavano frequentazioni (…) che si era meglio che non si avessero da parte di esponenti di partito.

P.M.: Ecco, fuori dagli eufemismi può dire che tipo di frequentazioni?

MATTARELLA S.: Si. Dubitavano che avesse frequentazioni mafiose e quindi, comunque avendo una cattiva reputazione che non fosse il caso di non includere in lista. Nell'ambito della direzione del partito nazionale, che poi decideva la lista sulle proposte che venivano dalla province e dalla regione, non soltanto io, alcuni cercammo di evitare queta candidatura ma non vi erano motivi anche su informazioni assunte che dessero elementi di... anche di qualche probabilità, di qualche attendibilità concreta di queste... e quindi non vi erano argomenti per non includerlo in lista. Allora il confronto fu soltanto di equilibrio dalle correnti per quanto riguarda la inclusione di...

P.M.: Ma voi esternaste queste preoccupazioni circa le frequentazioni in quella sede, diciamo, con ambienti mafiosi?

MATTARELLA S.: Si, ma non vi erano elementi. Su tutti i candidati furono assunte delle informazioni ma su questo non vi erano elementi ...

P.M.: Comunque se ne discusse di queste frequentazioni?

MATTARELLA S.: Non ricordo se formalmente in direzione o informalmente come si fa sempre in questi casi, prima di farlo, col segretario... ma questi dubbi furono esternati. La vicenda fu ricondotta soltanto al problema del confronto fra le correnti circa i candidati da esprimere che erano lì 4 (…). Gli esponenti andreottiani in direzione, condividevano le cose di Lima, essendo siciliani, essendo in direzione, insistettero molto per questa candidatura, anche con l'argomento per gli altri 4 che si volevano mettere in lista, riempiendola così, escludendo il Bevilacqua, fossero tutti riconducibili alla sinistra del partito, sinistra che in Sicilia era divisa in correnti diverse che fra loro erano anche in conflitto, così come era Enna, appunto, però erano tutti in sede nazionale riconducibili alla sinistra e arrivarono anche a dire che rinunziavano non so se a una o a due candidature in altre provincia pur di avere questa, erano convinti che sarebbe stato eletto e ottennero questa candidatura.

P.M.: Quindi chi erano questi che insistevano?

MATTARELLA S.: Lima soprattutto e gli altri della direzione, erano in direzione Lima, Fardella (rectius Sbardella: n.d.e.), Baruffi, non so se ancora Evangelisti, comunque era Lima essenzialmente che era...

P.M.: Tutti andreottiani quindi?

MATTARELLA S.: Si. ma quello (…) che interveniva, che conduceva a queste posizioni era l'onorevole Lima.

(…)

AV.BONGIORNO: Onorevole, per quanto riguarda l'avvocato Bevilacqua, rispondendo alle domande del P.M., lei ha detto che si dubitava che avesse una cattiva reputazione, cattive frequentazioni, ora, io voglio sapere (…) se era a conoscenza di qualche cosa, di un fatto specifico, di una prova di questi rapporti fra Bevilacqua e ambienti mafiosi?

MATTARELLA S.: No, io non sapevo neppure chi fosse, come ho detto, me ne hanno parlato, non ricordo se entrambi, o uno dei due, l'onorevole Lo Giudice che è di Enna, e l'onorevole Abbate che è di Enna. Su Bevilacqua come su altri, come ho già detto, chiedemmo informazioni ma non arrivarono indicazioni significative.

AVV.BONGIORNO: D'accordo, quindi non c'erano indicazioni specifiche, però io voglio sapere, lei ha parlato direttamente con il senatore Andreotti, quanto meno di questa generica, cattiva reputazione (…) dell'avvocato Bevilacqua?

MATTARELLA S.: No.

AV.BONGIORNO: Cioè non sconsigliò al senatore Andreotti di inserirlo in queste liste?

MATTARELLA S.: No.

AV.BONGIORNO: Ma a lei le risulta che il senatore Andreotti, quanto meno conoscesse questo avvocato Bevilacqua e fosse a conoscenza di questi fatti?

MATTARELLA S.: Questo non lo so, anche perchè, in quel momento, il senatore Andreotti era presidente del consiglio, siamo nel '91, e partecipava alle direzioni come presidente del consiglio, avente diritto, ma non sempre veniva e comunque la rappresentanza della corrente andreottiana (…) la esercitavano gli altri (…).

AVV.BONGIORNO: Si, ma dico, il fatto non era particolarmente rilevante?

MATTARELLA S.: Non so se ci fosse lui quando...

AVV.BONGIORNO: Cioè, intendo dire un fatto di questo genere, cioè la possibilità che una persona da inserire in lista avesse rapporti con mafiosi lei non lo riteneva un fatto così rilevante da essere rappresentato direttamente al senatore Andreotti?

MATTARELLA S.: (…) arrivano frequentemente su candidati.. arrivavano, quando erano liste plurinominali, naturalmente, e quindi con numerosi candidati, erano frequentemente indicazioni di questo genere e ogni volta, quando le ricevevo io, ne parlavo con il segretario del partito e se ne parlava anche nell'ambito degli incontri informali che si fanno prima delle direzioni, naturalmente là dove esistessero riscontri significativi o da informazioni assunte (…) anche presso istituzioni o da atti formali poi si era in condizione di dar corpo o meno a queste indicazioni, ma il (…) di queste cose era sempre il segretario del partito, anche perchè quello con cui avevo dialogo, non avendone con altri.

(…)

PRESIDENTE: E ne parlò con segretario del partito in questa occasione, (…) per Bevilacqua (…)?

MATTARELLA S.: Si, ne parlammo certamente, non so se in direzione o (…) negli incontri preliminari, ma (…) vi era bisogno (…) per regola (…) ovvia, (…) che vi fossero riscontri, elementi concreti che non risultavano e quindi era impossibile, anche quando si era convinti che non emergevano, per errore, elementi perchè sarebbe stata inopportuna la candidatura, per una regola di comportamento se non vi erano elementi concreti non vi era modo di impedire la candidatura.

Aperto e visibile fu il sostegno offerto dai massimi esponenti mafiosi della provincia di Enna all’avv. Bevilacqua nel corso della campagna elettorale per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Il teste Abbate ha riferito che prima delle consultazioni regionali si tenne a Pietraperzia in data 14 giugno 1991 il comizio di chiusura della campagna elettorale; in questa occasione l’avv. Bevilacqua giunse sul luogo in compagnia di Liborio Miccichè e di Salvatore Saitta, salì sul palco, ed ebbe la possibilità di tenere un discorso, nel quale affermò che avrebbe conseguito un numero di voti maggiore di quello dello stesso Abbate (che era il capolista).

Dopo il comizio, vennero danneggiate le autovetture di molti sostenitori dell’Abbate.

Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, nella sua deposizione, ha chiarito che Salvatore Saitta era il "rappresentante" provinciale di Enna di "Cosa Nostra", e che Liborio Miccichè era "consigliere" della stessa "provincia" mafiosa, oltre che "rappresentante" della "famiglia" di Pietraperzia.

Anche il collaboratore di giustizia Paolo Severino ha evidenziato che il Saitta era il "rappresentante" provinciale di "Cosa Nostra" ed il Miccichè era "consigliere" della "provincia" mafiosa di Enna e capo della "famiglia" di Pietraperzia.

Il Messina ha inoltre riferito che l’avv. Bevilacqua, in occasione delle elezioni regionali del 1991, ricevette "l'appoggio di tutta la provincia di "COSA NOSTRA"".

Secondo il collaboratore di giustizia Angelo Siino, nel corso della campagna elettorale, l’avv. Bevilacqua sarebbe stato sostenuto dall’on. Lima anche sul piano economico.

Il Siino, infatti, ha affermato di avere consegnato prima della campagna elettorale, su incarico dell’on. Lima, la somma di £. 100.000.000 (costituente provento di tangenti relative ad appalti pubblici della Provincia di Palermo) a Gaetano Leonardo (rappresentante della "provincia" mafiosa di Enna) perché costui la facesse pervenire all’avv. Bevilacqua.

Le dichiarazioni rese sul punto dal Siino all’udienza del 18 dicembre 1997 sono di seguito trascritte:

P.M.: Ho capito. Un'altra domanda. Ha mai conosciuto (...) l'Avvocato RAFFAELE BEVILACQUA?

(...)

SIINO A.: RAFFAELE BEVILACQUA, sì, come no! RAFFAELE BEVILACQUA non lo conoscevo, però ne ho sentito parlare prima di essere arrestato.

P.M.: E poi lo ha conosciuto?

SIINO A.: Sì, l'ho conosciuto ...

PRESIDENTE: Prima di essere arrestato quando?

SIINO A.: Nel 1991, nel 9 luglio ... il mio primo arresto.

P.M.: Allora, che cosa sa su questa persona? Cosa sapeva prima di essere arrestato, e cosa ha saputo dopo averlo conosciuto?

SIINO A.: Cioè praticamente io ho portato lire 100 milioni a GAETANO LEONARDO. GAETANO LEONARDO è stato per poco tempo rappresentante provinciale della Provincia di Enna, cioè rappresentante provinciale intendo dire mafioso. Ero al corrente di molte più cose di Palermo, perchè là ero considerato come se fossi un uomo d'onore, per cui mi mettevano al corrente di ogni situazione. Il reggente della famiglia mafiosa di Enna era lo zio PAOLO VALLO. PAOLO VALLO era un personaggio che aveva 89 anni, e l'avevano fatto reggente, però chiaramente per la sua età, non poteva occuparsi degli affari mafiosi correnti. Per cui aveva incaricato dei sottocapi, di cui uno era questo GAETANO LEONARDO, un altro era TOTO' SAITTA, e un altro era BORINO MICCICHE', di occuparsi di affari correnti. L'Onorevole LIMA SALVO mi disse se conoscevo l'Avvocato BEVILACQUA, e io ho detto che non lo conoscevo, ne avevo sentito parlare come una persona, un amico buono di BARRAFRANCA. Il LIMA mi disse di prendere 100 milioni dai soldi dell'accordo Provincia ... l'accordo Provincia era l'accordo che avevo io per gestire gli appalti della provincia, dell'ente provincia di Palermo, e di farli avere in qualsiasi modo a BEVILACQUA. Io dissi che l'unico modo in quel momento che potevo avere era quello di consegnarli a TANO LEONARDO e lui praticamente mi disse:-"Ma siamo sicuri che ce li porta"? "Su questo non ci sono dubbi".

P.M.: Senta, quand'è che LIMA le dà questo incarico? In che anno?

SIINO A.: 1991, prima della campagna elettorale delle regionali del 1991.

Le suindicate dichiarazioni rese dal Siino appaiono intrinsecamente attendibili, presentando i caratteri della spontaneità, della genuinità, della specificità, della coerenza, della univocità, del disinteresse, e traendo origine dal personale coinvolgimento del soggetto nei fatti narrati.

Quanto al sostegno economico offerto dalla corrente andreottiana all’avv. Bevilacqua, diverse indicazioni sono state fornite dal collaboratore di giustizia Leonardo Messina, il quale ha riferito di avere appreso in epoca successiva alle elezioni dall’avv. Bevilacqua, e già in precedenza dal Miccichè, che il sen. Andreotti aveva "fatto avere" allo stesso Bevilacqua un contributo di £.300.000.000 per le spese elettorali.

Il Messina ha specificato che, nella medesima occasione, l’avv. Bevilacqua riferì a lui ed al Miccichè di essere in partenza per Roma, dove avrebbe incontrato il sen. Andreotti per discutere di argomenti politici legati alla sua mancata elezione.

Le dichiarazioni rese sull’argomento dal Messina all’udienza del 12 marzo 1997 sono di seguito riportate:

P.M. SCARPIN.: (…) Lei ha occasione di parlare, poi, personalmente con BEVILACQUA? Andate a trovarlo?

MESSINA L.: sì. Un giorno BORINO dice... ogni volta che io andavo a PIETRAPERZIA, o per fare colazione, o per parlare con BORINO, andavamo a finire dall'Avvocato BEVILACQUA. Perché era il vertice di quella provincia, e allora si teneva sempre in contatto. Un giorno dice: "andiamo a trovare a RAFFAELE". E siamo andati. E invece, da dove è lo studio, in quella occasione non c'era, BORINO bussò, in una porta a piano terra, di fronte lo studio. L'Avvocato BEVILACQUA uscì, che si stava sistemando la camicia. E ci salutammo, ci siamo abbracciati, e disse che se ne doveva andare, perché aveva un appuntamento con GIULIO ANDREOTTI a ROMA, per discutere della sua non elezione, per le cose politiche. In quella occasione si parlò pure di denari. Ma già io sapevo, me l'aveva detto BORINO, che ANDREOTTI gli aveva fatto avere 300.000.000 (trecentomilioni) per le sue spese politiche.

P.M. SCARPIN.: cioè, spese politiche cosa intende lei?

MESSINA L.: che gli aveva dato un contributo.

P.M. SCARPIN.: per le spese elettorali?

MESSINA L.: per le spese elettorali.

P.M. SCARPIN.: eh, scusi, lei ha detto che cosa dice BEVILACQUA quando si stava aggiustando la camicia, e questo riferimento ai soldi BEVILACQUA lo fa in quella circostanza e che cosa dice a questo proposito?

MESSINA L.: cioè, si lamentavano anche del fatto... dicendo, vah, "abbiamo speso un sacco di soldi, e in ultimo, il risultato...", si aspettavano di più, però...

P.M. SCARPIN.: uhm! Ho capito! Quindi, fece espressamente il nome di GIULIO ANDREOTTI?

MESSINA L.: sì.

P.M. SCARPIN.: e cosa disse? Scusi, se vuole...

MESSINA L.: disse che aveva un appuntamento a ROMA, con GIULIO ANDREOTTI, che dovevano parlare, lo aspettava.

P.M. SCARPIN.: lo aspettava! E dovevano parlare di che cosa?

MESSINA L.: del fatto della sua non elezione! Certo, non è che abbiamo fatto un discorso che è durato ore là, che lui mi doveva spiegare per filo e per segno che cosa gli doveva andare a dire lui là.

P.M. SCARPIN.: ho capito!

MESSINA L.: abbiamo parlato in questi termini. E io, senza nulla aggiungere, ho...

P.M. SCARPIN.: lei sa se poi... avete, siete ritornati poi su questo discorso? Cioè, BEVILACQUA è andato, avete discusso di questo incontro? (...) se c'è stato?

MESSINA L.: no, poi... io credo che non abbia più parlato.

(…)

AVV. COPPI: (...) Lei, sempre nel quadro di questi discorsi, ha ricordato di aver incontrato l'Avvocato BEVILACQUA mentre si stava aggiustando la camicia eccetera, eccetera, per andare a ROMA ad incontrarsi con il Senatore ANDREOTTI. BEVILACQUA le disse le ragioni per le quali doveva recarsi a ROMA?

MESSINA L.: era un incontro politico.

AVV. COPPI: era stato convocato lui dal Senatore ANDREOTTI...

MESSINA L.: ...sì, dice che aveva un appuntamento con il Senatore ANDREOTTI.

AVV. COPPI: sì, no, l'appuntamento d'accordo, ma l'appuntamento... io le avevo chiesto un'altra cosa. BEVILACQUA le disse se aveva chiesto lui un appuntamento al Senatore ANDREOTTI o se...

MESSINA L.: no.

AVV. COPPI: ...addirittura era stato il Senatore ANDREOTTI che lo aveva...

MESSINA L.: no, mi aveva detto che aveva un appuntamento con GIULIO ANDREOTTI e se ne doveva andare.

AVV. COPPI: e lei ricorda, non oso sperare che lei possa ricordare il mese ed il giorno, ma almeno l'anno in cui questo incontro avvenne, questo colloquio si svolse, lei lo ricorda?

MESSINA L.: nel '91, dopo le elezioni.

PRESIDENTE: quali elezioni?

(...)

MESSINA L.: ci sono state le elezioni regionali.

AVV. COPPI: appunto, in che anno le elezioni regionali?

MESSINA L.: nel '91.

(…)

AVV. COPPI: (…) Lei ricorda se BEVILACQUA le disse che intendeva parlare con il Senatore ANDREOTTI e della sua mancata elezione?

MESSINA L.: sì, doveva parlare con ANDREOTTI per il problema che non era salito.

AVV. COPPI: che non era stato... a lei risulta per averlo sentito, per averlo dedotto da fatti specifici che l'Avvocato BEVILACQUA, quindi l'Avvocato BEVILACQUA le disse o le fece comprendere, che egli riteneva il Senatore ANDREOTTI responsabile del suo insuccesso politico?

MESSINA L.: no, no, erano come pazzi, volevano aprire le sezioni di ANDREOTTI in tutto il paese, non c'era questo discorso, c'era... a meno che le cose dopo che ha parlato con me, sono cambiate, però io ho vissuto sia prima che dopo le elezioni con...

AVV. COPPI: ...però, dall'Avvocato BEVILACQUA lei ha appreso che il Senatore ANDREOTTI lo avrebbe finanziato con ben 300.000.000 (trecentomilioni)?

MESSINA L.: sì, lo avevo saputo prima da BORINO MICCICHE', poi da (...) dall'Avvocato BEVILACQUA.

AVV. COPPI: ...sarebbe stato materialmente e personalmente il Senatore ANDREOTTI a consegnare questi 300.000.000 (trecentomilioni)...

MESSINA L.: ...cioè, mi hanno detto che ANDREOTTI gli aveva fatto avere 300.000.000 (trecentomilioni) per la sua campagna elettorale.

AVV. COPPI: sì, dico non ha saputo quindi...

MESSINA L.: no.

AVV. COPPI: ...se sarebbe stato addirittura materialmente...

MESSINA L.: no, no.

AVV. COPPI: ...e l'occasione nella quale materialmente il Senatore ANDREOTTI avrebbe consegnato...

MESSINA L.: no, non mi hanno specificato questa cosa.

AVV. COPPI: ecco, né quindi le modalità...

MESSINA L.: no.

AVV. COPPI: ...del versamento: assegni...

MESSINA L.: no, niente, niente.

AVV. COPPI: ...denaro contante...

MESSINA L.: difatti non lo ho mai dichiarato.

Per quanto attiene alla descrizione dell’incontro tra i predetti esponenti mafiosi e l’avv. Bevilacqua, e delle affermazioni compiute da quest’ultimo circa il suo prossimo appuntamento a Roma con il sen. Andreotti, le suesposte dichiarazioni del Messina risultano intrinsecamente attendibili per la coerenza logica interna del racconto, la puntualità specifica nella narrazione dei vari fatti, l’assoluta mancanza di animosità.

La circostanza che, dopo le elezioni regionali del 16 giugno 1991, il sen. Andreotti abbia incontrato l’avv. Bevilacqua, trova univoco riscontro nel contenuto di una conversazione telefonica di Liborio Miccichè, che ha formato oggetto delle intercettazioni eseguite, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria di Enna, in ordine all’utenza telefonica della I.C.E.L.C. s.r.l. Calcestruzzi (doc. n. 88 bis, prodotto all’udienza del 9 giugno 1997).

Si tratta della seguente comunicazione telefonica, intercorsa in data 4 luglio 1991 tra il Miccichè ed un interlocutore (indicato con la lettera C nella trascrizione) presente presso un’utenza telefonica di Caltanissetta, intestata a Salvatore Cascio:

A: Pronto?

MICCICHÈ: Buonasera, Miccichè sono! Suo padre?

A: Un attimo glielo passo!

MICCICHÈ: Grazie!

(…)

C: Pronto!!

MICCICHÈ: Illustrissimo amico mio!

C: Come sta?

MICCICHÈ: Io… Quasi bene!

C: Perché quasi?

MICCICHÈ: Perché sono stanco!

C: E va beh!… Lei non deve lavorare troppo!

MICCICHÈ: E ma purtroppo vivo di lavoro e devo lavorare.

C: Io non ho chiamato perché non è facile rintracciarlo…

MICCICHÈ: No, me lo hanno detto tanti… Mi dispiace, tra l’altro, che non sono riuscito..

C: Nooo! No, no no… Che si dice?

MICCICHÈ: Ma combattiamo! Noi siamo sul campo di battaglia: perché siamo tutti i giorni a combattere con la gente sul lavoro e quindi… Abbiamo fatto una battaglietta politica…

C: Lo so, lo so, lo so… lo so tutto… E di riflesso credo che, per la modestissima cosa che ho potuto fare e ho fatto anch’io qualcosa… Comunque per voi è stata una grossa battaglia e avete…

MICCICHÈ: Una grossa battaglia e abbiamo avuto una bella soddisfazione però con un po’ di amarezza

C: Esatto! E beh!, l’amarezza era … e beh!, non lo so… Intanto c’è stata un’ottima affermazione… Si potevano evitare certe cose che… Boh!

MICCICHÈ: Si, ma il problema è stato che qualcuno, all’ultimo momento, com’è consuetudine nel discorso della politica, che negli ultimi due giorni chiudono possibilmente…

C: Certo, certo…

MICCICHÈ: …Determinati accordi e possibilmente qualcuno si dimentica che magari ha un posto e una carica perché gli amici lo hanno favorito tantissimo. Tipo il nostro amico Michele Lauria che in effetti da un accordo che doveva farci votare, non ci ha dato assolutamente niente. Noi abbiamo dimostrato che abbiamo portato diciannovemila voti e sono tutti voti di opinione, gente, amici, eccetera fuori dal partito, e la cosa certo un po’ li ha fatti…

C: Certo… Ah no! non ci sono dubbi!

MICCICHÈ: Solo che purtroppo si è creata questa situazione… Le beghe politiche sono un po’ particolari…

C: No ma lui può contare di essersi affermato in maniera…

MICCICHÈ: Ma per fortuna è rimasto Consigliere alla Provincia…

C: Certo, certo… Va beh, va beh! Ma a parte il consigliere alla provincia, ha avuto una affermazione validissima per cui devono tenerlo in serie considerazioni.

MICCICHÈ: Ma infatti io credo che… Infatti c’è un, direttamente un contatto con Andreotti e con Lima per cui non ci sono problemi. D’altronde gli hanno dato assicurazione che per quello che ha promesso faranno insomma il possibile o anche l’impossibile per garantire…

C: Non farlo venire meno, certo!

MICCICHÈ: Si, no, per garantire chiaro questo… L’indomani della notizia è stato convocato direttamente con Andreotti che gli ha detto: "Non ti preoccupare". Anche perché quei due cretini che ci sono andati, insomma, riscalderanno la sedia perché appena arrivano là con quella gente che sicuramente hanno una preparazione sociale diversa e politicamente per cui andranno, faranno i seguaci di Calogero Lo Giudice. Se Calogero Lo Giudice riscaldava prima la sedia, questi qua che sono seguaci suoi, forse non riusciranno nemmeno a riscaldare la sedia. Anche se quello nella sua stupidità, è riuscito sempre a testa alta perché… Però ne hanno combinate tante, cioè hanno speculato con nomi, nomignoli, con cose che non esistono… Cioè, hanno fatto una campagna poco onesta, ecco, non direi disonesta… ma poco onesta…

C: Certo, certo…

MICCICHÈ: …All’insegna di cose che poi non esistono, perché la gente infatti ha dato un consenso perché la gente dico, ha dato diciannovemila voti nei vari paesi e l’ha dato per amicizie interposte…

C: Ma certo, certo…

MICCICHÈ: …Perché tutti i rapporti di lavoro sono!

C: Ci sono voti di partito ma ce ne sono parecchi che evidentemente (…)

MICCICHÈ: Ma sa, noi abbiamo… ma abbiamo mobilitato un … un partito socialista, non è che c’è da (…)

C: Lo so, lo so, lo so…

MICCICHÈ: Abbiamo rotto ponti, amministratori socialisti che hanno lavorato per noi… ma non è che… cioè quindi …

C: Ci sono stati anche quelli che hanno lavorato per il partito socialista e per voi. Perché quando si presentano i socialisti ci dicono: "io ho fatto questo per il partito…"… Ma d’altra parte in politica è normale!

MICCICHÈ: Sì, ma d’altronde è così

C: Senta una roba: e invece che cosa state facendo?

MICCICHÈ: Ma sabato dovrebbero avere… Un amico mio dovrebbe avere un incontro con l’illustre …

C: Sì ma…

MICCICHÈ: … amico!

C: …Ma io… qualche mezza parola Vincenzino gliel’avrà detta…

MICCICHÈ: Non ci siamo parlati con Vincenzo!

C: No?

MICCICHÈ: So che mi ha cercato però…

C: E allora ascolti, lo sto… Ho messo un freno talmente serrato che evidentemente mi sto cercando di tenere fermo, bloccato…

MICCICHÈ: Certo!

C: …al massimo, per cercare se in questa fase riuscite a puntare i piedi.

MICCICHÈ: Certo!

C: Ma dovete riuscire! E’ un discorso da fare immediatamente perché se si inizia con quegli altri, è finita.

MICCICHÈ: Sì, lo so! Ma infatti pare che il discorso si stia facendo è quello che…

C: Guardi che è importante!

MICCICHÈ: Hanno la confusione… ma sa, non è che… io ho sentito notizie che si hanno già stanziato un po’ di soldi e dovranno spenderli perché debbono dare conto un po’ a determinate situazioni. Però ho l’impressione che è una cosa sempre iniziata per finire molto presto eh?

C: No, no!

MICCICHÈ: No dice lei?

C: Io dico di no!

MICCICHÈ: Ma in pectore c’è il discorso che pare ci sia un nuovo impianto, un nuovo sfruttamento di una materia che ha un costo più alto e una lavorazione diversa perché non si possono, cioè, non vogliono lavorare più la cainite o quanto meno non deve essere la parte principale. Però sa, vedo un po’… anche perché per fare questo, devono fare un grosso lavoro e quindi lo stanno curando. Ora … Cioè, non ho… Io per …

C: Io so che gliene daranno tanti di quei soldi da farli diventare rimbecilliti… Perché da cosa nasce cosa e devono fare tutta una serie di investimenti e via di seguito… Sempre con i soldi altrui!

MICCICHÈ: Ah, certo! Si, questo lo so!

C: Per cui… Lei poi, valuti lei… Io se riesco a resistere, resisto…

MICCICHÈ: Figuriamoci… Figuriamoci se io non ho l’interesse…

C: Signor Miccichè vah!, parliamo ora in termini… per cui se Miccichè immediatamente, ma niente, ma seriamente però, dice: questo è mio e non si tocca e di qua non si passa.

MICCICHÈ: Ma io m’incontrai pure con Nicolosi tempo fa, prima di queste, come si chiama… Pare che abbia dato assicurazione e…

C: Ma le assicurazioni debbono essere immediatezza nelle cose, Miccichè! non ci dorma!

MICCICHÈ: Io non ci sto dormendo… cioè, anche perché sabato pare che l’avvocato abbia un appuntamento con un amico mio. Ora vediamo che cosa gli dice… D’altronde gli ha dato una certa disponibilità tempo fa: Ora questo è il momento di…

C: Ora lo deve concretizzare!

MICCICHÈ: Questo è il momento che lo deve dimostrare.

C: Certo!

MICCICHÈ: Se è così… Poi, non lo so insomma, vah! Perché loro pare che la confusione sia questa: non sa se deve far fare loro un lavoro più specifico, quello dei nastri come accentramento, eccetera e la pulizia dovrebbe rimanere com’era prima. Ma se per caso dovessero entrare a fare pure pulizia, non so… Ma quello che dico io: questa manutenzione, nel momento in cui inizia, ma ci vorranno, quattro-cinque mesi per portare…

C: Ma infatti…

MICCICHÈ: … Allo stato della situazione di lavoro.

C: … Infatti hanno previsto un due mesi pieni, per cercare di dare un colpo e dopo proseguire.

MICCICHÈ: Ho capito!

C: Ora… certo, con il Consiglio d’Amministrazione che hanno fatto, che ci sono quattro "pierini" è sempre lui, l’avvocato, che da le carte, per cui…

MICCICHÈ: Si, si…

C: …Tutto è in mano sua. Lui sta dall’esterno, però che gestisce tutto.

MICCICHÈ: Si, si questo senza dubbio!

C: E allora!

MICCICHÈ: Però ora voglio capire se Mannino ha forza all’interno o no!

C: Mannino? Uuuh!

MICCICHÈ: Ora vedremo! Perché noi siamo molto vicini ad un amico di Mannino…

C: Mi deve scusare… Se c’è di mezzo Andreotti, non Andreotti… Se è, acchiappa…

MICCICHÈ: No, no, questo è contatto diretto sicuro senza…

C: E allora… Allora, lì… Di lì… Di qua non si passa, non vi spaventate, e siccome è zona mia di qua non si ci passa, punto e basta. Questo è il discorso.

[…]

Nella parte iniziale della suesposta conversazione il Miccichè ed il suo interlocutore parlavano di un candidato, da loro appoggiato, che, pur ottenendo una valida affermazione elettorale (quantificata in 19.000 voti di preferenza), non era stato eletto ed aveva quindi mantenuto la carica di consigliere provinciale. Il Miccichè specificava che il candidato in questione era direttamente in contatto con l’on. Lima ed il sen. Andreotti, i quali gli avevano assicurato che avrebbero fatto il possibile per garantire l’adempimento delle promesse da lui fatte; il sen. Andreotti, in particolare, lo aveva convocato dopo le elezioni e lo aveva invitato a non preoccuparsi.

Le ulteriori risultanze processuali consentono di identificare il predetto candidato nell’avv. Raffaele Bevilacqua, il quale nel 1990 era stato eletto consigliere provinciale, nelle elezioni regionali del 16 giugno 1991 era risultato il primo dei non eletti, aveva riportato 18.916 voti di preferenza, ed era stato sostenuto apertamente dall’on. Lima e dal Miccichè.

L’effettivo svolgimento dell’incontro dell’avv. Bevilacqua con il sen. Andreotti è dunque inequivocabilmente desumibile dalle suesposte affermazioni compiute – in modo del tutto spontaneo e genuino - dal Miccichè nella conversazione telefonica del 4 luglio 1991.

Va, tuttavia, osservato che dall’istruttoria dibattimentale non emergono elementi di prova che confermino specificamente la corresponsione, da parte del sen. Andreotti, della somma di £.300.000.000 all’avv. Bevilacqua.

Per le suesposte ragioni, deve riconoscersi che le diverse indicazioni offerte dal Siino e dal Messina in ordine al contributo economico ricevuto dal predetto candidato sono rimaste sfornite di adeguati riscontri estrinseci.

Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina ha, poi, riferito su un ulteriore comportamento suscettibile di avvantaggiare l’associazione mafiosa, realizzato dall’on. Lima su richiesta dell’avv. Bevilacqua.

Si trattò di un intervento in favore della cooperativa "La Pietrina", cui erano interessati (come "soci palesi", secondo il collaborante) il Miccichè e l’avv. Bevilacqua. Su richiesta di quest’ultimo, l’on. Lima prese contatto con l’avv. Francesco Morgante al fine di evitare che la predetta cooperativa fosse esclusa dall’affidamento di lavori presso la miniera di Pasquasia.

In proposito, il Messina ha dichiarato quanto segue:

P.M. SCARPIN.: senta, lei poco fa, nel raccontare degli episodi del Maxi-Processo, ha fatto anche il nome dell'Avvocato RAFFAELE BEVILACQUA.

MESSINA L.: sì.

P.M. SCARPIN.: ecco! Chi è questo personaggio? Ha già detto che era il sottocapo della provincia...?

MESSINA L.: di ENNA.

P.M. SCARPIN.: di ENNA! Quindi, era uomo d'onore?

MESSINA L.: uomo d'onore.

P.M. SCARPIN.: era un Avvocato? Anzi, è un Avvocato?

MESSINA L.: e... era un Avvocato e un politico.

P.M. SCARPIN.: e un politico. In quale partito milita o militava?

MESSINA L.: era della DEMOCRAZIA CRISTIANA, era un andreottiano.

P.M. SCARPIN.: era un andreottiano. Senta, questa persona lei l'ha conosciuta personalmente, ha avuto rapporti con lui?

MESSINA L.: io, da quando ero ragazzino, sentivo dire che l'Avvocato BEVILACQUA era un uomo d'onore.

P.M. SCARPIN.: uhm! Ma poi l'ha incontrato, ci ha parlato?

MESSINA L.: sì, poi io l'ho incontrato, perché la mia vita si svolgeva nella provincia di ENNA.

P.M. SCARPIN.: sì.

MESSINA L.: ...essendo che io ero assistente nella miniera PASQUASIA, nella miniera PASQUASIA c'era BEVILACQUA che aveva LA PIETRINA, poi c'era...

P.M. SCARPIN.: scusi, cos'è LA PIETRINA?

MESSINA L.: era una ditta che faceva dei lavori per la miniera.

P.M. SCARPIN.: una cooperativa?

MESSINA L.: una cooperativa.

P.M. SCARPIN.: una cooperativa, uhm!

MESSINA L.: allora, c'erano altre ditte di uomini d'onore, come quella dei DE CATALDO, FILIPPO DE CATALDO, molte volte ci incontravamo... diciamo tutti i giorni, queste tre/quattro ditte, che poi eravamo i capi di "COSA NOSTRA", ci incontravamo alla mensa, oppure andavamo a fare colazione, o a BARRAFRANCA (...) o a PIETRAPERZIA.

P.M. SCARPIN.: ho capito! Questa cooperativa, LA PIETRINA, era solo di BEVILACQUA o anche di qualche altro?

MESSINA L.: era di BEVILACQUA e di BORINO MICCICHE'.

P.M. SCARPIN.: cioè, erano soci?

MESSINA L.: sì.

P.M. SCARPIN.: e soci palesi o occulti erano?

MESSINA L.: no, no, soci palesi.

(…)

P.M. SCARPIN.: eh! Lei sa se ci fu interessamento di qualche politico, relativamente a lavori della cooperativa LA PIETRINA?

MESSINA L.: ci fu un momento che LA PIETRINA stava per essere messa da canto, all'interno della miniera, perché oltre a noi c'era una ditta che era di un nipote di un politico, era di SCIANCULA (rectius Sciangula: n.d.e.), di FOFO' SCIANCULA (rectius Totò Sciangula: n.d.e.), di PORTA EMPEDOCLE (rectius Porto Empedocle: n.d.e.).

(…)

MESSINA L.: praticamente i lavori venivano dati di più a questa ditta, e allora, prima hanno parlato con me, se io potevo parlare con qualcuno, e difatti, perché io avevo rapporti con il vice direttore, che era SALVATORE PATERNO', però lì non era un problema locale, e poi, l'Avvocato BEVILACQUA mi ha detto che ne aveva parlato a SALVO LIMA e che tutto si era sistemato. E in effetti tutto si è ripreso, e poi, invece di controllare LA PIETRINA una persona, è stata controllata da un altro capo servizio, che era imparentato con GIUSEPPE MADONIA.

P.M. SCARPIN.: senta, l'Avvocato BEVILACQUA le spiegò in che modo sarebbe intervenuto LIMA, come era stato contattato?

MESSINA L.: sì.

P.M. SCARPIN.: ...qual era stato... se c'era stato un intermediario? Cosa le disse esattamente?

MESSINA L.: no, mi aveva detto testualmente che aveva parlato con CICCIO MORGANTE.

(…)

P.M. SCARPIN.: e chi è questo FRANCESCO MORGANTE?

MESSINA L.: FRANCESCO MORGANTE era quello che gestiva l'ITALCALI (rectius ITALKALI: n.d.e.).

P.M. SCARPIN.: e LIMA cosa c'entra?

MESSINA L.: era sta... cioè, praticamente l'Avvocato BEVILACQUA si era rivolto a LIMA, LIMA aveva pianificato la cosa con CICCIO MORGANTE.

Queste dichiarazioni del Messina sono corroborate da una pluralità di riscontri estrinseci che ne confermano inequivocabilmente il nucleo significativo essenziale.

Dalla deposizione resa dal teste M.llo Emanuele Licata all’udienza del 26 marzo 1997 si desume che della cooperativa "La Pietrina", costituita nel 1989, facevano parte Liborio Miccichè (che ne era il Presidente), alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata della zona di Pietraperzia, ed il nipote dell’avv. Raffaele Bevilacqua. Tale società nell’ottobre del 1991 ottenne dall’Italkali S.p.A. commesse per £. 1.443.933.594 presso la miniera di Pasquasia. In precedenza altre commesse erano state affidate dall’Italkali S.p.A. alla cooperativa a r.l. "CO. P. e L. Pietrina", costituita in data 25 settembre 1984, della quale erano soci alcuni parenti del Miccichè (v. l’atto costitutivo della società, acquisito al fascicolo per il dibattimento: doc. n. 158).

La circostanza che l’avv. Bevilacqua si sia adoperato per ottenere un interessamento dell’on. Lima in favore della suddetta cooperativa trova riscontro nel contenuto di due conversazioni svoltesi tra il Miccichè ed il Bevilacqua (come si evince inequivocabilmente dai riferimenti in esse compiuti), che hanno formato oggetto delle intercettazioni eseguite, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria di Enna, in ordine all’utenza telefonica della I.C.E.L.C. s.r.l. Calcestruzzi (doc. n. 88 bis, prodotto all’udienza del 9 giugno 1997).

In particolare, nella conversazione telefonica svoltasi in data 3 settembre 1991 alle ore 19.15 tra il Miccichè e l’avv. Bevilacqua, si faceva riferimento, in un medesimo contesto di discorso, alla miniera di Pasquasia e ad un successivo incontro con l’on. Lima. I passi salienti di tale comunicazione sono di seguito riportati:

BEVILACQUA: ci vediamo domani sera!

MICCICHÈ: Ah?

BEVILACQUA: Domani sera, domani devo andare fuori.

(…)

MICCICHÈ: Ah! Ci vediamo domani…

BEVILACQUA: Domani sono a Palermo. Poi pomeriggio sono a Enna che c’è un’altra riunione dei segretari del partito.

MICCICHÈ: Quando, domani sera?

BEVILACQUA: Alle sei!

MICCICHÈ: E quindi noi quand’è che ci vediamo?

BEVILACQUA: domani sera alle nove!

MICCICHÈ: Domani sera alle nove? Ma stasera c’è riunione?

BEVILACQUA: No! Stasera debbo andare … ora sto andando fuori! Domani mattina devo andare a Palermo. Domani alle sei devo andare a Enna…

MICCICHÈ: Ah!

BEVILACQUA: Capisci?

MICCICHÈ: Sei in riunione. E quell’amico nostro là è venuto?

BEVILACQUA: Chi? No

MICCICHÈ: Ma non si sa se deve venire?

BEVILACQUA: Verrà la prossima settimana!

MICCICHÈ: Ho capito!

BEVILACQUA: Io sto aspettando una telefonata per andare personalmente da…

MICCICHÈ: Sì!

BEVILACQUA: da uno con un altro… un altro soggetto.

MICCICHÈ: Ho capito! Comunque io sto andando…

BEVILACQUA: spero di ipotecartela

(…)

MICCICHÈ: Comunque… perché quelli hanno già iniziato e … ora mi vuole parlare stasera…

BEVILACQUA: Chi?

MICCICHÈ: Ma ha iniziato un altro… Non quello però! e ho l’impressione che siccome non sono organizzati quelli, stanno cercando di dare tempo per … per fare…

BEVILACQUA: Di Pasquasia stai parlando no?

MICCICHÈ: Sì!

BEVILACQUA: Va bene vah! Ci siamo capiti!

MICCICHÈ: Comunque io stasera…

BEVILACQUA: Tu vai a vedere (…) e domani sera poi ti dico con chi debbo andarci, come devo andarci, con chi devo parlare…

MICCICHÈ: Perfetto! Allora ci vediamo domani sera così…

BEVILACQUA: Perché per Lima, se ne parla la prossima settimana.

MICCICHÈ: Quindi per Lima ormai…

BEVILACQUA: La prossima settimana!

(…)

MICCICHÈ: Ma verrà lui e starà due giorni qua?

BEVILACQUA: Sì!

MICCICHÈ: Come abbiamo detto noi. Va bene vah!

BEVILACQUA: Sì!

Dalla conversazione telefonica del 6 settembre 1991 tra il Miccichè ed il Bevilacqua si evince che quest’ultimo avrebbe dovuto trasmettere all’on. Lima una raccomandazione per ottenere un favore sollecitato dal Miccichè. I principali passaggi della conversazione sono i seguenti:

MICCICHÈ: E niente, ti chiamavo… in questi giorni ti ho chiamato, non mi ricordo… ieri o l’altro ieri… Com’è finito con quel discorso di quello là… di quella raccomandazione, per quella cortesia là, quell’onorevole… Con questa corrente insomma… è possibile che non si è potuto fare niente?

BEVILACQUA: Ti dissi che probabilmente sarebbe venuto qua Lima o ci sarei andato, io non lo so… Non è che è Lima o Foti qualcuno che… La corrente. La corrente mia è una corrente seria. Tutto quello che noi possiamo fare… Tu mi hai segnalato una cortesia… io debbo avere la possibilità di poterci parlare…

MICCICHÈ: Eh, siccome c’è, giustamente, la gente un poco si è impegnata sai a fare e a dire e allora chiedono delle cortesie. Io capisco che…

BEVILACQUA: Io ti saprò dire s’è sì o no. Ora io la sottopongo… non è una cosa che posso fare io! Quindi se c’è lo spazio si fa, se non c’è lo spazio ti dirò (…)

MICCICHÈ: Va beh!. E’ chiaro che non … non è che possiamo pretendere che … quello che si può fare, cioè…

BEVILACQUA: Farò di tutto! tutto quello che è nelle mie possibilità, lo faccio … senza mettere dubbio.

MICCICHÈ: Va beh! E’ chiaro! io se ti chiamo è chiaro che ti chiamo perché pressioni dalla gente… Sai, magari uno gli ha chiesto la cortesia, si sono adoperati eccetera, poi la gente, tu lo sai come sono, approfittano subito…

A.: Io lo capisco…

MICCICHÈ: Ti chiedono anche le più… le minime fesserie, che a volte uno magari neanche … e tante volte però ti chiedono anche delle cose che poi probabilmente non si possono fare. Nei limiti di quello che si può fare…

BEVILACQUA: Anche perché… Tu sei sempre lungo, al solito… Io non ho detto che sarebbe venuto Lima…

MICCICHÈ: Sì!

BEVILACQUA: Il nostro amico qua. Però non è che è sicuro se viene o non viene…

MICCICHÈ: Ho capito!

BEVILACQUA: "Probabilmente…" mi aveva detto Alerci: "Sì, forse probabilmente verrà qua! per una questione correntizia qua…" Altrimenti io spero di poterci andare la prossima settimana e vediamo poi…

MICCICHÈ: Va bene! Allora aspetto che mi dai…

BEVILACQUA: Non ti preoccupare, io qua (…)

MICCICHÈ: Mi dai nuove tu?

BEVILACQUA: Si, te lo faccio sapere io!

Dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 26 marzo 1997 dall’isp. Brigida Mangiaracina si desume, inoltre, che l’avv. Francesco Morgante assunse la carica di amministratore delegato della Italkali S.p.A., e nel dicembre del 1995 fu tratto in arresto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, unitamente all'ex Presidente della Regione siciliana Rino Nicolosi ed all'ex Assessore Luigi Granata, per concorso in abuso di ufficio, falso in bilancio ed altri delitti. Gli accertamenti svolti dal Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza portarono alla conclusione che molte forniture apparentemente effettuate nei confronti della Italkali S.p.A. da alcune ditte come la cooperativa "Pietrina" erano in parte inesistenti; dalle indagini emerse, altresì, che l’avv. Morgante riusciva ad ottenere dalla Regione Siciliana finanziamenti per queste forniture attraverso i rapporti che egli intratteneva con i vertici regionali della Democrazia Cristiana.

La comunanza di interessi economici tra il Bevilacqua ed il Miccichè è confermata dalla circostanza (riferita dal teste Longi) che i medesimi soggetti ebbero ad acquistare insieme (unitamente alle rispettive mogli) alcuni beni immobili.

Del tutto marginali sono le imprecisioni riscontrabili nelle dichiarazioni del Messina in ordine alla posizione formalmente rivestita dal Bevilacqua rispetto alla suddetta cooperativa; è, infatti, perfettamente comprensibile che il collaborante sia stato indotto in errore dalla evidente cointeressenza del Bevilacqua, ed abbia quindi ritenuto che costui avesse assunto la qualifica di socio palese.

E’, infine, significativa la circostanza che, dopo le suindicate conversazioni telefoniche svoltesi nel Settembre 1991, il Miccichè abbia continuato a sostenere la corrente andreottiana, tanto che egli, al momento in cui venne ucciso in data 4 aprile 1992 nella piazza principale di Pietraperzia, era intento a distribuire volantini dell’on. Luigi Foti, appartenente al medesimo gruppo politico.

Dalle risultanze probatorie sopra esaminate emerge, dunque, con chiarezza la rilevanza e la continuità del rapporto di fattiva collaborazione dell’on. Lima con "Cosa Nostra".

Ciò posto, deve rilevarsi che la vicinanza dell’on. Lima all’associazione mafiosa non era sfuggita ad un autorevole esponente politico come l’on. Piersanti Mattarella, il quale – secondo quanto ha riferito il fratello on. Sergio Mattarella all’udienza dell’11 luglio 1996 – aveva manifestato l’intenzione di chiedere il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana anche "perchè era comunque convinto che ci fosse (rectius fossero: n.d.e.) nella posizione dell'onorevole Lima dei rapporti con ambienti mafiosi".

Parimenti convinto dei rapporti esistenti tra l’on. Lima e l’associazione mafiosa era il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale, prima di assumere l’incarico di Prefetto di Palermo, nel corso di un colloquio con il Ministro dell’Interno on. Virginio Rognoni, discusse con lui delle collusioni fra mafia ed ambienti politico-economici, gli preannunziò che avrebbe "toccato" anche esponenti della Democrazia Cristiana, e gli espresse la propria preoccupazione per il fatto che si sarebbe dovuto scontrare con ambienti politici, facendo esplicito riferimento alla corrente andreottiana ed alla corrente fanfaniana, e menzionando specificamente i nomi di Ciancimino, Gioia e Lima.

Il teste Rognoni, infatti, all’udienza del 20 maggio 1990 ha riferito quanto segue:

AVVOCATO COPPI:

(…) il Generale DALLA CHIESA le ha mai rappresentato sospetti, lei ha mai parlato di voci raccolte sul senatore ANDREOTTI e di vicinanze, di collusioni del senatore ANDREOTTI con ambienti della criminalità organizzata e della mafia in particolare ?

ROGNONI VIRGINIO:

Ma devo dire che quando, all’inizio del 1982, in particolare dopo la liberazione del Generale DOZIER, liberazione che a giudizio del governo e a mio giudizio segnava proprio la fine politica del terrorismo, del partito armato, io mi posi il problema dell’impiego del Generale DALLA CHIESA, perché non si poteva non utilizzare la competenza e la professionalità (…) di questo Comandante dei Carabinieri. E allora in quel periodo io, dopo una ricognizione di opinioni politiche, segretari di partiti e così via proposi al governo, Presidente del Consiglio era SPADOLINI, il Generale DALLA CHIESA come Prefetto di Palermo. (…) Io proposi il Generale DALLA CHIESA Prefetto di Palermo. Naturalmente ebbi degli incontri (…) col Generale DALLA CHIESA, una serie di incontri in cui manifestai (…) questo intendimento del governo sia altri incontri e in uno di questi incontri il Generale DALLA CHIESA mi disse che l’incarico che assumeva era un incarico rilevante, era un incarico delicato. Allora non si parlava affatto di un Alto Commissario, si parlava del Prefetto di Palermo, perché era mio convincimento che la lotta alla mafia dovesse iniziarsi proprio con il richiamo di tutte le energie dello Stato, di tutte le strutture ordinarie dello stato. Un Prefetto con la storia personale di DALLA CHIESA, Prefetto di Palermo avrebbe evocato (…) queste "virtù civili". Questa era la motivazione al fondo del Generale DALLA CHIESA Prefetto di Palermo. E naturalmente non bastava. Sulla base anche… memore delle battaglie fatte per difendere quella struttura extra ordinem di cui ho parlato poc’anzi, si cercava di legittimare, incardinare l’incarico del Prefetto DALLA CHIESA nella famosa Legge 121, che è la legge di riforma della pubblica sicurezza, in base alla quale il Prefetto (…) può, evidentemente per ragioni di ordine pubblico, massima autorità di pubblica sicurezza nella provincia, estendere (…) l’esercizio delle sue iniziative, i suoi poteri anche al di là della provincia. (…) Prefetto DALLA CHIESA doveva essere il terminale della "intelligence". Sapeva DALLA CHIESA di non potere essere operativo sul piano della sicurezza, sul piano (…) della Polizia, perché era Prefetto, ma terminale della "intelligence" della criminalità organizzata, in particolare della mafia. E mi suggeriva di costruire un gruppo di referenti dislocati nel territorio, altrettanti Prefetti, Prefetto di Torino, Prefetto di Milano, Prefetto di Genova, di Firenze, Roma, Bari, Napoli e così via. Tra l’altro questo incontro, questo incontro dei Prefetti avrebbe dovuto venire il giorno 7 settembre. Anzi in un primo momento il Generale (…) mi aveva proposto il 3 settembre. Mi propose questa data quando io vidi per l’ultima volta il Generale, il 16 di agosto… o il 20 di agosto a Ficuzza. Non avevo nessuna intenzione di andare a Ficuzza per una serie di ragioni, invece andai di proposito (…) per dare solidarietà, (…) forza, determinazione al Generale DALLA CHIESA. Mi venne a prendere all’aeroporto, andammo insieme a Ficuzza e parlammo, parlammo contro la mafia. Anzi già dice: Ma mi dicono che il protocollo suggerisca che quando c’è il Ministro dell’Interno non debba parlare un Prefetto. Ho detto: No, Generale, lei deve parlare, per una serie di ragioni. Bene, in uno di questi incontri il Generale DALLA CHIESA dice: Io so di andare in un posto di frontiera e dovrò combattere più di un ambiente, dovrò scontrarmi anche con forze (…) della società civile, con forze della società politica e dovrò magari scontrarmi con ambienti anche del suo partito. Queste parole mi venivano rivolte, ambienti… e qui mi fece… alluse alla corrente andreottiana, e io gli dissi: Caro Prefetto, lei è Prefetto della Repubblica e deve andare avanti (…) senza alcuna esitazione. (…)

AVVOCATO COPPI:

Senta, professore, in quella occasione il Generale DALLA CHIESA le fece presente di aver fatto un analogo discorso al senatore ANDREOTTI e le fece riferimento di eventuali ostacoli, opposizioni da parte del senatore ANDREOTTI a questa designazione palermitana ?

ROGNONI VIRGINIO:

No.

(…)

AVVOCATO COPPI:

(…) Di questo colloquio avuto con il Generale DALLA CHIESA lei ha informato il senatore ANDREOTTI ?

ROGNONI VIRGINIO:

No, non ne avevo ragione, perché il senatore ANDREOTTI allora, siamo nell’82 (…) era presidente della Commissione Esteri della Camera, quindi non avevo ragione di parlarne.

AVVOCATO COPPI:

Riferimenti, invece, specifici al senatore ANDREOTTI non ce ne furono ?

ROGNONI VIRGINIO:

Da parte del Generale DALLA CHIESA ?

AVVOCATO COPPI:

Sì, da parte del Generale DALLA CHIESA.

ROGNONI VIRGINIO:

No, no.

(…)

PUBBLICO MINISTERO:

il punto era se nel corso di questo colloquio o di questi colloqui che lei ebbe con DALLA CHIESA, nel corso del quale o nel corso dei quali il Generale DALLA CHIESA le espresse questa preoccupazione di doversi scontrare anche con uomini del suo partito, il Generale DALLA CHIESA le fece dei nomi e dei cognomi.

ROGNONI VIRGINIO:

Su queste circostanze io venni interrogato già altre volte. Il Generale DALLA CHIESA mi disse… io l’ho ripetuto qua: Vado ad assumermi una responsabilità forte e mi dovrò scontrare con ambienti civili di quella città, di quella regione e con ambienti politici, e mi fece espressamente l’indicazione della corrente andreottiana, e mi fece il nome di CIANCIMINO, mi fece il nome di GIOIA, parlava anche della corrente fanfaniana. Ecco, questa è la…

PUBBLICO MINISTERO:

Ricorda un altro nome riferibile ad ANDREOTTI ?

ROGNONI VIRGINIO:

Ricordo LIMA.

PUBBLICO MINISTERO:

Ecco, quindi le fece anche il nome dell’onorevole Salvo LIMA ? (…)

ROGNONI VIRGINIO:

Sì, sì. Mi pare, sì, credo.

PUBBLICO MINISTERO:

No…

ROGNONI VIRGINIO:

Sì, sì, mi disse della corrente andreottiana e dice: E quindi c’è CIANCIMINO, LIMA eccetera.

PUBBLICO MINISTERO:

CIANCIMINO, LIMA eccetera. Quindi siamo sicuri su questo punto?

(…)

ROGNONI VIRGINIO:

Se… lo strumento per ricordarsi certi fatti è la memoria; la mia memoria mi dice di sì.

(…)

PUBBLICO MINISTERO:

Senta, ritorniamo un attimo indietro. Questo colloquio che lei ha con DALLA CHIESA nel corso del quale le parla anche di LIMA. (…) Lei ricorda se DALLA CHIESA in particolare le disse che era ancora convinto, quindi nel 1982, delle dichiarazioni rese tanti anni prima dinanzi alla Commissione Antimafia a proposito dei rapporti tra mafia e politica? Glielo chiedo perché lei ha scritto un libro che è stato allegato a questo verbale.

ROGNONI VIRGINIO:

Sì, nell’88. Ma credo che la novità di DALLA CHIESA, dell’ultimo DALLA CHIESA… e DALLA CHIESA mi confermò l’ultima volta che io lo vidi, in occasione (…) del discorso di Ficuzza… il rapporto fra mafia palermitana e mafia catanese, questo sì, e non ricordo che questo rapporto fosse da lui, DALLA CHIESA, sottolineato o indicato all’epoca in cui DALLA CHIESA venne ascoltato dalla Commissione Antimafia degli anni pregressi. Cioè un risveglio mafioso o, comunque, una… un affacciarsi minaccioso della mafia catanese era una delle… delle preoccupazioni del Generale DALLA CHIESA.

PUBBLICO MINISTERO:

Mi scusi, questa preoccupazione della mafia catanese è una preoccupazione che il Generale DALLA CHIESA le esprime quando già ha assunto l’incarico di Prefetto e ha cominciato a svolgere le prime indagini oppure prima di recarsi a Palermo ?

ROGNONI VIRGINIO:

No, io… almeno dal Generale DALLA CHIESA queste cose le ho sapute quando DALLA CHIESA (…) diventa Prefetto di Palermo.

PUBBLICO MINISTERO:

Ecco, ora io le sto dicendo se prima ancora di assumere l’incarico di Prefetto nel parlarle di LIMA e di CIANCIMINO DALLA CHIESA le disse che era ancora convinto delle dichiarazioni che aveva reso alla Commissione Parlamentare Antimafia negli anni precedenti a proposito dei rapporti tra mafia e politica e dei giudizi che allora aveva maturato su esponenti dei vari partiti, compreso, diceva, uomini della Democrazia Cristiana.

ROGNONI VIRGINIO:

No, prima no. DALLA CHIESA non mi informava di queste cose (…) anche perché i rapporti… i rapporti più forti che io… e più intensi che io ebbi con DALLA CHIESA furono in relazione alla lotta al terrorismo, quindi non abbiamo avuto occasione di parlare (…) di mafia (…) se non quando DALLA CHIESA viene nominato Prefetto.

PUBBLICO MINISTERO:

Allora onorevole io le faccio presente, la forma della contestazione, che il 17 gennaio del ’95 lei ha dichiarato: "Ricordo che in un colloquio svoltosi prima della sua presa di possesso a Palermo il Generale espose il seguente concetto: io vado, ma mi dovrò scontrare con forze o con uomini… Io lo esortai ad andare avanti e lui aggiunse: Anche con forze del suo partito. Al che gli dissi che era un Prefetto della Repubblica. In questo contesto, per quanto riguarda quella parte della domanda che ha come oggetto uomini politici democristiani collusi con la mafia, ricordo che il Generale DALLA CHIESA parlando con me fece riferimento a quanto egli stesso aveva dichiarato ad una Commissione Parlamentare Antimafia, non ricordo se quella PAFUNDI o CATTANEI, circostanza che ho… come già ricordato nel mio libro "Interviste sul terrorismo" a pagina 164, come rilevo dal libro che ho qui con me e che consulto autorizzato dall’ufficio". Si da atto che vengono acquisite al presente verbale fotocopia della copertina e delle pagine 164 e 165 del libro nelle quali lei dice: "Si aspettava di scontrarsi con ambienti dell’establishment, magari con forze e uomini politici. Ne avevamo parlato a lungo. Tra l’altro mi diceva di essere ancora convinto delle dichiarazioni rese tanti anni prima davanti alla Commissione Antimafia a proposito dei rapporti tra mafia e politica e dei giudizi che allora aveva maturato su esponenti di vari partiti compresi, diceva, uomini della Democrazia Cristiana". Poi conclude: "Il Generale DALLA CHIESA a tale proposito mi fece i nomi di CIANCIMINO, di GIOIA, di fanfaniani che a lui si riconducevano e infine mi parlò degli amici di ANDREOTTI. Con riferimento a questi ultimi fece il nome di LIMA". Quindi lei ha dichiarato che nel corso di un colloquio o di più colloqui, comunque prima che andasse a Palermo, esprimendo queste preoccupazioni su questi ambienti politici palermitani e con riferimento a questi nomi il Generale DALLA CHIESA dice: Io sono ancora convinto di quello che dissi quando fui ascoltato dalla Commissione Parlamentare Antimafia sui rapporti mafia – politica. Questo è quello che lei ha dichiarato: ora ricorda ?

ROGNONI VIRGINIO:

Sì, ma in occasione… lei poc’anzi mi ha fatto una domanda praticamente analoga, e io pensavo che lei si riferisse a incontri o colloqui col Generale DALLA CHIESA su questa tematica in periodi pregressi. (…) Quando (…) io prendo la decisione di proporre al governo il Generale DALLA CHIESA come Prefetto di Palermo io ho questi incontri e colloqui col Generale DALLA CHIESA, ne ho fatto parola anche prima, e in uno di questi incontri mi dice: Ma io andrò a scontrarmi probabilmente con (…) ambienti anche del suo partito. Lei è Prefetto della Repubblica, non guardi in faccia nessuno e vada avanti. Questa è stata la mia risposta.

PUBBLICO MINISTERO:

Quindi conferma queste dichiarazioni ?

ROGNONI VIRGINIO:

Certo che confermo queste dichiarazioni.

PUBBLICO MINISTERO:

Conferma queste dichiarazioni. Ecco, la domanda successiva è: visto che DALLA CHIESA le aveva espresso queste preoccupazioni che riguardavano LIMA lei andò da ANDREOTTI per comunicargli che il Generale DALLA CHIESA aveva preoccupazione di scontrarsi con uomini della sua corrente e in particolare con LIMA ?

ROGNONI VIRGINIO:

No, no.

PUBBLICO MINISTERO:

Perché ?

ROGNONI VIRGINIO:

Perché non ho ritenuto di farlo. Perché (…) non mi è sembrato opportuno farlo.

PUBBLICO MINISTERO:

Perché, scusi ? Lei era Ministro degli Interni.

ROGNONI VIRGINIO:

Ero Ministro degli Interni, ma (…) erano giudizi (…) che il Generale DALLA CHIESA dava di probabilità su quello che avrebbe incontrato o con cui si sarebbe scontrato, ma non ho ritenuto che ci fossero estremi per cui io dovessi riferire queste cose (…) a personalità politiche, all’allora Presidente del Consiglio e alla… al Ministro ANDREOTTI, anzi al… ANDREOTTI allora era Presidente della Commissione Esteri.

(…)

AVVOCATO COPPI:

(…) quando il Generale DALLA CHIESA le fece alcuni nomi di personaggi democristiani che avrebbero potuto essere eventualmente coinvolti nella sua attività ha fatto anche il nome di CIANCIMINO, ma ha fatto il nome di CIANCIMINO come appartenente alla corrente andreottiana in quella occasione ?

ROGNONI VIRGINIO:

No, no, ha parlato della corrente andreottiana nel suo complesso. Naturalmente scontando che non tutti coloro che seguivano in Sicilia l’onorevole ANDREOTTI dovessero essere in qualche modo allineate su quel nome che, viceversa, mi fece. Mi fece il nome di CIANCIMINO, io non so neanche se all’epoca CIANCIMINO appartenesse o non appartenesse alla corrente andreottiana.

(…)

AVVOCATO COPPI:

E le ha fatto, però, il nome anche di altri deputati siciliani che certamente non erano di corrente andreottiana; GIOIA non era…

ROGNONI VIRGINIO:

Esatto, esatto.

AVVOCATO COPPI:

E le ha fatto però anche il nome di GIOIA…

ROGNONI VIRGINIO:

Esatto, esatto.

Il contenuto del colloquio era stato riassunto nei seguenti termini dall’on. Rognoni nel corso della deposizione testimoniale resa nel c.d. maxiprocesso: "dopo aver ricevuto lo "sta bene" da parte del Governo, curai di incontrarmi con Dalla Chiesa per convincerlo ad accettare l'incarico. Non dovetti faticare molto per convincere il mio interlocutore e, ovviamente, nel corso dei nostri incontri si discusse anche delle strategie migliori per combattere la mafia. Nel corso di tali colloqui si discusse, ovviamente, anche delle collusioni fra mafia ed ambienti politico-economici. Il Dalla Chiesa, effettivamente, mi disse che avrebbe toccato anche esponenti del mio partito (democristiano) nel senso che, data la natura del fenomeno, non era da escludere che avrebbe potuto avere necessità di compiere indagini su uomini politici, ivi compresi i democristiani. Io gli risposi che egli era un prefetto della Repubblica e, come tale, non aveva da guardare in faccia nessuno" (v. le dichiarazioni dell’11 maggio 1983 del teste on. Rognoni davanti al Giudice Istruttore di Palermo dott. Falcone, confermate nella deposizione resa davanti alla Corte di Assise di Palermo all’udienza dell’11 novembre 1986 ed acquisite al fascicolo del presente dibattimento).

Del suo incontro con il Ministro Rognoni, il gen. Dalla Chiesa aveva parlato anche con il proprio figlio Fernando, il quale riferì quanto segue nella deposizione testimoniale resa il 9 marzo 1983 davanti al Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo dott. Falcone e confermata all’udienza del 23 luglio 1986 nel giudizio di primo grado del c.d. maxiprocesso: "mio padre mi disse che, prima di partire per Palermo, ebbe un colloquio col Ministro Rognoni, al quale fece presente che, per effettuare una seria lotta alla mafia, sarebbe stato inevitabile "toccare" uomini di spicco della Democrazia Cristiana, siciliani. Il Ministro lo rassicurò dicendogli che non era il generale della D.C.".

Il gen. Dalla Chiesa esternò anche all’imputato l’intenzione di condurre la propria azione di contrasto alla mafia senza assicurare nessun trattamento di favore alla parte dell’elettorato cui faceva riferimento la corrente andreottiana in Sicilia.

In proposito, è inequivocabile il contenuto delle annotazioni effettuate dal gen. Dalla Chiesa sul proprio diario nella pagina del giorno 6 aprile, di seguito trascritte:

"Dunque nella giornata di venerdì e fino ad ora tarda si sono succedute le telefonate di rallegramenti e di auguri: dal Ministro Rognoni al Presidente del Consiglio, Spadolini, dal Prefetto di Roma a quello di Milano, di Torino, di Firenze, dal Capo di Gabinetto del M.I. al Capo di S.M.D. e E., insomma tantissimi. Poi ieri anche l'on. Andreotti mi ha chiesto di andare e naturalmente, date le sue presenze elettorali in Sicilia, si è manifestato per via indiretta interessato al problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori. Sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno, anche se mi ha voluto ricordare il suo lontano intervento per chiarire la posizione di Messeri a Partinico, lo ha condotto e lo conduce ad errori di valutazione di uomini e circostanze. Il solo fatto di raccontarmi che intorno al fatto Sindona, un certo Inzerillo, morto in America, è giunto in Italia in una bara e con un biglietto da 10 dollari in bocca depone nel senso; prevale ancora il folclore e non se ne comprendono i "messaggi"!"

Il resoconto della conversazione esposto dal gen. Dalla Chiesa nel suo diario (che deve ritenersi pienamente attendibile per la natura di tale documento, redatto con assoluta sincerità nell’immediatezza dei fatti e destinato ad un uso esclusivamente personale) evidenzia come il problema dei rapporti esistenti tra la corrente andreottiana siciliana e l’organizzazione mafiosa fosse stato portato all’attenzione del sen. Andreotti, il quale, tuttavia, non manifestò alcuna significativa reazione volta a prendere le distanze dai soggetti collusi con "Cosa Nostra".

In ordine al predetto colloquio svoltosi il 5 aprile 1982, il gen. Dalla Chiesa si espresse nei seguenti termini parlandone successivamente con il figlio Fernando: "sono stato da Andreotti, gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia ed è sbiancato in volto" (v. la deposizione testimoniale resa dall’on. Fernando Dalla Chiesa all’udienza del 14 gennaio 1998).

Queste espressioni utilizzate dal gen. Dalla Chiesa nel riferire sinteticamente al figlio il contenuto del colloquio, a ben vedere, non si pongono in contrasto con le risultanze del diario.

L’affermazione: "gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia" è pienamente coerente con la manifestazione dell’intento di non assicurare alcun trattamento di favore alla parte dell’elettorato cui faceva riferimento la corrente andreottiana in questa regione. Non vi è dubbio, infatti, che l’esternazione di una simile intenzione fosse inserita nel contesto di un discorso concernente le modalità con le quali il gen. Dalla Chiesa avrebbe condotto la sua azione di contrasto a "Cosa Nostra" anche in relazione ai rapporti tra mafia e politica. Di ciò si trova un preciso riscontro nel contenuto del diario, dove il gen. Dalla Chiesa specificò che il sen. Andreotti era indirettamente interessato al problema proprio per le sue presenze elettorali in Sicilia e faceva esplicito riferimento ad episodi di chiara matrice mafiosa (segnatamente, il racconto, attinente alle vicende di Michele Sindona, che "un certo Inzerillo, morto in America, è giunto in una bara e con un biglietto da 10 dollari in bocca").

Deve dunque ritenersi che il gen. Dalla Chiesa, evidenziando nel proprio diario di essere stato "molto chiaro" a fronte dell’interesse indirettamente mostrato dal sen. Andreotti, abbia inteso riferirsi implicitamente a ciò che aveva espressamente enunziato all’imputato nel colloquio del 5 aprile 1982 e quindi sinteticamente esposto al proprio figlio, con la frase: "gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia". Quest’ultima espressione consente di intendere appieno il significato dello scritto ("sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori"), in quanto denota che il gen. Dalla Chiesa, benché fosse in presenza di un soggetto provvisto di altissima influenza politica e gli avesse comunicato le proprie conoscenze sugli aderenti alla sua corrente in Sicilia, gli aveva preannunziato – dimostrando una estrema dignità, un forte senso istituzionale ed un’alta consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo, e rifuggendo da ogni comodo atteggiamento di condiscendenza - che non avrebbe usato alcun riguardo per l’elettorato cui costoro attingevano.

La decisione del gen. Dalla Chiesa di profferire un simile discorso davanti al sen. Andreotti era determinata dalla convinzione che l’interlocutore non avesse una precisa consapevolezza delle collusioni mafiose degli esponenti della sua corrente, e ne avesse valutato erroneamente l’operato; e proprio questa convinzione fu espressa dal gen. Dalla Chiesa nel proprio diario.

Il gen. Dalla Chiesa, comunque, notò che il sen. Andreotti impallidiva ascoltando le sue parole, e di tale circostanza fece menzione nel colloquio con il proprio figlio, senza aggiungere alcun commento, in conformità alla misurata e riflessiva ponderazione che era solito adottare nella valutazione dei fatti.

Si trattava, evidentemente, di una circostanza sulla quale egli non aveva ancora potuto formarsi una precisa opinione, e che quindi non ritenne di riportare in un diario destinato a racchiudere non i suoi sospetti, ma i suoi più profondi sentimenti, la sua interpretazione degli eventi e le sue motivazioni di fondo.

Palesemente inverosimile è la ricostruzione dell’incontro offerta dal sen. Andreotti nella deposizione testimoniale da lui resa nell’ambito del c.d. maxiprocesso, all’udienza del 12 novembre 1986 (la cui trascrizione è stata acquisita al fascicolo del presente dibattimento in data 20 ottobre 1998).

Infatti il sen. Andreotti - oltre ad escludere di avere chiesto un incontro al gen. Dalla Chiesa ed a sostenere che era stato quest’ultimo a fargli di sua iniziativa una visita di cortesia - negò che nel corso della conversazione il gen. Dalla Chiesa gli avesse parlato di persone o gruppi del suo partito e gli avesse preannunziato la propria intenzione di non riservare un trattamento di riguardo a determinati soggetti, ed affermò di non avere menzionato l’episodio relativo all’Inzerillo.

In particolare, il sen. Andreotti rese le dichiarazioni di seguito riportate:

PRESIDENTE: Senta, ricorda, signor Ministro, se durante il colloquio lui fece cenno al suo comportamento, comportamento che si... che avrebbe tenuto e in particolare all'estrema decisione che avrebbe dimostrato a condurre... nel condurre la lotta contro la mafia, anche nei confronti eventualmente di esponenti di partito o comunque di tendenze partitiche?

ANDREOTTI GIULIO: Beh, ho letto poi nei giornali questa parte, ma devo dire che assolutamente no, non mi ha mai parlato di problemi particolari sotto questo aspetto, cioè di una posizione nei confronti o dell'uno o dell'altro partito o di uomini o gruppi all'interno del mio partito, d'altra parte avevamo lavorato molti anni assieme, Dalla Chiesa sapeva benissimo come io la pensavo.

PRESIDENTE: Insomma, lui dice... che, nel diario: sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza… gli ho dato la certezza di non avere... che non avrò riguardo per quella parte di elettorato, alla quale attingono i suoi grandi elettori. Evidentemente questa certezza è venuta fuori dal colloquio in maniera sfumata indiretta.

ANDREOTTI GIULIO: No, in nessuna maniera perchè..., fra l'altro non abbiamo per niente parlato di persone, di gruppi o di attività politiche, quindi sono...

PRESIDENTE: Io proprio questo volevo dirle... Il colloquio non sfiorò alcuni nomi o comunque personalità politiche siciliane?

ANDREOTTI GIULIO: No, Presidente, un'altra volta invece successivamente, mi ricordo perchè era dopo il matrimonio perchè venne a ringraziarmi perchè...

PRESIDENTE: Nel mese di luglio.

ANDREOTTI GIULIO: ... gli avevo mandato un piccolo regalo, così, mi venne a ringraziare, e in quella occasione mi ricordo - e anzi mi sorprese un po’ - che mi disse, qui... come un fatto un po’ eccezionale molto soddisfatto che era stato invitato al pranzo dal Presidente della Regione Mario D'Acquisto... e io ridendo dissi: ma è un fatto così straordinario? E allora anche lui, ma, scherzando, mi disse: ma quando io ero lì, non come Prefetto ma come Ufficiale dei Carabinieri erano tempi, in cui mi citò un circolo non mi ricordo come si chiama, un circolo di Palermo, in cui disse: per esempio lì un Ufficiale dei Carabinieri è difficile che fosse invitato, una frase di questo genere, mi disse, ma l'unica volta che mi ha parlato di persone politiche della Sicilia, ma fu successivamente e me ne parlò proprio in senso opposto, anzi dicendo che era stato molto lieto di incontrarsi con l'Onorevole Mario D'Acquisto.

PRESIDENTE: Il figlio del Prefetto Dalla Chiesa, professor Nando, nella sua deposizione sostiene che il padre gli avrebbe confidato che ad un certo punto del colloquio con lui, lei sarebbe impallidito? Questo è quanto dice il teste, e volevo semplicemente farglielo presente.

ANDREOTTI GIULIO: Questa è una fantasia, a parte che sono abbastanza pallido di natura, e quindi difficilmente potrei impallidire. Ma è veramente una cosa che non ha il minimo fondamento.

PRESIDENTE: Comunque, volevo farle altre domande, sempre sul brano che si trova sotto la data 6 aprile del diario del Prefetto Dalla Chiesa. Egli dice, dopo che... ha fatto quella precisazione, sono stato molto chiaro... già ha avuto occasione di leggerla e gli ho dato, però, la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato, alla quale attingono i suoi grandi elettori. Poi dice, sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno anche se mi ha voluto ricordare il suo lontano intervento per chiarire la posizione di Messeri a Partinico, lo ha condotto e lo conduce a errori di valutazione di uomini e circostanze. E poi soggiunge: "il solo fatto di raccontarmi che intorno al fatto Sindona, un certo Inzerillo morto in America è giunto in Italia in una bara e con un biglietto di 10 dollari in bocca, depone nel senso". E finisce: "prevale ancora il folclore e non se ne comprendono i messaggi". In realtà le espressioni sono piuttosto oscure, io volevo sollecitare il suo ricordo per chiarirci qualche cosa...

ANDREOTTI GIULIO: No, Presidente questa cosa, io... anche questa l'ho letta una volta in un giornale, questo... di questo...

PRESIDENTE: Sovrano...

ANDREOTTI GIULIO:... come si chiama, di questo... mafioso morto così, così. Io non ho assolutamente parlato.

PRESIDENTE: Lei non ne ha parlato?

ANDREOTTI GIULIO: No, l'ho letto nel giornale, successivamente... io non...

PRESIDENTE: Ma lui l'attribuisce...

ANDREOTTI GIULIO: ...non so nemmeno se sia veramente esistito un fatto... ho letto nel giornale, proprio in una di queste varie cronache successive, delle polemiche non so se prima o dopo il libro del figlio del Generale Dalla Chiesa.

PRESIDENTE: Ma certamente prima, penso, no?

ANDREOTTI GIULIO: Ma.

PRESIDENTE: Comunque, lui le attribuisce questa... addirittura questo particolare, che lei avrebbe fatto... gli avrebbe fatto presente, gli avrebbe ricordato che questo Inzerillo ucciso in America, non soltanto morto, che fu ucciso in America, fu fatto trovare in Italia in una bara con un biglietto da 10 dollari in bocca.

ANDREOTTI GIULIO: Ma questo è un'altra cosa... che assolutamente avrà fatto confusione con qualche altro.

PRESIDENTE: Ah!

ANDREOTTI GIULIO: Io certamente non posso avergli raccontato... questo perchè non lo sapevo questo fatto posto che sia vero l'ho letto dopo che sono venute fuori tutte queste polemiche.

PRESIDENTE: Ma addirittura, poi gliene fa derivare una visione folkloristica del fenomeno, "e non se ne comprendono i messaggi". E' possibile che magari in un altro colloquio di poco successivo lei avesse accennato... o comunque si fosse accennato da entrambi, insomma, perchè non è da escludere anche, a questo episodio, e che se ne volessero trarre le conclusioni, perchè evidentemente "i messaggi" riferito al fatto che l'INZERILLO ucciso in America viene mandato in Italia con 10 dollari in bocca, potrebbe... è una... è un fatto che va interpretato, quindi il messaggio e le conclusioni che se ne possono trarre.

ANDREOTTI GIULIO: Guardi, io non so assolutamente da che cosa possa essere nato questo, certo non da me, perchè è un fatto che io non sapevo per niente. Forse avrà riassunto conversazioni con più persone, io non so.

(…)

PRESIDENTE: Sì, ma comunque, scusi, a prescindere dal fatto dell'Inzerillo, può essere un fatto anche... potrebbe essere o un cattivo ricordo del Prefetto Dalla Chiesa o un suo... anche giustificato dal tempo, mancato ricordo...

ANDREOTTI GIULIO: Beh, no... ho una memoria piuttosto discreta, e poi un fatto di questo genere lo ricorderei perchè non è un fatto che capita spesso.

PRESIDENTE: No, dico ma a prescindere da questo che lei si potrebbe (…) giustificare in vario modo, si ricorda di avere parlato del fenomeno mafioso con il Prefetto Dalla Chiesa, di aver espresso una sua opinione sul modo di manifestarsi di questo fenomeno?

ANDREOTTI GIULIO: No, noi abbiamo parlato, ma non in quella volta, ne abbiamo parlato una volta proprio del … lei ha parlato prima del Senatore Messeri, perché quando…

PRESIDENTE: Ah, ecco anche del Senatore Messeri, sì…

ANDREOTTI GIULIO: …sì, perché quando c’era stata la sostituzione del Senatore Messeri che era Senatore di Partinico, quindi una zona piuttosto…

PRESIDENTE: Una zona calda.

ANDREOTTI GIULIO: …conosciuta come zona mafiosa, ricordo che c’era stata una discussione piuttosto difficile per la sostituzione del Senatore Messeri, alora, poi fu scelto il Senatore Pecoraio, di questo abbiamo una volta parlato così, ma non come fatto piuttosto di cronaca, certamente della mafia con il Generale Dalla Chiesa, ma non in quella occasione ma anche prima ne abbiamo parlato molte volte perché era un fenomeno più che preoccupante in modo particolare già allora cominciava ad aversi il sospetto e forse anche una cosa più del sospetto del collegamento mafia-droga e quindi su questo…certo e anzi era la ragione per cui io ritenevo che fosse bene avere…a ripristinare uno strumento più efficace anche meno legati a trutture ordinarie com’era quello precedente.

PRESIDENTE: Mi scusi, questo suo intervento era diretto a proporre la persona che avrebbe dovuto sostituire il Senatore Messeri?

ANDREOTTI GIULIO: No, no il fatto di Messeri era di molti anni prima…

PRESIDENTE: Sì, no dico, parlando ora di questo…

ANDREOTTI GIULIO: Sì, no noi parlammo di Partinico probabilmente che allora…

PRESIDENTE: Allora lei ricordò…

ANDREOTTI GIULIO: …ricordando in quella occasione che quando andò via Messeri era stato difficile trovare un candidato che fosse ritenuto al di fuori di chiacchere insomma…

PRESIDENTE: Comunque, di questo lei ricorda di aver parlato con Dalla Chiesa.

ANDREOTTI GIULIO: Di questo certamente ne parl… non mi ricordo però se è stato in quella occasione o no…

PRESIDENTE: In un’altra.

(…)

PRESIDENTE: E dei rapporti tra mafia e politica, cioè delle interessenze che ci portessero essere tra l’associazione criminale e uomini politici, e comunque l’asservimento anche di particolari istituti democratici a fini certamente non istituzionali che sono uno delle caratteristiche (…) del fenomeno mafioso, (…) dico di questo non ne avete mai parlato?

ANDREOTTI GIULIO: No, con il Generale Dalla Chiesa, no, anche perché questo è un problema sempre molto difficile, perché qualche volta è anche oggetto di polemiche di natura ibterna tra partito o qualche volta forse anche all’interno di uno stesso partito, tanto è vero che, per esempio, così uno dei primi assassinati politici della mafia a Palermo fu un nostro segretario provinciale che (…) era abbastanza vicino a me e ai miei amici, Michele Reina…

Questa versione dei fatti è stata ribadita dall’imputato nelle seguenti dichiarazioni spontanee rese all’udienza del 29 ottobre 1998: "non mi soffermo oltre lo stretto necessario sul diario del Generale, nel quale figurano passi assolutamente fantastici, almeno per quello che io posso valutare. Mi dispiace anzi che se ne sia parlato, perché questo colloquio serale con la moglie morta doveva restare inedito. Nei colloqui avuti con lui, sempre su sua richiesta, non solo non mi espresse giudizi negativi sui democristiani di Palermo né amici di corrente o altri ma mi manifestò la soddisfazione per un pranzo offertogli dal Presidente della Regione D’ACQUISTO. Ma non era normale questo scambio di cortesie? Gli dissi. Mi rispose che io non conoscevo l’ambiente palermitano, che verso un proveniente dai Carabinieri teneva in certo senso le distanze. Se il Generale mi avesse manifestato riserve o peggio su qualcuno, chiunque fosse, lo avrei incitato io a non avere riguardi per chicchessia".

Per cogliere la inattendibilità della ricostruzione del colloquio fornita dall’imputato è sufficiente rilevare che non si comprende per quale ragione il gen. Dalla Chiesa avrebbe dovuto inserire "passi assolutamente fantastici" in un diario che raccontava con dettagliata precisione e completa sincerità alcune vicende della sua vita, alle quali egli attribuiva particolare importanza.

A ciò si aggiunga che il contenuto del diario è perfettamente coerente con le affermazioni compiute dal gen. Dalla Chiesa sia nel successivo colloquio con il proprio figlio Fernando, sia nei suoi contatti con altri rappresentanti delle Istituzioni.

Oltre a quanto si è già esposto in merito all’incontro con il Ministro Rognoni, deve altresì osservarsi che il gen. Dalla Chiesa, all’atto della sua investitura a Prefetto di Palermo, ebbe un colloquio con il Presidente del Consiglio dei Ministri sen. Giovanni Spadolini; in questa occasione, fece riferimento al tema delle complicità con la mafia, espresse la sua preoccupazione per "le infiltrazioni locali di ordine politico", e ricevette dal suo interlocutore la più ampia assicurazione che le "famiglie legate alla mafia nel mondo politico" sarebbero state sconfessate dal Governo e non gli avrebbero potuto creare difficoltà.

In data 2 aprile 1982 il gen. Dalla Chiesa scrisse al sen. Spadolini la seguente lettera (acquisita al fascicolo per il dibattimento in data 20 ottobre 1998):

Roma 2/4/1982

Gentilissimo professore,

faccio seguito ad un nostro recente colloquio e se pur mi spiaccia sottrarLe tempo, mi corre l'obbligo - a titolo di collaborazione e prima che il tutto venga travolto dai fatti - di sottolineare alla Sua cortese attenzione che:

  • la eventuale nomina a Prefetto, benché la designazione non possa che onorare, non potrebbe restare da sola a convincermi di lasciare l'attuale carica;
  • la eventuale nomina a Prefetto di Palermo, non può e non deve avere come "implicita" la lotta alla mafia, giacché:

  • si darebbe la sensazione di non sapere che cosa sia (e cosa si intenda) l'espressione "mafia";
  • si darebbe la certezza che non è nelle più serie intenzioni la dichiarata volontà di contenere e combattere il fenomeno in tutte le sue molteplici manifestazioni ("delinquenza organizzata" è troppo poco!);
  • si dimostrerebbe che i "messaggi" già fatti pervenire a qualche organo di stampa da parte della "famiglia politica" più inquinata del luogo hanno fatto presa là dove si voleva.

Lungi dal voler stimolare leggi o poteri "eccezionali", è necessario ed onesto che chi si è dedicato alla lotta di un "fenomeno" di tali dimensioni, non solo abbia il conforto di una stampa non sempre autorizzata o credibile e talvolta estremamente sensibile a mutamenti di rotta, ma goda di un appoggio e di un ossigeno "dichiarato" e "codificato":

  • "dichiarato" perché la sua immagine in terra di "prestigio" si presenti con uno "smalto" idoneo a competere con detto "prestigio";
  • "codificato" giacché, nel tempo, l'esperienza (una macerata esperienza) vuole che ogni promessa si dimentichi, che ogni garanzia ("si farà", "si provvederà", ecc.) si logori e tutto venga soffocato e compresso non appena si andranno a toccare determinati interessi.

Poiché è certo che la volontà dell'on. Presidente non è condizionata da valutazioni men che trasparenti, ma è altrettanto certo che personalmente sono destinato a subire operazioni di sottile o brutale resistenza locale quando non di rigetto da parte dei famosi "palazzi" e poichè, da persona responsabile, non intendo in alcun modo deludere le aspettative del Sig. Ministro dell'Interno e dello stesso Governo presieduto da un esponente che ammiro e che voglio servire fino in fondo, vorrei pregarLa di spendere - in questa importantissima fase non solo della mia vita di "fedele allo Stato" - il contributo più qualificato e convinto, perché l'iniziativa non abbia a togliere a questa nuova prestazione né la componente di un'adesione serena, né il crisma del sano entusiasmo di sempre: quello più responsabile.

Con ogni e più viva considerazione.

Suo Gen. Dalla Chiesa

Il sen. Spadolini, escusso quale teste nel c.d. maxiprocesso all’udienza dell'11 novembre 1986 (il cui verbale è stato acquisito al fascicolo per il dibattimento), rese le seguenti dichiarazioni:

"Rispondo subito che l'argomento delle corresponsabilità o complicità con la mafia fu toccato esplicitamente dal Generale Dalla Chiesa nel colloquio con me a Palazzo Chigi nel momento dell'investitura, ed io dissi al Generale Dalla Chiesa che egli operasse in tutte le direzioni senza nessun riguardo presso nessuno.

Quindi le disposizioni che il Presidente del Consiglio dette furono di assoluta fermezza in qualunque direzione senza eccezioni. (…) i sospetti che Dalla Chiesa aveva in materia di famiglie politiche erano diversi complessi come tali lui li formulò (…). E io ho detto in libertà assoluta di colpire in tutte le direzioni (…) Dalla Chiesa conosceva la mafia, c'era già stato, sapeva tutte le difficoltà tra (rectius della: n.d.e.) lotta in loco e voleva una garanzia politica rispetto agli altri palazzi ed è chiaro che se la chiedeva a Palazzo Chigi, sapeva bene che a Palazzo Chigi poteva chiederla e che si trattava di altri Palazzi. (…) questo che solleva il Generale Dalla Chiesa in questa lettera era un’azione di stampa (…) fatta verso la fine di marzo, (…) di sabotaggio della nomina in qualunque forma (…). Ed egli sollevava a me, quando era ancora incerto il giorno 2 se accettare, la questione di una copertura (…) politica. (…) Egli voleva un mandato politico del Governo e del Presidente del Consiglio per combattere la mafia contro ogni eventuale complicità locale, e questa io l’ho data nel colloquio che seguì a questa lettera e in cui gli dissi lei non guardi in faccia a nessuno e se ha problemi politici, cioè resistenze di partiti, si rivolga a me (…). Poi, c’era il problema (…) di poteri. Ma, i poteri che egli chiedeva, rispetto alle prefetture degli altri paesi d’Italia etc., non erano strettamente legati a questa faccenda, erano legati al fatto che egli voleva dare a questa Prefettura di Palermo quel carattere eccezionale dei reparti anti-terrorismo, in cui si inseriva la lotta contro tutte le forme di complicità, e quindi anche contro questa certamente. Ma non è che lui abbia chiesto i poteri speciali per combattere le complicità delle famiglie; (…) voleva dei poteri speciali per svolgere la sua funzione (…) in questo senso, nazionale (…). Cioè, sapendo che la mafia ha sviluppi a Milano, etc., voleva che le prefetture potessero dargli tutti gli strumenti. Poi, si voleva garantire con me, politicamente, col Ministro dell'Interno, e la garanzia l'ha avuta assoluta, perchè non c'è stato che … resistenze, vecchie famiglie legate alla mafia nel mondo politico dei vari partiti, potessero creare a lui difficoltà come l'avevan già creato sulla nomina. (…) si tratta di (…) non confondere in modo meccanico le due cose, perché (…) allora i poteri sarebbero stati presi soltanto per combattere delle infiltrazioni locali di ordine politico, delle quali egli era molto preoccupato, questo è certo, e sulle quali io credetti di rassicurarlo dicendogli che il Governo sconfessava ogni famiglia politica, quale che fosse. (…) dell’argomento delle possibili complicità di forze politiche con la mafia, il gen. Dalla Chiesa mi parlò nell’incontro di investitura e (…) non mi fece nomi specifici di una famiglia, o di un’altra, mi parlò di preoccupazioni che aveva, (…). Certamente aveva, penso, dei sospetti maggiori su punti o su altri, ma egli mi parlò di vari partiti, anzi di una specie di poli-partito della mafia, non mi parlò mai di un partito politico in modo specifico ed esclusivo".

Dall’esame degli elementi di convincimento acquisiti si desume che, parlando nella sua lettera della "famiglia politica" più inquinata del luogo (la quale aveva già fatto pervenire "messaggi" a qualche organo di stampa), il gen. Dalla Chiesa intendeva riferirsi alla corrente andreottiana in Sicilia.

Al riguardo, occorre in primo luogo tenere presente che il gen. Dalla Chiesa aveva interpretato come un avvertimento ed una minaccia l’intervista rilasciata in data 30 marzo 1982 dal sindaco di Palermo avv. Nello Martellucci (appartenente alla corrente andreottiana), il quale aveva rilevato che lo Stato si impegnava nella lotta alla criminalità organizzata ed, al riguardo, aveva fatto riferimento ai "cadaveri eccellenti".

Il prof. Fernando Dalla Chiesa, escusso quale teste nel c.d. maxiprocesso, all’udienza del 23 luglio 1986 (il cui verbale è stato acquisito al fascicolo del presente dibattimento) rese le seguenti dichiarazioni con riferimento all’intervista rilasciata dal sindaco Martellucci:

"Dunque, avvenne nel mese di aprile.

Ci incontrammo a Roma e mio padre mi disse che… mi fece vedere il testo dell'intervista che era datata 30 marzo e mi disse: vedi, questo è un avvertimento.

La frase, come ricorderà, si riferiva al fatto che lo Stato fa il suo dovere in Sicilia e che questo è comprovato dal numero di cadaveri eccellenti che si erano susseguiti negli anni fino all'82.

Una traccia oggettiva di questo convincimento di mio padre credo che si possa ritrovare nella… si ritrova nella lettera al Presidente del Consiglio che è del 2 aprile, che è di due giorni da quell'intervista, in cui mio padre fa esplicitamente riferimento ai messaggi che sono già stati fatti pervenire sulla stampa dalla famiglia politica più inquinata del luogo.

(…)

Nel mese di agosto mio padre, nei primi giorni del nostro soggiorno a Prata, mi ricordò un episodio che lo aveva visto contrapposto al Sindaco Martellucci e a cui lui aveva attribuito un grande interesse. Si trattava formalmente di una questione diplomatica, cioè di chi dovesse essere il primo fra il Prefetto o il Sindaco ad andare a trovare l'altra autorità. Mio padre riteneva che secondo il protocollo dovesse essere il Sindaco ad accogliere, ad andare ad incontrare il nuovo Prefetto, mi disse anche che avrebbe, per questioni di convenienza ed anche per questioni di apertura verso la città, potuto scegliere lui di andare a trovare il Sindaco e che però, essendoci quel precedente, cioè quel messaggio che gli era stato inviato secondo lui attraverso la stampa, il venir meno ad un protocollo avrebbe potuto significare recepire quel messaggio e attraverso un atto, un comportamento, dare testimonianza che lo si era recepito passivamente, cioè che come prefetto non sarebbe andato incontro… non sarebbe andato contro le aspettative dell'altra autorità, cioè del Sindaco.

Mi disse anche che aveva avuto pressioni per essere lui a compiere questa mossa dai suoi superiori, di avere resistito proprio ponendo questo ragionamento, cioè che c'era il precedente del messaggio inviato attraverso la stampa… che aveva fatto pervenire al sindaco indirettamente altre proposte come quella di incontrare lui con due Assessori, in rappresentanza cioè della municipalità e non in quanto Sindaco o Avvocato Martellucci, che per le pressioni ricevute dovette adeguarsi a compiere lui questo gesto. Il commento che mi fece, raccontandomi questo episodio a Prata, fu testualmente: "in questo paese una tessera di partito conta più dello stato" ".

Del tutto analogo è il tenore delle dichiarazioni rese, sull’argomento, da un’altra figlia del gen. Dalla Chiesa, Maria Simona, nell’esame testimoniale cui essa venne sottoposta in data 9 marzo 1983 dal Giudice Istruttore dott. Falcone nell’ambito del c.d. maxiprocesso:

"Desidero aggiungere che, per ben due volte, mio padre, che in un primo tempo aveva cercato di incontrarsi col Consiglio Comunale, aveva ricevuto un netto rifiuto dal Sindaco Martellucci, il quale aveva risposto che egli rappresentava da solo la municipalità; pertanto, aveva cercato di ripiegare su una soluzione di compromesso, richiedendo di incontrarsi con la Giunta Comunale. Anche tale sua offerta fu rifiutata e fu sollecitato dal Ministero degli Interni ad incontrarsi col Sindaco esclusivamente. Ciò mi è sembrato molto grave, poichè in precedenza Martellucci aveva rilasciato alla stampa un'intervista in cui aveva detto, in sostanza, che lo Stato in Sicilia aveva adempiuto al suo dovere come era dimostrato dai numerosi cadaveri eccellenti; mio padre aveva interpretato tale intervista come una larvata minaccia nei suoi confronti e, quando gli fu imposto, nonostante che ne avesse informato gli organi ministeriali, di incontrarsi con Martellucci da solo, egli commentò il fatto dicendo che "la tessera di partito contava più dello Stato"".

Il gen. Dalla Chiesa, in data 16 maggio 1982, comunicò direttamente al sindaco di Palermo il proprio rincrescimento per il contenuto dell’intervista da lui rilasciata. Infatti l’avv. Martellucci, nella deposizione testimoniale resa il 30 luglio 1986 davanti alla Corte di Assise di Palermo nell’ambito del c.d. maxiprocesso, riferì quanto segue: "quando il Gen. Dalla Chiesa ebbe a venire a Palermo, esattamente il 16 di maggio del 1982, trovandoci assieme allo stadio Onorato, in occasione del giuramento delle reclute, egli ebbe a dirmi: "però, sa, Sindaco, lei avrebbe scritto qualche cosa che mi è dispiaciuto" - e aggiunse anche: "lei e l'onorevole Nicoletti avete scritto qualche cosa che mi è dispiaciuto"". Nella stessa deposizione il Martellucci, peraltro, escluse di avere voluto lanciare un messaggio con la suddetta intervista e specificò di appartenere alla corrente andreottiana.

Quale che fosse l’intento che animava il sindaco Martellucci nel rilasciare l’intervista, non vi è dubbio che quest’ultima fu percepita dal gen. Dalla Chiesa come un minaccioso avvertimento. Deve pertanto ritenersi che ad essa si riferisse il gen. Dalla Chiesa nel menzionare, nella lettera inviata due giorni dopo al sen. Spadolini, i "messaggi" fatti pervenire a qualche organo di stampa dalla "famiglia politica" più inquinata del luogo.

Nella stessa lettera, il gen. Dalla Chiesa aggiunse di essere destinato a subire operazioni di sottile o brutale resistenza locale quando non di rigetto da parte dei famosi "palazzi". Con quest’ultima espressione, egli intendeva indicare i rappresentanti delle istituzioni locali che avrebbero frapposto ostacoli alla sua azione.

In proposito, deve rilevarsi che in quel periodo le più alte cariche del Comune di Palermo e della Regione Siciliana erano ricoperte da due esponenti della corrente andreottiana: rispettivamente, il sindaco Martellucci ed il Presidente della Regione D’Acquisto.

Va inoltre osservato che, nella seconda metà del mese di agosto 1982, il gen. Dalla Chiesa, parlando con il figlio Fernando, gli indicò la corrente andreottiana come quella che esercitava una maggiore pressione tra i gruppi politici che lo osteggiavano, spiegò le ragioni di tale opposizione con la frase: "ci sono dentro fino al collo", ed aggiunse che il sen. Andreotti "faceva il doppio gioco".

Le dichiarazioni rese, sull’argomento, dal teste on. Fernando Dalla Chiesa all’udienza del 14 gennaio 1998 sono di seguito riportate:

DALLA CHIESA FERNANDO:

(…) E poi in agosto invece, quando gli chiesi ragione, stavamo facendo le vacanze insieme, delle opposizioni, delle ostilità che aveva nel mondo politico, tra i gruppi che lo stavano osteggiando mi indicò la corrente andreottiana come quella che premeva di più, mi disse "ci sono dentro fino al collo". In questo caso fece riferimento alla corrente, non personalmente al senatore ANDREOTTI.

PUBBLICO MINISTERO:

Siamo agosto 1982?

DALLA CHIESA FERNANDO:

Meta' agosto, oltre metà agosto dell'82.

PUBBLICO MINISTERO:

L'intervista a Bocca c'era stata?

DALLA CHIESA FERNANDO:

C'era già stata, si.

PUBBLICO MINISTERO:

Suo padre le parlò mai di un doppio gioco?

DALLA CHIESA FERNANDO:

Si, ma in modo molto fuggevole nell'ambito della stessa discussione di agosto, cioè fa il doppio gioco e basta.

PUBBLICO MINISTERO:

Chi faceva il doppio gioco?

DALLA CHIESA FERNANDO:

Il senatore ANDREOTTI. (…) Però il... si fermò lì non diede alcun giudizio, non andò oltre, ecco.

Esaminato come testimone in data 9 marzo 1983 dal giudice istruttore dott. Falcone, Fernando Dalla Chiesa aveva dichiarato: "mio padre (…) mi espresse il suo convincimento che gli esponenti locali della D.C. facessero pressioni affinchè non gli venissero concessi quei poteri indispensabili per la lotta alla mafia. Mi disse, in particolare, che fieri oppositori alla concessione di tali poteri erano gli andreottiani, i fanfaniani e parte della sinistra D.C.. Soggiunse che tale opposizione era dovuta al fatto che "vi erano dentro fino al collo", ma non ricordo se si riferisse a tutte le predette correnti della D.C. o solo ad alcune di esse. Fra gli esponenti politici che, ad avviso di mio padre, erano maggiormente compromessi con la mafia, egli mi fece il nome di Vito Ciancimino e di Salvo Lima; del resto, tale suo convincimento egli lo aveva già espresso alla Commissione Antimafia. Mi disse che, della sinistra D.C., il più freddo nei suoi confronti era il Ministro Marcora".

Nella deposizione resa all’udienza dibattimentale del 23 luglio 1986 nel c.d. maxiprocesso, lo stesso teste riferì nei seguenti termini il contenuto del colloquio da lui avuto, intorno al 22-24 agosto 1982, con il padre: "mi disse che l'osteggiavano soprattutto nella D.C. i fanfaniani e gli andreottiani e una parte della sinistra. Quando gli chiesi perché, e nel verbale è messo "perché ci sono dentro fino al collo" e non ricordo a quale dei tre gruppi egli attribuisse questa frase, ecco vorrei precisare che "ci sono dentro fino al collo" questa frase si riferisce alla corrente andreottiana che mio padre mi parlò invece con riferimento ai fanfaniani, dei loro rapporti pregressi con Gioia e con riferimento alla sinistra mi fece come esempio di contrarietà che aveva incontrato e come ricordo nel verbale, il nome dell'allora Ministro Marcora".

Fernando Dalla Chiesa aggiunse: "Faccio riferimento alla frase su cui ho reso prima testimonianza, quando mio padre mi dice: gli andreottiani ci sono dentro fino al collo"; fino al collo in che cosa se non nella mafia? (…) Comunque mio padre mi indica tre gruppi, (…) fanfaniani, andreottiani e una parte della sinistra".

Le precisazioni fornite dal predetto teste in sede dibattimentale dimostrano, quindi, che il gen. Dalla Chiesa era convinto che la corrente andreottiana in Sicilia fosse profondamente compromessa con la mafia.

Poiché – come si è visto - la corrente andreottiana siciliana esercitava una forte influenza anche su altri partiti politici, è perfettamente comprensibile che il gen. Dalla Chiesa, nel suo colloquio con il sen. Spadolini, abbia fatto riferimento ad "una specie di poli-partito della mafia", proprio per indicare la complessità e la gravità del fenomeno.

Le preoccupazioni del gen. Dalla Chiesa erano, comunque, rivolte essenzialmente alle collusioni esistenti in alcuni settori della Democrazia Cristiana. Egli, infatti, lo stesso giorno in cui assunse l’incarico di Prefetto di Palermo, annotò nel proprio diario (alla pagina relativa al 30 aprile) che in questa città la Democrazia Cristiana viveva "con l'espressione peggiore del suo attivismo mafioso, oltre che di potere politico", affermando quanto segue:

Purtroppo, tesoro mio, come spesso è accaduto, ogni cosa è saltata, le circostanze mi hanno travolto ed il tuo Carlo, dalla pioggerellina che cadeva su Pastrengo è stato catapultato d'improvviso dapprima a Roma presso il Presidente del Consiglio e quindi a Palermo per assumervi nello stesso pomeriggio l'incarico di Prefetto. Ti rendi conto, Dora mia, cosa è accaduto in me! Dentro di me e quali reazioni ne sono scaturite in un'atmosfera surriscaldata da un evento gravissimo: l'uccisione, in piena Palermo, del Segretario Regionale del P.C.I., Pio La Torre? L'Italia è stata scossa dall'episodio specie alla vigilia del Congresso di una D.C. che su Palermo vive con l'espressione peggiore del suo attivismo mafioso, oltre che di potere politico. Ed io, che sono certamente il depositario più informato di tutte le vicende di un passato non lontano, mi trovo ad essere richiesto di un compito davvero improbo e, perchè no, anche pericoloso. Promesse, garanzie, sostegni, sono tutte cose che lasciano e lasceranno il tempo che trovano. La verità è che in poche ore (5 - 6) sono stato catapultato da una cerimonia a me cara, che avrebbe dovuto costituire un sigillo alla mia lunga carriera nell'Arma, ad un ambiente infido, ricco di un mistero e di una lotta che possono anche esaltarmi, ma senza nessuno intorno, e senza l'aiuto di una persona amica, senza il conforto di avere alle spalle una famiglia come era già stato all'epoca della lotta al terrorismo, quando con me era tutta l'Arma. Mi sono trovato d'un tratto in ... casa d'altri ed in un ambiente che da un lato attende dal tuo Carlo i miracoli e dall'altro che va maledicendo la mia destinazione ed il mio arrivo. Mi sono trovato cioè al centro di una pubblica opinione che ad ampio raggio mi ha dato l'ossigeno della sua stima e di uno Stato che affida la tranquillità della sua esistenza non già alla volontà di combattere e debellare la mafia ed una politica mafiosa, ma all'uso ed allo sfruttamento del mio nome per tacitare l'irritazione dei partiti; che poi la mia opera possa divenire utile, tutto è lasciato al mio entusiasmo di sempre, pronti a buttarmi al vento non appena determinati interessi saranno o dovranno essere toccati o compressi, pronti a lasciarmi solo nelle responsabilità che indubbiamente deriveranno ed anche nei pericoli fisici che dovrò affrontare.

Sì, tesoro mio, questa volta è una valutazione realistica e non derivante da timori assurdi.

Ricordi quando ci raggiunse in Prata la notizia dell'uccisione del T. Col. Russo! (...) Oggi non sono certo colto nè da panico, nè da terrore, come già si sono fatti cogliere Tateo e Panero sui quali davvero contavo e non solo ai fini di "spalle coperte". Ma sono perfettamente consapevole che sarebbe suicidio il mio qualora non affrontassi il nuovo compito non tanto con scorta e staffetta ma con l'intelligenza del caso e con un po' di… fantasia. Così come sono tuttavia certo che la mia Doretta mi proteggerà, affinchè possa fare ancora un po’ di bene per questa collettività davvero e da troppi tradita.

Le suesposte riflessioni del gen. Dalla Chiesa in ordine alla situazione locale della Democrazia Cristiana vanno, evidentemente, interpretate tenendo conto del ruolo dominante assunto dalla corrente andreottiana all’interno di tale partito a Palermo.

Alla luce del quadro probatorio sopra riassunto, può dunque affermarsi con certezza che il gen. Dalla Chiesa individuava nella corrente andreottiana il gruppo politico che, in Sicilia, presentava le più gravi collusioni con la mafia. Egli, dopo avere inizialmente creduto alla buona fede del sen. Andreotti, ritenendolo responsabile di semplici errori di valutazione ed offrendogli quindi con piena lealtà istituzionale il proprio contributo conoscitivo in merito agli aderenti alla sua corrente in Sicilia, giunse, nel corso della sua permanenza nella carica di Prefetto di Palermo, ad ipotizzare che il medesimo esponente politico facesse "il doppio gioco".

Questa asserzione, tuttavia, per come è stata riportata dal figlio Fernando, non risulta accompagnata dalla esplicitazione dei motivi che avevano indotto il gen. Dalla Chiesa a formulare il suesposto giudizio.