SEZIONE III - I rapporti tra il sen. Andreotti e Vito Ciancimino

 

 

Il sen. Andreotti incontrò a Roma tre volte (rispettivamente intorno al 1976, il 20 settembre 1978 e nel 1983) Vito Ciancimino, esponente della Democrazia Cristiana di Palermo il quale aveva instaurato da lungo tempo un rapporto di stabile collaborazione con lo schieramento "corleonese" di "Cosa Nostra".

Il Ciancimino, componente del Consiglio Comunale di Palermo dal 1956 al 1975, ricoprì le cariche di assessore alle Aziende Municipalizzate dal 18 giugno 1956 al 1957, di Assessore alle Aziende Municipalizzate, alle Borgate ed al Lavoro dal 1957 al 4 aprile 1961, di Assessore ai Lavori Pubblici dal 5 aprile 1961 al 30 giugno 1964, di Sindaco dal 25 novembre 1970 al 27 aprile 1971 (v. il documento n. 174).

La partecipazione del Ciancimino all’associazione mafiosa "Cosa Nostra" è stata accertata con la sentenza emessa il 17 gennaio 1992 dal Tribunale di Palermo, della quale si riportano di seguito alcuni passaggi al fine di illustrare i legami del medesimo soggetto con i "corleonesi", il rilevante ruolo da lui assunto nell’ambito della vita politica palermitana, gli illeciti interventi da lui realizzati in favore di individui facenti parte del sodalizio, i suoi rapporti con Francesco Caltagirone, il clima di diffusa intimidazione e generale compiacenza che aveva circondato il suo agire politico e la gestione del suo patrimonio:

Anche Vito CIANCIMINO, già assessore al Comune di Palermo e Sindaco della città, veniva accusato dal BUSCETTA.

Quest'ultimo, infatti, nell'interrogatorio reso al Giudice Istruttore il 25 luglio 1984, dichiarava che il CIANCIMINO era "nelle mani di Totò RIINA", braccio destro di Luciano LEGGIO, latitante da oltre vent'anni.

Durante le indagini disposte a seguito di tali rivelazioni venivano effettuate perquisizioni nell'abitazione e nelle pertinenze del CIANCIMINO che, contestualmente, veniva indiziato dei delitti di cui agli artt. 416 e 416 bis C.P. (…)

Pervenivano, nel frattempo, dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia i resoconti delle audizioni di Elda PUCCI, Giuseppe INSALACO e Nello MARTELLUCCI che si erano succeduti nella carica di Sindaco di Palermo.

Sentiti dalla Commissione, i predetti avevano, infatti, riferito, più o meno apertamente, che il peso politico esercitato dal CIANCIMINO nelle vicende del Comune era enorme, tanto che nessun Sindaco poteva rimanere in carica senza il suo consenso, e che uno degli elementi inquinanti della vita del Comune era la questione relativa al rinnovo dei due grandi appalti concernenti la illuminazione e la manutenzione delle strade cittadine stipulati dal Comune, rispettivamente, con le società I.C.E.M. e L.E.S.C.A., nell'interesse delle quali, secondo la PUCCI e l'INSALACO, il CIANCIMINO aveva più volte fatto delle pressioni sia pure per interposta persona.

(…)

Il 25 luglio 1984 Tommaso BUSCETTA interrogato dal Giudice Istruttore, dott. G. FALCONE riferiva testualmente:

"Quando sono andato a trovare a Roma Pippo CALO', dopo di essermi allontanato da Torino, quest'ultimo, al quale esternai la mia volontà di abbandonare tutto e di tornare in Brasile, insistette moltissimo perché io rimanessi facendomi presente che c'era la possibilità di guadagnare moltissimo a Palermo essendo in corso l'operazione di risanamento dei quattro quartieri o meglio mandamenti; operazione, questa, gestita da Vito CIANCIMINO, corleonese, che era, secondo le testuali parole di CALO' "nelle mani di Totò RIINA"".

Successivamente il 10.11.1984 sempre al Giudice Istruttore dichiarava:

"… come ho appreso da Stefano BONTATE, il MARTELLUCCI mercè la intermediazione dei SALVO, aveva accettato che CIANCIMINO gestisse il risanamento dei mandamenti di Palermo.

Quando, dunque, venne fatto esplodere un ordigno nella villa del MARTELLUCCI il BONTATE era particolarmente adirato perché non si capiva cosa volessero ancora CIANCIMINO e i corleonesi…".

Interrogato dalla Corte di Assise di Palermo nel corso del procedimento contro ABBATE Giovanni ed altri (c.d. Maxi-uno) il BUSCETTA precisava, all'udienza del 3.4.1986, (…) quanto segue:

"Nell'Ottanta mi fu riferito, testualmente da Pippo CALO' che io rimanessi in Italia, a Roma… dicevo, ma io non so cosa fare in Italia, io desidero allontanarmi, ma tu puoi rimanere qua, ci sono delle possibilità, una di queste potrebbe essere i quattro quartieri di Palermo.

I quattro quartieri sono gestiti dal signor CIANCIMINO, ex sindaco di Palermo, il quale può dare delle possibilità".

A domanda del Presidente sui legami che il CIANCIMINO avrebbe avuto ("questo CIANCIMINO avrebbe avuto legami…?) il BUSCETTA rispondeva: "Con i corleonesi"… "CIANCIMINO in mano ai corleonesi".

E invitato a spiegare l'espressione aggiungeva: "Ho voluto dire che era in mano a Totuccio RIINA".

Invitato nuovamente a chiarire cosa significasse "essere in mano", BUSCETTA così si spiegava:

"Quando una persona come me o come CALO' o come un altro che fa parte della mafia dice" "E' ne mani di chi" significa: "è in totale possesso della persona, che farà quello che quell'altra persona mafiosa indicherà di fare". Questo è nel gergo mafioso. Se poi tradotto in italiano perde il suo valore, io non so fare diversamente". (…)

All'udienza del 5 aprile 1986 (…) gli veniva chiesto di specificare in che cosa fosse costituito l'intervento dei SALVO e il BUSCETTA rispondeva:

"La pressione dei corleonesi sui SALVO, essendo uomini d'onore, per convincere MARTELLUCCI a cedere a quello che desiderava CIANCIMINO".

(…)

Il BUSCETTA ha poi ricevuto da BONTATE Stefano analoghe confidenze sui rapporti del CIANCIMINO con Totò RIINA e i corleonesi in genere, nonchè sulla gestione del risanamento.

E' opportuno riportare testualmente tali confidenze:

"Quando nell'estate del 1980 MARTELLUCCI dovette subire un attentato dinamitardo nella sua villa, Stefano BONTATE, commentando con me l'accaduto a casa sua, disse testualmente: "Questo gran cornuto di Totò RIINA se la prende con MARTELLUCCI sol perché non è amico di Vito CIANCIMINO"". (…)

Del resto le connotazioni stesse dell'episodio riferito al BUSCETTA, la sua occasionalità, le espressioni attribuite al BONTATE,perfettamente in sintonia con una reazione emotiva di ira, sono elementi positivi dai quali può trarsi il convincimento che il BONTATE si espresse in quei termini perché era convinto, conoscendo i legami tra Totò RIINA e Vito CIANCIMINO, che l'attentato al MARTELLUCCI fosse opera dei corleonesi e trovasse la sua causa nell'atteggiamento poco disponibile che il MARTELLUCCI manteneva nei confronti del CIANCIMINO.

Ma ciò che qui interessa non è se i fatti si siano svolti come il BONTATE li ha ricostruiti, ma che un individuo dello spessore mafioso di BONTATE Stefano, per anni ai vertici di "Cosa Nostra", non poteva non conoscere gli equilibri di potere, i legami e gli schieramenti degli altri affiliati.

Dunque se egli ritenne che il RIINA avesse organizzato un fatto così grave come l'attentato al MARTELLUCCI per piegare la resistenza incontrata dal CIANCIMINO nella sua attività politico-affaristica, ciò significa che era assolutamente certo che i due (RIINA e CIANCIMINO), avessero interessi comuni.

Le affermazioni del BUSCETTA, sottoposte ad una rigorosa valutazione (d'obbligo, nel caso di specie, costituendo esse una chiamata di correo "de audito"), sono risultate, pertanto, pienamente attendibili.

(…)

Nel corso di numerosi interrogatori resi dopo essersi dissociato dall'organizzazione, il MARINO MANNOIA riferiva, tra l'altro, al Giudice Istruttore:

"Stefano BONTATE invece aveva molta stima nei confronti del Sindaco MARTELLUCCI, ma ignoro quali rapporti vi fossero fra i due se non che il BONTATE diceva del MARTELLUCCI che questi era una persona seria.

Stefano BONTATE, invece, non nutriva nessuna stima nei confronti di Vito CIANCIMINO del quale diceva che era legatissimo a Totò RIINA e a Pippo CALO' e che contava di fare affari molto lucrosi con il risanamento di quella parte del centro storico di Palermo comunemente intesa come zona di Piazza Magione". (v. interrogatorio del 17 ottobre 1989 prodotto dal P.M. all'udienza del 6.5.1991).

(…) il collaborante pur confermando sostanzialmente il contenuto delle dichiarazioni rese in istruttoria ("Ho appreso della vicinanza del sig. CIANCIMINO a Salvatore RIINA e al Pippo CALO', nient'altro di particolare…") ha mantenuto all'udienza del 6.12.1991 un atteggiamento volto ad evitare qualsiasi approfondimento dell'argomento precisando anche che oltre a quanto aveva appreso dal BONTATE durante una "chiacchierata" con diversi uomini della "famiglia", egli non sapeva "niente di più preciso e niente di particolare" (v. interrogatorio dell'Udienza del 6.12.1991).

Ora tale atteggiamento, da cui immotivatamente la difesa del CIANCIMINO fa discendere la inconsistenza probatoria delle rivelazioni, trova invece diverse spiegazioni che non hanno nulla a che vedere con l'attendibilità o meno del collaborante.

(…) il suo disagio trova spiegazione soprattutto nel fatto, notorio, che tutti i collaboranti (incluso il MARINO MANNOIA) hanno esplicitamente dichiarato di essere restii a rivelare i legami tra "Cosa Nostra" e il mondo politico, affermando di essere poco convinti della reale volontà dello Stato di fare luce sui collegamenti tra mafia e politica. (…)

Tanto premesso va ora presa in esame la questione della coincidenza delle sue dichiarazioni con quelle del BUSCETTA, coincidenza a cui la difesa ha ricollegato il sospetto che egli abbia ripetuto pedissequamente quanto aveva appreso durante il dibattimento svoltosi dinanzi alla Corte di Assise di Palermo.

Il Collegio a questo proposito rileva che effettivamente le sue dichiarazioni sono perfettamente analoghe a quelle del BUSCETTA, ma che tale analogia non solo non ne infirma l'attendibilità, ma anzi aumenta la credibilità delle accuse poichè, rispetto alle rivelazioni del BUSCETTA, il MARINO MANNOIA ha riferito un particolare ulteriore e cioè che il CIANCIMINO contava di fare affari molto lucrosi col risanamento "di quella parte del centro storico inteso come piazza Magione" (v. int. del 17.10.1989 allegato agli altri del dibattimento). (…)

La circostanza che il collaborante abbia aggiunto, rispetto a quanto dichiarato dal BUSCETTA, tale ulteriore particolare che ha ricevuto riscontro negli atti del processo porta, quindi, a ritenere che egli non ha riportato quanto aveva udito dire al BUSCETTA nel dibattimento di primo grado del processo a suo carico, ma che ha appreso da altra fonte tale notizia; fonte che lui stesso ha indicato nel suo capo Stefano BONTATE.

E che tale fonte sia pienamente attendibile lo si ricava dalle seguenti circostanze: il dichiarante non era solo un "uomo d'onore" della "famiglia" di S. Maria di Gesù, bensì uno dei "fedelissimi" alle dirette dipendenze del BONTATE; ha raffinato ingenti quantitativi di droga nell'interesse del suo capo, in compagnia del quale era solito trascorrere moltissimo tempo, e dal quale riceveva i sui "sfoghi" come lui stesso ha detto. Tali circostanze, allora, inducono ad escludere che il BONTATE, allorchè riferì al MARINO MANNOIA dei rapporti del CIANCIMINO con Salvatore RIINA e Pippo CALO' possa avergli mentito, e ad affermare, per converso, che egli abbia confidato al MARINO MANNOIA proprio quanto era a sua conoscenza.

Sarebbe del resto veramente singolare ipotizzare che Stefano BONTATE, il quale riponeva tanta fiducia nel MARINO MANNOIA da tenerlo presso di sè, alle sue dirette dipendenze, annoverandolo tra i sui fedelissimi, gli abbia mentito e per di più su di una circostanza che, riguardo al suo interlocutore, non era di alcun interesse.

E altrove si è detto come il BONTATE, per la sua posizione esponenziale all'interno di "Cosa Nostra" dovesse necessariamente essere al corrente degli schieramenti, delle alleanze e delle collaborazioni di cui si giovavano gli altri affiliati, specie, poi, di coloro che, proprio in quel periodo, erano suoi antagonisti, come i corleonesi. (…)

Dalle dichiarazioni dei collaboranti, dunque, si trae che nel 1980 sussisteva per "Cosa Nostra" la prospettiva di fare lucrosi affari con il risanamento e che tale prospettiva si sarebbe concretizzata soltanto nel futuro e, cioè, negli anni successivi al 1980, allorchè la disponibilità garantita dal CIANCIMINO a "Cosa Nostra" nella gestione del recupero del centro storico avrebbe avuto concreta attuazione.

(…)

Da quanto sopra detto si desume che l'imputato mantenne un atteggiamento di totale disponibilità nei confronti dei membri dell'organizzazione fino alla data del suo arresto e ciò è riscontrato, come si vedrà nel prosieguo:

1) dai molti episodi in cui il CIANCIMINO è intervenuto illecitamente a favore di individui facenti parte del sodalizio (DI TRAPANI e MONCADA);

2) dalla sua partecipazione ad imprese e società "mafiose";

3) dai rapporti con POZZA Corrado Michael;

4) dalla cessione dell'appalto della "DELTA";

5) dalla sua condotta di pubblico amministratore;

6) dai riscontri specifici in ordine alla questione del risanamento;

7) dalla ingiustificata consistenza patrimoniale;

5) dall'ambiente in cui ha agito.

(…)

Con provvedimento del 28 novembre 1967 il Tribunale di Palermo sottoponeva DI TRAPANI Nicolò alla misura della sorveglianza speciale della P.S. per la durata di cinque anni.

Come si legge nel relativo provvedimento, infatti, il predetto era risultato affiliato alla potente cosca mafiosa facente capo a DI MARIA Vincenzo, i cui componenti avevano realizzato cospicui guadagni "attraverso la violenza, l'inganno, l'intimidazione e la sopraffazione per il predominio dello sfruttamento delle aree edificabili della città" (…).

Ora, al raggiungimento di tali cospicui guadagni da parte del DI TRAPANI, il CIANCIMINO risulta avere concretamente contribuito.

Ed, infatti, il 24 febbraio 1960 DI TRAPANI Nicolò presentò al Comune di Palermo alcune osservazioni al piano regolatore generale relativamente ad un terreno di proprietà della sua famiglia, sito nella borgata Malaspina, tra le vie Cilea, Tramontana e Malaspina.

Tale richiesta concerneva:

1) l'aumento della densità edilizia della zona Malaspina da 4 a 10 mc per mq (o, in subordine, a 9);

2) la destinazione ad edilizia privata di ampia zona di proprietà DI TRAPANI già indicata nel piano regolatore come prescelta per il verde pubblico;

Con delibera dell'11.7.1960 il Consiglio Comunale, su proposta dell'Assessore competente, Vito CIANCIMINO, approvava l'aumento della densità edilizia portandola a 9 mc per mq, nonchè la destinazione quasi totale della zona, già destinata a verde pubblico, ad edilizia privata.

Ciò comportò che la famiglia del DI TRAPANI potè cedere alla società immobiliare "LA FAVORITA" un'area pari a mq 11.152 al prezzo (asserito) di lire 324 milioni.

E' risultato, altresì, che tale società, in detta area, costruì 134 appartamenti di cui 40 per i DI TRAPANI (v. Rapporto CC. di Palermo 15.1.1971 all. 2 …).

(…) Intanto dalla lettura di tale delibera emerge che la proposta avanzata dal CIANCIMINO, che quale Assessore ai Lavori Pubblici era l'organo che aveva maggiore autorevolezza in materia; proposta tendente all'approvazione della gran parte delle osservazioni dei privati per far mutare la destinazione di vaste zone da verde pubblico a verde agricolo o addirittura ad aumentare la densità edilizia, fu vivamente contestata da alcuni consiglieri (FERRETTI e NAPOLI) i quali si dichiararono contrari a tutte le "osservazioni che si riferivano alla riduzione del verde pubblico e all'aumento della densità edilizia, sottolineando come l'accoglimento di esse avrebbe ridotto ulteriormente il verde pubblico, già così scarso, in rapporto ad altre grandi città" (…).

E non è senza significato sottolineare che allorchè uno dei consiglieri che si erano opposti (FERRETTI) chiese, in linea subordinata, di stabilire, quantomeno, norme di attuazione intese a limitare le costruzioni edificabili esclusivamente a case coloniche, l'Assessore CIANCIMINO intervenne "per rilevare che il compito che è chiamato oggi ad assolvere il Consiglio è quello di accogliere o respingere le osservazioni o opposizioni al Piano" (…).

Le isolate voci contrarie furono così definitivamente messe a tacere e con la delibera dell'11.7.1960, nonchè con quelle successive vennero approvate centinaia di osservazioni al P.R.G., che solo formalmente vennero sottoposte all'esame del Consiglio Comunale, giacchè è intuitivo che in poche sedute tale Consiglio non potè esaminarle singolarmente, limitandosi a ratificare quanto l'Assessore aveva proposto.

L'approvazione in massa di tali osservazioni comportò la drastica riduzione delle zone di verde pubblico, e l'aumento della densità edilizia in un vastissimo comprensorio; modifiche che vennero a stravolgere totalmente il P.R.G. dando inizio a quel fenomeno che è ormai storicamente noto come "il sacco" di Palermo.

Se il CIANCIMINO non è l'unico autore di esso, egli ne fu però certamente il protagonista poichè nella sua veste di Assessore competente fu lui a proporre l'approvazione delle osservazioni dei privati a discapito dei pubblici interessi, giustificando tale posizione dinanzi al Consiglio con la circostanza, davvero pretestuosa, che il Comune mai avrebbe avuto i fondi necessari per indennizzare i privati per l'espropriazione o i vincoli imposti ai loro terreni (v. delibera 11 luglio 1960…).

Più in generale va detto che tutto ciò che gli organi comunali hanno svolto in quegli anni nel settore edilizio è avvenuto sotto la sua stretta e puntuale vigilanza.

Nulla fu deliberato in tale materia, specie se scelte di grande rilevanza, senza che egli ne avesse conosciuto la portata e condiviso gli scopi.

La sua indubbia abilità, la sua specifica competenza nel settore dell'edilizia, la sua stessa personalità, indicano, infatti, che egli fu veramente il "dominus" dell'edilizia negli anni cruciali dell'espansione urbanistica della città e rivestendo tale ruolo non si limitò ad agire genericamente nell'interesse di speculatori privati, poichè, in modo più specifico, riuscì ad avvantaggiare abilmente personaggi mafiosi a lui vicini.

(…)

Ora, che il CIANCIMINO abbia consapevolmente agito nell'interesse del DI TRAPANI, pur nel quadro di una generica condotta volta ad avvantaggiare i privati più che a tutelare gli interessi della collettività, lo si desume dai preesistenti legami con il predetto ed in particolare dalla disponibilità mostrata dal CIANCIMINO alle richieste del DI TRAPANI, documentata dalla vicenda dell'AVERSA.

Con denunzia del 5 agosto 1963 al Procuratore della Repubblica di Palermo, l'avv. Lorenzo PECORARO, nella qualità di socio amministratore della società edilizia "AVERSA", aveva riferito, tra l'altro, che sin dal 28.11.1961 aveva inutilmente presentato all'Ufficio Tecnico del Comune di Palermo istanza per ottenere la licenza di costruzione in un comparto di terreno sito nel "Fondo Palagonia" mentre la società edilizia "SICILCASA" aveva ottenuto numerose licenze di costruzione nei lotti vicini e che la pratica dell'AVERSA era stata benevolmente presa in considerazione soltanto allorchè egli aveva interessato della vicenda tale "Don Cola DI TRAPANI", noto mafioso ed amico del CIANCIMINO. (…)

Il 21.6.1962 poi, il DI TRAPANI era stato tratto in arresto, mentre si trovava nei locali dell'impresa di costruzione di MONCADA Girolamo, individuo a vantaggio del quale, come si vedrà, il CIANCIMINO usò più volte la sua influenza, divenendo poi socio del fratello, Salvatore, nella I.S.E.P. nel 1965.

(…) le accuse del PECORARO sono state ribadite a distanza di tempo e non sono rimaste infirmate dalla successiva ritrattazione (che anzi per i metodi con i quali fu ottenuta semmai le conferma) e hanno trovato riscontro nei rapporti effettivamente esistenti tra il CIANCIMINO ed il DI TRAPANI e nei reciproci collegamenti con MONCADA Girolamo.

Tali accuse, che in buona sostanza, si incentrano sulla "influenza" che un personaggio mafioso come il DI TRAPANI era in grado di esercitare sull'imputato proprio all'epoca in cui il CIANCIMINO propose al Consiglio Comunale l'approvazione di una delibera che arrecava enorme vantaggio economico al predetto, dimostrano allora:

1) che il CIANCIMINO era disponibile alle richieste provenienti da personaggi mafiosi con i quali manteneva stretti legami;

2) che fin dagli anni '60 tali legami erano noti;

3) che allorchè egli propose nella sua veste di Assessore competente le istanze del DI TRAPANI per la modifica del P.R.G. agì con il preciso scopo di favorirlo;

Infatti, garantendogli un arricchimento di enormi proporzioni (la somma di lire 324 milioni di lire, nel 1962, equivale, infatti, a svariati miliardi di oggi), egli aumentava consapevolmente il potere del DI TRAPANI e della cosca a cui il predetto apparteneva consentendogli di volgere in proprio favore la lotta per il predominio dello sfruttamento delle aree edificabili e favoriva l'infiltrazione delle cosche mafiose nel settore edilizio.

Tale episodio, dunque, costituisce un significativo riscontro alle accuse dei collaboranti perché dimostra il suo consapevole apporto all'associazione, in termini di rafforzamento economico e di controllo del settore edilizio. (…)

Con decreto del 15.11.1963 il Presidente della Regione Siciliana disponeva un'ispezione straordinaria presso il Comune di Palermo incaricando una commissione presieduta dal Prefetto, dr. T. BEVIVINO.

Tale commissione aveva il compito di accertare, tra l'altro, se nel settore edilizio erano state osservate le prescrizioni del piano regolatore, le norme di attuazione e le disposizioni del regolamento edilizio.

Dall'esito di tale ispezione, a cui d'ora in poi, per brevità, si farà riferimento come "rapporto BEVIVINO" (…), emersero molteplici e gravi irregolarità commesse da alcuni organi comunali preposti al settore dell'edilizia.

Il rapporto rilevò anzitutto che la Commissione Edile (della quale il CIANCIMINO aveva fatto parte, come membro di diritto, per la sua carica di Assessore al ramo), avrebbe dovuto, in base all'art. 14 del Regolamento edilizio, durare in carica per tre anni ed essere rinnovata, ogni anno, per un terzo.

Alla data dell'ispezione (1963), essa, invece, era ancora quella originariamente costituita nel 1956 e ciò nonostante il capo dell'Ufficio Tecnico comunale avesse fin dal 1958 "sistematicamente" avanzato la proposta di rinnovo all'Amministrazione (…).

Erano cioè trascorsi sette anni senza che fosse intervenuto alcun ricambio dei suoi membri a carico dei quali sussisteva, dunque, oltre alla trasgressione di un generico dovere di correttezza, anche la violazione di una precisa norma regolamentare.

Il rapporto BEVIVINO mise poi in luce che l'Amministrazione Comunale non si era avvalsa delle norme di salvaguardia del P.R.G. e aveva rilasciato le licenze edilizie accogliendo le varianti dei privati al Piano del 1959 (pag. 8) e accertò numerose e specifiche "irregolarità" commesse dagli organi comunali.

Da ciò discende che l'omesso rinnovo nei termini di legge dei componenti della Commissione Edilizia, il mancato utilizzo delle norme di salvaguardia del P.R.G. ed il rilascio di licenze di costruzione in cui venivano accolte le numerose varianti richieste dai privati fanno ritenere che la Commissione Edilizia abbia operato non nell'interesse pubblico, come era suo compito istituzionale, ma in favore di diversi e specifici interessi speculativi di privati.

Ulteriore dimostrazione di ciò è fornita dal fatto che la Commissione accertò anche che le licenze di costruzione concesse dal novembre 1959 al novembre 1963 e, cioè, nel periodo nel quale il CIANCIMINO aveva ricoperto l'incarico di Assessore all'edilizia, (complessivamente in numero di 4.205) erano state rilasciate per l'80% in favore di cinque persone e, precisamente, MILAZZO Salvatore (1653), CAGGEGI Michele (702), LEPANTO Francesco (447), FERRANTE Lorenzo (447) e MINEO Giuseppe.

La direzione dei LL.PP. deteneva, infatti, un albo dei costruttori edili per conto terzi nel quale venivano iscritti, a richiesta degli interessati, i costruttori autorizzati ad eseguire opere edilizie (…).

I predetti avevano presentato delle certificazioni attestanti l'esecuzione di lavori edili di natura ed entità imprecisate e, nonostante la genericità di tale documentazione, avevano ottenuto l'iscrizione all'Albo.

In realtà, però, ad eccezione del LEPANTO che era ingegnere, essi erano dei semplici manovali che vivevano in modeste condizioni economiche (…).

Dunque i predetti erano tutti prestanomi dei veri costruttori.

Tale irregolarità era stata avvertita dagli stessi Uffici Tecnici che più volte avevano sollecitato il rinnovo e l'aggiornamento dell'Albo (v. All. 2 al rapporto BEVIVINO), ma l'Assessore aveva lasciato detto Albo inalterato. (…)

Ciò che però va detto è che il mantenimento di tale prassi nel momento della massima espansione edilizia della città, si prestò efficacemente a tutelare l'anonimato dei costruttori palermitani. (…)

La mancanza di trasparenza comportò che il CIANCIMINO riuscì anche ad agevolare, in modo specifico, alcuni costruttori come, ad esempio, i MONCADA, titolari di una delle imprese di costruzione più note di Palermo.

Nel cantiere di tale impresa, qualche anno dopo, sarebbe avvenuto l'omicidio del noto mafioso Michele CAVATAIO in un agguato comunemente noto come "strage di via Lazio" che per le sue modalità (centralità della zona, ora diurna, numero degli aggressori (5) e natura delle armi utilizzate - mitra e pistole), suscitò grande allarme nella collettività.

MONCADA Girolamo stesso sarà poi, come si vedrà, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale della P.S. per tre anni, per le sue frequentazioni con individui mafiosi e per la protezione mafiosa di cui, proprio negli anni '60, godevano i suoi cantieri.

In ordine alle irregolarità commesse dagli organi comunali a suo favore il rapporto BEVIVINO accertò che l'impresa MONCADA aveva, tra gli altri, costruito un edificio sito in via Lazio facente parte di una lottizzazione che non prevedeva corpi bassi e piano attico.

Il MONCADA aveva presentato il progetto in data 12.6.1961 (cioè in un periodo di vacanza delle norme di salvaguardia del P.R.G.). Tale progetto era stato esaminato il 20.6.1961 dalla Commissione Edilizia che aveva espresso parere favorevole con esclusione dei corpi bassi e del piano attico che, appunto, non erano compresi nella lottizzazione.

Appena due mesi dopo tale parere, l'impresa MONCADA aveva presentato una variante al progetto originario; variante che prevedeva l'aggiunta di uno stenditoio coperto e di corpi bassi.

Esaminata tale variante, la Commissione Edilizia aveva espresso parere favorevole.

L'ispezione accertò anche che l'impresa non solo aveva realizzato il piano attico, ma aveva costruito i corpi bassi ampliandoli rispetto alla stessa variante, e che l'organo a ciò preposto (Ufficio Tecnico), non aveva effettuato alcun controllo.

L'inerzia dell'Ufficio Tecnico non può essere considerata un fatto casuale, infatti acquista un grande rilievo sintomatico del preciso intento di favoritismo che l'ha ispirata, se viene valutata nell'ambito del provvedimento adottato dalla Commissione Edilizia.

Dopo avere, in un primo tempo, escluso dal progetto i corpi bassi, tale organo, infatti, appena due mesi dopo e senza un valido motivo, approvò la variante ad essa relativa.

Ancor più significativo è l'episodio concernente i due fabbricati costruiti dal MONCADA in via Nino Bixio in merito ai quali il rapporto BEVIVINO riferisce testualmente:

"Il progetto venne presentato il 14 ottobre 1959.

La costruzione, secondo il parere espresso dalla Sezione V dell'Ufficio Tecnico, rientrava in zona di espansione a densità edilizia urbana sino a 2,5 mc/mq, secondo il Piano Regolatore del 1956.

La Sezione III/B, osservato che l'edificio rientrava nella lottizzazione D'ARPA e fratelli, approvata dalla C.E. nella seduta del 1° dicembre 1958, rilevava che il progetto non si uniformava a detto piano di lottizzazione per la maggiore lunghezza prevista negli edifici: tre metri per l'edificio B e due metri per l'edificio C, con conseguente aumento di 1.000 mc di volume. Non si uniformava inoltre allo stesso piano di lottizzazione per il minore distacco dagli edifici stessi in corrispondenza del collegamento a terrazza (m. 4,70 anziché m. 6).

Il progetto prevedeva, inoltre, un piano rientrante che non risultava arretrato in maniera regolamentare. Entrambi i piani attici risultavano arretrati, su tre fronti, di m. 2 anziché di m. 3,40, in corrispondenza del quarto fronte, erano a filo del fabbricato.

La C.E., il 9 novembre 1959, espresse parere favorevole all'unica condizione che venisse eliminato il piano attico.

Successivamente, in data 23 marzo 1960, il MONCADA presentò un progetto di variante.

La Sezione III/B, esaminato il progetto di variante, osservò che la planimetria non corrispondeva alle previsioni del progetto e che era prevista una maggiore altezza di quella indicata nel piano di lottizzazione D'ARPA e fratelli (m. 25,40 anzichè m. 21).

La Commissione edilizia, il 31 gennaio 1961, espresse parere favorevole a condizione che il piano attico venisse arretrato su tutti i fronti in misura regolamentare e che fossero rispettati i distacchi e gli arretramenti previsti nel piano di lottizzazione.

Venne ancora presentata altra variante, in data 1° luglio 1961, consistente nella costruzione di un piano attico nei due edifici e di ulteriori ambienti sopra il piano attico (già escluso, come si è detto sopra, dalla Commissione edilizia).

La Sezione III/B osservò che la variante non era regolamentare, perché non solo non venivano arretrate le fabbriche, come aveva prescritto la C.E., ma anche perché venivano ulteriormente ridotti gli arretramenti e l'interpiano (ridotto a m. 2,90).

La C.E. espresse, per altro, parere favorevole alla variante il 4 luglio 1961, senza porre alcuna condizione.

La licenza di costruzione (nr. 1006) venne concessa il 25 luglio 1961".

Tale episodio dimostra allora, specie se collegato al precedente, il persistente atteggiamento di favore mantenuto dagli organi comunali facenti capo all'imputato, nei confronti del MONCADA.

Nonostante la competente sezione dell'Ufficio Tecnico avesse sottolineato, più volte, che il progetto e le varianti presentate dall'impresa MONCADA non si uniformavano alla lottizzazione e, perfino, agli stessi pareri espressi dalla Commissione, quest'ultima non esitò a formulare, il 4.7.1961, un parere incondizionatamente favorevole, consentendo al MONCADA di ottenere indebitamente e, peraltro dopo poco meno di venti giorni, la licenza di costruzione.

Ora le deliberazioni della Commissione, debbono farsi risalire certamente all'operato del CIANCIMINO.

Non solo egli quale Assessore ai LL.PP. era il membro più autorevole di essa, ma, come gli atti dimostrano, ne era addirittura il Presidente (…) dato che il Sindaco, per prassi, non partecipava alle sue sedute.

Giova, inoltre, sottolineare che MONCADA Salvatore, fratello di Girolamo e contitolare dell'impresa di costruzioni, come si vedrà, sarebbe entrato a far parte della I.S.E.P., società facente capo al CIANCIMINO e a noti esponenti mafiosi.

E che l'impresa dei MONCADA avesse una forte connotazione mafiosa è rimasto accertato dal fatto che nel settembre 1973 MONCADA Girolamo veniva sottoposto, dal Tribunale di Palermo, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S. per tre anni (…).

Quei giudici mettevano in luce che il predetto si era mostrato disponibile ad instaurare rapporti con noti mafiosi come DI TRAPANI Nicolò (e cioè l'individuo che era "vicino" al CIANCIMINO fin dagli anni '50) il quale, infatti, nel 1962 era stato tratto in arresto proprio nel cantiere dell'impresa MONCADA.

Si legge, ancora, nel detto provvedimento, che il MONCADA si giovava certamente di protezioni mafiose come si desumeva dal ritrovamento del suo numero telefonico in possesso di D'ALBA Salvatore e DIANA Bernardo, individui di certa estrazione mafiosa.

Il DIANA, infatti, sarà indicato da Tommaso BUSCETTA come vice e grande amico dello stesso Stefano BONTATE (…).

Ed ancora si evidenziavano i rapporti dei MONCADA con il CAVATAIO, noto affiliato a "Cosa Nostra", indicato dal BUSCETTA come capo della "famiglia" mafiosa dell'Acquasanta, autore di gravissimi delitti quali l'omicidio di Calcedonio Di PISA (…).

Non è senza significato, infatti, che il CAVATAIO sia stato ucciso proprio nel cantiere dell'impresa MONCADA.

Essa, dunque, quantomeno per la protezione di cui si avvaleva, sfruttando la potenza intimidatrice derivante dalla notorietà del vincolo associativo del DI TRAPANI, del CAVATAIO, del D'ALBA e del DIANA, era un'impresa mafiosa. (…)

Gli elementi più altamente significativi che anche da soli rivestono una univoca valenza probatoria a carico dell'imputato sono costituiti dalla sua partecipazione in imprese mafiose.

(…)

La società I.S.E.P. (Istituto Sovvenzioni e Prestiti) venne costituita il 24 gennaio 1951 (…) da tale BOSELLI Davide, BOSELLI Giovanni e CAPPADONIA Salvatore.

Il 3.2.1951 (e, cioè, dopo appena nove giorni dalla sua costituzione) BOSELLI Giovanni e CAPPADONIA Salvatore trasferirono le loro quote a DI BELLA Susanna, (…) moglie di SORCI Antonino (…) e a DI CARLO Angelo (…).

A questo punto è necessario soffermarsi sulla personalità di tali individui che avendo acquistato le quote societarie appena nove giorni dopo la costituzione della società ne erano i veri titolari.

Il 3 aprile 1933 SORCI Antonino veniva sottoposto alla diffida di P.S., il 18.2.1938 veniva assegnato al confino di polizia per quattro anni e il 18.3.1952 la Questura di Roma, indagando su un traffico di stupefacenti, lo aveva notato in compagnia di Lucky LUCIANO, individuo su cui non è necessario spendere parole per delinearne la personalità mafiosa ormai storicamente acquisita.

Ed ancora, il 13.8.1963, SORCI Antonino veniva sottoposto alla diffida, ma il provvedimento non poteva essergli notificato perchè, nel frattempo, si era reso irreperibile (…).

Fin da giovanissimo, dunque, il SORCI gravitò in ambienti mafiosi, riuscendo ad accumulare un enorme patrimonio che gli valse il soprannome di Nino SORCI "'u riccu".

Ed infatti, il 14.11.1964, la Polizia Tributaria di Palermo riferiva che egli aveva realizzato lucrose speculazioni nel campo edilizio perchè nel periodo 1950-1961, investendo la somma di 35 milioni di lire, era riuscito a ricavare un utile di 95 milioni di lire e ad assicurarsi una considerevole proprietà immobiliare (…).

Anni dopo sia Tommaso BUSCETTA che Francesco MARINO MANNOIA lo indicheranno come il capo della "famiglia" mafiosa di Villagrazia, strettamente legato a Stefano BONTATE e passato, dopo l'uccisione di questo, ai "vincenti".

Ma tale scelta di campo non servì a salvargli la vita, perchè egli venne ucciso il 12.4.1983, nell'ambito della guerra di mafia, unitamente al figlio Carlo (…).

Non meno criminale la personalità del DI CARLO, nato a Corleone nel 1891.

A suo carico, infatti, risulta (…), che dopo essere stato assolto per insufficienza di prove dall'omicidio di tale BOSCO nel 1926 venne condannato, con sentenza della Corte di Appello di Palermo del 18.6.1930 per il delitto di associazione per delinquere.

Venne diffidato nel 1964 e tratto in arresto nuovamente per associazione per delinquere (in concorso, tra gli altri, con Luciano LEGGIO), ma decedette nel 1967.

Sebbene non sia stato indicato dai collaboranti come un "uomo d'onore" non v'è dubbio che, pur in mancanza di una formale affiliazione, il DI CARLO era inserito stabilmente nel sodalizio e soprattutto nella cosca dei corleonesi.

Oltre ad essere cugino del noto capo mafia di Corleone Michele NAVARRA, egli fu socio di Luciano LEGGIO nell'attività armentizia di "Piano di Scala" in Corleone e nella gestione dell'Ippodromo della Favorita in Palermo (…), divenendo poi il bersaglio di richieste di denaro dallo stesso LEGGIO allorchè intraprese, unitamente al SORCI, l'attività di concessione di prestiti con la I.S.E.P. (v. dichiarazioni di Tommaso BUSCETTA...).

Fin dagli anni 30, dunque, sia Antonino SORCI che Angelo DI CARLO appartenevano al sodalizio mafioso e i loro capitali avevano origine illecita.

Ed è con tali individui che il CIANCIMINO allaccia e mantiene per anni rapporti societari, entrando, per il tramite della moglie, a far parte della società I.S.E.P.

Dal libro soci si rileva, infatti, che fin dal 3.7.1963 il capitale sociale risulta sottoscritto, tra gli altri, anche da SCARDINO Epifania Silvia (moglie del CIANCIMINO) che era titolare di 11.538 azioni per un valore di lire 11.538.000.

Va detto, a questo punto, che il CIANCIMINO ha negato di conoscere Antonino SORCI e perfino Angelo DI CARLO e ciò nonostante questo fosse nato e vissuto a Corleone, asserendo che la SCARDINO aveva investito nella I.S.E.P. il denaro (donatole dal padre), su suggerimento dell'Ing. GAROFALO, vecchio amico di suo suocero.

Tali circostanze, però, non solo non hanno ricevuto alcun riscontro, ma sono state smentite dagli atti.

L'assunto secondo cui la somma di denaro investita dalla SCARDINO e, cioè, lire 11.500.000 (non ingente, ma pur sempre consistente se si considera il potere di acquisto della lira nel 1963) provenisse dal padre della predetta non solo non è sorretto da alcun elemento di prova, ma risulta fantasioso sol se si considera che il suocero del CIANCIMINO era un maresciallo in pensione che non svolgeva alcun altra attività e non era titolare di alcun bene immobile (…).

Che poi la SCARDINO (e, dunque, il CIANCIMINO) non avesse rapporti con il SORCI o il DI CARLO e il loro referente nell'ambito della I.S.E.P. fosse il GAROFALO, è anch'essa una circostanza smentita dagli atti.

Ed infatti dal libro dei soci si desume che all'assemblea dell'I.S.E.P. del 16.12.1963 le azioni della SCARDINO vennero rappresentate da tale GUCCIARDI Angela che agì quale sua delegata (…).

Ora la GUCCIARDI è la moglie di PERRINO Vincenzo (…) nipote di DI CARLO Angelo, in quanto figlio della sorella del DI CARLO, socio dello zio nella I.S.E.P. e in altre attività imprenditoriali.

Tale fatto dimostra allora che la partecipazione del CIANCIMINO alla I.S.E.P. è da ricondursi alla stretta comunanza di interessi proprio con i soggetti mafiosi di cui la società era espressione.

La natura di impresa mafiosa della I.S.E.P. non emerge, poi, soltanto dalla qualità dei personaggi che erano interessati ad essa, poichè la stessa attività della società era finalizzata al riciclaggio di denaro in quanto mascherava i capitali del SORCI e del DI CARLO e attuava il travaso di denaro illecito in attività apparentemente lecite.

Nel corso di una perquisizione effettuata nell'abitazione di tale GAROFALO Francesco (nato a Castellammare del Golfo nel 1891), vennero rinvenuti, infatti:

1) un cartoncino dell'I.S.E.P.;

2) un foglio dattiloscritto riguardante una rimessa di denaro di 5.000.000 di lire alla I.S.E.P.;

3) un ritaglio di busta su cui era trascritto l'indirizzo di New York di DI CARLO Lelio Calogero, fratello di DI CARLO Angelo (…), indicato dalla Polizia come un individuo coinvolto, al pari del GAROFALO, nel traffico internazionale degli stupefacenti.

Il GAROFALO, sottoposto alla sorveglianza speciale della P.S. per cinque anni con provvedimento del Tribunale di Palermo del 16.11.1968 (…), era poi da tempo noto agli inquirenti come un personaggio di spicco di "Cosa Nostra", affiliato ad una delle cinque grandi "famiglie" che dominarono la malavita di New York, quella cioè capeggiata da BONANNO Giuseppe, anch'egli nato a Castellammare del Golfo.

Il GAROFALO, dopo una lunga permanenza negli Stati Uniti, nel 1957 aveva fatto rientro in Italia stabilendosi a Palermo ove era stato indicato dalla Polizia come uno dei partecipanti alla nota riunione di mafiosi siculo-americani svoltasi presso l'Hotel des Palmes nell'ottobre del 1957 (…).

A suo carico era emerso ancora che si era più volte incontrato, sia in Roma che in Palermo, con tale CERRITO Joseph, esponente della "famiglia" di Joseph PROFACE e di Frank MATRANGA ed ancora, gli inquirenti avevano accertato che il GAROFALO era depositario di considerevoli somme presso una banca svizzera (…).

Proprio tale circostanza induce ad escludere che la somma di 5.000.000 di lire, versata nelle casse dell'I.S.E.P., avesse a che fare con prestiti o sovvenzioni ricevuti dalla I.S.E.P., di cui il GAROFALO non aveva certo bisogno e che, per converso, attesa la qualità e lo spessore mafioso del personaggio, avesse, invece, provenienza illecita.

Ma la I.S.E.P. era utilizzata dai suoi soci anche come paravento per altre loro attività imprenditoriali.

(…)

Dunque, l'I.S.E.P. era una società sorta per riciclare denaro illecito e mascherare la provenienza dei capitali degli stessi soci e, cioè, per attuare quel travaso di capitali illeciti in attività apparentemente lecite che caratterizza, come si è detto nella parte generale, l'impresa di tipo mafioso.

Del resto lo stesso imputato non ha potuto negare che la I.S.E.P. "non era un esempio di trasparenza" (v. pag. 9 della memoria nr. 7).

Nè tale connotazione mutò con gli anni poichè, anzi, nel 1966 entrò a far parte di essa, tramite la moglie e i figli, anche MONCADA Salvatore.

Costui, unitamente al fratello Girolamo, come già si è detto, era titolare dell'impresa di costruzioni nella quale sarebbe avvenuta, pochi anni dopo, la nota strage di via Lazio.

Il fatto, poi, che ad essa abbiano partecipato soggetti non collegati a "Cosa Nostra" sottolineato dalla difesa per sostenere la buona fede del CIANCIMINO, è un elemento irrilevante.

Al contrario che per gli altri soci, infatti, sussistono decisivi elementi che inducono ad escludere tale buona fede e, cioè, innanzi tutto, i precedenti legami dell'imputato con individui di spessore mafioso (come quelli risalenti fin dal 1955 con DI TRAPANI Nicolò).

In secondo luogo va detto che l'estrazione mafiosa del SORCI e del DI CARLO non poteva essere sconosciuta al CIANCIMINO.

L'ascesa economica del SORCI, come si è visto, si era realizzata proprio nel settore edilizio e negli anni in cui il CIANCIMINO ricopriva l'incarico di Assessore ai LL.PP.

Provenendo poi il DI CARLO da Corleone ed essendo un individuo molto noto in quell'ambiente (in quanto cugino di Michele NAVARRA, accusato di un grave fatto di sangue quale l'omicidio del BOSCO, nonchè socio dello stesso Luciano LEGGIO), sarebbe contrario alle più elementari regole del buon senso ritenere che il CIANCIMINO, che proveniva dallo stesso paese, ne sconoscesse la personalità.

A fronte di tali emergenze, che, in modo convergente, ne rivelano la comunanza di interessi con personaggi appartenenti a "Cosa Nostra", la circostanza che l'imputato non abbia tratto alcun guadagno dalla sua partecipazione all'I.S.E.P. è un fatto che, anche se fosse vero, nulla toglierebbe al valore sintomatico della sua condotta.

(…)

Altro episodio che rivela che il CIANCIMINO usava la sua influenza per favorire indebitamente individui appartenenti a "Cosa Nostra" e trarre vantaggio dall'attività dell'organizzazione è quello relativo al mafioso MARSALA Giuseppe.

Fin dal 1964 costui era stato indicato da Polizia e Carabinieri come il "capomafia" di Vicari e sottoposto nel 1969 alla misura del soggiorno obbligato per quattro anni.

Parecchi anni dopo, le indicazioni degli inquirenti troveranno riscontro nelle dichiarazioni di MARSALA Vincenzo, altro collaborante le cui dichiarazioni, puntualmente assistite da numerosi elementi obiettivi, sono state già sottoposte al vaglio della Corte Suprema (v. Cass. Sez. I^, 24.11.1986, Pravatà Michelangelo ed altri).

Il collaborante avrebbe confermato, infatti, che MARSALA Giuseppe (Peppe MARSALA), rivestiva un ruolo di spicco nell'ambito del sodalizio mafioso in veste di "capo mandamento" e membro della "commissione", organo posto al vertice di "Cosa Nostra", (v. e sent. di primo grado del procedimento contro ABDEL AZIZI AFIFI ed altri …).

Ed è proprio in favore di un individuo di così grosso spessore che il CIANCIMINO intervenne per consentirgli il conseguimento di illeciti profitti.

Nonostante, infatti, il MARSALA risiedesse a Vicari e fosse colà proprietario di case e terreni, risultò assegnatario di un appartamento dell'Istituto Autonomo Case Popolari di Palermo, mercè l'intervento di Vito CIANCIMINO (…).

Tale circostanza, contestata al CIANCIMINO dal G.I. dott. C. Terranova, non fu da lui negata; non escluse, infatti, di essere intervenuto a favore del MARSALA probabilmente per corrispondere alla richiesta del figlio di questo, dipendente comunale, che per due volte gli era stato assegnato in qualità di autista, nè che il MARSALA si fosse adoperato per la riuscita della sua campagna elettorale (…).

E proprio in quest'ultima affermazione va individuata la chiave di lettura dei rapporti tra i due individui.

Anni dopo le dichiarazioni rese dal CIANCIMINO al Giudice TERRANOVA, MARSALA Vincenzo avrebbe, infatti, affermato:

"MARSALA Giuseppe dava a tutti l'indicazione di votare, tra gli altri, anche per Vito CIANCIMINO" (…).

Cosicchè deve escludersi che l'imputato fu spinto ad agire nell'interesse del capo-mafia per "generosità" nei confronti del figlio di questo che, peraltro, solo due volte era stato suo autista e deve, per converso, ritenersi che i rapporti tra il CIANCIMINO ed il MARSALA correvano sul filo dello scambio di reciproci quanto illeciti favori ai quali "Cosa Nostra" era tutt'altro che estranea.

E' ovvio, infatti, che allorchè MARSALA Giuseppe si occupava della campagna elettorale del CIANCIMINO, il suo interessamento non si risolveva certo nè in un aiuto materiale nè in quell'opera di propaganda che un cittadino qualunque può svolgere nell'ambito delle sue conoscenze con risultati la cui entità è facile immaginare.

Al contrario, egli utilizzava proprio il potere che gli derivava dall'essere un "capo mafia" e dal quale conseguiva, com'è intuitivo, il largo seguito delle sue indicazioni elettorali.

Il MARSALA, dunque, si adoperava per portare il CIANCIMINO al successo elettorale attraverso i potenti canali di "Cosa Nostra" e ciò faceva, come gli atti del processo dimostrano, allo scopo di sfruttare a suo vantaggio le cariche pubbliche che il CIANCIMINO avrebbe ricoperto.

Di ciò è riprova il fatto che pur non avendone diritto egli riuscì ad ottenere l'assegnazione di un appartamento dello I.A.C.P. di Palermo per "interessamento" dell'imputato.

Tale vicenda costituisce oltre che un sintomo della personalità dell'imputato anche un altro valido elemento di riscontro delle chiamate di correo esistenti a suo carico perchè dimostra la "disponibilità" del CIANCIMINO in favore degli associati a "Cosa Nostra".

(…)

In ordine ai rapporti economici intrattenuti dall'imputato con costruttori il processo ha rivelato soltanto quelli con ZUMMO Francesco, MANIGLIA Francesco e CALTAGIRONE Francesco. (…)

Ancora più oscuro è l'episodio concernente CALTAGIRONE Francesco.

Dalla perizia è emerso, infatti, che il suddetto in data 14 marzo e 16 maggio 1977 emise due assegni tratti su due c/c intrattenuti presso la succursale del Banco di Santo Spirito per l'importo di venti milioni di lire cadauno, che confluirono nel deposito a risparmio "Portatore" di pertinenza del CIANCIMINO (pag. 35).

Ora l'imputato ha ricondotto tale versamento ad una sovvenzione a favore dei partiti politici.

Ma essa è smentita dagli atti poichè l'unico versamento di una certa consistenza, effettuato dal CIANCIMINO a favore del suo partito, è quello di 21 milioni di lire (pag. 69) che è avvenuto il 6 dicembre 1978 e, cioè, a distanza di un anno e nove mesi dal versamento del CALTAGIRONE e per una somma di gran lunga inferiore e, dunque, non può trovare spiegazione in esso.

Come si vede allora i rapporti d'affari del CIANCIMINO con i costruttori sono rimasti oscuri e non trovano affatto la loro causa in un rapporto societario sia pure occulto e fiduciario, come l'imputato ha voluto far credere, poichè gli atti forniscono, semmai, elementi utili per individuare nell'imputato più che un socio occulto un soggetto che, pur non apportando nessun contributo alle varie società, ricavava egualmente ingenti utili dalle attività economiche di essa, come la vicenda del palazzo acquistato da ZUMMO Francesco ampiamente comprova.

E se i costruttori palermitani hanno subito, per anni, tale condotta prevaricatrice del CIANCIMINO senza opporre nulla alle sue esose richieste, ne deriva che le medesime non potevano non essere accolte proprio perché il CIANCIMINO costituiva, al contempo, un canale politico irrinunciabile e un individuo assai temibile per i suoi notori legami mafiosi.

Peraltro, le spiegazioni fornite dall'imputato sulla liceità delle sue società con i costruttori, si sono scontrate con la diversa realtà offerta dal processo che indica che egli non ha lecitamente accumulato il suo patrimonio.

Tale illecita provenienza del denaro emerge anche dalle stesse modalità con cui l'imputato ha gestito le sue disponibilità finanziarie.

Tali modalità sono risultate, infatti, unicamente volte ad occultare sia la provenienza che la destinazione del denaro.

Intanto l'esperienza giudiziaria insegna che i libretti di deposito a risparmio al portatore (di cui il CIANCIMINO ha fatto larghissimo uso) sono tra i titoli più utilizzati per il deposito di somme di origine illecita perché, per loro natura, sfuggono a qualsiasi tipo di indagine che non parta dal sequestro stesso del documento.

Dagli accertamenti peritali è emerso poi che i suoi titoli sono stati concretamente gestiti con varie tecniche ispirate a due principali criteri e cioè il "frazionamento operativo" e "la tutela dell'anonimato" (…).

Il secondo criterio, quello della "tutela dell'anonimato" è stato perseguito (…) mediante il versamento dei titoli sui propri rapporti bancari con la tecnica della "doppia operazione" cioè con la redazione di due diversi documenti una "distinta di cambio" per l'assegno ed uno di "versamento di contante" per il rapporto bancario.

Tale fu la tecnica utilizzata per riscuotere gli assegni (…) dei costruttori CALTAGIRONE Francesco e MANIGLIA Francesco. (…)

E non è senza significato che tale tecnica sia stata adottata per le somme ricevute (…) dal CALTAGIRONE e dal MANIGLIA, operazioni tutte per le quali il CIANCIMINO ha mostrato il suo estremo disagio nel fornire plausibili spiegazioni. (…)

Già si è detto come nella valutazione della prova in tema di delitti associativi di tipo mafioso, uno degli elementi che va preso in considerazione è l'ambiente in cui il soggetto ha agito. (…)

A tal proposito il processo offre molteplici e convergenti elementi per affermare che il CIANCIMINO si è mosso in un clima di diffusa intimidazione e di generale compiacenza che, non trovando alcuna plausibile giustificazione, è anch'esso un elemento di riscontro alle accuse dei collaboranti, perché indica l'esistenza di una trama sottile ed insidiosa che ha condizionato la condotta degli individui che, in vario modo, sono entrati in contatto con lui.

A tal riguardo vanno sottolineati gli episodi relativi a GALANTE Salvatore ed ALESSI Alberto.

Costoro, entrambi Consiglieri Comunali all'epoca in cui il CIANCIMINO fu Sindaco di Palermo, riferivano, nella fase istruttoria, di avere votato contro la sua elezione a Sindaco facendo di tale voto contrario dichiarazione pubblica in seno al Consiglio Comunale (v. deposizioni rese al P.M. rispettivamente il 17.11.1984 e 21.1.1984).

A seguito di tali dichiarazioni l'ALESSI era stato denunciato ai probiviri del partito; gli era stata tolta la tessera e per due legislature gli era stato impedito di partecipare alle relative competizioni elettorali, essendo stato escluso dalle liste del partito.

Ma, fatto ancor più grave, dopo la audizione dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia (…) aveva ricevuto telefonate anonime di avvertimento.

Il GALANTE aveva riferito poi che qualche tempo dopo il voto contrario manifestato nei confronti dell'imputato, aveva subito l'incendio della sua autovettura.

Ora sia il GALANTE che l'ALESSI, sentiti nel corso del dibattimento, hanno tentato di sminuire la portata delle loro prime dichiarazioni.

Addirittura il GALANTE, in ordine all'episodio dell'incendio, ha precisato al dibattimento che si era trattato di un "ritorno di fiamma" e che il lasso di tempo tra il voto e l'episodio era stato di circa otto anni.

Esprimendosi poi spontaneamente nei seguenti termini:

"Temporalmente siamo molto distanti dal fatto … che poi sembrerebbe una cosa meschina che io non credo che il CIANCIMINO possa avere avuto un'idea così … conoscendolo effettivamente, con ciò io non voglio difendere il CIANCIMINO perché io mi auguro che possa essere accertata la sua innocenza e ritornare nella pace della sua famiglia …" (v. verbale trascrizione dell'udienza del 10.6.1991).

Tali considerazioni, gratuite e chiaramente compiacenti unite all'inverosimile ritrattazione delle sue prime dichiarazioni, sono un elemento che rafforza il convincimento che il GALANTE, allorchè rimase vittima di attentati e minacce, ricondusse tali episodi alla sua ostilità al CIANCIMINO.

Anche l'ALESSI (sentito all'udienza del 30.5.1991) pur confermando le sue precedenti dichiarazioni, ha poi riferito a domanda del difensore dell'imputato che spesso il CIANCIMINO era messo in minoranza per cui "non esercitava potere all'interno del gruppo".

Ora tale circostanza è assolutamente inverosimile.

Ed infatti, il voto contrario nei confronti del CIANCIMINO provocò all'ALESSI l'espulsione dal partito e l'ostracismo per due legislature ed inoltre tutte le altre risultanze già esaminate dimostrano, in modo convergente, che fino alla data del suo arresto l'imputato continuava a rivestire un grande peso politico.

D'altra parte l'ALESSI non ha potuto smentire che a seguito della sua audizione alla Commissione Parlamentare Antimafia, egli subì delle minacce.

Analoghe minacce anonime vennero rivolte, anni dopo, a Giuseppe INSALACO, anche lui sentito dalla Commissione Antimafia in ordine ai suoi rapporti con il CIANCIMINO (…).

Non può poi tacersi il fatto che sia l'INSALACO che il MARTELLUCCI, che avevano con la loro azione politica mostrato di voler ostacolare la realizzazione degli interessi di cui il CIANCIMINO era espressione (soprattutto nella vicenda del rinnovo degli appalti della I.C.E.M. e della L.E.S.C.A.), subirono entrambi, gravi "avvertimenti" consistenti nell'incendio dell'autovettura dell'INSALACO (16.10.1984) e nell'attentato dinamitardo che distrusse la casa di villeggiatura del MARTELLUCCI (16.12.1980).

In un primo tempo gli inquirenti avevano indiziato l'imputato del concorso in tali reati.

Successivamente, però, hanno disposto nei suoi confronti l'archiviazione degli atti per mancanza di ulteriori indizi.

Cosicchè, se è vero che egli è estraneo ai due gravi episodi, è però altrettanto vero che essi dimostrano una sorprendente convergenza tra gli interessi rappresentati dal CIANCIMINO e quelli degli ignoti autori degli attentati.

Infatti il MARTELLUCCI a quella data era Sindaco da pochi mesi ed il CIANCIMINO gli era notoriamente ostile, tant'è che, sentito dal G.I. in data 19.10.1984, il MARTELLUCCI dichiarò che le sue dimissioni erano state ispirate e volute da CIANCIMINO in particolare (…).

L'INSALACO, poi, (che da poco aveva dismesso eguale carica) pochi giorni prima era stato sentito dalla Commissione Parlamentare Antimafia riferendo, in quella sede, che la crisi della sua giunta trovava causa proprio nell'ostilità del CIANCIMINO nei suoi confronti.

Pertanto non può non rilevarsi come individui di diversa estrazione sociale e culturale, vicini o avversari del CIANCIMINO siano stati tutti trasversalmente uniti dal convincimento che opporsi alla realizzazione degli interessi rappresentati dall'imputato era un fatto estremamente pericoloso.

Del resto, la lunga, ininterrotta serie di omicidi di personaggi politici anche di primo piano che non trova riscontro in alcun’altra città italiana e che fa di Palermo una città simbolo delle devastanti conseguenze dell'intreccio tra attività politica e criminalità, ha contribuito certamente a rafforzare tale convincimento.

Di ciò vi è riprova, oltre che nelle dichiarazioni del GALANTE, dell'ALESSI, nel convincimento del BONTATE sulla causa dell'attentato al MARTELLUCCI, nonchè nelle deposizioni dell'INSALACO e del VASELLI il quale ultimo ha dichiarato, senza mezzi termini:

"chiedo che si tenga conto del fatto che data la situazione ambientale, anzicchè prestarmi ad operazioni illecite ho preferito soggiacere alle richieste di miei interventi nel campo degli spostamenti di denaro attraverso Istituti di Credito"" (v. deposizione dell'8.10.1984…).

Ed ancora, più apertamente:

"Ho esaudito le richieste di Vito CIANCIMINO perché, data la qualità del personaggio, sarebbe stato impossibile non accoglierle" (v. deposizione resa l'8.4.1987…)

Ma il 26 marzo 1985 il predetto aveva, perfino, spontaneamente affermato:

"Vorrei riferire altre cose che finora non ho detto per timore della mia incolumità personale" (…).

Nel 1970, l’elezione del Ciancimino a Sindaco del Comune di Palermo fu osteggiata – tra gli altri – dall’on. Lima.

Nel ricostruire le reazioni alla candidatura del Ciancimino a Sindaco di Palermo, il teste on. Alberto Alessi, esaminato all’udienza del 20 giugno 1996, ha riferito di avere preso parte ad una riunione con Achille Occhetto (allora capogruppo del P.C.I. nel Consiglio Comunale di Palermo) e con l’on. Lima (che "si opponeva in modo determinato contro la candidatura di Ciancimino"), nel corso della quale si decise che alcuni componenti del gruppo consiliare della Democrazia Cristiana e tutti quelli appartenenti al gruppo consiliare del Partito Comunista l’indomani, nel corso delle dichiarazioni di voto, avrebbero presentato le loro dimissioni. Questo proposito di rassegnare le dimissioni non venne, però, più messo in atto.

Anche dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 19 giugno 1996 dall’on. Mario D’Acquisto si desume che la corrente andreottiana nel 1970 si oppose alla candidatura del Ciancimino a Sindaco di Palermo. Il teste ha specificato che l’opposizione era determinata da ragioni di opportunità politica, essendosi già sviluppata un’accesa polemica attorno al Ciancimino. A seguito delle insistenze di Michele Reina e di Rosario Nicoletti, anche l’on. Andreotti e l’on. De Mita (che erano i capi delle correnti cui i primi due rispettivamente aderivano) rilevarono l’inopportunità dell’elezione del Ciancimino a Sindaco di Palermo. Conseguentemente, il Ciancimino rimase in carica soltanto per un brevissimo periodo.

Alcuni anni dopo, tuttavia, i rapporti tra il Ciancimino e la corrente andreottiana mutarono profondamente.

Infatti intorno alla seconda metà degli anni ’70, quando la posizione dell’on. Gioia divenne minoritaria all’interno della Democrazia Cristiana, il Ciancimino, il quale per lungo tempo aveva aderito alla corrente fanfaniana, formò un gruppo autonomo, che instaurò rapporti di collaborazione (di tipo "federativo") con l’on. Lima (cfr. sul punto la deposizione testimoniale resa dall’on. Sergio Mattarella all’udienza dell’11 luglio 1996).

Dalle dichiarazioni dell’on. Mario D’Acquisto si desume che il Ciancimino (il quale aveva "attraversato quasi tutte le correnti della Democrazia Cristiana", conservando sempre una ampia sfera di autonomia) aderì alla corrente andreottiana intorno al 1976, rimanendo comunque a capo di un gruppo autonomo.

Infatti nel 1976 l’on. Lima era arrivato alla conclusione che si potesse realizzare un accordo con il Ciancimino, il quale si era gradualmente riavvicinato a lui.

L’on. Lima informò l’on. D’Acquisto che l’ingresso del Ciancimino, sia pure con un suo gruppo autonomo, nella corrente andreottiana, avveniva senza alcuna contropartita, che tuttavia il Ciancimino chiedeva l’assenso del capo della corrente, e che conseguentemente egli avrebbe cercato di organizzare un incontro del Ciancimino con il sen. Andreotti affinché quest’ultimo prendesse atto di tale situazione verificatasi in Sicilia.

L’on. D’Acquisto prese parte a questo incontro, svoltosi a Roma, nel corso del quale l’on. Lima sostenne l’opportunità di accogliere il Ciancimino nella corrente, ed il sen. Andreotti ne prese atto, dicendo: "se siete d'accordo voi va bene anche per me". Il Ciancimino, che affermava di essere vittima di una macchinazione politica, consegnò al sen. Andreotti, allo scopo di essere tutelato, un promemoria nel quale esponeva le sue ragioni. Il sen. Andreotti prese atto delle tesi sostenute dal Ciancimino e gli riferì "che avrebbe esaminato questo dossier e avrebbe cercato di accertare come stavano le cose".

In questa circostanza il sen. Andreotti affidò la valutazione sull’opportunità dell’ingresso del Ciancimino nella sua corrente all’on. Lima, del quale egli "si fidava ciecamente". L’on. Lima insistette perché venisse realizzata questa operazione, ed il sen. Andreotti ne prese atto e prestò il suo assenso.

Le motivazioni addotte dall’on. Lima per giustificare l’opportunità dell’operazione consistevano in ragioni tattiche legate alla situazione del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana: una ulteriore rottura con il Ciancimino avrebbe infatti comportato il rischio di perdere la maggioranza all’interno del Comitato Provinciale del partito.

Le dichiarazioni rese dal teste D’Acquisto in ordine al suddetto incontro sono di seguito riportate:

P.M: Lei ricorda (…) se ci fu un incontro e in che anno al quale lei partecipò tra Ciancimino e Andreotti?

D’ACQUISTO M.: Si, ci fu un incontro che credo si sia verificato nel 1976, ma se non era '76 sarà stato subito prima o subito dopo, insomma quello è il periodo perché Vito Ciancimino che era stato fortemente avversato dalla Corrente Andreottiana quando pose la sua candidatura al sindaco di Palermo fino al punto che gli esponenti andreottiani per la verità insieme con gli esponenti della sinistra, onorevole Nicoletti e onorevole Alessi, avevano votato contro in Consiglio Comunale gradualmente si era riavvicinato all'onorevole Lima, aveva cercato di ricomporre i suoi rapporti con l'onorevole Lima e nel '76 l'onorevole Lima era arrivato alla conclusione che si potesse realizzare un accordo anche con Ciancimino, il rapporto soprattutto a vicenda interna del partito, maggioranze che si componevano e si scomponevano all'interno del Comitato Provinciale. Un giorno mi avvertì che Ciancimino il quale per...

PRESIDENTE: Chi l'avvertì?

D’ACQUISTO M.: Lima. Avvertì me che questo ingresso diciamo di Ciancimino sia pure con un suo gruppo autonomo all'interno della Corrente Andreottiana si verificava senza condizioni, senza contropartite diciamo, tuttavia Ciancimino chiedeva l'assenso del capo corrente perché altrimenti sosteneva la cosa non avrebbe avuto senso. E allora Lima mi disse "Se vuoi venire anche tu cerchiamo di procurare un incontro di Ciancimino con Andreotti in modo che prende atto di questa situazione che si è venuta a verificare in Sicilia". E così ci fu questo incontro con l'onorevole Andreotti e non mi ricordo se ci fosse anche l'onorevole Matta credo...

PRESIDENTE: Dove a Roma?

D’ACQUISTO M.: A Roma si.

P.M: Dove scusi?

PRESIDENTE: A Roma.

D’ACQUISTO M.: Mi pare di ricordare al Palazzo Chigi però non ne sono sicuro perché questo particolare dove fossimo mi sfugge, ma credo... comunque in un ufficio nel quale l'onorevole Andreotti aveva in quel momento una carica significativa, adesso non mi ricordo se fosse già Presidente del Consiglio o meno. L'incontro fu abbastanza rapido e Lima espose questa conclusione alla quale era arrivato, sostenne l'opportunità di sanare diciamo questa vecchia frattura con Ciancimino e di accoglierlo nella corrente, l'onorevole Andreotti praticamente ne prese atto sostanzialmente facendo capire, dicendo "Se siete d'accordo voi va bene anche per me, ecco". In quella occasione Ciancimino che si proclamava vittima di una macchinazione politica ai suoi danni consegnò anche al Presidente Andreotti un ampio promemoria nel quale esponeva tutte le sue ragioni e chiariva i motivi per cui a suo dire sarebbe stato vittima di un'aggressione appunto di matrice politica, l'onorevole Andreotti si limitò (…) a farsi lasciare questo promemoria e poi non so se la cosa abbia avuto uno sviluppo o meno anche perché io andai via e Ciancimino restò con Lima e con Evangelisti, ma non so se abbiamo avuto poi tra di loro un ulteriore incontro, un ulteriore colloquio sull'argomento.

P.M: Onorevole ma abbiamo detto 1976...

D’ACQUISTO M.: Mi pare di si.

P.M: In effetti per ravvivare la sua memoria le ha dichiarato "Ciancimino aderì alla Corrente Andreottiana nel 1976". (…) E l'incontro avvenne nel '76 e a Palazzo Chigi. Fatte queste puntualizzazioni alla data del 1976 il nome di Ciancimino era un nome diciamo così che scottava perché la Commissione Parlamentare Anti-mafia aveva accesso i riflettori su questo personaggio e vi erano centinaia e centinaia di atti che lo riguardavano. Ecco, vi poneste il problema di fare entrare nella Corrente Andreottiana a Palermo un personaggio che dinanzi all'opinione pubblica anti-mafia veniva presentato in quel momento con personaggio colluso vicino con la mafia? Questa è la domanda.

D’ACQUISTO M.: Si. Ho implicitamente risposto; Ciancimino sosteneva con grande forza la sua completa estraneità alle accuse che gli venivano rivolte, non mi ricordo se le accuse contro Ciancimino fossero contenute nella relazione di maggioranza o di minoranza dell'anti-mafia e quindi in pratica assumeva questa posizione "Io sono vittima di un processo politico, di un'accusa politica, di una mistificazione politica anzi il motivo per cui io mi rivolgo all'onorevole Andreotti e gli consegno questo promemoria è proprio per essere tutelato in una situazione nella quale si scagliano contro di me solo perché io sono un democristiano anti-comunista etc... etc..." E quindi sulla posizione di Ciancimino e sul suo ruolo all'interno della vita siciliana c'era questa posizione duplice, ecco da un canto una sua difesa accanita, netta e proclamata diciamo e dall'altro lato un'accusa che per la verità proveniva soprattutto dai partiti di sinistra.

(…)

D’ACQUISTO M.: Nel '76 per ragioni relative alla maggioranza che si profilava all'interno del Comitato Provinciale, cioè per ragioni tattiche legate alla situazione del Comitato Provinciale di Palermo si ritenne di ridurre questo contrasto con Ciancimino (…) di superare (…) questa frattura ritenendo anche... questa è stata la "giustificazione politica" che mentre non era assolutamente opportuno che facesse il sindaco di Palermo per lo spessore istituzionale di questa carica che venisse a far parte di una corrente dove c'erano tanti altri e alla fine poteva essere consentita. Questa è stata la giustificazione...

(…)

AVV.COPPI: Senta, lei questa mattina (…) ha ricordato un incontro a Palazzo Chigi nel quale si discusse dell'ingresso di Ciancimino nella corrente andreottiana. Ha anche ricordato che in quella occasione il Ciancimino si difese contro le accuse che gli venivano mosse. Di fronte a questa autodifesa di Ciancimino lei ricorda quale fu l'atteggiamento del Senatore Andreotti, se il Senatore Andreotti delegò qualcuno per lo studio e la risoluzione di questo problema?

D’ACQUISTO M.: Per quello che io ricordo, l'Onorevole Andreotti si limitò a prendere atto di questa dichiarazione di Ciancimino molto appassionata, nella quale lo stesso Ciancimino faceva riferimento appunto alla sua posizione di vittima di un complotto politico. Prese atto di quello che Ciancimino gli diceva e gli disse che avrebbe esaminato questo dossier e avrebbe cercato di accertare come stavano le cose. Poi, se a questo incontro (…) abbia avuto seguito o meno, non lo so.

AVV.COPPI: Non ricorda se l'Onorevole Andreotti, facendo seguito a quello che lei ha appena ricordato di dire, abbia poi specificatamente avvisato all'Onorevole Lima l'approfondimento della questione?

D’ACQUISTO M.: No, non lo so questo.

AVV.COPPI: Soltanto per riferirmi a una dichiarazione che lei ha già reso allo scopo proprio soltanto di rinfrescare la sua memoria. Con riferimento proprio al problema della confluenza di Ciancimino del suo gruppo e in relazione della personalità ...

PRESIDENTE: Che dichiarazione è?

AVV.COPPI: Si tratta della dichiarazione resa al Pubblico Ministero il 19 luglio dell'anno passato, 1995. Quindi la domanda era questa, Andreotti eccepì qualcosa su questa confluenza di Ciancimino nel suo gruppo in considerazione della personalità già allora molto discussa dello stesso Ciancimino, lei rispose allora:-"Affidò la valutazione del caso a Lima di cui si fidava ciecamente, e Lima insistette perché la operazione andasse in porto". E' in grado adesso di ricordare?

D’ACQUISTO M.: Sì, ribadisco quello che allora dissi, ma mi riferivo in quella occasione al significato politico dell'ingresso di Ciancimino, cioè rimise la decisione politica sulla opportunità a Lima. Non mi riferivo al dossier che invece conteneva una difesa specifica articolata e che non so se sia stato poi esaminato, approfondito o meno.

AVV.COPPI: Comunque vi fu una valutazione sulla opportunità politica o meno dell'ingresso di Ciancimino nella corrente?

D’ACQUISTO M.: la valutazione l'aveva fatta Lima in buona sostanza, e l'Onorevole Andreotti ne prese atto, assentì, ecco.

AVV.COPPI: Senta, lei ricorda in particolare quali furono, anche qui c'è stato un accenno questa mattina, ma se è possibile un ulteriore approfondimento, lei ricorda delle ragioni in particolare che Lima addusse per giustificare la opportunità di questa operazione? Lei questa mattina ha fatto riferimento a problemi di equilibri, di correnti etc. ... Ma potrebbe essere ancora più preciso sul punto? Ricorda qualche cosa di ...

PRESIDENTE: Ha parlato di tattica questa mattina.

D’ACQUISTO M.: Sì, erano problemi soprattutto attinenti alla maggioranza in seno al Comitato Provinciale.

AVV.COPPI: E che cosa avrebbe comportato quindi l'ingresso di Ciancimino?

D’ACQUISTO M.: Una rottura con Ciancimino e una ulteriore rottura con Ciancimino diciamo, perché già era avvenuta, avrebbe comportato il pericolo di andare in minoranza e quindi di perdere la direzione del partito, la direzione provinciale

PRESIDENTE: A livello provinciale?

D’ACQUISTO M.: A livello provinciale.

In seguito, il Ciancimino riferì di avere incontrato il sen. Andreotti anche a Gioacchino Pennino, specificando di ritenere inaffidabile l’on. Lima e di considerare il sen. Andreotti un "grande garante".

All’udienza del 15 dicembre 1995 il Pennino ha così ricostruito l’inizio dei suoi rapporti con il Ciancimino e quanto riferitogli da quest’ultimo in merito all’incontro con il sen. Andreotti:

P.M. SCARP.: (…) Lei ha conosciuto VITO CIANCIMINO e se sì, quali sono stati i suoi rapporti con lui?

PENNINO G.: io ho conosciuto VITO CIANCIMINO, conoscevo VITO CIANCIMINO di vista, quando lui gravitava nella corrente fanfaniana. L'ho avuto presentato personalmente nel 1970 in occasione che lui era candidato alle elezioni comunali e mi venne presentato da due amici miei. Uno defunto che è il Dottor LO FORTE (…) segretario (…) provinciale della Democrazia Cristiana, e un altro, l'Avvocato NATALE MESSINA. (…) Me lo ebbero a presentare in quell'occasione, perché lui mi aveva voluto conoscere per avere un aiuto elettorale. In quell'occasione io non glielo potei dare perché avevo impegno con i sindacalisti. Però consigliai a SALVATORE BRONTE che mi aveva chiesto lo stesso aiuto e che io non gli potei dare per quel mio impegno, (…) e invitai lo stesso BRONTE a fornire aiuto al predetto CIANCIMINO. Tant'è che, successivamente, quanto BRONTE si ripresentò alle elezioni comunali del '75 e il CIANCIMINO non fu messo in lista, il CIANCIMINO collaborò in maniera fattiva insieme a me all'elezione del BRONTE che ebbe (…) un buon successo. Lo stesso BRONTE faceva parte della corrente fanfaniana e poi transitò al seguito di CIANCIMINO nel gruppo autonomo e nelle varie escursioni successive. Quindi io l'ho conosciuto in quell'occasione, però avevo intravisto il suo attivismo nel partito nella corrente fanfaniana. Lo stesso CIANCIMINO non transitò in altre correnti nell'anno 1968, ma rimase al seguito (…) dei fanfaniani. Soltanto nel 1975 poiché non fu messo in lista perché allora erano venuti fuori i verbali della Commissione Antimafia (…) che lo compromettevano molto, la Democrazia Cristiana in quell'occasione ebbe a dire ufficialmente che non si riproponevano coloro che (…) erano stati eletti per tre volte. Ma lo scopo non era quello. Lo scopo era quello di non mettere CIANCIMINO in lista. CIANCIMINO costituì un suo gruppo, contribuì all'elezione di sette candidati comunali e di due consiglieri provinciali.

PRESIDENTE: quindi siamo nel '75?

PENNINO G.: '75, '75. E, successivamente, distaccò le sue posizioni dai fanfaniani, passando in autonomia. Cosicché in quell'epoca noi avevamo, oltre alle correnti che avevano referenti nazionali, quali quelle dell'On. NICOLETTI, quella del... che poi è quella dell'On. LIMA, quella dell'On. FANFANI. Nel frattempo c'erano pure i dorotei, altre correnti piccole che io non rammento con esattezza. C'era questo gruppo autonomo che pur avendo una grossa rappresentanza nel partito locale, parliamo di PALERMO, come iscritti e numerosi e numerosi consiglieri comunali e consiglieri provinciali, aveva una sua collocazione autonoma. Tant'è che non entrò nelle determinazioni degli assessorati in un primo tempo. Poi mi fu riferito, successivamente, ed ebbi cognizione anche all'epoca, non (…) facendo parte ancora del loro gruppo, che (…) il VITO CIANCIMINO, per entrare nel potere comunale e provinciale, faceva parte del partito in quanto, se non rammento male era dirigente degli Enti Locali, ebbe ad avere (…) un incontro con l'On. ANDREOTTI, presumo a Roma, perché, successivamente infatti me lo raccontò lo stesso CIANCIMINO, per lui LIMA in quell'epoca non era affidabile, in quanto era stato colui che aveva rovinato tutti perché uscendo dal correntone di FANFANI, aveva frazionato quel gruppo. Di conseguenza non intercorrevano rapporti, erano quasi, quasi in conflittualità. Dopo l'incontro con l'On. ANDREOTTI, che garantì di questo accordo, anche se ancora il CIANCIMINO non aveva aderito alle posizioni dell'On. ANDREOTTI nel gruppo di LIMA, questo si verifica nell'80, ebbe le garanzie romane di poter operare come gruppo autonomo, tant'è che inserì due suoi uomini che, se non rammento male, nell'amministrazione provinciale. E cominciò a entrare nella gestione del potere. Gestione del potere, di concerto con LIMA, di concerto con GIOIA e i suoi rappresentanti, di concerto con NICOLETTI, nel frattempo credo che ci fosse stato il gruppo di PIERSANTI MATTARELLA, e dei dorotei e così via. Perché lui riteneva ANDREOTTI una persona degna, degnissima, di stima e un grande garante. Questo ne posso dare atto perché sono parole esternatemi dal CIANCIMINO, nell'anno successivo.

PRESIDENTE: di un grande?

PENNINO G.: di un grande... di grande stima.

PRESIDENTE: e poi aveva aggiunto un'altra parola (…).

PENNINO G.: garante (…). Garante degli accordi, ecco.

Il Pennino ha precisato di essere entrato a far parte del gruppo capeggiato dal Ciancimino nel 1977, in quanto Salvatore Bronte gli propose di assumere l’incarico di Presidente della Cassa di Soccorso e Malattia per i dipendenti dell'A.M.A.T..

Al riguardo, il collaborante ha aggiunto di avere accettato l’invito e di essersi recato quindi a conferire con il Ciancimino, il quale gli comunicò che avrebbe dovuto parlarne con l’on. Lima per chiedergli il suo assenso. In seguito il Ciancimino riferì al Pennino di avere ricevuto l’assenso dell’on. Lima, il quale si era mostrato "felicissimo" per il riavvicinamento del Pennino "alle posizioni del partito". Il Pennino ricevette quindi il predetto incarico.

Dagli elementi di convincimento raccolti emergono altri contatti tra il sen. Andreotti ed il Ciancimino, realizzatisi negli anni 1978 e 1979.

In particolare, nel 1978 si svolse un ulteriore incontro tra il sen. Andreotti ed il Ciancimino, come si evince dal contenuto delle rispettive agende dell’imputato e della sua segretaria, le cui copie sono state acquisite al fascicolo per il dibattimento (doc. n. 21).

Precisamente, nell’agenda del 1978 del sen. Andreotti, alla data del 20 settembre, si rinviene l’annotazione: "12 ¾ CIANC.".

Nell’agenda della sua segretaria, sempre in relazione alla data del 20 settembre 1978, si riscontra l’annotazione: "12.45 dott. Ciancimino".

A conclusione della campagna elettorale per le elezioni europee del 1979, il 7 giugno 1979 il sen. Andreotti tenne, presso il cinema Nazionale di Palermo, un discorso di sostegno alla candidatura dell’on. Lima.

Dalla documentazione fotografica acquisita e dalla deposizione resa all’udienza del 20 giugno 1996 dal teste on. Attilio Ruffini (il quale ha riconosciuto diverse persone effigiate nelle fotografie) si evince che al comizio era presente, tra gli altri, Vito Ciancimino.

Il Ciancimino si trovava sul palco, vicino al sen. Andreotti, ed esprimeva il proprio consenso al discorso del Presidente del Consiglio sorridendo e plaudendo alle sue parole (v. documento n. 137). In proposito, il giornalista Antonio Calabrò, nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 21 novembre 1996, ha riferito: "la cosa che ci colpì tutti quanti non era tanto il tipo di discorsi perché poi in campagna elettorale i discorsi sono sempre quelli, ci colpì una presenza, che era quella… sul palco, alle spalle di Andreotti, (…) di Vito Ciancimino. Perché ci aveva colpito? Perché il processo di rinnovamento (…) aveva avuto come cardine l'allontanamento di Ciancimino da una serie di responsabilità e di rapporti politici e la corrente che più insistentemente aveva lavorato per la emarginazione di Ciancimino era quella dell'onorevole Lima. Con grande sorpresa, dunque, prendemmo atto che c'era Ciancimino, e leggemmo questo come una sorta di ricomposizione degli equilibri all'interno della D.C.. Volendo dirla molto più malignamente, anche una conseguenza dell'omicidio Reina. (…) Comunque quello che mi colpì moltissimo era la presenza di Ciancimino e mi ricordo che nel pezzo che scrissi questo era l'elemento politico fondamentale. La presenza di Andreotti a Palermo, in appoggio del Lima e la presenza di Ciancimino".

Il rilevante ruolo politico acquisito dal Ciancimino nel periodo in esame non era sfuggito al Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, il quale – come si desume dalla deposizione testimoniale resa dal fratello on. Sergio Mattarella – alla fine del 1979 aveva deciso di chiedere al Segretario nazionale del partito, on. Zaccagnini, il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana, sia in quanto aveva notato che il partito perdeva i rapporti con gli ambienti migliori del suo retroterra (segnatamente, con il mondo cattolico e con il mondo professionale), sia perché aveva visto "ritornare con forte influenza Ciancimino", sia perché era convinto che nella posizione dell’on. Lima vi fossero "rapporti con ambienti mafiosi".

In quel periodo il Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana era dominato dall’on. Lima, il quale, pur non avendo la maggioranza assoluta, disponeva del pieno controllo del partito in virtù dell’intreccio di relazioni con gli altri gruppi. Il segretario Provinciale del partito era il Graffagnini, vicino all’on. Lima.

Piersanti Mattarella aveva potuto assumere una simile decisione in virtù sia del modo in cui aveva esercitato le sue funzioni di Presidente della Regione Siciliana, sia del suo accresciuto "peso" politico a livello nazionale. Si prevedeva che nel Congresso Nazionale del febbraio 1980 avrebbe prevalso, all’interno della Democrazia Cristiana, la Sinistra, vi sarebbe stata un’accentuazione della politica di rinnovamento, e Piersanti Mattarella avrebbe potuto divenire Vice Segretario nazionale del partito (v. la testimonianza dell’on. Sergio Mattarella).

Dalla deposizione del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino si desume, comunque, che nel periodo compreso tra il 1977 e l’inizio del 1980 all’interno del gruppo facente capo al Ciancimino si discusse in ordine alla possibilità di aderire alla corrente "Forze Nuove", guidata dall’on. Donat Cattin. A questo scopo venne inviata a Roma, per avere un colloquio con il predetto esponente politico, una delegazione composta dal deputato regionale Francesco Paolo Mazzara e dal consigliere provinciale Francesco Abate. Questi ultimi in seguito comunicarono "che DONAT CATTIN sarebbe stato felice ed era pronto ad inglobare i predetti nella sua corrente purché il CIANCIMINO non ne facesse parte ufficialmente, perché lo riteneva compromesso, in quanto era venuto fuori il suo nome nella prima commissione indagini sui problemi della mafia".

Mentre era in corso la discussione relativa al passaggio da una collocazione autonoma all’inserimento in una corrente con rilievo nazionale, il Pennino fu convocato dal "rappresentante" della sua "famiglia", Giuseppe Di Maggio, il quale gli disse: "sai tu avresti niente in contrario se qualora nella riunione che terrete a casa di CIANCIMINO, in cui si dovrà decidere l'adesione ad una corrente di aderire alla corrente di ANDREOTTI?", ad aggiunse: "sarà fatta questa proposta, tu che ne pensi?". Il Pennino rispose che era d’accordo in quanto era convinto che anche gli altri componenti del gruppo avrebbero accettato questa proposta, perché erano interessati a disporre di un referente nazionale valido e stimato, ed avevano avuto l’impressione – anche sulla base dei colloqui intercorsi in occasione del comizio tenuto dal sen. Andreotti a Palermo in occasione delle elezioni europee del 1979 – che il sen. Andreotti fosse "una persona altamente affidabile e di grande garanzia".

Il Pennino, per recarsi alla riunione dove avrebbe dovuto essere presa la suddetta decisione, accettò il passaggio offertogli dal Ciancimino, il quale, in questa circostanza, gli disse: "guarda, io farò la proposta di aderire alla corrente ANDREOTTI, tu hai niente in contrario?". Il Pennino rispose di non avere nulla in contrario, ed il Ciancimino replicò: "perché sai, nel caso in cui dovessimo aderire alla corrente di DONAT CATTIN io non posso più operare nel partito e non mi sembra giusto, né corretto che io debba essere sempre un capro espiatorio di tutti; mentre nel caso di ANDREOTTI io lo conosco da tanto tempo, io lo conosco perché ho avuto incontro e a suo tempo garantii le mie posizioni nell'amministrazione comunale e provinciale rispetto a LIMA, io posso dire che è una persona seria e che offre maggiori garanzie". Il Pennino gli espresse il proprio consenso a questa proposta.

Nella susseguente riunione, svoltasi all’inizio del 1980, il Ciancimino formulò la proposta di aderire alla corrente andreottiana, che fu accolta all’unanimità.

Conseguentemente, il gruppo facente capo al Ciancimino si inserì nella corrente andreottiana.

Le dichiarazioni rese sull’argomento dal predetto collaborante sono di seguito trascritte:

PENNINO G.: comincio a frequentare la casa CIANCIMINO perché le riunioni dei consiglieri comunali, provinciali e del consigliere regionale FRANCESCO MAZZARA, dei segretari di sezione e di alcuni componenti del consiglio di amministrazione rammento un certo COMMIGLIANI e DIELI, si tenevano a casa del CIANCIMINO, dove io ero deluso, molto deluso in quanto lungi di parlare di proposte sociali, di proposte politicamente valide, si parlava di, lui dettava delle disposizioni su problemi di potere locale ai vari consiglieri comunali e rappresentanti, ed ero molto deluso. Andando avanti in queste riunioni insieme a me c'erano anche altri professionisti, alcuni medici, alcune persone responsabili che non potevano accettare un'attività politica di tale entità, molto riprovevole. E allora nelle varie riunioni si decise di trovare una collocazione in una corrente che avesse una diramazione nazionale e un garante nazionale. La prima decisione fu quella che una delegazione, che fu scelta dalle persone dei due medici: FRANCESCO PAOLO MAZZARA e FRANCESCO ABATE, che erano l'uno consigliere regionale e l'altro consigliere provinciale, a nome di tutto il gruppo dovevano andare a Roma per avere un colloquio con DONAT CATTIN per vedere se tutto il gruppo poteva e voleva essere inglobato nella corrente di forze nuove e quindi garantito dallo stesso. Vennero a riferire gli stessi che DONAT CATTIN sarebbe stato felice ed era pronto ad inglobare i predetti nella sua corrente purché il CIANCIMINO non ne facesse parte ufficialmente, perché lo riteneva compromesso, in quanto era venuto fuori il suo nome nella prima commissione indagini sui problemi della mafia. Proprio in quel tempo, mentre si doveva fare la riunione per decidere il passaggio dalla posizione autonoma a quella correntizia, io fui chiamato dal mio capo rappresentante in quanto già ero stato, almeno da un tre anni, due anni, tre anni, affiliato a "COSA NOSTRA", esattamente a GIUSEPPE DI MAGGIO. Il quale non faceva politica e mi ebbe a dire: "sai tu avresti niente in contrario se qualora nella riunione che terrete a casa di CIANCIMINO, in cui si dovrà decidere l'adesione ad una corrente di aderire alla corrente di ANDREOTTI? Il fatto mi stranizzò, prima perché il mio rappresentante non si occupava di politica, se non la faceva per quello che richiedevo io.

PRESIDENTE: vuole ripetere? Il suo rappresentante?

PENNINO G.: non faceva politica, in quanto l'aveva fatto soltanto prima che io fossi addirittura combinato per un mio amico, SALVATORE BRONTE e come partecipazione alla mia richiesta e poi avevo visto che non s'interessava di politica, secondo perché non conosceva il CIANCIMINO all'epoca, in quanto e questo l'ho potuto anche verificare successivamente, mi stranizzai, mi disse: "sarà fatta questa proposta, tu che ne pensi?" Io dissi che ero d'accordo in quanto sapevo, ero convinto che anche gli altri componenti del gruppo avrebbero accettato questa proposta. Perché l'interesse loro era: prima quello di avere un referente nazionale, secondo di avere un referente valido e stimato. E siccome nei discorsi intercorsi, poiché il senatore ANDREOTTI era venuto a PALERMO nel '79, aveva partecipato a delle riunioni in ricorrenza delle elezioni europee, il cui candidato era l'onorevole LIMA, ed era andato a, fu invitato alla "ZAGARELLA", io ero stato pure invitato alla "ZAGARELLA" ma non ero potuto andare, discutendo con gli altri, avevano avuto l'impressione, dai colloqui intercorsi dal comizio fatto da ANDREOTTI e per quello che lui rappresentava nel governo, di una persona altamente affidabile e di grande garanzia. Quindi ero certo che anche gli altri, una proposta del genere avrebbero...

PRESIDENTE: ma voi scusi, non ho capito bene, voi non eravate aderenti alla corrente di DONAT CATTIN?

PENNINO G.: no.

PRESIDENTE: ancora non l'avevate deciso?

PENNINO G.: no, bisognava decidere se aderire alla corrente di DONAT CATTIN o ad altre correnti, però la proposta veniva dai due, dal duo ABATE-MAZZARA perché avevano avuto la disponibilità di DONAT CATTIN e veniva preclusa sola (…) a CIANCIMINO la partecipazione ufficiale. Io non mi… faccio presente che il CIANCIMINO allora era dirigente degli locali al partito, quindi in quel caso doveva anche dimettersi e andarsene, farsi l'imprenditore, curare le sue cose. Ah, a questo punto… io anche pensando a questo mi reco alla riunione e (…) mi sono rammentato anche di un particolare che prima non avevo citato. Proprio in quella occasione mi ebbe a dare un passaggio il CIANCIMINO e mi disse: "guarda, io farò la proposta di aderire alla CORRENTE ANDREOTTI, tu hai niente in contrario?" Io dissi: "io non ho nulla in contrario. Perché sai, nel caso in cui dovessimo aderire alla corrente di DONAT CATTIN io non posso più operare nel partito e non mi sembra giusto, né corretto che io debba essere sempre un capro espiatorio di tutti; mentre nel caso di ANDREOTTI io lo conosco da tanto tempo, io lo conosco perché ho avuto incontro e a suo tempo garantii le mie posizioni nell'amministrazione comunale e provinciale rispetto a LIMA, io posso dire che è una persona seria e che offre maggiori garanzie", dissi: "guarda, a me non interessa, io non ho interesse di fare attivismo nel partito, sono qua voglio collaborare in tutti i sensi, formula la proposta e io sono con te". E lui formulò la proposta e fu accettata da tutti.

PRESIDENTE: Quindi in che anno siamo?

PENNINO G.: inizio 1980.

PRESIDENTE: '80, prego.

PENNINO G.: inizio 1980 e il gruppo di CIANCIMINO transitò con LIMA negli andreottiani, tant'è che alle successive elezioni che si svolsero, comunali e provinciali, si svolsero dopo qualche mese, CIANCIMINO mise nella corrente andreottiana alcuni suoi uomini, se non rammento male, sette nel consiglio comunale e tre nel consiglio provinciale, come andreottiano, come andreottiano.

Le predette dichiarazioni del Pennino, intrinsecamente attendibili per la loro precisione e coerenza logica, trovano una puntuale conferma estrinseca per quanto attiene ai rapporti intercorsi tra il gruppo capeggiato dal Ciancimino e la corrente andreottiana.

Infatti dalla deposizione resa dall’on. Sergio Mattarella all’udienza dell’11 luglio 1996 si evince che in occasione del Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, svoltosi a Roma dal 15 al 20 febbraio 1980, il gruppo facente capo al Ciancimino passò da una posizione di autonoma collaborazione con la corrente andreottiana ad un formale inserimento nella stessa corrente; in particolare, il Ciancimino partecipò al congresso come delegato del gruppo che faceva riferimento all’on. Lima.

Sul punto, l’on. Sergio Mattarella ha dichiarato quanto segue:

P.M.: Lei poco fa ha fatto cenno a Ciancimino. Lei sa se Vito Ciancimino ha aderito e in caso affermativo per quale periodo alla corrente andreottiana?

MATTARELLA S.: Ciancimino è stato a lungo fanfaniano, poi si rese autonomo, se non ricordo male questo avvenne quando... intorno alla seconda metà degli anni '70, quando Gioia passò in minoranza poi nel partito con un gruppo autonomo che aveva con quello di Lima un rapporto di collaborazione. In un primo momento io ho detto qualche volta un rapporto come federato ma era un gruppo autonomo. Si collocò formalmente con il gruppo di Lima per il Congresso Nazionale dell'80 in cui partecipò come delegato della corrente del gruppo di Lima, ma parleremo della corrente andreottiana.

L’on. Mattarella ha specificato che nel congresso del 1980 la corrente andreottiana e la sinistra rimasero in minoranza, mentre prevalse uno schieramento formato dalle corrente dorotea, dalla corrente fanfaniana, dai centristi e dal gruppo facente capo al sen. Donat Cattin; le componenti di questo schieramento sottoscrissero il "Preambolo" che poneva una preclusione a qualsiasi rapporto con il Partito Comunista Italiano.

L’intesa del Ciancimino con la corrente andreottiana si interruppe poco tempo dopo.

In proposito, il collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino ha precisato che intorno alla fine del 1981, il Ciancimino, nel corso di una riunione organizzata presso la sua villa sita a Mondello, comunicò di avere deciso di interrompere i rapporti con la corrente andreottiana e con l’on. Lima, e di ritornare in una posizione di autonomia.

Il Pennino espresse il proprio dissenso da questa decisione prima a Giuseppe Di Maggio e poi a Michele Greco. A seguito del colloquio con Michele Greco, il Pennino venne condotto da Vincenzo Savoca in un magazzino sito in territorio di Bagheria, dove incontrò il noto boss mafioso corleonese Bernardo Provenzano, il quale gli intimò di restare con il Ciancimino e di non fomentare alcuna ribellione all’interno del gruppo facente capo a quest’ultimo.

Le sopra riassunte dichiarazioni del Pennino sono di seguito riportate:

PENNINO G.: Successivamente verso la fine del 1981 il predetto comunicò in una riunione, che questa volta non si svolse a casa sua ma fu alla villa di MONDELLO che aveva deciso d'interrompere i rapporti con ...

PRESIDENTE: la villa di MONDELLO sempre di CIANCIMINO?

PENNINO G.: sempre di CIANCIMINO. I rapporti con il gruppo andreottiano e anche con LIMA e di ripassare in autonomia. La maggior parte di noi si guardò in maniera strana. Mentre prima aveva fatto finta, mi scusi, di accettare una dichiarazione democratica, un momento poi d'amblé, fece questa dichiarazione. Io per quello che era la mia parte non accettavo di ritornare in una situazione oltremodo opprimente, senza un garante, senza una proposta politica socialmente valida, senza che venissero affrontate le nostre tematiche (…). Per cui ritornai al GIUSEPPE DI MAGGIO, il quale mi aveva dato quell'indicazione, questa volta lo trovai titubante, quasi riluttante. Mi disse che gli aveva... stata male, non si voleva occupare; capii che nell'ambito dell'organizzazione la sua persona cominciava ad avere...

PRESIDENTE: organizzazione criminale.

PENNINO G.: criminale, cominciava ad avere delle difficoltà. Premetto, che fra l'altro, io avevo accompagnato, mentre ero andreottiano in quell'epoca, dopo l'indicazione che lui mi aveva dato, tanto il DI MAGGIO quanto il MICHELE GRECO, che tutti e due mi avevano dichiarato che non conoscevano il CIANCIMINO proprio a causa del CIANCIMINO. Dove il GRECO ebbe a preannunziare che ABATE, GIUSEPPE ABATE gli doveva indire una riunione di alcuni proprietari di pozzi e dove gli ... a richiedere se era possibile coprire il fiume ORETO sui ponti. Cioè a dire da quel tratto che va dalla VIA ORETO al CORSO DEI MILLE, fino alla VIA MESSINA MARINE. CIANCIMINO a quell'epoca rammento che gli rispose che se n'era fatto uno studio, che c'erano pericoli d'inondazione, per cui era difficile ma che se ne sarebbe occupato. Ecco quindi, né il GRECO, né il DI MAGGIO.

PRESIDENTE: GRECO?

PENNINO G.: MICHELE. Né GRECO, né il DI MAGGIO all'epoca del mio, del nostro passaggio nella corrente andreottiana conoscevano il CIANCIMINO. Perché io poi, successivamente nel corso di quell'anno glieli ebbi a portare a casa, glieli ebbi a presentare. Quindi anche in rapporto alla nuova conoscenza che si era realizzata io andai da DI MAGGIO, e DI MAGGIO praticamente mi aprì le braccia e allora io andai da MICHELE GRECO il quale, onor del vero, mi ascoltò. Dissi che la situazione in cui mi trovavo non mi garbava, che avevo accettato l'indicazione di DI MAGGIO prima di andare alla corrente andreottiana che mi stava bene, però non desideravo fare politica in quella... "Vediamo ti darò una risposta". Tant'è che mi mandò al mio studio un mio coassociato SAVOCA VINCENZO, SAVOCA ENZO DETTO "'U SIDDIATO", il quale mi disse che l'indomani sarebbe venuto a prendere per portarmi in un posto, non mi preannunciò dove. Mi venne a prendere con una macchina di piccola cilindrata e mi porto nel territorio di BAGHERIA. Cerco di essere prolisso, di essere prolisso e non dilungarmi nei particolari.

PRESIDENTE: no sintetico allora vuole dire.

PENNINO G.: ecco, quindi sono andato in un magazzino, sito alla fine del tratto che collega BAGHERIA al..., all'ASPRA e sulla sinistra ebbi ad incontrare una persona che mi fu presentata come PROVENZANO BINO o il "RAGIONIERE". Questa persona a cui io cominciai ad illustrare la mia situazione, m'interruppe in maniera, oserei dire molto sgarbata e arrogante, dicendomi che dovevo stare al mio posto, che non dovevo sobillare gli altri, che la situazione stava bene, quindi che non se ne parlava neanche e di non fomentare alcuna ribellione nel gruppo di CIANCIMINO. Io ero impaurito me ne andai, anzi mi disse che era stato lui che mi aveva fatto una telefonata anonima, che effettivamente mia moglie aveva ricevuto, minacciando che non dovevo andare a un congresso provinciale, minacciando i miei figli, io pensando allora che si trattasse di un mitomane, avevo detto a mia moglie: "stai tranquilla", e in quell'occasione pensai che era stato proprio il CIANCIMINO ad indurre il PROVENZANO a farmi quella telefonata, perché forse si preoccupava che entrassi nel comitato provinciale, ma non è lungi da me questa aspirazione. Ed io, mi scusi l'espressione volgare, da pauroso qual ero, con la coda si dice "in mezzo alle cosce", me ne andai subendo quella situazione. E dovendo subire di stare con CIANCIMINO.

PRESIDENTE: insomma sostanzialmente PROVENZANO che cosa...

PENNINO G.: mi disse che dovevo stare con CIANCIMINO e che non dovevo assolutamente muovermi da quella collocazione. E quindi io per paura, dato lo spessore criminale del PROVENZANO e dato tutto il resto e data la situazione che si era venuta a creare in "COSA NOSTRA", il mio rappresentante aveva paura, era chiaro che il suo comportamento, il suo tentennamento era perché non aveva più una valenza neanche la nostra "famiglia". Il GRECO mi aveva indirizzato tramite un mio coassociato dal PROVENZANO, quindi io dedussi che meglio che me ne stavo tranquillo perché in quel momento non c'è. D'altronde parlava con tale competenza e con tale padronanza di linguaggio il PROVENZANO che...

PRESIDENTE: senta, lei quando parlò col PROVENZANO sapeva chi fosse il PROVENZANO?

PENNINO G.: ne avevo sentito parlare tanto del PROVENZANO, che era un grosso uomo d'onore di CORLEONE.

P.M. SCARP.: Dottore stava dicendo che PROVENZANO parlava con grossa competenza, in che senso con grossa competenza?

PENNINO G.: con molta competenza dei problemi politici che riguardavano la politica eh. Cioè a dire lui non è che parlava di CIANCIMINO soltanto, parlava con professionalità anche delle situazioni di potere che c'erano, degli andreottiani, del gruppo autonomo, del gruppo doroteo, del gruppo dei mattarelliani, ecco una competenza, aveva, sembrava che avesse addirittura un potere decisionale nella politica di... nella politica di PALERMO, io questo, questa sensazione ho avuto, non rammento i particolari perché ero talmente, fra l'altro adombrato, dal trattamento ricevuto e mortificato che non mi sembrava l'ora di andare via. Allora obtorto collo subii quella situazione almeno fino al 1983, cioé all'epoca in cui si tenne il congresso regionale ad AGRIGENTO, dove il CIANCIMINO non...

PRESIDENTE: quindi si attuò questo distacco della corrente cianciminiana dal gruppo della corrente dell'Onorevole ANDREOTTI.

PENNINO G.: esattamente nel 1981. E quindi lui continuò a fare la sua politica come gruppo autonomo, come era in precedenza quando si era distaccato dai fanfaniani.

L’avvenuto distacco del Ciancimino dalla corrente andreottiana trova puntuale riscontro nella deposizione resa all’udienza dell’11 luglio 1996 dall’on. Sergio Mattarella, il quale ha riferito che nel Congresso Nazionale del 1982 della Democrazia Cristiana il Ciancimino appoggiò, con i propri delegati, la lista capeggiata dall’on. Mazzotta.

Questa separazione dalla corrente andreottiana aveva fatto seguito ad un periodo di forti contrasti tra il Ciancimino e l’on. Lima, i quali, per tentare di superare i loro dissidi, si erano rivolti ad esponenti mafiosi, come si evince dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Francesco Di Carlo.

Nella Sezione II del presente capitolo si è evidenziato che, secondo quanto ha riferito il primo collaborante, nell’estate del 1980 l’on. Lima, incontrando a Roma il Buscetta, si lamentò dei problemi creati dal Ciancimino e delle eccessive pretese di costui, allo scopo di fare comprendere al suo interlocutore "che i Corleonesi gli davano molto fastidio (…), che non lo lasciavano vivere e che questo avveniva attraverso Ciancimino". Dopo l’incontro, Antonino Salvo spiegò al Buscetta: "i Corleonesi fanno la vita impossibile a Lima, attraverso Ciancimino, perché Ciancimino è indomabile ed è appoggiato incondizionatamente dei Corleonesi". L’on. Lima e Antonino Salvo volevano, quindi, avvalersi dell’aiuto del Buscetta nella gestione dei rapporti con i "corleonesi".

Si è già avuto modo di osservare come il contenuto dei predetti colloqui dimostri inequivocabilmente l’inestricabile intreccio venutosi a creare nelle relazioni tra esponenti politici e mafiosi per effetto del rapporto di stabile collaborazione rispettivamente instaurato dal Ciancimino con lo schieramento "corleonese" e dal Lima con lo schieramento contrapposto.

Nella Sezione I del presente capitolo si è rilevato che – secondo le dichiarazioni del Di Carlo - in una riunione tenutasi intorno al Natale del 1979 o del 1980, Antonino Salvo, in presenza di Stefano Bontate, manifestò al Di Carlo il convincimento che sarebbe stata opportuna un’iniziativa di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano diretta a limitare l’influenza di Vito Ciancimino, evidenziò che i rapporti tra quest’ultimo e Salvo Lima erano spesso assai problematici, ed aggiunse: "Ciancimino è una palla al piede per noi, è mal visto sia in politica, nell'ambiente politico, non ha più un elettorato. Noi siamo all'altezza con strade dirette a Roma con qualsiasi corrente", e specificò: "abbiamo le strade di arrivare a Roma di manipolare anche la politica a Roma e ancora (…) ci andiamo a tenere un piccolo assessore, un piccolo consigliere comunale, che poi era ex, e che poi è mal visto sia pubblicamente (…) come opinione pubblica e sia dentro la politica palermitana". Il Di Carlo suggerì ad Antonino Salvo di desistere da simili propositi. Nella stessa occasione, Antonino Salvo riferì al Di Carlo che in precedenza i "corleonesi" tramite i Greco gli avevano chiesto di adoperarsi perché il Ciancimino fosse ricevuto dall’on. Andreotti così da recuperare la propria immagine e da inserirsi nella corrente andreottiana. Antonino Salvo aveva promesso che si sarebbe recato, insieme all’on. Lima, ad incontrare l’on. Andreotti per cercare di conseguire il risultato richiesto.

In seguito il Di Carlo apprese da Stefano Bontate, da Salvatore Greco e da Antonino Salvo che l'on. Andreotti aveva rifiutato di ricevere il Ciancimino ed aveva sconsigliato un avvicinamento di quest’ultimo alla sua corrente.

Il Di Carlo ha aggiunto che in epoca successiva al 2 febbraio 1980 si recò, insieme ad Antonio Ferro e a Carmelo Colletti, presso l’abitazione di Antonino Salvo, sita a Palermo in Via Ariosto n. 12. In questa circostanza Antonino Salvo chiese nuovamente al Di Carlo di esercitare pressioni sul Provenzano e sul Riina per indurli a convincere il Ciancimino a non provocare le situazioni che venivano a crearsi costantemente nella politica palermitana.

La circostanza che il Ciancimino si avvalesse dell’intervento dei vertici dello schieramento corleonese di "Cosa Nostra" per appianare i propri contrasti con l’on. Lima è stata affermata anche da Giovanni Brusca nelle dichiarazioni rese all’udienza del 29 luglio 1997 (già menzionate nella Sezione II del presente capitolo).

Assai singolare risulta la successiva evoluzione dei rapporti tra il Ciancimino e la corrente andreottiana.

In occasione del Congresso Regionale di Agrigento della Democrazia Cristiana, svoltosi nel 1983, il Segretario Nazionale del partito, on. De Mita, espresse chiaramente la necessità di allontanare il Ciancimino.

In proposito, il teste on. Giuseppe Campione (il quale fu eletto segretario regionale della Democrazia Cristiana proprio nel Congresso di Agrigento), escusso all’udienza del 17 luglio 1996, ha dichiarato che l’on. De Mita manifestò l’esigenza che il Ciancimino non potesse più trovare spazio all’interno del partito in Sicilia. In prossimità del Congresso di Agrigento, Sergio Mattarella pose la condizione che venissero presentate liste separate, invece di una lista unica. Questa condizione fu accettata dall’on. Gullotti. L’on. Lima, preoccupato per le pressioni che il Ciancimino avrebbe esercitato su di lui per essere inserito nella sua lista, cercò invano di ottenere un rinvio del congresso. Inoltre, l’on. Lima si adoperò perché venisse ridotto il quorum previsto per l’elezione dei rappresentanti; se ciò fosse avvenuto, il Ciancimino avrebbe potuto ottenere l’elezione di persone inserite in una lista da lui presentata.

Le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Campione sono di seguito trascritte:

CAMPIONE G.: (…) a Roma si discuteva di questo congresso, si sapeva che bisognava comunque dare intanto un tono alto al congresso, bisognava dimostrare che realmente si voleva fare questa azione di rinnovamento, per esempio lasciando fuori Ciancimino.

P.M.: Ecco, mi scusi se la interrompo, perché siamo oltre, il problema Ciancimino fu trattato perché vi fu un input dalla segreteria o venne trattato perché ci fu una discussione alla base?

CAMPIONE G.: Io credo che ci siano stati alcuni esponenti siciliani che abbiano pensato realmente che questa cosa non era più sostenibile. De Mita questo lo pensò in maniera forte e disse chiaro che il congresso deve significare questo, perché se no restiamo sul piano delle parole.

P.M.: Scusi, disse che bisognava definire il problema Ciancimino, per essere chiari?

CAMPIONE G.: Sì, disse che bisognava fare in modo che questo discorso, questa presenza si allontanasse dalla democrazia cristiana e che quindi questa presenza non potesse più trovare spazio all'interno della democrazia cristiana in Sicilia.

P.M.: E che cosa successe intorno a questo caso Ciancimino?

CAMPIONE G.: Ecco, di fronte a questo caso, devo dire io non partecipai a queste riunioni perché in quel momento io stavo studiano i termini di una piattaforma programmatica, (…) mentre io preparavo questa piattaforma, gli altri discutevano di questi fatti. In questa discussione aveva dato per acquisito che Ciancimino dovesse essere fuori, a parte il fatto che ci doveva essere questa novità della candidatura, (…) c'era la mia candidatura. Di fronte a queste cose Lima era convinto che si sarebbe andati tranquillamente al congresso e che il problema Ciancimino sarebbe stato un problema affrontato da tutti assieme. E quindi lui avrebbe potuto dire tranquillamente a Ciancimino: "ma è l'unanimità che non ti vuole, quindi io devo stare con la Democrazia Cristiana siciliana, non posso discostarmi da questa linea che è una linea generale". Invece man mano che si avvicinavano i giorni del congresso, proprio in vicinanza della riunione di Agrigento, che fu ai primi di febbraio, Sergio Mattarella pose una condizione che fu accettata da Gullotti e fu quella che bisognasse fare le liste separate, non più il grande calderone, unanimisti in cui tutti assieme dicevamo tante parole sulla mafia, ma che ciascuno doveva assumersi le sue responsabilità. Certamente Ciancimino a noi della sinistra, questa nostra lista di sinistra non avrebbe potuto chiedere nulla. Ciancimino avrebbe potuto chiedere di essere reinserito o a Ruffini perché tradizionalmente lui, nell'ultima fase per lo meno, era stato in qualche modo vicino a queste posizioni, o comunque a Lima con il quale c'era questo lungo sodalizio fatto di vicende alterne qui a Palermo. E quindi Lima si preoccupò molto di questo fatto, perché è chiaro che Ciancimino avrebbe fatto il tentativo su Ruffini, ma considerandolo come tutti lo consideravamo, abbastanza inconsistente come tipo di presenza all'interno del partito, la pressione grossa di Ciancimino non poteva non scaricarsi su Lima e di questo lui era convinto. E quindi cercò di osteggiare questo problema dicendo che c'era stato un tradimento degli accordi, non più il grande listone in cui dicevamo noi, in cui come di notte tutti i gatti diventano bigi, ecco ma le posizioni differenziate. E di fronte a questa situazione differenziata, Lima era preoccupato e cercò di fare in qualche modo rinviare il congresso al solito con questi pretesti di carattere tecnico, io mi ritrovai ad Agrigento a discutere la mia piattaforma con un D'Acquisto diventato più esigente sugli aspetti organizzativi ai quali io non facevo riferimento perché non pensavo che il problema di un partito politico in una situazione così tragica fosse quello di un'attenzione ai fatti organizzativi. L'attenzione doveva essere alla politica, ai valori che stavano dietro questa politica, a temi cioè forti, i problemi organizzativi sarebbero seguiti (…). Invece queste cose portate avanti dal D'Acquisto, un altro che portò avanti piccole questioni di carattere organizzativo o quasi, a volere mettere il bastone fra le ruote fu il senatore Riggio che era vicino a Gioia, ma che in quella situazione anche lui poneva questi problemi, però le cose erano già partite, la nostra lista la sinistra, vedeva assieme Mattarella, Gullotti e Nicolosi, e fino a Mannino in quella fase. E quindi Nicoletti e Lima si trovò fuori, una settimana dopo Lima pose il tema di questa inutilità del congresso di Agrigento.

P.M.: Mi scusi un attimo, prima ritorniamo un attimo dentro il congresso: Lima propose anche di abbassare il quorum?

CAMPIONE G.: Sì, sì, ecco questo lo dimenticavo. Lima propose di abbassare il quorum perché in questo modo Ciancimino solo con i suoi voti avrebbe potuto in qualche modo entrare, perché a quel punto, facendo una lista…

PRESIDENTE:. Che significa abbassare il quorum?

CAMPIONE G.: Significa che c'era una proporzionale con un tetto, cioè chi era al di sotto di questo ics di percentuale, adesso non ricordo i termini della questione, non poteva partecipare, e quindi se si abbassava il quorum Ciancimino con i suoi voti palermitani sarebbe stato certamente dentro.

La vicenda in questione è stata così ricostruita dall’on. Sergio Mattarella all’udienza dell’11 luglio 1996:

P.M.: Senta in occasione del Congresso di Agrigento si verificò un problema che riguardava appunto Ciancimino, la corrente cianciminiana?

MATTARELLA S.: Si, perché le regole di partito erano che non potesse entrare negli Organi Collegiali e in quel caso nel Comitato Regionale chi non raggiungesse nel congresso il 10% che era la soglia di sbarramento per le piccolissime minoranze e Ciancimino che aveva una presenza cospicua a Palermo (…). Vi era una regola congressuale per cui le liste che non raggiungevano il 10% venivano escluse dalla rappresentanza, era la soglia di sbarramento prevista in quel caso per esempio per eleggere il Comitato Regionale di partito, Ciancimino che aveva una compresenza abbastanza cospicua a Palermo era assente alle province fede-regionali e non arrivava al 10%. Nessuno, Lima in questo caso, perché era Lima quello che avrebbe... cui si indirizzavano le richieste di Ciancimino per quel che si sapeva, non voleva prenderlo nella sua lista perché non è che me lo abbia detto ma l'opinione diffusa era che non lo volesse perché era una presenza imbarazzante nella lista. E allora fu avanzata la richiesta purchè nelle riunioni di partito preliminari fece Gullotti e però su richiesta nonchè Lima appoggiava e secondo le interpretazioni correnti che Lima aveva sollecitato la richieste che si facesse una lista unica di tutte le correnti insieme, naturalmente con l'argomento formale e questo avrebbe manifestato l'unitarietà del partito e avrebbe fatto vedere che non c'erano distinzioni della DC secondo una vecchia regola che alcune correnti volevano (…), cioè che la DC era tutta una e che si era tutti uguali nella DC e quindi non vi era motivo di divisioni.

P.M.: E che vantaggio avrebbe avuto Ciancimino da questo...

MATTARELLA S.: Che inserito anche lui come tutte le correnti del grande listone unico non era venuto il problema del 10% perché ovviamente il listone avrebbe avuto il 100% e quindi sarebbe stato rappresentato senza che nessuno dovesse caricarselo nella sua lista. L'operazione non riuscì, fallì perché io mi opposi e devo dire che per la realtà di come andarono le cose mentre vi era un generale consenso a fare il listone, dopo il mio rifiuto si aggiunge quello dell'Onorevole Mannino che rifiutò anche lui di fare il listone e il listone quindi non si fece, rimase quindi ogni gruppo con la sua lista, nessuno si prese Ciancimino ospitandolo nella lista proprio e con la lista che fece hanno (rectius non hanno: n.d.e.) raggiunto il 10% e furono escluse dalla vita regionale del partito.

(…)

AV.BONGIORNO: (…) lei ha già parlato (…) del congresso di Agrigento del 1983, io vorrei sapere questo, lei ha parlato di una sorta di imbarazzo di Lima nei confronti di Ciancimino, può esplicitare meglio questo concetto?

MATTARELLA S.: Si, (…) ci sono (…) delle immagini dell'opinione pubblica una presenza imbarazzante nelle sue liste, se si fosse presentato in una lista insieme a Ciancimino sarebbe stato, nei suoi confronti, perché era avvenuto nell'80, per il congresso nazionale e non voleva (…) essere messo insieme, ecco, presentato in comune con Ciancimino, ma non voleva neppure, dall'altra pare, che Ciancimino restasse fuori.

(…)

MATTARELLA S.: Nell'80 Ciancimino aveva partecipato alle liste della corrente di Lima per il congresso nazionale, evidentemente Lima non voleva ripete (rectius ripetere: n.d.e.) quella...

PRESIDENTE: Quindi era stato inserito allora in quella lista?

(…)

MATTARELLA S.: Nell'80, sì, per il congresso (…) nazionale, sì.

PRESIDENTE: Che cosa era successo, perché non...

MATTARELLA S.: (…) Presidente, Ciancimino, siccome aveva fatto un gruppo autonomo che aveva col gruppo Lima un rapporto (…) federativo, collaborativo, ma autonomo. Nell'80, nel congresso nazionale, fecero lista comune...

PRESIDENTE: Ho capito.

MATTARELLA S.: Nell'83 Lima, evidentemente, non volle ripetere quella condizione, non volle confondersi o non volle che Ciancimino si confondesse con se e quindi non voleva fare lista con Ciancimino dentro ma non... cercava di evitare che però venisse tagliato fuori.

AV.BONGIORNO: Senta, lei ha ricevuto pressioni da parte del senatore Andreotti, in favore di Ciancimino, per fare restare Ciancimino, perché Ciancimino non restasse escluso dal comitato regionale?

MATTARELLA S.: No.

AV.BONGIORNO: Nessuna pressione?

MATTARELLA S.: No.

(…)

PRESIDENTE: (…) Nell'80, quando si presentarono assieme Lima e Ciancimino, ci furono reazioni negative per cui Lima non voleva ripetere l'esperimento nell'83?

MATTARELLA S.: Non ricordo, Presidente, io non seguivo molto, per la verità quel congresso perché pensavo ad altro e non credo, per altro, che sia solo quello il motivo. Successivamente all'80, vediamo su Ciancimino polemiche molto più intense, molto più forti, quindi quel che si era fatto nell'80 pensava fosse impossibile farlo nell'83. E' una mia valutazione.

Dalle precisazioni fornite dall’on. Mattarella si desume dunque che, per effetto della regola secondo cui non potevano entrare negli organi collegiali del partito le minoranze che non raggiungessero la "soglia di sbarramento" del 10% dei voti in sede congressuale, il gruppo facente capo al Ciancimino (il quale aveva una cospicua presenza a Palermo, ma era assente nelle altre province siciliane) era destinato a restare escluso dal Comitato Regionale della Democrazia Cristiana. Neppure l’on. Lima, al quale si indirizzavano le richieste del Ciancimino, intendeva includerlo nella sua lista.

Nelle riunioni preliminari venne quindi avanzata dall’on. Gullotti, ed appoggiata dall’on. Lima, la proposta di formare una lista unitaria, nella quale sarebbero state ricomprese tutte le correnti; ciò avrebbe consentito al Ciancimino di essere rappresentato nel Comitato Regionale. Questa operazione, però, non fu portata a termine a causa dell’opposizione dello stesso Mattarella, cui si unì poi l’on. Mannino. Ogni corrente quindi presentò una propria lista, ed il gruppo facente capo al Ciancimino, non avendo raggiunto il quorum del 10%, fu escluso dal Comitato Regionale del partito.

In questa circostanza l’on. Lima non voleva confondersi con il Ciancimino inserendolo nella propria lista, ma non voleva neppure che il Ciancimino restasse escluso dal Comitato Regionale della Democrazia Cristiana (come, invece, avvenne per effetto della decisione di non presentare una lista unitaria).

Nel congresso regionale di Agrigento il Ciancimino riuscì, comunque, a fare eleggere alcuni componenti del suo gruppo come delegati al Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana.

In proposito, l’on. D’Acquisto ha chiarito che nel congresso di Agrigento "mentre per accedere al comitato regionale occorreva un quorum e quindi gli esponenti della corrente cianciminiana furono esclusi, non era necessario il quorum per eleggere i delegati al congresso nazionale. Quindi (…) la corrente di Ciancimino aveva voti sufficienti non per eleggere (…) i componenti del comitato regionale, ma aveva voti sufficienti per potere eleggere alcuni delegati al congresso nazionale. E ne furono eletti infatti in quella occasione o due o tre (…)".

Il collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, esaminato all’udienza del 15 dicembre 1995, ha reso le seguenti dichiarazioni in ordine all’esito del congresso di Agrigento:

PENNINO G.: (…) La goccia che fece traboccare il vaso è stata proprio il congresso di AGRIGENTO, che determinò l'uccisione diciamo morale del gruppo di CIANCIMINO, in quanto fu completamente emarginato, poiché lo stesso era detentore di un pacchetto di tessere che, considerevole a livello provinciale, ma insufficiente a livello regionale, a determinare il quorum per poter ottenere dei rappresentanti nel comitato regionale, e mi spiego meglio. I regolamenti, lo statuto della DEMOCRAZIA CRISTIANA prevedeva che allorquando non si raggiungesse un quorum del 10% i voti andavano dispersi. Il CIANCIMINO aveva un pacchetto (…) di tessere pari circa al 3% nella rappresentanza regionale e quindi da solo non gli poteva scattare il quorum e automaticamente si perdevano i suoi voti. Lui tentò di accorparsi ad altri ma fu rifiutato, rifiutata, non presenziò si rammenta? Gli ho detto che non presenziò ma si teneva in contatto telefonico con ZANGHÌ, suo uomo di fiducia. Questo lo potei rilevare perché, non mi rammento se durò due o tre giorni il congresso, perché la domenica, ultimo giorno io andai con l'Avvocato ALBANESE, anzi accettai di essere messo in lista e farmi e farmi non eleggere purché si cadesse con dignità.

PRESIDENTE: siamo nell'83?

PENNINO G.: nell'83, si cadesse con dignità. Perché il CIANCIMINO dopo aver tentato con LIMA e con altri di essere messo in una lista comune, onde poter ottenere quei rappresentanti che scaturivano dal suo pacchetto di tessere, ed essendo stato emarginato, tanto da un gruppone che si era formato, tanto dalla corrente andreottiana, che se non rammento male in quella occasione presentò lista a sé, lista a sé. In quanto gli altri, gli altri, non volendo CIANCIMINO, non vollero formare un listone unico, perché in quel caso si potevano anche camuffare, riciclare uomini che erano di CIANCIMINO, quali potessi essere io, l'Avvocato ALBANESE o altri. Preferirono estinguere le loro posizioni alla corrente andreottiana che presentò la sua lista. Il CIANCIMINO ebbe a presentare la sua lista e noi non fummo eletti perché non raggiungemmo il quorum perché era stata intenzione anche del CIANCIMINO nei discorsi telefonici intercorsi con lo ZANGHÌ, eventualmente aveva detto di non presentare lista e di fare confluire i suoi voti nella corrente andreottiana. Al che noi, per la nostra dignità non abbiamo accettato questo stato di cose e abbiamo detto presentiamo la lista noi e cadiamo in piedi con dignità, con dignità anche se sappiamo che non abbiamo niente. Mentre per quanto concerne il, la nomina dei delegati al congresso nazionale per cui non necessitava alcun quorum e che si svolgeva subito dopo, contemporaneamente al congresso regionale, vennero eletti tre delegati della corrente di CIANCIMINO, il Dott. PALMIGIANO, il Dott. ZANGHÌ e un altro che non rammento chi fosse. Questi tre andarono a votare per volontà di CIANCIMINO, che lo partecipò al gruppo, che diede questo, per la corrente andreottiana. Questo fatto che sembra strano per me non era per niente strano, in quanto in precedenti colloqui CIANCIMINO mi aveva detto che le tessere, le sue tessere, il pacchetto di tessere da lui gestito veniva pagato da LIMA. Anzi mi aveva precisato che nei primi contatti avuti con l'Onorevole ANDREOTTI...

PRESIDENTE: in che senso veniva pagato da LIMA, vuole spiegare meglio?

PENNINO G.: io allora dovrei parlare del sistema di tessere...

PRESIDENTE: no no, in pochissimo.

PENNINO G.: praticamente, gli amici di CIANCIMINO sia reali sia fittizi, (...) di cui lui si attribuiva nei congressi le tessere, siccome non venivano pagate dagli associati, quando una minimissima parte pagava la tessera, venivano pagate dai leader, del gruppo di CIANCIMINO pagava LIMA, per sua dichiarazione. E stavo dicendo, anzi mi aveva detto...

PRESIDENTE: gliel'aveva detto CIANCIMINO a lei?

PENNINO G.: sì sì sì, ripetutamente. Anzi mi aveva raccontato che questo datava a dopo l'incontro avuto con ANDREOTTI, quando lui era ancora in autonomia per avere, per avere un riconoscimento nel potere, nel potere palermitano, per ritornare ecco dalla conflittualità con LIMA alla concorrenza con LIMA. Mi scusi il termine tecnico è questo. Mi aveva detto che allora alla prima occasione gliel'avrebbe pagato un certo imprenditore CALTAGIRONE di Roma. Successivamente invece fu LIMA a pagare le tessere del gruppo CIANCIMINO, e queste tessere erano abbastanza, non rammento il numero ma si trattava di un importo sicuramente superiore ai 50.000.000 (cinquantamilioni). Quindi io che sapevo di questa cosa non mi stranizzavo che il CIANCIMINO potesse dire ai suoi delegati, ai delegati del suo gruppo di andare a votare per ANDREOTTI perché era suo dovere votare per ANDREOTTI. Certamente dal punto di vista politico era qualcosa di, oserei dire di sconcertante, e indubbiamente c'erano dei rapporti sotterranei che intercorrevano fra il CIANCIMINO e il LIMA, ma non erano apparenti, dicono erano sotterranei perché il loro rapporto, anche se lui in un primo tempo non aveva fiducia a LIMA e poi per questa fiducia è stato garante il senatore ANDREOTTI, successivamente erano divenuti non più di conflittualità ma diciamo pure di concorrenza politica. Concorrenza politica che in un certo tempo addirittura di identità politica, quando lui per un certo periodo fece parte integrante degli andreottiani. Quindi per me non era affatto strano, anche poi. Perché in un'occasione il fatto che fu confermato anche dal Dott. GRAFFAGNINI NICOLA, che è una delle persone di fiducia e segretario provinciale del partito per conto dell'Onorevole LIMA. Non so se...

Dalle suesposte affermazioni del Pennino si desume, quindi, che nel congresso di Agrigento vennero eletti, tra i delegati al congresso nazionale, tre componenti del gruppo capeggiato dal Ciancimino, i quali, per volontà di quest’ultimo, espressero il loro voto a favore della corrente andreottiana.

Quest’ultima indicazione è coerente con le risultanze dell’esame cui il sen. Andreotti è stato sottoposto davanti alla Corte di Assise di Perugia nel processo relativo all’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli.

Il sen. Andreotti, infatti, ha dichiarato che, in occasione del congresso di Agrigento della Democrazia Cristiana, ricevette una breve visita di alcuni dirigenti siciliani del partito, i quali gli presentarono il Ciancimino. Essendosi rivelata impossibile la formazione di una lista unica, il Ciancimino era rimasto privo del quorum che gli avrebbe consentito di ottenere una rappresentanza congressuale. L’on. Lima, l’on. D’Acquisto ed il Ciancimino, nel corso dell’incontro con il sen. Andreotti, gli comunicarono di avere pattuito una specie di "accordo tattico" per il congresso (una "specie di accordo preelettorale locale"). Il sen. Andreotti disse loro: "benissimo, auguri".

In questa circostanza il Ciancimino, essendosi unito occasionalmente al gruppo capeggiato dall’on. Lima, aveva chiesto di poterlo comunicare personalmente anche al sen. Andreotti.

In particolare, il sen. Andreotti, nel processo pendente davanti alla Corte di Assise di Perugia, all’udienza del 5 ottobre 1998 ha dichiarato quanto segue:

PARTE CIVILE AVV. GALASSO:

lei conosceva Ciancimino?

IMPUTATO ANDREOTTI:

Ciancimino l'ho conosciuto una volta quando era al Comitato Provinciale si occupava degli enti locali, infatti c'è una fotografia, qui tra l'albo delle fotografie siccome doveva contare meno degli altri perché stava all'ultimo posto qui, ma io ero nel podio che parlavo, c'è una fotografia, si vede Ciancimino vicino a me. Qui l'ho conosciuto, da Sindaco no, non l'ho conosciuto. Una volta sola poi fecero uno di questi accordi per cercare di avere una specie di concordia generale o semigenerale, mi vennero a fare una visita dei dirigenti della Democrazia Cristiana della Sicilia, sarà durato cinque minuti, mi hanno presentato Ciancimino, per il resto non ho mai avuto rapporti con Ciancimino.

PARTE CIVILE AVV. GALASSO:

lei sapeva se Lima e Ciancimino avevano buoni rapporti?

IMPUTATO ANDREOTTI:

Il mio ricordo è di no, che per la verità prevalentemente non avessero buoni rapporti, però direi in queste forme di caleidoscopio siciliano proprio io non ci capisco molto e né ho mai preso interesse particolare.

Nella successiva udienza del 6 ottobre 1998 nel processo per l’omicidio del Pecorelli, l’imputato ha reso le dichiarazioni di seguito trascritte:

AVV. COPPI: (…) Ieri c'è stato un cenno, lei ha già ricordato che non ha mai fatto (…) molta vita di partito, non si è molto occupato della sua corrente, e meno che mai delle frazioni delle correnti, cioè della sua corrente in Sicilia, etc., se quindi faccio una domanda al di là delle sue conoscenze, lei mi risponderà che non ne sa nulla, però la domanda gliela devo fare. Ciancimino, lei per quel che sa può rappresentare alla Corte, se c'è stato un avvicinamento di Ciancimino alla sua corrente e se poi, proprio ad opera di Lima, vi fu una frattura e quindi Ciancimino abbastanza rapidamente si allontanò o venne allontanato dalla sua corrente, ne sa qualche cosa? Faccio soprattutto riferimento ad un congresso, il congresso di Agrigento del 1983, in cui per la storia si sarebbe poi definitivamente fratturata questa vicinanza tra i due?

IMPUTATO ANDREOTTI: è l'unica volta in occasione di quel congresso che me ne vennero sia pure più che fugacemente a parlare, perché c'erano state una serie di discussioni, mi spiegarono per vedere se si poteva fare una lista unica o fare così una specie di non belligeranza regionale tra i vari leader della Sicilia. Questo poi non era andato in porto, c'era un problema che il Ciancimino pare che non avesse il quorum minimo per poter fare andare al Congresso Regionale dei suoi, o comunque per poter essere poi rappresentato e fecero una specie così di accordo tattico e in quell'occasione Ciancimino mi disse, Lima e D'Acquisto chiese di essere presentato a me, vennero a trovarmi, mi dissero questa cosa che facevano per il congresso, dissi "benissimo, auguri"; è l'unica volta che l'ho visto salvo l'altra che ho detto poi quando si occupava di enti locali come incaricato del Comitato Provinciale, ma non so per quale corrente, non certamente in quel momento per la corrente di Lima. So che i rapporti tra lui e Lima non sono stati quasi mai buoni, anzi sono poi finiti in una notevole antitesi negli ultimi anni.

AVV. COPPI: quindi salvo errori od omissioni, ma insomma se non sono due saranno tre, lei per quel che si ricorda ha visto Ciancimino soltanto due volte?

IMPUTATO ANDREOTTI: sì, del resto ieri è stato qui evocato quel Pennino, quando Pennino ha dovuto di questa famosa sezione di Cinisi, lui ha detto a chi davate poi i voti? Allora lui ha detto che ne davano tre a Ciancimino e due ai fanfaniani. Però non erano certamente voti che davano né a Lima né agli amici di Lima.

AVV. COPPI: quindi definire Ciancimino un andreottiano, definirlo un esponente autorevole della sua corrente in Sicilia sarebbe corretto, che le risulta?

IMPUTATO ANDREOTTI: no, sarebbe assolutamente infondato.

(…)

P.M. DR. CARDELLA: Senatore, lei ha detto, ha parlato stamattina della sua conoscenza, se non vado errato, con Ciancimino.

IMPUTATO ANDREOTTI: sì.

P.M. DR. CARDELLA: l'ha incontrato in un paio di occasioni mi pare di avere capito.

IMPUTATO ANDREOTTI: esattamente.

P.M. DR. CARDELLA: ricorda quando?

IMPUTATO ANDREOTTI: una l'ho ricordata certamente è quando vennero a Roma in un determinato giorno, che non so adesso collocare nel tempo, ma probabilmente è questo congresso di Agrigento e quindi si può vedere la data, in cui c'era stato un grande fermento all'interno della Democrazia Cristiana e occasionalmente in quella circostanza Ciancimino aveva fatto massa con quelli che erano gli amici dell'Onorevole Lima e lui chiese che questo lo potesse venire a comunicare anche a me.

P.M. DR. CARDELLA: si ricorda in che periodo può essere stato, grosso modo?

IMPUTATO ANDREOTTI: non so dare una data, ricordo che era in occasione di questo congresso di Agrigento, cui è facile poi vedere la data ma non so collocarla, scusi, non vorrei dire una cosa imprecisa. Non me lo ricordo, perché scusi ma per me non era un avvenimento ed è quella volta che ho visto Ciancimino. L'altra volta che ho visto Ciancimino l'ho visto in occasione di una manifestazione ad un cinema o un teatro, non mi ricordo più, perché era seduto nel banco chiamiamo della Presidenza ed allora lui si occupava nel Comitato Provinciale degli enti locali della Provincia.

P.M. DR. CARDELLA: è venuto a trovarla al suo studio?

IMPUTATO ANDREOTTI: no assolutamente, l'altra volta come ho detto mi vennero a fare…

P.M. DR. CARDELLA: no in quella, in quella o nell'altra occasione è venuto a trovarla al suo studio?

IMPUTATO ANDREOTTI: adesso che fosse allo studio o fosse alla Presidenza non me lo ricordo, sono due cose.

P.M. DR. CARDELLA: poteva essere nel 78?

IMPUTATO ANDREOTTI: scusi, dato che lei è così preciso, io non voglio essere ipotetico, non gliela so dire la data, abbia pazienza. 68?

P.M. DR. CARDELLA: 78.

IMPUTATO ANDREOTTI: potrebbe anche essere.

PUBBLICO MINISTERO: potrebbe essere il 20.09.78, perché c'è un'annotazione sulla sua agenda, un "Cianc", (…) può essere lui?

IMPUTATO ANDREOTTI: no, questo non può essere Ciancimino, perché quando venne vennero in tre o quattro, era una delegazione di Democrazia Cristiana, quindi non ci poteva essere, no, qui chi sia, tra Paietta e…

P.M. DR. CARDELLA: può essere questo delle due e quarantacinque forse, questa è l'agenda della sua segretaria?

IMPUTATO ANDREOTTI: no, no. Forse può essere che sia, ma scusi, ma non è la stessa cosa?

P.M. DR. CARDELLA: no, una è l'agenda sua, l'altra dove è scritto per esteso "Ciancimino" è l'agenda della sua segretaria?

IMPUTATO ANDREOTTI: potrebbe essere, non lo so se è questa, io l'ho visto certamente a Roma una sola volta, quindi se questo è Ciancimino, però venne…

P.M. DR. CARDELLA: lo stesso giorno.

IMPUTATO ANDREOTTI: sì, questo è 20 settembre, anche un giorno storico per Roma, ma… sì, può essere, vedo questo di fine mattina, potrebbe essere che sia questo, però vennero tre, quattro, con Lima, tre, quattro, erano Lima, D'Acquisto e un altro che era un magistrato a dirmi che c'era questa specie di accordo preelettorale locale.

P.M. DR. CARDELLA: non avevo capito stamattina a quando risaliva la sua conoscenza con Ciancimino, stando all'agenda nel 78 lei lo incontra, tutto qua.

AVV. COPPI: perché lei dice sicuro, mentre mi pare che ha detto che non è per niente sicuro.

P.M. DR. CARDELLA: io dico stando all'agenda.

AVV. COPPI: certo, stando all'agenda…

PRESIDENTE: intanto la risposta che ha dato il Senatore Andreotti è questa.

IMPUTATO ANDREOTTI: comunque avendolo visto una volta se poi è 78 o 74 non so quale sia la differenza.

Dall’esame delle dichiarazioni del sen. Andreotti si evince che il suo ricordo del suddetto incontro con il Ciancimino si riconnette ad una situazione (la mancata presentazione di una lista unica, e la conseguente impossibilità, per il Ciancimino, di raggiungere il quorum che gli avrebbe consentito di ottenere una rappresentanza congressuale) sicuramente riferibile al congresso di Agrigento della Democrazia Cristiana, svoltosi nel 1983.

Deve dunque ritenersi – nonostante la presenza di alcune incertezze mnemoniche nelle ulteriori affermazioni dell’imputato - che l’incontro menzionato dal sen. Andreotti abbia avuto ad oggetto proprio un "accordo tattico" concluso tra il Ciancimino e l’on. Lima in vista del congresso di Agrigento.

Un simile accordo - essendo intervenuto in una situazione nella quale si erano rivelati impossibili sia la presentazione di una lista unica, sia il raggiungimento, da parte del Ciancimino, del quorum occorrente per l’elezione di rappresentanti del suo gruppo – non poteva che avere ad oggetto la confluenza verso la corrente andreottiana dei voti congressuali di cui il Ciancimino poteva disporre.

Anche in questo caso, il sen. Andreotti prestò il proprio assenso ad una intesa intervenuta tra il Ciancimino e l’on. Lima, e finalizzata ad una – sia pure episodica - collaborazione sul piano politico.

Non può pertanto considerarsi integralmente credibile la versione dell’accaduto esposta dal teste D’Acquisto, il quale all’udienza del 19 giugno 1996 ha dichiarato quanto segue:

D’ACQUISTO M.: (…) la sua permanenza nella Corrente Andreottiana fu di breve durata perché questo rapporto con Lima ritornò presto ad essere un rapporto antitetico e quindi ci fu un graduale allontanamento di Ciancimino dalla Corrente Andreottiana e fino al punto che poi nell'83 si consumò l'estremo contrasto, l'estrema frattura quando Ciancimino non ottenne da Lima quei voti che erano necessari per il conseguimento del quorum e quindi la sua corrente, la corrente di Ciancimino venne esclusa dal Comitato Regionale, cioè al Congresso di Agrigento questa vicenda si conclude. Avendo questi tre momenti salienti: nel '70 c'è questa frattura profonda e gli andreottiani insieme con altri impediscono che diventi sindaco, nel '76 si ricompone questa frattura nel modo che ho detto e per i motivi che ho detto, nell'83 questa frattura torna a consumarsi in modo questa volta irreversibile attraverso la negazione dei voti necessari al raggiungimento da parte di Ciancimino del quorum indispensabile alla elezione dei suoi amici nel Comitato Regionale del tempo.

P.M: Onorevole vuole chiarire meglio questo aspetto del quorum (…) con profilo tecnico, cosa vuol dire?

D’ACQUISTO M.: Per partecipare al Comitato Regionale le liste che presentavano candidati dovevano raggiungere un determinato quorum, questo quorum non era raggiungibile da Ciancimino con i suoi voti e quindi Ciancimino chiedeva ad altre correnti, ma anzitutto chiedeva all'onorevole Lima di fare la lista insieme in modo che il quorum sarebbe stato superato oppure di avere, come vorrei dire, prestati, ecco, dei voti che permettessero il superamento del quorum. Lima si oppose a questa richiesta, ci furono delle riunioni fra tutte le correnti e si pose il problema delle liste che non raggiungevano il quorum soprattutto della lista di Ciancimino. L'opinione espressa e sostenuta da Lima fu questa "Se tutti ci facciamo carico di questo problema e quindi si fa una lista unica di tutte le correnti e allora il problema si risolve, in caso contrario ognuno va per sè quindi io non mi unisco con Ciancimino e presento la mia lista e Ciancimino se ha i voti avrà eletto i suoi rappresentanti, se non li ha non li avrà eletti". E così si fece perché siccome la proposta della lista unica non fu accolta non si parlò neanche di abbassamento del quorum perché era tra l'altro fissato dalla Direzione Nazionale e quindi l'abbassamento del quorum non era possibile e il risultato fu che Ciancimino presentò la lista, perlomeno gli amici di Ciancimino perché Ciancimino non era fisicamente presente in quel congresso che si svolse ad Agrigento e sia pure per poco non raggiunse il quorum, motivo per cui i suoi amici furono esclusi dal Comitato Regionale; questo ovviamente determinò una frattura che da quel momento di fatto poi non si ricompose più fra Lima e Ciancimino perché questo fu un elemento determinante nel corso degli eventi che poi avrebbero portato lontano diciamo.

(…)

D’ACQUISTO M.: (…) la permanenza di Vito Ciancimino nella corrente andreottiana, fu una permanenza di breve periodo, perché dopo breve tempo già si determinò un ulteriore allontanamento, per cui fu graduale poi il passaggio verso questo approdo finale che poi si ebbe nel 1983.

AVV.COPPI: Anche se questo comportava l'uscita di Ciancimino e dei suoi uomini dalla corrente?

D’ACQUISTO M.: Beh, certo, era una ... diciamo una conseguenza inevitabile.

Dalle suesposte dichiarazioni si evince che il D’Acquisto (il quale ha esplicitato di non essersi occupato in misura rilevante "dell'apparato, delle fasi organizzative, dei problemi strutturali della corrente") ha conservato un ricordo inesatto delle modalità attraverso le quali, dopo il 1976, si realizzò il distacco del Ciancimino dalla corrente andreottiana: si è, infatti, precedentemente evidenziato che già in occasione del Congresso Nazionale del 1982 della Democrazia Cristiana il Ciancimino appoggiò, con i propri delegati, la lista capeggiata dall’on. Mazzotta, manifestando, così, in modo inequivocabile la propria estraneità alla corrente andreottiana.

Il D’Acquisto ha, dunque, errato nel sostenere che nel 1983 si sia riaperta in maniera irreversibile la frattura tra il Ciancimino e l’on. Lima, iniziata nel 1970 e ricompostasi nel 1976.

Del resto, se proprio nel Congresso di Agrigento si fosse irreversibilmente consumata la frattura con l’on. Lima, non si comprenderebbe il significato dell’incontro del Ciancimino con il sen. Andreotti, menzionato da quest’ultimo nell’esame dibattimentale davanti alla Corte di Assise di Perugia.

L’imprecisione del ricordo che l’on. D’Acquisto ha mostrato di conservare in ordine a taluni aspetti di essenziale rilievo inerenti alla valenza politica del congresso di Agrigento, conseguentemente, impone di attribuire sicura efficacia dimostrativa soltanto a quelle parti della sua deposizione che trovano conferma in specifiche dichiarazioni rese da altri soggetti che hanno serbato una puntuale memoria della vicenda (essenzialmente, il mancato raggiungimento, da parte del Ciancimino, del quorum necessario per l’elezione di componenti del Comitato Regionale; la richiesta rivolta dal Ciancimino all’on. Lima per la formazione di una lista comune; la disponibilità del Lima ad accettare la presentazione di una lista unitaria comprensiva di tutte le correnti, ma non ad inserire il gruppo del Ciancimino nella lista della corrente andreottiana; l’esclusione del gruppo facente capo al Ciancimino dal Comitato Regionale; l’elezione di alcuni delegati vicini al Ciancimino per il Congresso Nazionale).

L’ulteriore affermazione del Pennino, secondo cui, dopo il suo primo incontro con il sen. Andreotti, il Ciancimino attendeva dall’imprenditore romano Caltagirone il versamento di una somma di denaro da destinare al pagamento delle quote relative al "pacchetto di tessere" da lui gestito, è coerente con le risultanze della relazione di perizia redatta dal dott. Giuseppe Bray e dal dott. Antonio Vellella su incarico del Giudice Istruttore presso il Tribunale di Palermo dott. Giovanni Falcone nel procedimento penale instaurato nei confronti dello stesso Ciancimino.

Dalla relazione in esame, infatti, si desume che furono versati su un libretto di risparmio al portatore di pertinenza dei Ciancimino, presso l’Agenzia B di Palermo del Banco di Roma, due assegni bancari, dell’importo di £. 20.000.000 ciascuno, recanti rispettivamente la data del 14 marzo 1977 e quella del 18 maggio 1977, tratti e girati in bianco da Gaetano Caltagirone sul proprio conto corrente intrattenuto presso la Succursale n.21 di Roma del Banco di Santo Spirito, e quietanzati da Giovanni Ciancimino (figlio di Vito Ciancimino).

La destinazione di questi importi pecuniari – ricevuti dal Ciancimino dopo il suo incontro con il sen. Andreotti - al pagamento delle quote relative al "pacchetto di tessere" gestito dal medesimo esponente politico palermitano, è perfettamente coerente con tre dati inequivocabilmente accertati:

  • lo stretto rapporto di amicizia personale intercorrente tra il sen. Andreotti e Gaetano Caltagirone;
  • il sostegno finanziario offerto da Gaetano Caltagirone alla corrente andreottiana;
  • la consolidata prassi secondo cui, all’interno della Democrazia Cristiana siciliana, le quote relative al tesseramento degli iscritti venivano pagate dai vertici politici del partito.

Al riguardo, occorre rilevare che il sen. Andreotti, nell’esame reso davanti alla Corte di Assise di Perugia in data 5 ottobre 1998, ha riferito di essere amico di Gaetano Caltagirone, di conoscere lui ed i suoi fratelli "fin da ragazzi", di avere preso parte al ricevimento organizzato il 4 giugno 1977 per festeggiare la nomina di Gaetano Caltagirone a Cavaliere del Lavoro, e di avere frequentato la sua casa.

Le dichiarazioni rese sul punto dall’imputato sono di seguito riportate:

P.M. dr. Cardella: sempre continuando sulle persone che lei ha conosciuto, quelle che interessano a noi, lei conosceva i fratelli Caltagirone, Camillo, Gaetano, Francesco?

Imputato Andreotti: certo li conosco fin da ragazzi.

P.M. dr. Cardella: la colloco nel tempo, a me interessa sempre l'arco '78, '79, 80, più che altro.

Imputato Andreotti: io… sa, siccome io sono preistorico posso andare anche più indietro, perché forse serve a spiegare perché li conosco. Io…

P.M. dr. Cardella: non per limitarla, ma per precisare quello che…

Imputato Andreotti: no, no. Siccome però spiega perché non solo li conosco, ma con uno, Gaetano, ero e sono amico, quindi perché loro erano nipoti di un nostro collega all'Assemblea Costituente, persona molto in vista, Gerolamo Bellavista, che poi fu anche nella prima Legislatura fece parte del Governo e durante l'Assemblea Costituente, siccome io come Sottosegretario mi occupai a fondo dell'approvazione da parte dell'Assemblea dello Statuto Speciale della Sicilia, che era stato varato prima in via esecutiva, ma a condizione che poi la Costituente lo approvasse, e in quella occasione uno dei personaggi con cui fui parecchio in contatto fu proprio Gerolamo Bellavista e con il quale ho conservato amicizia… e conobbi i nipoti e in modo particolare Gaetano Caltagirone, con cui sono amico, e che, anzi, ritengo che probabilmente il fatto di essere stato mio amico gli abbia creato tutta una serie di guai da cui poi è uscito brillantemente, prima ha dovuto risarcire anche i danni.

(…)

P.M. dr. Cardella: allora a quel, ormai famoso perché evocato più volte, ricevimento del 04.06.77 in cui si festeggia la nomina a Cavaliere del Lavoro di Gaetano Caltagirone, lei c'era?

Imputato Andreotti: certamente sì, perché sono stato molte volte in quella occasione, ora io ero entrato nella nomina a Cavaliere del Lavoro, anzi personalmente ritengo, che se l'avessero ritardata qualche anno forse era un motivo di meno di polemica nei suoi confronti, è stata fatta dal Ministero dell'Industria; però certamente c'ero, come sono state altre volte, ero in ricevimenti con molta gente e tutta gente molto rispettabile.

P.M. dr. Cardella: lei lì a quel ricevimento partecipò, come potrei dire, in forma privata o in forma istituzionale?

Imputato Andreotti: no, no, privata, in forma istituzionale non…

P.M. dr. Cardella: le è capitato anche in altre occasioni, mi pare che lo ha detto ma glielo richiedo lo stesso, di frequentare il cosiddetto salotto dei Caltagirone? (…)

Imputato Andreotti: sì, guardi, io non ho frequentato molti salotti, ma la casa di Caltagirone l'ho frequentata perché ho sempre… a parte ripeto siamo amici, ma poi non ho mai trovato lì persone che potessi pensare che era meglio non incontrare.

Oltre ad intrattenere rapporti di amicizia personale con l’imputato, Gaetano Caltagirone corrispondeva spesso somme di denaro all’on. Evangelisti, al fine di finanziare la corrente andreottiana.

In proposito, Gaetano Caltagirone, escusso dal Pubblico Ministero di Perugia nel verbale di rogatoria internazionale del 15 dicembre 1994 (acquisito al fascicolo del presente dibattimento il 15 dicembre 1998) ha specificato: "avveniva di frequente che l'on. Evangelisti, con il quale ero in ottimi rapporti, mi chiedesse del denaro. Io acconsentivo quasi sempre, perché consideravo ciò una forma di finanziamento alla corrente della D.C. nella quale militava l'on. Evangelisti".

Nel corso dell’esame reso davanti alla Corte di Assise di Perugia in data 5 ottobre 1998, il sen. Andreotti ha sostenuto di avere appreso dell’esistenza di questi finanziamenti soltanto quando la notizia era divenuta di pubblico dominio per effetto delle ammissioni compiute dallo stesso on. Evangelisti. Al riguardo, l’imputato ha riferito quanto segue:

P.M. dr. Cardella: Senatore, in tutta la produzione giornalistica di Pecorelli, l'ultimo è l'articolo del 04.07.78 del quale abbiamo parlato ieri, la cena di Gaetano Trimalcione, Mino Pecorelli la indica come il padrino politico, lo sponsor istituzionale della famiglia Caltagirone, di quella famiglia di costruttori e questa accusa viene anche estesa a talune persone che vengono indicate come a lei vicine, tra le quali anche l'allora Magistrato dottor Vitalone. Ecco, io le volevo chiedere: i fratelli Caltagirone - o comunque la famiglia Caltagirone - ha mai finanziato la sua corrente politica?

Imputato Andreotti: guardi, una volta Franco Evangelisti ha detto che Caltagirone lo aveva aiutato, anzi disse la famosa frase romanesca, dice: "Fra' che te serve?" questa ha fatto un po' il giro anche di spettacoli di varietà. Ma siccome io di questa parte, non per fare la mammola ma non mi sono mai occupato, certamente il mio tramite o me conscio non ha mai fatto erogazioni di questo genere.

P.M. dr. Cardella: lei…

Imputato Andreotti: poi do… no scusi, ma siccome lì lei ha citato nella frase dicendo che io ero padrino di questo, per la verità né Gaetano Caltagirone né i fratelli, che conoscevo meno, Gaetano lo conoscevo bene, mi ha mai chiesto di alzare un dito per aiutarlo in cose… questo è importante.

P.M. dr. Cardella: quello che io vorrei chiarire, magari se nel caso lei la pregherò di ripetere, è se i Caltagirone finanziavano la sua corrente in particolare, o persone della sua corrente, o il partito al quale lei apparteneva? Se lei era a conoscenza di questo fatto, se non lo era, se ne è mai venuto a conoscenza? Escludiamo ovviamente, perché lei lo ha appena detto, che per il tramite suo direttamente possano essere…

Imputato Andreotti: no, ma vede, sono venuto a conoscenza quando venne fuori quella polemica e Franco disse che Caltagirone gli diceva: "Fra' che te serve?" e parlò di qualche aiuto, non so assolutamente di che entità, ma non credo di entità rilevanti per quello che riguarda, perché poi del resto la nostra corrente… la sua attività che svolgeva non aveva bisogno nemmeno di gran finanziamenti o di finanziamenti.

P.M. dr. Cardella: solo in occasione di quella, diciamo, diffusione giornalistica pubblica della famosa frase ormai, lei è venuto a conoscenza di questa cosa.

Imputato Andreotti: esatto.

Pubblico Ministero Dr. Cardella: quando lei il 25 maggio, suppongo che sia '93, dice: "mi risultano, invece, che con l'Onorevole Evangelisti vi fosse un rapporto anche politico, nel senso che qualche volta Evangelisti è stato da lui Caltagirone Gaetano aiutato" è una dichiarazione che lei ha fatto al Pubblico Ministero di Roma, me la può chiarire, illustrare?

Imputato Andreotti: fa parte di quello che poi era venuto fuori, più o meno è la cosa che ho detto prima, che cioè quando Franco aveva detto che l'altro era a disposizione, dice "Fra' che ti serve?", ma non ho né allora né adesso notizie particolari su questo.

P.M. dr. Cardella: quindi, vorrei cercare di capire, posto che lo stesso Caltagirone ha dichiarato di avere talvolta dato dei, non vogliamo chiamarli finanziamenti, chiamiamoli contributi, elargizioni all'Onorevole Evangelisti, che senso avevano o potevano avere avuto queste elargizioni, un contributo personale ad Evangelisti? Un contributo destinato al gruppo del quale Evangelisti faceva parte?

Imputato Andreotti: ma, io credo per il fatto che fossero amici, anche con Evangelisti erano amici, quindi non che ci fossero né corrispettivi, anzi poi dopo forse su questi Caltagirone ci dobbiamo tornare, perché quando la storia dell'ITALCASSE, della nomina del direttore dell'ITALCASSE, su questo si sono scritte cose…

P.M. dr. Cardella: ci torneremo. No, ma io le vorrei leggere, Senatore, un passo delle dichiarazioni di Caltagirone il quale dice, la domanda era: "risulta che il …" stiamo parlando dei trenta milioni famosi; la risposta: "avveniva di frequente che l'Onorevole Evangelisti, con il quale ero in ottimi rapporti, mi chiedesse del denaro. Io acconsentivo quasi sempre, perché consideravo ciò una forma di finanziamento alla corrente della D.C. nella quale militava l'Onorevole Evangelisti. Diedi all'Onorevole Evangelisti" ecc., ecc..

Imputato Andreotti: va bene, ma Evangelisti si occupava, per esempio, anche di un giornale sportivo Il Tifone per cui andava cercando degli aiuti. Quindi, adesso io non contesto che possa avere raccolto per qualche iniziativa di carattere politico, però certamente noi non avevamo un'impostazione di spese, di correnti che richiedeva di avere dei sostegni particolari, questo è fuori di dubbio.

P.M. dr. Cardella: mi consenta di insistere un attimo per chiarezza. Lei non ne sapeva nulla di questi contributi che arrivavano dai Caltagirone all'Onorevole Evangelisti, ne ha saputo qualcosa solo in un determinato momento.

Imputato Andreotti: esatto.

P.M. dr. Cardella: parliamo prima; penso che possiamo escludere, comunque glielo chiedo ma è una domanda retorica, che l'Evangelisti, l'Onorevole Evangelisti, ricevesse questi contributi per un uso personale, non lo so. Avevano un fine se non proprio istituzionale certamente un fine.

Imputato Andreotti: no, io…

P.M. dr. Cardella: Caltagirone era convinto, lo dice lui, di dare queste forme di aiuto all'Onorevole Evangelisti considerandolo un aiuto alla corrente, come dice, non voglio usare parole sbagliate, come dice: alla corrente della D.C. nella quale militava l'Onorevole Evangelisti. E' così la situazione?

Imputato Andreotti: Presidente, lei mi domanda una cosa a cui io non so dare una risposta, perché certamente se mi domanda un giudizio, che chiamiamo anche morale, che Evangelisti poi adoperasse questo, non so, per andare con le ragazze, direi di no, che non credo, però non ne so assolutamente niente.

P.M. dr. Cardella: credo di avere fotografato, secondo quelle che sono le dichiarazioni che risultano agli atti, Caltagirone dà dei contributi ad Evangelisti convinto di finanziare la corrente della quale l'Onorevole Evangelisti… escludiamo che l'Onorevole Evangelisti ne facesse un uso improprio, personale, lei non ne sapeva nulla fino al momento nel quale la cosa è diventata pubblica.

Imputato Andreotti: esatto.

P.M. dr. Cardella: è una ricostruzione. Allora, le chiedo se questa è la situazione, quando Pecorelli, con le sue asprezze, con le sue malevolenze, affermava che alcuni settori del partito e in particolare alcune personalità erano vicine alla famiglia dei costruttori Caltagirone, forse tutto sommato non diceva una cosa completamente inesatta.

Imputato Andreotti: scusi, ho detto già prima, io di Gaetano Caltagirone ero e sono amico anche personale ed anche familiare, sono stato testimone alle nozze di sua figlia, quindi non ci sono… non c'è nessun risvolto politico. Certamente lui era classificato, perché infatti, nel fare le polemiche, quando prima ho detto secondo me è stato, anzi, danneggiato da queste coloriture che è stato …

L’assunto che il sen. Andreotti ignorasse il sostegno finanziario offerto alla sua corrente da Gaetano Caltagirone è assolutamente inverosimile, se si tiene conto degli intensi rapporti personali che lo legavano sia all’on. Evangelisti sia allo stesso Caltagirone.

Il sostegno offerto da Gaetano Caltagirone all’on. Andreotti era ben noto anche all’on. Giacomo Mancini, il quale, esaminato come teste all’udienza del 31 ottobre 1996, ha reso le seguenti dichiarazioni:

P.M.: Lei sa se vi erano rapporti tra Giulio Andreotti e Gaetano Caltagirone?

MANCINI G.: Sicuramente rapporti politici certamente, era un sostenitore di Andreotti di certamente. Un po' della sua fortuna dipende da Andreotti, ma devo dire che anche tutta la sua sfortuna dipende da Andreotti.

P.M.: In che senso?

MANCINI G.: Nel senso che … i fatti romani, sempre sono valutazioni mie, intendiamoci, personalissime.

PRESIDENTE: Però Onorevole, dobbiamo stare attenti, lei è un teste e deve raccontare dei fatti, non dei giudizi.

(…)

MANCINI G.: Allora il fatto principale per me è sicuramente questo, che l'ostilità della Cassa di Risparmio di Roma e contro Caltagirone è collegata ad uno scontro molto forte che in quegli anni c'era tra Andreotti e Fanfani. Caltagirone paga per questo, ed è il solo imprenditore italiano che ha pagato fra l'altro, perchè in effetti è stato dichiarato un fallimento che era coperto da montagne di case che Caltagirone aveva costruito a Roma, e che dopo il suo fallimento sono state smantellate e sono diventate di nessun valore. E' uno degli aspetti purtroppo di un tipo di lotta politica che si faceva anche all'interno della DC, in questo periodo che chiamiamo il periodo della Prima Repubblica. C'erano dei legami politici che erano anche legami … anche questo non è un mistero della Prima Repubblica, che erano anche legami di finanziamento nei confronti dei partiti e anche nei confronti delle correnti politiche, perchè non solo era finanziato il partito nel suo complesso, ma poi all'interno dei partiti, le correnti non avrebbero mai avuto vita autonoma se non avessero trovato finanziamenti. Questo e in modo macroscopico nella Democrazia Cristiana, ma in modo più ridotto all'interno anche degli stessi partiti.

P.M.: I Caltagirone erano finanziatori della corrente andreottiana? Erano tra i finanziatori della corrente andreottiana?

MANCINI G.: Io direi che hanno sostenuto tutta la DC nel suo complesso con particolare riguardo al deputato del Lazio, Ministro laziale romano che era Andreotti.

La consolidata prassi secondo cui, all’interno della Democrazia Cristiana siciliana, le quote relative al tesseramento venivano pagate dai vertici politici del partito, è evidenziata dalle seguenti dichiarazioni del teste on. Campione:

CAMPIONE G.: (…) C'è una sostanziale utilizzazione piena delle risorse pubbliche per cercare di far sopravvivere le correnti, e alla fine il sistema era sembrato talmente conveniente per tutti, questo dell'applicazione puntuale del Cencelli, che non si fecero più i congressi. Che siccome si prendeva come riferimento un congresso base della fine degli anni settanta, e da quel momento in poi, i congressi proprio per evitare che ci potessero essere rischi, che qualche "testa calda", potesse attentare a questo equilibrio, le quote dei congressi venivano riportate nei congressi successivi, in quel congresso venivano riportati nel congresso successivo, per cui le percentuali restavano le stesse, ecco, quel gruppo aveva tot percentuali, ogni tanto qualcuno si agitava, e allora a questa agitazione corrispondeva un qualche punto in più in percentuale e Lima distribuiva qui a Palermo le quote percentuali a tutti gli altri. Qualche volta anche il nome di questo equilibrio generale che gli serviva perchè poi gli dava questa possibilità di essere realmente maggioritario senza che nessuno gli facesse l'opposizione, salvo il gruppo di Mattarella, dicevo tutto questo lo portava ad autolimitarsi in qualche modo proprio perchè tutti potessero essere tranquilli. C'era poi un'altra regola, anche qui inventata da Nicoletti, che se c'erano dei passaggi da una corrente all'altra questi passaggi non dovevano valere immediatamente dopo del congresso successivo, o nel governo successivo, ma bisognava saltare un giro, perchè si potessero riconoscere questi passaggi e quindi ritoccare queste quote percentuali. Sostanzialmente la democrazia interna era finita nel senso che i tesseramenti veri o fasulli che fossero, quasi sempre pagati dai vertici politici erano tesseramenti che si ripetevano, e come diceva De Mita allora, servivano più per occultare i soci che per dare loro una possibilità di partecipazione. Cioè erano come dei numeri il riferimento allora letterario delle anime morte, ecco, che venivano utilizzate per dire: "io c'ho questa quota, non ho quell'altra quota", ma sostanzialmente l'operazione veniva fatta al vertice, c'erano tre quote a cui bisognava pagare questa tessera, una quota unica che si divideva in tre: una quota andava a Roma e quella quota la pagavano gli esponenti di partito; l'altra quota doveva venire a Palermo, si mandava a Palermo in maniera fittizia, ma poi Nicoletti la restituiva; la terza quota, perchè si trattava appunto di somme che venivano non dai partiti ma da singole persone, e quindi Nicoletti le restituiva ai singoli personaggi; la terza quota doveva andare ai provinciali e ciascuno si regolava, in qualche caso la versava questa quota, in qualche altro caso non la versava. Cioè era tutta una grande mistificazione. E purtroppo è un vizio che tende a perpetuarsi.

PRESIDENTE:. Questo per tutte le correnti valeva?

CAMPIONE G.: Questo per tutte le correnti. Nel senso che ci voleva una spesa immane per fare tesseramenti, cioè fu calcolato che per tutta la Sicilia un tesseramento corposo che doveva essere corposo, perchè poi doveva servire per i congressi nazionali e quindi per dimostrare a Roma che bisognava avere più potere in Sicilia e tutto questo finiva con il costare moltissimo, e certamente erano soldi prelevati non dalle fortune personali.

PRESIDENTE:. Questo valeva per la Sicilia?

CAMPIONE G.: Ma era un discorso diffuso, che più accentuato era nel meridionale e forse anche a Roma, ecco. Ma devo dire che era uno stile che si andava diffondendo. Ecco, quando io penso alla corrente andreottiana, per esempio, al perchè in tutta Italia nella corrente andreottiana c'erano personaggi dello stesso tipo, da Bonsignore a Torino, a Cirino Pomicino, a Sbardella, a Evangelisti, a Merlino, a Drago e a Lima, ci deve essere un qualche motivo che legava questa esperienza, quindi era come se ci fosse una sorta di convinzione che se non si era fatti in un certo modo non si poteva stare in quella corrente.

P.M.: Ecco, lei ha detto bisognava dimostrare a Roma quanto si contava: vuole spiegare meglio questo concetto?

CAMPIONE G.: Sì, perchè poi anche a Roma bisognava fare le liste e soprattutto prima dell'avvento del segretario eletto direttamente al congresso, le liste venivano fatte cercando di rispettare le quote regionali, e queste quote regionali se uno aveva più peso regionale in termini di tessere finiva con l'incidere di più in termini di formazione nel Consiglio Nazionale eccetera.

(…)

P.M.: E mi scusi onorevole, e contare di più nel consiglio nazionale cosa significava? Contare poi di più a livello di vertice sulle istituzioni, sull'applicazione del manuale Cencelli delle istituzioni centrali?

CAMPIONE G.: Non c'erano personaggi di grande livello, per cui il massimo dell'attesa era di giocare di più sui posti di sottosegretario, i ministri saranno soltanto politici, insomma. Cioè Lima non avrebbe mai immaginato di potere diventare ministro, forse D'Acquisto ci avrà pensato, ma in ministri in Sicilia sono stati soltanto per un breve periodo Gioè (rectius Gioia: n.d.e.), ma poi Gullotti e Mattarella.

P.M.: Sì, la mia domanda che non è stata espressa chiaramente è questa: lasciamo perdere l'ottica siciliana e andiamo nell'ottica centrale, romana. Ecco, questo manuale Cencelli che abbiamo visto come veniva applicato a Palermo e in Sicilia, veniva applicato anche in sede nazionale nel senso che le indicazioni delle persone che devono occupare il posto di Ministro, di sottosegretario, di enti centrali, veniva fatto ancora una volta dai vertici delle correnti? Ecco questo voglio dire.

CAMPIONE G.: Certo, anzi devo dirle che, e questo è molto importante dirlo, che il problema della quotazione romana non era un problema soltanto regionale, perchè poi le correnti nazionali utilizzavano i voti della Sicilia, e coi voti della corrente andreottiana, che era a maggioranza, proprio perchè la sinistra non riusciva a stare tutta unita, erano dei voti che facevano grande la presenza di Andreotti nella vita del partito e quindi anche nella vita poi dei governi che si sarebbero formati sulla base, appunto, di questo riconoscimento di quote.

Le restanti dichiarazioni del Pennino, secondo cui in seguito l’on. Lima avrebbe versato gli importi pecuniari relativi al "pacchetto di tessere" del gruppo del Ciancimino, non hanno invece trovato specifico riscontro in altri elementi di convincimento.

Dagli elementi di prova sopra riassunti si desume, quindi, che:

  • il Ciancimino (il quale era da lungo tempo strettamente legato ad ambienti mafiosi) nel 1970, quando si candidò alla carica di Sindaco del Comune di Palermo, fu energicamente ostacolato prima dall’on. Lima e poi, su impulso di quest’ultimo, dallo stesso sen. Andreotti;
  • tale opposizione era motivata da ragioni di opportunità politica, connesse all’accesa polemica già sviluppatasi in ordine alla figura del Ciancimino;
  • nel 1976 il gruppo facente capo al Ciancimino, pur mantenendo la propria autonomia, instaurò un rapporto di collaborazione con la corrente andreottiana;
  • su richiesta del Ciancimino, venne organizzato un incontro con il sen. Andreotti a Roma; nel corso della riunione, il sen. Andreotti prestò il suo assenso all’intesa raggiunta con il Ciancimino dall’on. Lima, il quale per giustificare l’opportunità dell’operazione aveva addotto ragioni tattiche legate alla necessità di non perdere la maggioranza all’interno del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana; il Ciancimino, nell’intento di beneficiare dell’autorevole protezione del sen. Andreotti, gli consegnò un dossier nel quale esponeva le sue ragioni rispetto alle accuse che gli venivano mosse in sede politica;
  • dopo questo incontro, furono versati su un libretto di risparmio al portatore di pertinenza dei Ciancimino due assegni bancari, dell’importo di £. 20.000.000 ciascuno, recanti rispettivamente la data del 14 marzo 1977 e quella del 18 maggio 1977, tratti e girati in bianco da Gaetano Caltagirone;
  • queste somme erano destinate al pagamento delle quote relative al "pacchetto di tessere" gestito dal Ciancimino;
  • il 20 settembre 1978 il sen. Andreotti incontrò nuovamente il Ciancimino;
  • il 7 giugno 1979, quando il sen. Andreotti tenne, presso il cinema Nazionale di Palermo, un discorso di sostegno alla candidatura dell’on. Lima per il Parlamento europeo, il Ciancimino si trovava sul palco, vicino al sen. Andreotti, ed esprimeva il proprio consenso al discorso del Presidente del Consiglio sorridendo e plaudendo alle sue parole;
  • alla fine del 1979 Piersanti Mattarella decise di chiedere al Segretario nazionale del partito, on. Zaccagnini, il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana, anche a causa del rilevante ruolo politico acquisito dal Ciancimino nel periodo in esame;
  • all’inizio del 1980 il gruppo facente capo al Ciancimino si inserì formalmente nella corrente andreottiana, ed il Ciancimino partecipò al Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, svoltosi a Roma dal 15 al 20 febbraio 1980, come delegato del gruppo che faceva riferimento all’on. Lima;
  • in seguito, dopo un periodo di forti contrasti con l’on. Lima (per la cui soluzione erano stati interpellati anche esponenti mafiosi), il Ciancimino si staccò dalla corrente andreottiana;
  • il Ciancimino, nel Congresso Nazionale del 1982 della Democrazia Cristiana, appoggiò, con i propri delegati, la lista capeggiata dall’on. Mazzotta;
  • in occasione del Congresso Regionale di Agrigento della Democrazia Cristiana, svoltosi nel 1983, l’on. Lima appoggiò la proposta – poi respinta per l’opposizione dell’on. Sergio Mattarella - di formare una lista unitaria, nella quale sarebbero state incluse tutte le correnti (compreso il gruppo del Ciancimino, che così avrebbe potuto essere rappresentato nel Comitato Regionale), ma non accettò di inserire il Ciancimino nella lista della corrente andreottiana;
  • nello stesso congresso, comunque, il Ciancimino riuscì a fare eleggere alcuni componenti del suo gruppo come delegati al Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, dove essi votarono per la corrente andreottiana;
  • l’accordo tattico concluso tra il Ciancimino e l’on. Lima in funzione del congresso di Agrigento, e riguardante la confluenza verso la corrente andreottiana dei voti congressuali di cui il Ciancimino poteva disporre, ricevette l’assenso del sen. Andreotti nel corso di un incontro tra quest’ultimo ed i predetti esponenti politici siciliani.

Non può pertanto ritenersi credibile la riduttiva versione dei fatti prospettata dal sen. Andreotti, il quale all’udienza del 28 ottobre 1998 ha reso le seguenti dichiarazioni spontanee: "voler legare i nomi di CIANCIMINO e di LIMA per ricondurre il primo nella cosiddetta corrente andreottiana, è una clamorosa forzatura. È vero che in una delle tante vicende congressuali si ebbe una momentanea convergenza e il CIANCIMINO volle venire a Roma con LIMA e qualche altro dirigente democristiano per rendermene edotto, anche se tutti sapevano che delle questioni regionali non mi interessavo, fu un incontro una tantum durato poco minuti e che definirei di cortesia. Per il resto non ho elementi diretti per poter valutare la persona e ricordo solo che in un mio comizio tenuto a Palermo figura alla tavola della presidenza nell’ultimo posto a destra e quindi accanto al foglio (rectius podio: n.d.e.) dell’oratore. La relativa fotografia viene di tanto in tanto riesumata anche dopo che L’Ora ha cessato le pubblicazioni. In un saggio del 1991 che raccoglie, edito da Il Foglio omonimo dell’attuale quotidiano di Milano stampato qui in Palermo, che raccoglie vari studi sulla vita politica siciliana ho trovato questa pagina in polemica con una frase di Michele RUSSOTTO nei giorni di Palermo, che aveva parlato di un gioco delle parti tra LIMA e CIANCIMINO. CIANCIMINO, è scritto, ha avuto rapporti di incontri e scontri con tutti gli esponenti della Democrazia Cristiana, parlamentari e non, e quindi anche con LIMA. Ma parlare di un’asse tra i due significa non ricordare lo svolgersi dei fatti. Quando CIANCIMINO, continua questa nota, comincia la sua carriera LIMA è assolutamente fuori dal suo orizzonte, poi passa con GIOIA e qui si trova nella stessa corrente di LIMA. Con i due però rompe e incentiva la rivolta di LO FORTE, posa LO FORTE e ritorna con GIOIA e LIMA dopo aver avuto la delega all’Assessorato dei Lavori Pubblici e per alcuni anni è effettivamente nelle Giunte di LIMA, anche se rispetto a lui rivendica la pari dignità e sottolinea il suo collegamento con GIOIA e con MATTARELLA senza tramite alcuno. Quando LIMA si dimette da Sindaco CIANCIMINO pone la sua candidatura alla successione ma LIMA appoggia BEVILACQUA. Quando GIOIA e LIMA rompono CIANCIMINO sta con GIOIA e ne determina la vittoria. Pone la candidatura a Sindaco e riesce ma gli votano contro LIMA, NICOLETTI e ALESSI. CIANCIMINO è poi e non ne fa un mistero il fattore determinante delle clamorose bocciature di PURPURA e di MARTELLUCCI amici e candidati ufficiali di LIMA. Naturalmente, conclude questa nota, in quel caleidoscopio che è il movimento dei vari personaggi DC tra le correnti maggiori e minori, chiunque ha avuto incontri con chiunque ma di assi è difficile parlare in questo come negli altri casi. Potrei anche citare qualche passo della testimonianza del dottor PENNINO ma mi sento piuttosto estraneo a queste vicende tutte interne di un partito che non può essere certo ricordato solo per questi risvolti".

Pur potendosi convenire sul rilievo che nel corso del tempo il Ciancimino stabilì, di volta in volta, legami politici con diverse correnti della Democrazia Cristiana, deve osservarsi – sulla base degli elementi di prova acquisiti – che il Ciancimino, in un periodo in cui era stato raggiunto da pesanti accuse in sede politica ed in cui era ampiamente nota la sua vicinanza con ambienti mafiosi, instaurò rapporti di collaborazione con la corrente andreottiana, sfociati poi in un formale inserimento in tale gruppo politico, e che i medesimi rapporti ricevettero, su richiesta dello stesso Ciancimino, l’assenso del sen. Andreotti nel corso di un incontro appositamente organizzato a questo scopo. A ciò fecero seguito – pur tra alterne vicende – ulteriori manifestazioni di cointeressenza, sia sotto il profilo dei finanziamenti finalizzati al pagamento delle quote relative al "pacchetto di tessere" gestito dal Ciancimino, sia sotto il profilo dell’appoggio dato dai delegati vicini al Ciancimino alla corrente andreottiana in occasione dei congressi nazionali del partito svoltisi nel 1980 e nel 1983.

Le risultanze dell’istruttoria dibattimentale non dimostrano, però, che il sen. Andreotti, nell’ambito dei predetti rapporti politici sviluppatisi con il Ciancimino, abbia espresso una stabile disponibilità ad attivarsi per il perseguimento dei fini propri dell’organizzazione mafiosa, ovvero abbia compiuto concreti interventi funzionali al rafforzamento di "Cosa Nostra".

Il complessivo contegno tenuto dal sen. Andreotti nei confronti del Ciancimino denota certamente la indifferenza ripetutamente mostrata dall’imputato rispetto ai legami che notoriamente univano il suo interlocutore alla struttura criminale, ma non si traduce inequivocabilmente in una adesione all’illecito sodalizio.

Lo stesso collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, che pure ha avuto una diretta conoscenza del modo di operare del Ciancimino in sede politica, non ha indicato alcuna richiesta rivolta da quest’ultimo al sen. Andreotti per il perseguimento degli interessi di "Cosa Nostra".

Deve dunque rilevarsi che la prova dei ripetuti contatti intercorsi tra l’imputato ed il Ciancimino non è sufficiente a dimostrare la realizzazione di condotte penalmente rilevanti.