CAPITOLO VI

I rapporti tra il sen. Giulio Andreotti e Michele Sindona

 

 

§ 1 – I legami di Michele Sindona con "Cosa Nostra"

 

Le dichiarazioni di una pluralità di collaboratori di giustizia convergono nell’affermare che Michele Sindona svolgeva attività di riciclaggio nell’interesse dei massimi esponenti dello schieramento "moderato" di "Cosa Nostra", facente capo a Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo.

In proposito, il collaborante Francesco Marino Mannoia all’udienza del 4 novembre 1996 ha riferito quanto segue:

P.M. NATOLI: (…) Ha sentito parlare in "COSA NOSTRA" di LICIO GELLI?

MANNOIA F.: io ne ho sentito parlare come di una persona in contatto con PIPPO CALO'. In contatto con PIPPO CALO' sempre come situazione di... di investimento, come riciclaggio di denaro e come, appunto, investimenti di denaro che facevano capo a PIPPO CALO', a TOTO' RIINA, a FRANCESCO MADONIA e addirittura anche vi era di mezzo Padre COPPOLA, AGOSTINO COPPOLA. So che avevano investito anche alcune grosse somme di denaro anche all'interno del VATICANO.

P.M. NATOLI: all'interno del VATICANO che cosa significa?

(…)

MANNOIA F.: ...attraverso la BANCA DEL VATICANO.

P.M. NATOLI: attraverso la BANCA DEL VATICANO. Da chi ne sente parlare di questo?

MANNOIA F.: da STEFANO BONTADE.

(…)

P.M. NATOLI: senta, di altri investimenti o perlomeno di altri canali di investimento, con riferimento a STEFANO BONTADE lei ne sente parlare oppure no?

MANNOIA F.: sì, durante il periodo del traffico dell'eroina, vi è stato un periodo in cui si è lavorato moltissimo (...) su questa sostanza e molta eroina, la maggior parte dell'eroina veniva spedita negli STATI UNITI appunto a JOHN GAMBINO. E io so che attraverso JOHN GAMBINO e SINDONA e STEFANO BONTADE e SALVATORE INZERILLO, hanno effettuato (…) dei grossi investimenti (...) su hotel, su terreni e anche su delle finanziarie, sia nell'isola di ARUBA, sia anche in FLORIDA.

(…)

P.M. NATOLI: nell'isola di?

(…)

MANNOIA F.: ARUBA. Io in un primo tempo avevo dichiarato perché non mi ricordavo bene, CUBA, ma durante la mia permanenza negli STATI UNITI e geograficamente appresi che il nome dell'isola ARUBA e allora questo mi illuminò la mente nel ricordare che era l'isola di ARUBA.

P.M. NATOLI: scusi, lei ha fatto ora un riferimento geografico. Mi consenta allora questa domanda. Lei sa dove si trova l'isola di ARUBA?

MANNOIA F.: sì, l'isola di ARUBA si trova di fronte, di fronte alla FLORIDA.

P.M. NATOLI: quindi gli investimenti vennero fatti in FLORIDA e nell'isola di ARUBA.

MANNOIA F.: sì.

(…)

P.M. NATOLI: (…) Vuole ripetere di nuovo i nomi degli uomini d'onore o, comunque, dei trafficanti di stupefacenti che erano in società con SINDONA?

MANNOIA F.: era JOHN GAMBINO, STEFANO BONTADE, e SALVATORE INZERILLO. Avevano creato questo, questo monopolio, questa società che veniva raffinata in SICILIA da me, dai VERNENGO (…) questa eroina e che quindi poi veniva spedita negli U.S.A. a JOHN GAMBINO. Da lì veniva smerciata e parte del grosso guadagno rimaneva negli STATI UNITI per essere investito. Altri soldi rientravano per l'acquisto della nuova morfina.

P.M. NATOLI: senta Signor MANNOIA, per farci capire in che ordine di grandezza finanziaria ci muoviamo. Che cosa può dire lei, ha un'esperienza diretta su questi valori. Che quantitativi erano di eroina che veniva smerciata negli STATI UNITI e quindi che ricavato economico se ne aveva.

MANNOIA F.: beh, posso dire che io (…) lavorai per conto di BONTADE, anche... non è che lavorai solo per conto di BONTADE. Lavorai per tanti altri. Ma in riferimento al BONTADE io lavorai per conto suo sicuramente più di mille chili di eroina. Mille chili di eroina che poi erano mischiati a un taglio particolare, il quale aveva lo stesso procedimento dell'eroina. Atropeina. Atropeina che veniva, appunto, mischiata a questa eroina purissima e veniva spedita negli STATI UNITI e quindi il guadagno era una cifra astronomica.

(…)

P.M. NATOLI: a quanto vendevate al chilo l'eroina?

MANNOIA F.: vi era (…) una diversità (…) di guadagni. Da un canto nostro noi che lavoravamo avevamo una percentuale (…) per ogni chilo di eroina che veniva raffinata.

P.M. NATOLI: quindi venivate pagati in natura?

MANNOIA F.: in natura. Per quanto riguarda BONTADE, (…) INZERILLO e GAMBINO, avevano diverse società. Avevano sia da... sin dall'acquisto, poi avevano il valore effettivo del chilo in ITALIA, e poi avevano la spedizione fatta negli U.S.A., aveva già (…) un altro valore; e inoltre, diciamo, l'eroina veniva smerciata (…) dal JOHN GAMBINO, e quindi fatta aumentare di volume attraverso questo taglio che era fatto. Io oltre a questo, l'INZERILLO aveva una mano, (…) aveva una sua possibilità personale, in cui io stesso assistetti per un paio di volte a dover miscelare questa eroina, che era eroina tailandese, che gli arrivava personalmente a lui; quindi durante il periodo che io lavorai con BONTADE, tra eroina che ho fatto io insieme ad altri per conto di BONTADE e INZERILLO, e eroina che arrivava (…) dalla TAILANDIA, io credo di parlare (…) di moltissimi miliardi (…) investiti diciamo in alberghi, terreni e società. Potrei quantificarlo sommariamente in una...

P.M. NATOLI: scusi, ecco, cerchiamo di quantificarlo con riferimento al valore di vendita al chilo, al vostro livello.

MANNOIA F.: al chilo...

P.M. NATOLI: cioè, un chilo sul mercato statunitense quanto veniva ceduto?

MANNOIA F.: all'epoca era attorno ai centotrenta, centoquaranta e a volte anche centocinquantamila dollari.

P.M. NATOLI: al chilo.

MANNOIA F.: al chilo.

P.M. NATOLI: e ne avete, per quello che riguarda lei soltanto...

MANNOIA F.: quindi abbiamo...

P.M. NATOLI: ...commercializza... cioè lei ne ha raffinato un migliaio di chili...

MANNOIA F.: un migliaio di chili più...

P.M. NATOLI: ...più quella che arrivava dalla TAILANDIA.

MANNOIA F.: no, più ancora che vi era un... più del 20% della sostanza che costava pochissimo, che era appunto...

P.M. NATOLI: quella miscelata con l'atropeina.

MANNOIA F.: ...miscelata, quindi ancora aumentare di un (…) 20% questa...

P.M. NATOLI: per quello che lei sa, che sorte hanno avuto gli investimenti di BONTADE curati da MICHELE SINDONA dopo la morte di BONTADE?

MANNOIA F.: io, per quello che appresi io, dopo la morte di BONTADE, durante la mia permanenza all'UCCIARDONE, il quale... condividevo la stessa cella di GIOVANNI BONTADE insieme a GIOVAN BATTISTA PULLARA', di fronte vi era PIETRO LO IACONO in un'altra cella insieme a GERLANDO ALBERTI; la moglie di BONTADE che era a conoscenza di alcuni investimenti del marito, (…) fece sapere (…) a suo cognato GIOVANNI BONTADE, di volersi interessare nei confronti di NINO BONTADE e di altri per poter cercare di recuperare in qualche modo il bene del marito. Perché fra l'altro il BONTADE aveva anche gioielli di famiglia, notevoli, importanti gioielli di famiglia, che custodiva nelle vicinanze... occultava nelle vicinanze della sua abitazione, (…) nel suo terreno di proprietà, il quale era a conoscenza perfettamente il NINO BONTADE. Dopo la sua morte non si trovarono neanche questi, chiamiamoli, tesori. Io so solo che...

PRESIDENTE: chi era questo NINO BONTADE?

MANNOIA F.: NINO BONTADE è un cugino di STEFANO BONTADE.

P.M. NATOLI: uomo d'onore anch'egli?

MANNOIA F.: sì, era capodecina. (…) NINO BONTADE era (…) uno dei pochi conoscitori, all'interno della famiglia stessa di STEFANO, di questi gioielli. So solo che la moglie di BONTADE non ha trattato più NINO BONTADE, quindi credo che abbiano avuto esito negativo queste situazioni. Poi io (…) non mi sono più interessato a questa vicenda.

L’esame dibattimentale del Marino Mannoia ha fatto seguito ad altre deposizioni rese dal medesimo davanti al Pubblico Ministero in sede di commissione rogatoria internazionale, i cui verbali sono stati acquisiti al fascicolo per il dibattimento.

In particolare, nell’interrogatorio del 15 luglio 1991 il Marino Mannoia aveva dichiarato:

"Avevo sentito dire da Stefano Bontate e da altri uomini d'onore della nostra famiglia (sempre prima della morte di Bontate) che Pippo Calò, Salvatore Riina, Francesco Madonia e altri dello stesso gruppo avevano somme di denaro investite a Roma attraverso Licio Gelli che ne curava gli investimenti.

Si diceva anche che parte di questo denaro era investito nella "banca del Vaticano". La stessa notizia era riferita anche a padre Agostino Coppola.

Di queste cose io parlavo solo con Stefano Bontate e Salvatore Federico che erano i "manager" della nostra "famiglia".

In sostanza "come Bontate Stefano e Salvatore Inzerillo avevano Sindona, gli altri avevano Gelli"".

Nell’interrogatorio del 29 gennaio 1994 il collaboratore di giustizia aveva affermato:

"Confermo l’interrogatorio reso anche a codesto Ufficio il 15.7.1991, a New York in sede di commissione rogatoria internazionale. In quella occasione ho già detto che come GELLI faceva investimenti per conto di CALO’, RIINA, MADONIA ed altri esponenti dello schieramento "corleonese", SINDONA faceva investimenti finanziari per conto di BONTATE e di INZERILLO.

Nel corso di varie conversazioni succedutesi nel tempo con il BONTATE, sentii dire da quest’ultimo che SINDONA aveva investito denaro di BONTATE, di INZERILLO e di GAMBINO John in alcune società finanziarie e in vari beni immobili negli U.S.A. e nell’isola di Aruba".

Il Marino Mannoia, inoltre, nella deposizione resa in data 4 febbraio 1993 nel processo instaurato nei confronti di John Gambino ed altri imputati davanti al Tribunale del Distretto Sud di New York, aveva riferito le seguenti circostanze comunicategli da Stefano Bontate in un colloquio svoltosi nel periodo in cui il Sindona, avendo simulato il proprio rapimento, si trovava presso la villa ricadente nella disponibilità di Rosario Spatola:

D.: Bontate le ha raccontato altro riguardo a Michele SINDONA?

R.: (…) Mi ha anche detto che l’unico interesse che aveva nei confronti di Sindona era costituito dal fatto che lui aveva investito i suoi soldi, quelli di Stefano Bontate, ed anche quelli di Totuccio Inzerillo e John Gambino. (…)

D.: Mi può dire quando ricorda di aver avuto questa conversazione su Michele Sindona?

R.: Nell’autunno del 1979. Non ricordo la data esatta.

(…)

D.: Ha mai parlato con Stefano Bontate del rapporto tra Sindona, Bontate, Totuccio Inzerillo e John Gambino?

(…)

R.: Sì.

D: Oltre alla conversazione di prima?

R: mi disse che insieme avevano investito dei soldi in Florida e a Cuba o Aruba. Ammetto che non sono sicuro se fosse Cuba e Aruba o Cuba o Aruba. (…) Quando Bontate mi ha parlato di quei posti, io non ero molto interessato agli investimenti e dunque non siamo entrati nei particolari. (…)

D.: Le venne detto che erano stati investiti dei soldi in Florida?

R.: Sì.

(…)

D.: Non è sicuro se i soldi siano stati investiti in due o tre località?

R.: Due località.

D.: Allora lei non è sicuro se la seconda località sia Cuba o Aruba?

R.: Sì.

D.: Di chi erano i soldi che erano stati investiti in queste località?

R.: Appartenevano a Stefano Bontate, John Gambino, Totuccio Inzerillo, erano soldi ricavati dal traffico di eroina.

D.: Bontate le disse che tipo di investimenti fossero?

R.: Avevano comperato azioni di alberghi ed istituti finanziari.

Dalle suesposte dichiarazioni del Marino Mannoia si desume, quindi, che Michele Sindona provvedeva ad investire, per conto di Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e John Gambino, in società finanziarie, immobili ed alberghi, siti nella Florida e nell’isola di Aruba, elevatissime somme di denaro costituenti provento del traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Ciò fu riferito al Marino Mannoia da Stefano Bontate.

La circostanza che il Sindona curasse l’investimento di ingenti somme di denaro di pertinenza di Salvatore Inzerillo (il quale gestiva alcuni dei maggiori traffici di sostanze stupefacenti tra l’Italia e gli U.S.A.) è stata confermata dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, il quale all’udienza del 30 ottobre 1996 ha riferito quanto segue:

P.M.: Senta lei ha mai sentito parlare di Michele Sindona in Cosa Nostra?

DI CARLO F.: Di Michele Sindona ne ho sentito parlare sia nella fine '79 che in principio di '80. 1980. Ma così. Poco.

(…)

P.M.: Da chi? In che termini ne sente parlare?

DI CARLO F.: Ne sentivo parlare prima di anni '70, così, una volta o due volte è capitato che si diceva che (…) Salvatore Inzerillo, che (…) diventa capomandamento di (…) Boccadifalco. Aveva un'amicizia diretta con Sindona. E infatti si diceva che tutti i miliardi o i milioni di dollari che Inzerillo amministrava, perché 'sto Inzerillo è stato uno dei primi esportatori di droga dalla Sicilia in America o dall'Italia in America, ce l'amministrava o li investiva con Sindona. Aveva un'amicizia diretta. Si parlava così. (…)

P.M.: Senta, una precisazione che è l'ultima. Da chi sente dire che Sindona gestiva i soldi di pertinenza di Salvatore Inzerillo?

DI CARLO F.: Ma a livello di ... di altri ... Cosa Nostra, diciamo. A volte io mi sedevo a parlare anche (…) con Saro Riccobono, Saro Riccobono è un capomandamento, eravamo abbastanza intimi, o con Totuccio Micalizzi andavamo ... la sera, così, uscivamo per andare a mangiare assieme o frequentare qualche locale, così. Si parlava e si capiva. Si capiva e quello mi dava la conferma. Ecco. Sempre in Cosa Nostra, a un certo livello, con tanta discre.. tanta discrezionalità parlavamo. Non era una cosa che si abbanniava in mezzo le strade.

Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, escusso all’udienza del 30 maggio 1996, ha affermato di avere appreso dal Riccobono che alcuni esponenti mafiosi di primaria importanza (come il Bontate, l’Inzerillo, il Riina, il Teresi) avevano effettuato investimenti attraverso il Sindona.

Le dichiarazioni rese dal Mutolo sull’argomento sono di seguito riportate:

P.M.: (…) Lei durante la sua vita passata in Cosa Nostra ha mai sentito parlare di Michele Sindona? E se è sì in che occasione, in che termini?

MUTOLO G.: Guardi, io ne ho sentito parlare spesso di Michele Sindona. Io di Michele Sindona ho parlato direttamente con Riccobono, sono stato in galera, diciamo. al dottor Crini a quello che curò la ferita ... di Sindona ne ho sentito parlare, ne ho parlato con diversi personaggi. Uno degli ultimi che ne parlai è stato un certo, diciamo, non mi ricordo ora ... ma comunque io ne ho sentito parlare che quando lui è venuto a Palermo, diciamo, era fatto venire dall'America perché, diciamo, avevano investito, alcuni mafiosi come Bontate, Inzerillo, Riina, Teresi insomma tanti personaggi importanti mafiosi, dei soldi su Sindona perché, non lo so, nelle banche, perché anche i mafiosi investono nelle azioni delle banche, della borsa e quindi ... però le cose andarono male a Sindona, è venuto qua in Sicilia e mi ricordo che (incomp.) con il Riccobono è stato che quando lui è venuto era per recuperare i soldi che doveva dare diciamo ai mafiosi.

(…)

P.M.: E questo scopo del viaggio di Sindona in Sicilia, lei lo apprende ...? Vuole ripetere da chi?

MUTOLO G.: Da Rosario Riccobono.

P.M.: Che aveva investito, aveva investito dei soldi?

MUTOLO G.: ...Dopo ne parlo con Micalizzi Salvatore ma la persona più importante è Rosario Riccobono.

P.M.: E Rosario Riccobono, per quello che lei sa, aveva investito danaro presso le banche di Sindona?

MUTOLO G.: Lui quanto ha investito io non lo so però so che tutti gli esponenti, i più importanti mafiosi perché purtroppo la mafia fa così quando c'è una speculazione, quando c'è un investimento ... cioè non è una singola persona che investe soldi, ma sono tutti i mafiosi che mettono soldi insomma, che 10 lire, chi 5 lire, chi 50 lire, però sono tutti i personaggi che investono su una cosa che può essere buono.

Le dichiarazioni dei suindicati collaboratori di giustizia presentano, dunque, un nucleo comune, riguardante l’attività di riciclaggio svolta dal Sindona per conto di esponenti mafiosi dello schieramento "moderato".

La circostanza che il Mutolo abbia incluso anche il Riina tra i beneficiari di tale attività non si pone in contrasto con le asserzioni degli altri collaboranti. Sul punto, deve infatti osservarsi che, secondo lo stesso Marino Mannoia, l’investimento delle somme di denaro del Riina era curato da un soggetto strettamente legato al Sindona, come Licio Gelli; non può, quindi, reputarsi irragionevole che anche il Sindona – aderendo alle richieste di altri soggetti idonei a fungere da trait d’union tra lui ed il Riina - si sia prestato ad effettuare operazioni di riciclaggio in favore del Riina, in un momento in cui non si era ancora manifestata la violenta lotta tra il gruppo facente capo a quest’ultimo e l’ala "moderata" dell’organizzazione mafiosa.

Ai fini della valutazione in ordine alla veridicità delle dichiarazioni de relato sopra menzionate, deve tenersi conto sia della personalità dei suindicati collaboratori di giustizia, sia delle circostanze e modalità che caratterizzarono i colloqui nel corso dei quali essi appresero le notizie poi esposte all’autorità giudiziaria, sia del livello delle conoscenze possedute dalle loro fonti di riferimento.

L’inserimento di Francesco Marino Mannoia in "Cosa Nostra" ed il suo coinvolgimento nel traffico di sostanze stupefacenti furono accertati con la sentenza emessa il 16.12.1987 dalla Corte di Assise di Palermo a conclusione del primo grado di giudizio del c.d. maxiprocesso, sulla base delle dichiarazioni del Buscetta e del Contorno che lo avevano indicato, rispettivamente, come affiliato alla "famiglia" di Santa Maria di Gesù e come chimico esperto nella raffinazione della droga.

A seguito dell’uccisione del fratello Agostino, Francesco Marino Mannoia in data 8 ottobre 1989 iniziò a collaborare con la giustizia, ammettendo di avere fatto parte dell’associazione mafiosa, di avere operato alle dirette dipendenze di Stefano Bontate (capo della "famiglia" di Santa Maria di Gesù) cui era legato da un particolare rapporto di fiducia, e di avere raffinato notevolissime quantità di morfina-base in un primo tempo nell’interesse del Bontate e, dopo la morte di quest’ultimo, per conto di esponenti dello schieramento dei "corleonesi".

Pochi giorni dopo avere compiuto tale scelta collaborativa, il Marino Mannoia subì l’uccisione di tre prossimi congiunti (la madre, la sorella e la zia) ad opera dell’organizzazione mafiosa, la quale dimostrò così di essere perfettamente consapevole della rilevanza del patrimonio conoscitivo che egli avrebbe potuto consegnare all’autorità giudiziaria.

In effetti, il Marino Mannoia, già nel corso del secondo grado di giudizio del c.d. maxiprocesso, offrì all’autorità giudiziaria importantissimi elementi di convincimento in ordine alla struttura dell’associazione mafiosa, a numerosi delitti realizzati da affiliati a "Cosa Nostra", alle modalità di svolgimento dei traffici di sostanze stupefacenti.

L’attendibilità delle sue dichiarazioni venne riconosciuta dalla sentenza emessa il 10 dicembre 1991 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo, che evidenziò il notevole valore attribuibile a queste acquisizioni, non soltanto per la dovizia di particolari degli episodi riferiti, ma soprattutto per la stessa fisionomia del collaboratore, il quale era rimasto inserito nell’ambiente dell’organizzazione criminosa, mantenendo contatti e rapporti improntati a reciproca affidabilità rispetto agli altri associati. La medesima pronunzia osservò che il livello di attendibilità del Marino Mannoia risultava ulteriormente confermato dalla stessa obiettiva descrizione dei fatti a lui noti, qualche volta riferiti con contributi critici personali, ma in modo da non lasciare in dubbio, in simili casi, il carattere di opinione soggettiva. La sentenza rilevò, inoltre, l’infondatezza delle prospettazioni difensive secondo cui il Marino Mannoia non avrebbe potuto essere considerato attendibile per il fatto di avere costantemente presenziato al dibattimento di primo grado, sottolineando la sua verificata disponibilità alla collaborazione sulla base di dati storici effettivamente conosciuti, e specificando che il Marino Mannoia – invece di manifestare un semplice intento di rafforzare le basi dell’accusa già vagliata in primo grado – in alcuni casi aveva smentito apertamente e consapevolmente le affermazioni degli altri collaboranti.

La piena ragionevolezza di tale valutazione fu confermata dalla pronunzia del 30 gennaio 1992 della I Sezione Penale della Corte di Cassazione, che formulò le seguenti osservazioni:

"la Corte di Assise di Appello si è prefissa alcuni canoni del procedimento valutativo raccomandando a sé medesima l’opportuna cautela nella considerazione delle diverse fonti propalatorie, ed in particolare di quelle sospette perché tendenzialmente portatrici di scopi di vendetta, tracciando una varietà tipologica-soggettiva dei c.d. "pentiti" ed approntando, in parallelo, una gamma di adeguati riscontri. (…)

In tale ambito, la Corte di secondo grado si è correttamente preoccupata di accertare la genuinità delle numerose dichiarazioni utilizzate, in relazione alla proposta ipotesi di collusioni fraudatorie all'origine di tutte (…), prospettandosi innanzi tutto una serie di possibili fattori, anche involontari, di inquinamento collettivo o comunque in grado, sul piano astratto, di far ricondurre le pur distinte, ed apparentemente autonome, dichiarazioni propalatorie ad unica e fuorviante matrice (…).

Ma la consistenza del sospetto non è andata al di là della mera ipotesi di lavoro, per l'accertata inesistenza di elementi di fatto di segno contrario o diverso e per la constatata prova - di contro - della derivazione originale, anche nel contenuto, di ciascuna dichiarazione dal proprio autore, come desumibile dalla diversità delle fonti informative da ciascuno utilizzate e dalle conseguenti, inevitabili discordanze riscontrate tra le varie propalazioni su alcuni punti, attestative delle reciproche autonomie e del resto fisiologicamente assorbibili in quel margine di disarmonia normalmente presente nel raccordo tra più elementi rappresentativi (…).

La Corte di merito si è posta anche il quesito se non vi fossero ragioni preliminari e trancianti per ritenere inattendibili a priori le dichiarazioni del MARINO MANNOIA (e del CALDERONE), in quanto formulate dopo la definizione del giudizio di primo grado (in cui il primo, imputato, era stato presente), e quindi dopo la pubblicazione ufficiale di quelle degli altri collaboranti, di cui avevano potuto conoscere il dettaglio, adattandovi - secondo i rilievi delle difese - le proprie, dunque irrimediabilmente inficiate da questo difetto d'origine e come tali inutilizzabili in assoluto.

La sentenza ha però ragionevolmente risposto (…), sottolineando in concreto la spontaneità del nuovo atteggiamento processuale del MARINO MANNOIA, spontaneità confermata dalla confessione di personali responsabilità sino a quel momento tenacemente negate con qualche speranza di essere creduto, e riscontrando nelle dichiarazioni rese tardivamente elementi di novità e di originalità rispetto alle altre e precedenti propalazioni. Di qui ha tratto il ragionevole convincimento che le caratteristiche con cui le dichiarazioni si presentavano ne confermavano la originalità del contenuto.

A tali inappuntabili ed incensurabili considerazioni (…) la sentenza impugnata mostra di avere aggiunto, in linea di principio, che non necessariamente ed inevitabilmente la conoscenza pubblica di dichiarazioni già agli atti deve significare lo screditamento aprioristico di altre successive, provenienti da soggetti diversi. Già la mera circostanza della successione temporale di più dichiarazioni nulla dice a tale riguardo, non potendosene ricavare alcun elemento di serio sospetto sulla attendibilità di quelle posteriori alla prima, se non nel concorso di altri e comprovati elementi, che depongano nel senso del recepimento manipolatorio di questa sulle altre.

Ma la certezza della "contaminatio" non può desumersi, con effetto automatico, neppure dalla accertata conoscenza delle prime propalazioni, poichè ciò non è di ostacolo assoluto, astrattamente parlando, all'accredito delle originalità di quelle successive, ancorchè di contenuto per lo più conforme, la cui autonoma provenienza dal bagaglio di informazioni proprio del dichiarante può essere accertata - sul piano soggettivo, come su quello oggettivo - in vario modo e con i normali strumenti dell'indagine penale, come lo è stata nei casi in discorso, in cui, oltretutto, il radicamento dei due propalanti nella realtà criminale mafiosa, con la connessa possibilità di conoscenze di prima mano, è risultato indubbio, con implicazioni probatorie di tutta evidenza. (…)

La sentenza impugnata resiste anche alle specifiche censure con le quali si denunciano pretese contraddizioni o travisamenti nella applicazione pratica dei principi enunciati, specialmente in relazione alla valutazione concreta di attendibilità di collaboranti. A questo specifico aspetto, molto complesso, la Corte di secondo grado ha dedicato le pagg. da 625 a 720, assoggettando a minuziose analisi le varie fonti ed approdando a conclusioni (…) sulle quali si può esprimere un giudizio di generale accettabilità. Ed invero, (…) il secondo giudice ha potuto distinguere (…) le parti veridiche da quelle inverosimili, ciò facendo con argomentate considerazioni, nelle quali si è riflesso il vaglio di merito approfondito, sempre sorretto da un non contestabile criterio di logica razionalità (…)".

Dopo la conclusione del c.d. maxiprocesso, il Marino Mannoia decise di rendere ampia confessione in ordine a tutti i delitti da lui commessi. In particolare, nel corso dell’interrogatorio del 3 aprile 1993, davanti al Pubblico Ministero, il collaborante precisò quanto segue:

"Prima di rispondere a tutte le domande che le SS.LL. vorranno rivolgermi in ordine all’oggetto della rogatoria, desidero fin d’ora confessare tutte le mie responsabilità in ordine a gravi delitti, cui ho personalmente partecipato.

Già prima che mi inducessi ad indicare tutti gli omicidi da me commessi nell’ambito del procedimento giudiziario attualmente in corso negli Stati Uniti, avevo rappresentato ai miei difensori di fiducia il desiderio di rendere totale confessione ai giudici italiani.

Peraltro, già nel periodo in cui rendevo i miei interrogatori al dottor Giovanni FALCONE, avevo a lui anticipato che "non ero uno stinco di santo ed avevo commesso molti crimini di cui dovevo vergognarmi". Allo stesso dottor FALCONE avevo quindi aggiunto che non escludevo di rendere in futuro più ampie dichiarazioni sulle mie personali responsabilità, e che avrei volentieri ammesso le mie colpe, ove qualcuno mi avesse chiamato giustamente in causa; ciò sicuramente avrei fatto non appena avessi avuto percezione di una seria determinazione dello Stato italiano nel perseguire i crimini di Cosa Nostra.

Desidero ancora precisare che comunque, anche nel passato, quando ho riferito fatti nei quali in effetti ero personalmente coinvolto, pur omettendo l’indicazione della mia partecipazione, ho sempre narrato esattamente tutta la verità, chiamando in causa soltanto coloro che erano sicuramente responsabili e mai incolpando persone innocenti.

Oggi, innanzi alle SS.LL. ho infine deciso di rendere la più ampia ed integrale delle confessioni, estendendola anche a tutti i reati diversi dagli omicidi finora da me indicati nel corso del procedimento statunitense.

La mia collaborazione sarà da questo momento integrale e senza riserve, poiché confido che, nonostante le gravissime difficoltà che sicuramente mi attendono, il nuovo contributo che mi appresto a dare alla giustizia possa essere in qualche modo utile per costruire una società migliore soprattutto nell'interesse dei nostri figli. Parlerò adesso degli omicidi cui ho partecipato (…)".

Nel corso del medesimo interrogatorio, il Marino Mannoia rese ulteriori dichiarazioni sul tema dei rapporti tra mafia e politica, esponendo anche episodi trattati in altre parti della presente sentenza.

La progressiva estensione dell’ambito e della portata delle sue rivelazioni (sia quanto all’ammissione della propria responsabilità per reati di sangue, sia quanto alla narrazione di vicende coinvolgenti altri soggetti, tra cui alcuni esponenti del mondo politico ed istituzionale) è stata spiegata in modo perfettamente plausibile dal Marino Mannoia, il quale ha esplicitato di avere precedentemente omesso di riferire simili fatti per la vergogna di far conoscere ai propri familiari la sua partecipazione a gravissimi delitti e per il timore di essere oggetto di manovre volte a gettare il discredito sulle sue dichiarazioni, proprio in un periodo in cui non era ancora stata emanata una normativa riguardante i collaboratori di giustizia.

Il Marino Mannoia all’udienza del 4 novembre 1996 ha così spiegato le ragioni che nel 1993 lo indussero ad ampliare l’oggetto della propria collaborazione con la giustizia: "era morto l'Onorevole LIMA, è stato ucciso, però è stato ucciso NINO SALVO (si tratta in realtà di Ignazio Salvo: n.d.e.), erano stati uccisi FALCONE e BORSELLINO. Avevo appreso che era stato iniziato un procedimento a carico dell'Onorevole ANDREOTTI. In effetti molto si era fatto, i tempi erano diversi, e io mi resi conto che era giusto che io aprissi completamente quello che erano, diciamo, le mie conoscenze e metterle a disposizione dell'Autorità".

In occasione dell’interrogatorio del 3 aprile 1993, svoltosi presso l’U.S. Attorney’s Office del Distretto Meridionale di New York, l’Assistant U.S. Attorney Patrick Fitzgerald precisò preliminarmente che l’Autorità statunitense, in conformità al Trattato di mutua assistenza giudiziaria tra gli Stati Uniti e l’Italia, imponeva le sottoindicate condizioni:

- le dichiarazioni rese da Francesco MARINO MANNOIA alle Autorità Giudiziarie italiane nel corso dell’esecuzione della presente rogatoria, non potranno essere utilizzate contro lo stesso MARINO MANNOIA in nessun procedimento in Italia;

- la trascrizione delle dichiarazioni già rese dallo stesso MARINO MANNOIA, nel dibattimento in corso negli Stati Uniti contro John GAMBINO ed altri viene consegnata alla Magistratura italiana a condizione che nessuna utilizzazione ne verrà mai fatta contro Francesco MARINO MANNOIA in alcun procedimento giudiziario italiano.

Il Procuratore della Repubblica di Palermo prese atto delle condizioni precisate dal Dottor Fitzgerald.

Nel successivo interrogatorio del 26 gennaio 1994 l'Avv. Laurie Barsella, presente in rappresentanza del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, dettò a verbale le seguenti considerazioni:

"Il presente procedimento è continuazione della rogatoria MANNOIA iniziata il 2.4.93 con i primi contatti di carattere organizzativo e proseguita il 3.4.93 con l’interrogatorio del MANNOIA da parte della Procura della Repubblica di Palermo. Il 23.3.1993 (data approssimativa) ci fu un incontro a Roma tra i rappresentanti del Ministero di Grazia e Giustizia italiano, i rappresentanti del Ministero di Grazia e Giustizia americano e gli avvocati difensori del MANNOIA.

Durante questo incontro, le parti esaminarono i temi da trattare durante l’esecuzione, a New York, di una richiesta, conforme al Trattato, riguardo l’omicidio di Salvatore LIMA.

Le parti concordarono che il MANNOIA avrebbe incluso nell’interrogatorio non solo l’omicidio LIMA, ma anche i reati, inclusi gli omicidi, commessi dallo stesso MANNOIA, essendosi egli già accusato di questi reati genericamente, davanti all’Autorità giudiziaria americana, nell’ambito del processo GAMBINO.

Durante l’incontro, gli avvocati difensori dichiararono anche che MANNOIA avrebbe risposto alle domande, a condizione che le dichiarazioni fatte dal MANNOIA non fossero usate contro di lui in nessun procedimento che si fosse svolto in Italia.

Le Autorità statunitensi, in conformità dell’art. 5 del Trattato, acconsentirono ad imporre la condizione che le dichiarazioni del teste non venissero usate, contro di lui, in nessun procedimento condotto in Italia. (…)

L’interrogatorio cominciò il 3.4.93. (…)

Siccome questo procedimento è la continuazione della rogatoria cominciata il 2.4.93, vengono applicate al MANNOIA, adesso come allora, le stesse condizioni, in conformità con l’art. 5 del Trattato. Ossia, in accordo con la richiesta presentata dagli avvocati del MANNOIA, all’incontro fatto a Roma nel mese di marzo 93, le dichiarazioni fatte dal MANNOIA alle Autorità Giudiziarie italiane non potranno essere usate contro di lui in nessun procedimento italiano.

Come sempre, chiarifichiamo ulteriormente che questa condizione sarà messa in vigore solo se il teste dice la verità.

Si informa anche che qualunque dichiarazione falsa o distorta fatta dal teste, sarà punibile negli Stati Uniti e in Italia, in conformità con le leggi statunitense e italiana".

La Procura della Repubblica di Palermo concordò con quanto precisato dall’avv. Barsella e ribadì:

- che la c.d. immunità era ed è non altro che la inutilizzabilità nei confronti di Francesco MARINO MANNOIA delle dichiarazioni autoaccusatorie da lui rese nell’ambito delle rogatorie richiamate;

- che tale inutizzabilità non riguardava e non riguarda, ovviamente, eventuali dichiarazioni false o calunniose o comunque non veritiere, con la precisazione che tutto ciò (…) era già contenuto sinteticamente nel preambolo dell’interrogatorio iniziato il 3.4.93, in quanto conforme all’art. 5 del Trattato di mutua assistenza in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d’America (Legge 26.5.1984 n.224) e al relativo accordo (riguardante il processo Gambino) intercorso tra il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e Francesco Marino Mannoia in data 16.1.93 (…).

Nel corso del medesimo interrogatorio, il Marino Mannoia, prendendo atto delle precisazioni e deduzioni svolte dalle autorità giudiziarie statunitense e italiana, dichiarò "di rinunziare (…) alla immunità, quale concordata negli originari ed oggi ribaditi accordi, al precipuo fine di non frapporre ostacoli all’accertamento dei fatti e delle sue personali responsabilità nei procedimenti innanzi l’Autorità giudiziaria in Italia".

In considerazione del suindicato contenuto dei verbali del 3 aprile 1993 e del 26 gennaio 1994, deve escludersi che le condizioni imposte dall’Autorità statunitense abbiano potuto indurre il collaborante a concepire ed a sviluppare un disegno calunniatorio nei confronti di altri soggetti.

Depongono univocamente in tal senso sia la precisazione che l’inutilizzabilità, contro il medesimo collaborante, delle dichiarazioni da lui rese sarebbe stata subordinata alla veridicità delle affermazioni da lui compiute, sia la circostanza che lo stesso Marino Mannoia abbia espressamente rinunziato alla predetta condizione della inutilizzabilità (c.d. immunità).

Non vi è dubbio che, qualora il collaborante avesse inteso accusare altri soggetti senza assumersi alcuna responsabilità per il contenuto delle proprie dichiarazioni, sarebbe stato assolutamente irragionevole rinunziare a tale condizione, esponendosi alla concreta possibilità di essere sottoposto a processi penali per il proprio concorso nei medesimi fatti da lui attribuiti anche ad altre persone.

Deve dunque rilevarsi che il complessivo comportamento del Marino Mannoia denota una precisa volontà di rendere assolutamente piena e sincera la propria collaborazione con la giustizia.

Va, poi, osservato che gli elementi di convincimento raccolti non hanno dimostrato l’esistenza di alcuno specifico movente che potesse indurre il Marino Mannoia ad accusare falsamente altri soggetti con riguardo agli episodi che formano oggetto del presente procedimento.

Per le considerazioni che precedono, deve riconoscersi che l’evoluzione nel tempo delle dichiarazioni rese dal Marino Mannoia appare determinata da un genuino ripensamento, connesso a ragionevoli motivazioni: il timore di suscitare pesanti reazioni negative nel proprio nucleo familiare di fronte alla propria nuova immagine di autore di efferati delitti di sangue, e la preoccupazione di essere oggetto di gravi tentativi di delegittimazione dopo avere esposto le proprie conoscenze in ordine alle relazioni tra l’organizzazione mafiosa e gli ambienti politico-istituzionali.

Con specifico riferimento alle condotte attribuite al Sindona va, peraltro, rilevato che le iniziali affermazioni del Marino Mannoia contenevano in nuce gli aspetti essenziali della ricostruzione dei fatti successivamente operata dal collaboratore di giustizia. Già nell’interrogatorio del 15 luglio 1991 il Marino Mannoia aveva, infatti, accennato alle funzioni disimpegnate dal Sindona in favore del Bontate e dell’Inzerillo, assimilandole a quelle (di investimento di capitali) espletate dal Gelli a vantaggio di altri esponenti mafiosi.

Per quanto attiene alla affidabilità delle notizie fornite dal Bontate al Marino Mannoia con riguardo all’episodio di cui si tratta nel presente paragrafo, deve formularsi un giudizio positivo in considerazione del particolare rapporto fiduciario instauratosi tra i due soggetti.

E’, infatti, completamente inverosimile che il Bontate abbia inteso trasmettere false informazioni, su un argomento particolarmente delicato ed importante, come quello del reinvestimento dei proventi del narcotraffico, ad un soggetto nel quale riponeva la massima fiducia (tanto da rendergli noti episodi circondati dal più grande riserbo) e dal quale riceveva una collaborazione di essenziale rilevanza nell’ambito della raffinazione di sostanze stupefacenti.

Né si comprende quale ragione potesse indurre il Bontate ad attribuire mendacemente al Sindona il compimento di condotte di riciclaggio ben individuate nelle loro modalità e nella loro localizzazione geografica.

Deve pertanto rilevarsi l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni rese dal Marino Mannoia sull’argomento.

Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle affermazioni compiute dal Di Carlo e dal Mutolo.

In proposito, occorre premettere che il Di Carlo, esaminato all’udienza del 30 ottobre 1996, ha ammesso di avere fatto parte della "famiglia" di Altofonte sin dal 1967, di esserne divenuto il "sottocapo" all’inizio del 1972, di avere assunto la carica di "rappresentante" della medesima cosca mafiosa nel 1974 o 1975, di essersi dimesso da tale incarico in data 6 agosto 1978, e di avere successivamente operato alle dirette dipendenze del capo del "mandamento" di S. Giuseppe Jato, Bernardo Brusca, e della Commissione di "Cosa Nostra".

Queste affermazioni del collaborante trovano riscontro nelle risultanze istruttorie del c.d. maxiprocesso; la sentenza emessa il 10 dicembre 1990 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo aveva, infatti, evidenziato che:

- il Buscetta aveva indicato i fratelli Francesco, Giulio e Andrea Di Carlo come componenti della "famiglia" di Altofonte, ricordando come si trattasse di pericolosissimi associati alle dirette dipendenze dei "corleonesi";

- il Contorno aveva confermato l'appartenenza dei fratelli Di Carlo alla "famiglia" di Altofonte, precisando che nel 1979 Andrea Di Carlo aveva sostituito il fratello Francesco quale rappresentante della medesima cosca;

- il Marino Mannoia aveva specificato che i Di Carlo erano gli esponenti più rappresentativi della "famiglia" di Altofonte, e che Andrea Di Carlo era stato nominato rappresentante della "famiglia" in sostituzione del fratello Francesco.

La posizione di vertice assunta dal Di Carlo nell’ambito della "famiglia" di Altofonte è stata confermata (sia pure con qualche imprecisione sul piano cronologico, dovuta verosimilmente al lungo tempo trascorso) dal collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera, il quale all’udienza del 9 luglio 1996 ha specificato che Francesco Di Carlo divenne "rappresentante" di tale cosca mafiosa negli anni 1978-79.

Dalle risultanze probatorie esaminate nella sentenza pronunziata il 31 maggio 1991 dal Tribunale di Palermo nei confronti di Pasquale Caruana e Giuseppe Cuffaro (acquisita all’udienza del 25 marzo 1997) emerge con chiarezza la partecipazione del Di Carlo, in concorso con molti esponenti di spicco delle famiglie mafiose siciliane, al colossale traffico degli stupefacenti, organizzato a livello internazionale, ed alla conseguente ripartizione dei cospicui profitti ricavati dall'illecito affare mediante una sofisticata attività di riciclaggio.

Il teste isp. Luciano Guglielmini, escusso all’udienza del 25 marzo 1997, ha chiarito che il Di Carlo fu arrestato in Gran Bretagna in data 21 Giugno 1985 per traffico internazionale di sostanze stupefacenti, e fu quindi condannato alla pena di 25 anni di reclusione dall’autorità giudiziaria inglese; in data 13 giugno 1996 venne tradotto in Italia dalla Gran Bretagna per scontare il residuo della pena inflittagli; il giorno successivo iniziò a collaborare con la giustizia.

Per quanto attiene alla ricostruzione degli episodi che formano oggetto del presente processo, la collaborazione del Di Carlo deve ritenersi del tutto disinteressata, poiché dagli elementi di convincimento acquisiti non emerge alcun motivo di risentimento che possa indurlo a formulare accuse calunniose nei confronti dei soggetti menzionati nelle sue dichiarazioni.

Il precedente radicato inserimento del Di Carlo nella realtà criminale denota il grande rilievo del contributo conoscitivo che egli è in grado di offrire attraverso la sua collaborazione.

Con particolare riferimento alle attività di riciclaggio realizzate dal Sindona, non vi è motivo di dubitare della veridicità delle informazioni fornite da Rosario Riccobono e da Salvatore Micalizzi a Francesco Di Carlo.

Al riguardo, deve osservarsi che il Di Carlo ha riferito su circostanze apprese nel corso di conversazioni di natura assolutamente confidenziale, effettuate con la massima discrezione da soggetti che avevano assunto un ruolo di notevole rilevanza all’interno di "Cosa Nostra" ed avevano avuto quindi una ampia possibilità di accedere alle più riservate informazioni sulle vicende di maggiore importanza riguardanti gli investimenti finanziari degli esponenti di vertice dell’organizzazione mafiosa. Non si comprende, dunque, per quale motivo, in un simile contesto, il Riccobono (capo del "mandamento" di Partanna Mondello) ed il Micalizzi ("sottocapo" della cosca mafiosa diretta dal Riccobono) avrebbero dovuto dire il falso parlando con un "uomo d’onore" che aveva assunto una posizione di vertice nell’ambito della "famiglia" di Altofonte, come il Di Carlo.

E’ significativo, inoltre, che il Riccobono abbia comunicato circostanze analoghe anche a Gaspare Mutolo, il quale faceva parte della sua cosca mafiosa ed era legato a lui da rapporti di stretta collaborazione, come si evince dalla sentenza emessa il 16.12.1987 dalla Corte di Assise di Palermo nel c.d. maxiprocesso, che ne accertò l’organico inserimento nella "famiglia" di Partanna Mondello, il ruolo di "luogotenente di Rosario Riccobono" e la partecipazione al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, unitamente al Riccobono, al Micalizzi ed ai vertici dell’organizzazione mafiosa.

Il Mutolo, dopo avere iniziato a collaborare con la giustizia nel luglio 1992, ha ammesso di essere stato affiliato a "Cosa Nostra nel 1973, di avere intrattenuto rapporti di familiarità con il rappresentante della sua "famiglia", Rosario Riccobono, e di avere commesso numerosi omicidi.

In ordine alla credibilità soggettiva del Mutolo, va espressa una valutazione ampiamente positiva, tenuto conto sia della posizione da lui precedentemente assunta all’interno dell’organizzazione criminale, sia della assenza di motivi di inimicizia e di qualsiasi altro specifico movente calunniatorio rispetto alle persone coinvolte nelle vicende cui attengono le dichiarazioni da lui rese nel presente processo.

Il suo intenso legame fiduciario con il Riccobono rappresenta, inoltre, un elemento idoneo ad escludere l’eventualità che il capo della "famiglia" abbia tenuto un contegno mendace o ingannatorio nel riferirgli le suesposte circostanze relative all’attività di riciclaggio esplicata dal Sindona.

Né può disconoscersi che il Riccobono, per la sua qualità di capo del "mandamento" di Partanna Mondello, per la sua partecipazione al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, per gli stretti rapporti da lui intrattenuti in un primo tempo con lo schieramento mafioso "moderato" - facente capo al Bontate ed all’Inzerillo – ed in seguito con la fazione dei "corleonesi" (come si desume dal contenuto della sentenza pronunziata il 16.12.1987 dalla Corte di Assise di Palermo), era certamente in grado di conoscere in modo puntuale ed approfondito le vicende riferite al Mutolo ed al Di Carlo.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve rilevarsi che le dichiarazioni – intrinsecamente attendibili e reciprocamente indipendenti – rese dai collaboratori di giustizia Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo e Gaspare Mutolo traggono origine da fonti di riferimento pienamente affidabili e convergono nell’evidenziare l’attività di riciclaggio svolta dal Sindona per conto di esponenti di primaria importanza di "Cosa Nostra".

Le suesposte asserzioni dei collaboratori di giustizia sono coerenti con altri elementi di convincimento acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale.

In proposito, appaiono particolarmente significative le risultanze probatorie relative alla Amincor Bank.

Occorre premettere che fin dagli anni 1971-72 ispezioni della Banca d’Italia avevano evidenziato gravi irregolarità amministrative e valutarie nella gestione della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria da parte del Sindona, il quale si serviva di questi istituti come centri motori della sua strategia tendente a costruire un impero finanziario di dimensioni internazionali. Nei due anni successivi la situazione delle predette banche si aggravò progressivamente, finchè, dopo che i due istituti in data 1 agosto 1974 si erano fusi dando origine alla Banca Privata Italiana, con decreto ministeriale del 27 settembre 1974 quest’ultima banca fu posta in liquidazione coatta amministrativa, e venne nominato commissario liquidatore l’avv. Giorgio Ambrosoli. Il 4 ottobre 1974 il Giudice Istruttore di Milano emise contro il Sindona mandato di cattura per i reati di false comunicazioni sociali ed illegale ripartizione degli utili. Dopo che con sentenza del 14 ottobre 1974 il Tribunale Civile di Milano aveva dichiarato lo stato di insolvenza della Banca Privata Italiana, nei confronti del Sindona venne promossa l’azione penale anche per il reato di bancarotta fraudolenta, con ordine di cattura emesso in data 24 ottobre 1974, confermato dal Giudice Istruttore, a seguito della formalizzazione del procedimento, con mandato di cattura del 2 luglio 1975 (cfr. la sentenza n. 20/86 del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano, acquisita al fascicolo per il dibattimento).

Dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 14 aprile 1997 dal M.llo Silvio Novembre (il quale svolse indagini di Polizia Tributaria in ordine al crack della Banca Privata Italiana, ed in questa occasione ebbe modo di instaurare un rapporto di reciproca fiducia e di amicizia con l’avv. Giorgio Ambrosoli) si desume che una delle maggiori anomalie riscontrate presso le banche di Sindona dagli ispettori della Banca d’Italia era quella concernente i depositi fiduciari.

Si trattava di depositi che apparivano come liquidi ed esigibili mentre in realtà non lo erano, per effetto di sottostanti disposizioni di carattere fiduciario. Precisamente, la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria depositavano fondi in divisa presso banche estere, e quindi, in maniera occulta, impartivano disposizioni fiduciarie dirette ad ottenere la dazione delle relative somme di denaro ad altre società del gruppo facente capo al Sindona, con rischio a carico delle stesse banche depositanti.

Queste operazioni fiduciarie venivano compiute, in misura assolutamente prevalente, su due banche estere: la Finabank di Ginevra (in cui la Banca Privata Finanziaria aveva una partecipazione di controllo) e l’Amincor Bank di Zurigo, la quale ufficialmente era riconducibile non al Sindona, bensì alla società Kamiene, facente capo al milanese Raul Baisi e titolare della quota di maggioranza. Benché il Sindona negasse di avere nella propria disponibilità l’Amincor Bank, quest’ultima "per gli uomini che la governavano, per la cura che ne veniva all'interno del gruppo, per le disposizioni che venivano date sembrava essere organica (…) al gruppo Sindona". Il liquidatore dell’Amincor Bank prendeva ordini dal Baisi e da Pier Sandro Magnoni (genero del Sindona).

Il collegamento tra l’Amincor Bank e l’attività di riciclaggio realizzata per conto di esponenti mafiosi fu evidenziato, nel corso di un interrogatorio successivo al suo arresto per il reato di bancarotta fraudolenta, da Carlo Bordoni (il quale – come si evince dalla sentenza n. 20/86 del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano – nella sua funzione di amministratore delegato della Banca Unione aveva svolto un ruolo di primo piano nelle operazioni finanziarie compiute dal gruppo Sindona). In tale occasione, il Bordoni riferì che "l'avvocato Sindona aveva dei legami, (…) era in contatto con esponenti (…) della mafia". Essendogli stato domandato dal giudice per quale motivo il Sindona continuasse a negare di avere la proprietà dell'Amincor Bank, il Bordoni rispose: "continua a negarla perchè lì ci sono i suoi peccati più gravi, cioè attraverso quella banca dovrebbe aver riciclato del denaro (…)".

L’intendimento del Sindona di affermare, contro l’evidenza dei fatti, la propria estraneità all’Amincor Bank, emerge pure dalle dichiarazioni rese alle udienze del 15 e del 16 aprile 1997 dal teste avv. Rodolfo Guzzi, il quale fu difensore del Sindona dall'Ottobre 1974 fino al 21 Maggio 1980, unitamente all’avv. Michele Strina, al prof. Agostino Gambino e all’avv. Bovio (poi sostituito dall’avv. Federico Sordillo).

L’avv. Guzzi ha riferito che il Sindona sostenne sempre, negando l’evidenza, che l’Amincor Bank non fosse sua. I componenti del collegio difensivo gli domandavano come mai non fosse nella sua disponibilità un istituto bancario (quale l’Amincor Bank) tra i cui azionisti vi erano le società Kilda e Finelf, controllate da due professionisti (uno dei quali era il Baisi) precedentemente inseriti nello studio dello stesso Sindona. Il Sindona, però rispondeva costantemente invitando i suoi legali a non interessarsi di sapere come stessero le cose ed escludendo di essere interessato all’Amincor Bank.

Il teste Guzzi ha affermato: "i clienti di questa Amincor Bank erano certamente delle persone della malavita (…) dei traffici loschi fra un continente e l’altro (…) e può essere che il riciclaggio sia avvenuto anche tramite la Amincor Bank". Ha esplicitato di ritenere che "l’Amincor Bank sia un’ulteriore sconfitta di Sindona non facilmente giustificabile a coloro che attraverso l’Amincor bank avrebbero fatto traffici illeciti". Ha soggiunto: "la Amincor bank (…) aveva svolto una attività con trafficanti (…) e Sindona voleva tenere lontani (…) dalle nostre considerazioni questa realtà". Ha spiegato che l’Amincor Bank apparteneva al Sindona. A sostegno di queste sue asserzioni, l’avv. Guzzi ha esposto che il Sindona, invece di disinteressarsi dell’Amincor Bank (come sarebbe stato logico se fosse stato ad essa estraneo), assunse un atteggiamento di palese attenzione ("Sindona a un certo momento fa il discorso ma perché Ambrosoli va a turbare l’Amincor Bank nei confronti della quale non ha nessun credito come Banca Privata").

Dalla deposizione dell’avv. Guzzi si desume quindi che gli stessi legali del Sindona compresero che il loro cliente non intendeva consentire loro di conoscere la reale situazione dell’Amincor Bank ("sulla base (…) del fatto che Sindona non volesse che noi ci occupassimo dell'Amincor Bank, che in realtà appariva essere nel controllo di persone dell'entourage di Sindona, noi ritenemmo che non si volesse, non ci si volesse far conoscere questa situazione").

Il Guzzi ha inoltre chiarito che la società Kamiene operava di concerto con l’Amincor Bank, ed ha esplicitato: "che Sindona (…) avesse il controllo di questa banca indiretto (…) è una realtà".

Il medesimo teste ha specificato di avere compreso che il Sindona era in contatto con ambienti mafiosi dopo un incontro a Zurigo con Enrico Cuccia e Pier Sandro Magnoni, il quale aveva, in questa occasione, esibito una lettera con la quale il Sindona comunicava a Cuccia: "la comunità italo-americana ti ha condannato".

Dalla sentenza del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano si evince che l’incontro in questione si svolse in data 18 ottobre 1978, e che, nella circostanza, "Magnoni (…) lesse a Cuccia una lunga nota di Sindona, piena di minacce, nella quale si voleva far credere che le telefonate anonime dei giorni precedenti fossero una iniziativa autonoma degli ambienti mafiosi italo-americani amici di Sindona, ambienti che sarebbero stati propensi ad uccidere Cuccia, e per rabbonire i quali sarebbe stato necessario molto danaro; nella nota si intimava comunque a Cuccia di provvedere ad iniziative che "integrassero nei suoi averi" il Sindona e che "facessero cadere il mandato di cattura"".

Il Guzzi ha aggiunto che, dopo avere ascoltato in data 10 gennaio 1979 presso lo studio dell’avv. Ambrosoli il contenuto di una telefonata anonima fatta da un soggetto designato dall’avv. Ambrosoli con il termine convenzionale di "picciotto", rimase negativamente impressionato per la strategia adottata dal Sindona e manifestò energicamente a quest’ultimo le proprie rimostranze, specificando che le telefonate venivano registrate. Il Sindona gli rispose che era costretto ad agire in tal modo per decisione della "comunità". Il 12 gennaio successivo l’avv. Ambrosoli ricevette una nuova telefonata anonima, nel corso della quale il "picciotto" lo insultò facendo riferimento all’avvenuta registrazione delle conversazioni.

Le dichiarazioni rese sull’argomento dal teste Guzzi sono di seguito riportate:

PUBBLICO MINISTERO (…) Dopo la telefonata che lei ascolta nello studio di Ambrosoli. L’avvocato Ambrosoli fece qualche commento?

TESTE AVV. GUZZI Il commento fu negativo nel senso siamo arrivati all’ultimo stadio. Io pure rimasi veramente esterrefatto e prostrato non come risulta nel film dell’eroe borghese ma comunque veramente colpito da questo da questa strategia sindoniana. Tant’è che andando a studio nel pomeriggio io avevo lo studio a Milano con l’avvocato Michele Strina, anche a Milano con l’avvocato Michele Strina, all’ora possibile telefonai a Sindona e ebbi uno sfogo terribile con Sindona (…) dicendo sei un pazzo se questa è la strada da te scelta è inutile che si rimanga noi avvocati in questa vicenda, hai scelto questa strada pazzesca e per giunta sei anche due volte pazzo, perché praticamente tu questi si rivolgono a Giorgio Ambrosoli e le telefonate ovviamente vengono registrate. A seguito di questa situazione poi, il 12 mi sembra, Giorgio Ambrosoli ricevette una telefonata che mi dette la conferma, perché Sindona sosteneva che non era lui che era costretto perché la comunità aveva deciso, e a seguito di questa seconda (…) telefonata Giorgio Ambrosoli mi disse avvocato Guzzi questa volta non c’è dubbio, (…) il picciotto ha richiamato e ha detto figlio di puttana o giù di li registri anche le telefonate. Quindi è chiaro che la provenienza è questa. Gli dissi avvocato si io ho detto nella mia reazione violenta nei confronti di Michele Sindona che era un pazzo a comportarsi in questo modo. Del resto questo tipo di discorso del riscontro io (…) l’avevo già messo in atto (…) in occasione degli incontri con Enrico Cuccia, perché anche Enrico Cuccia era stato fatto oggetto di quell’attentato, vedi bomba carta alla porta di casa, di casa a Milano. E con Enrico Cuccia io avevo avuto un’avvisaglia, (…) una comprensione (…) di questo problema per cui poi dirò che anch’io ho cominciato a temere perché sostanzialmente in un incontro a Zurigo io e Enrico io perché richiesto da Enrico Cuccia come garante e Piersandro Magnoni Piersandro Magnoni a un certo momento tira fuori una lettera scritta di pugno di Michele Sindona dove dice la comunità italo americana, la legge a Cuccia, e dice la comunità italo americana ti ha condannato. E quindi devi fare una serie di cose impossibili tipo (…) revoca del mandato di cattura, quindi Cuccia non so come potesse mai ottenere la revoca. Questo (…) questa lettera mi consente e ci consente a noi avvocati della difesa di prendere posizione nei confronti di Sindona perché è la prima volta che noi diciamo rinunziamo al mandato. Perché questo? Perché si legge in una chiave diversa quella comunità itala americana (rectius italo americana: n.d.e.) che noi ritenevamo essere formata dai Piaggi (rectius Biaggi: n.d.e.), dai Rodino, dai Menrfi (rectius Murphy: n.d.e.) ecc. quindi come una comunità itala americana (rectius italo-americana: n.d.e.) che svolgesse un’attività più che normale, legittima anche se interessata a tutelare e a difendere un italiano che si era trasferito in America. La comunità italo americana che viene utilizzata e non la mafia, per intenderci, ma la comunità italo americana che ti ha condannato non è più la comunità diciamo legittima, è la comunità malavitosa. Ecco. Su questo discorso io mi premurai con Enrico Cuccia, allorquando prendevo un appuntamento di comunicare a Sindona, per esempio l’appuntamento con Enrico Cuccia ce l’ho sabato mattina. Io invece non ce l’avevo affatto l’avevo il lunedì successivo. Ma puntuale come un orologio la sera del venerdì arrivava la telefonata del picciotto che diceva sistema tutto perché se no sei (…) morto insomma. Per cui da quel momento da quel periodo che risale praticamente all’ottobre novembre del 78 in poi, noi abbiamo avuto un, a parte le litigate furibonde per cui io sono stato al telefono con Piersandro Magnoni e per 36 minuti per litigare e dire tuo suocero non lo voglio più sentire ecc. Michele Strina ebbe il dieci gennaio la sera chiamato da Sindona, un analogo sfogo, gli avvocati Sordillo Gambino ci consultammo per dire lasciamo questo pazzo e non è più difendibile. Devo dire dice e perché lei è rimasto ancora un certo periodo, lei come tutti gli altri siamo rimasti ancora un certo periodo perché? Perché dopo le reazioni del 10 12 gennaio del 1979, dopo quelle telefonate con Ambrosoli, io ho occasione di incontrare Ambrosoli nel mese di aprile a Lussemburgo perché avevamo io come rappresentante (…) di soci sindoniani, lui come rappresentante della banca con il professor Procini che assisteva la banca privata italiana, abbiamo delle assemblee per certe società (…) del gruppo che avevano sede a Lussemburgo e devo dire che mi era apparso di nuovo sereno, quindi nella nostra mente l’episodio poteva essere poteva essere considerato tale e nient’altro. Aggiungo ancora. Per quanto riguarda il dottor Cuccia il dottor Cuccia addirittura mi disse, perché io posi al dottor Cuccia, dottor Cuccia dopo la famosa cosa del 18/10, io rinunzio al mandato. E lui mi disse avvocato Guzzi aspetti perché potrebbe essere intempestiva questa sua cosa. tant’è che il dottor Cuccia poi mi chiederà di essere presente ancora come garante in una riunione che avvenne nel (…) marzo aprile del 1979 a New York, perché ci fu l’incontro Cuccia Sindona a New York. E dopo di che che cosa avviene? Avviene (…) l’irreparabile cioè l’uccisione di Ambrosoli

(…)

PUBBLICO MINISTERO Ritorniamo un attimo alla comunità italo americana. Lei le risulta che questa comunità italo americana fece delle pressioni in favore di Sindona? Parliamo per ora della comunità in genere, poi eventualmente lei introdurrà quella distinzione che ha fatto poc’anzi.

TESTE AVV. GUZZI La comunità in genere si direi

PUBBLICO MINISTERO Prego

TESTE AVV. GUZZI Direi che gli interventi del 1976 sono proprio interventi di quella che io ritenevo essere la comunità italo americana, l’associazione mi sembra italo americana Vigo che era un’associazione, questo era il nome di un morto in guerra, c’è erano personaggi che sembravano godere di essere stimati, personaggi stimati insomma, a cominciare da quei congressman di cui si è parlato più volte (…) Rodino e Merfis (rectius Murphy: n.d.e.)

(…)

PUBBLICO MINISTERO Ecco poi se ci vuole chiarire un attimo una frase che ha detto poc’anzi: Sindona le aveva detto nel corso della telefonata (…) che lei fa (…) dopo essere stato nello studio di Ambrosoli: sono stato costretto a telefonare dalla comunità. Vuole spiegare meglio questo concetto perché personalmente non l’ho capito.

TESTE AVV. GUZZI Cioè il concetto è questo. Io questo diciamo l’ho rilevato storicamente. Secondo noi difensori Sindona aveva quasi posto un termine, e il termine era la fine dell’anno 1978 per arrivare a comporre la sua posizione nell’ambito della banca privata vedi sistemazione della banca privata e quindi possibili vantaggi da questa sistemazione. Essendo venuto meno e comunque essendoci stato un rallentamento come disse Andreotti a Della Grattan, all’inizio del mese di dicembre, essendo naufragato l’incontro fra me e il dottor Sarcinelli che doveva essere prodromico di una eventuale considerazione da parte di Banca d’Italia del progetto di sistemazione, io ritengo che Sindona abbia dovuto in qualche modo rispondere non alla comunità italo americana ma a cosa nostra. Cioè io ritengo che col venir meno di questi presupposti Sindona sia diventato uno strumento della comunità. Questo perché? Perché secondo me c’erano dei sintomi notevoli, e devo dire che poi il discorso della sparizione di Sindona si può ancora una volta ricollegare a questa strategia della comunità alias mafia. Mi spiego Sindona è fallendo la sistemazione della Banca Privata Italiana ha una pesantissima posizione americana perché la Frankilin (rectius Franklin: n.d.e.) secondo i preventivi di noi legali di concerto con gli avvocati americani poteva portare a una condanna a quindici anni, poi fu condannato a 25 anni perché si era allontanato dalla dall’udienza fissata e di sparizione e perché poi gli fu contestato un altro reato di spergiury (rectius sperjury: n.d.e.) per false dichiarazioni rese. Quindi la situazione era nerissima e secondo il nostro avviso la banca Franchilin (rectius Franklin: n.d.e.) doveva certamente doveva o aveva perso anche i soldi italo americani che presso la Franchilin (rectius Franklin: n.d.e.) avevano depositato. Sindona si trova poi in Italia con questa situazione negativa, non può più reggere il confronto con questa comunità italo americana che lo considerava grande e capace addirittura di ribaltare una disavventura, e quindi tornare ad essere grande.

Il collegamento del Sindona con la mafia italo-americana era ben presente, già in epoca ampiamente anteriore al simulato sequestro del medesimo soggetto, all’ambasciatore italiano negli U.S.A.. Sul punto, il teste on. Massimo Teodori ha riferito che l’ambasciatore a New York, Gaja, intorno al 1975-76 venne invitato da una organizzazione di italo-americani ad una celebrazione in onore del Sindona, ma rifiutò di prendervi parte a causa della presenza di elementi connessi con ambienti mafiosi, ed inviò un rapporto al Ministero degli Esteri della Repubblica italiana, spiegando le ragioni per cui "non aveva partecipato a quella manifestazione e non intendeva partecipare a nessun'altra cosa che riguardasse Sindona, ritenendolo in contatto stretto con ambienti di natura mafiosa".

Particolarmente significativi furono gli interventi esplicati alla fine del 1978 e nel 1979 in favore del Sindona da soggetti legati a "Cosa Nostra".

Una vicenda di essenziale importanza è certamente quella concernente le telefonate intimidatorie ricevute fra il 28 dicembre 1978 ed il 12 gennaio 1979 dall’avv. Giorgio Ambrosoli.

Come si evince dalla sentenza del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano, l’avv. Ambrosoli ricevette una prima telefonata minatoria il 28 dicembre 1978 da un uomo che si qualificò con il nome di "Cuccia" e gli disse: "Lei è stato in America ed ha detto cose false. Deve tornare a New York entro il 4 gennaio con i documenti veri perché se viene concessa l’estradizione tu non camperai".

Nelle successive telefonate del 5 e dell’8 gennaio 1979 lo sconosciuto, qualificandosi con il nome di "Sarcinelli", svolse concetti analoghi a quelli della prima comunicazione.

L’anonimo interlocutore (indicato dall’avv. Ambrosoli con il termine convenzionale di "picciotto") telefonò due volte all’avv. Ambrosoli in data 9 gennaio 1979. Il tenore delle due telefonate fu così riassunto dall’avv. Ambrosoli nella denunzia da lui successivamente presentata: "oggetto delle telefonate ancora il viaggio a New York per depositare documenti di cui disporrebbe Michele Sindona, ma soprattutto l’avvertimento che ambienti di Roma imputavano al sottoscritto la mancata chiusura della vicenda Sindona. In particolare l’anonimo affermava che l’on. Andreotti aveva telefonato direttamente a New York dicendo a Michele Sindona che il sottoscritto non voleva collaborare alla sistemazione del suo caso. Ha affermato pure che il direttore Generale della Banca d’Italia – dr. Ciampi – avrebbe dovuto telefonare al sottoscritto, e si meravigliava che tale telefonata non fosse qui pervenuta. Concludeva ripetendo che a Roma e Milano diversi amici di Michele Sindona – compreso il dr. Cuccia – attribuivano al sottoscritto la colpa della mancata definizione del caso Sindona, ed aggiungeva che – fosse stata sistemata la cosa – si sarebbe presentato con una bella busta".

Il contenuto della prima conversazione telefonica è di seguito trascritto:

AVVOCATO: Pronto?

PICCIOTTO: Pronto, l’avvocato?

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Buonasera sono io

AVVOCATO: Sì. Mi dica

PICCIOTTO: Senta avvocato, se le può fare piacere gli volevo dire questo, dato che lei domani ha quell’appuntamento

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Guardi che puntano il dito soprattutto sopra di lei. Io adesso lo sto chiamando da Roma.

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Che sono a Roma, e puntano il dito tutti su di lei, come se è lei che non vorrebbe collaborare.

AVVOCATO: Ma chi questo?

PICCIOTTO: Mi sono spiegato? Io lo voglio mettere… perché tutti sono pronti a buttare la colpa su di lei

AVVOCATO: Buttino la bomba che vogliono, ma…

PICCIOTTO: Sia dal capo grande.

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Mi sono spiegato?

AVVOCATO: Chi è il capo grande?

PICCIOTTO: Lei mi capisce. Sia il capo grande che a finire al piccolo, il signor CUCCIA e compagni, danno tutta la colpa a lei in modo che lei si … perché mi creda veramente io lo vedo e vedo che lei è una brava persona. Mi dispiacerebbe … perché loro puntano il dito tutti su di lei

AVVOCATO: Va bene ma puntano per che cosa me lo spiega?

PICCIOTTO: Perché dice che lei non vuole collaborare a aiutare quella persona. Capisce? Il grande, che lei sa chi è?

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: ha detto che praticamente ha fatto telefonare a quello mentre come mi ha detto lei non è vero.

AVVOCATO: Qui non ha telefonato Ciampi.

PICCIOTTO: e quello perché questo il grande ha telefonato a Nuova York. Capisci?

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: e ha detto che aveva sistemato tutto e la colpa la dava solo a lei. Capisce? Ora lei io lo sto avvisando in modo che lei si sappia calcolare

AVVOCATO: Io le dico CIAMPI non lo conosco e non posso neanche telefonargli

PICCIOTTO: Ma il grande, il grande mi ha capito chi è, no?

AVVOCATO: Il grande immagino sia SINDONA

PICCIOTTO: Eh no, il signor ANDREOTTI

AVVOCATO: Chi ANDREOTTI?

PICCIOTTO: Sì

AVVOCATO: Ah!

PICCIOTTO: ha telefonato e ha detto che aveva sistemato tutto ma che la causa è sua

AVVOCATO: Ah sono io contro ANDREOTTI?

PICCIOTTO: Esatto. Perciò ci dico si stia a guardare che lo vogliono mettere a lei nei guai. Va bene? Mi dispiace che non ho più gettoni. La chiamo domani dalle 12 e mezzo all’una.

AVVOCATO: Benissimo

PICCIOTTO: Arrivederla

AVVOCATO: Arrivederla di nuovo.

Il contenuto dell’altra conversazione telefonica svoltasi in pari data è il seguente:

PICCIOTTO: Scusi, di nuovo l’avvocato Ambrosoli

STUDIO: Attenda.

STUDIO: Pronto?

PICCIOTTO: Mi scusi, mi passi di nuovo l’avvocato?

STUDIO: Un attimo solo, prego, che sta parlando sull’altra linea.

STUDIO: Pronto?

PICCIOTTO: Pronto, avvocato…

STUDIO: No, un attimo solo, eh…

PICCIOTTO: Sì.

AVVOCATO: Pronto?

PICCIOTTO: Pronto, avvocato?

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Scusi, ho preso una cabina perché credevo che…

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Mi sono spiegato bene oppure no, avvocato?

AVVOCATO: Come?

PICCIOTTO: Mi sono spiegato bene?

AVVOCATO: Lei mi dice che ANDREOTTI dice che la colpa è mia e io le ho risposto…

PICCIOTTO: Esatto, ma … ha telefonato là… di sopra, no?

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: Dicendo che aveva telefonato a quello e che lei non è… non voleva collaborare per niente, mi sono spiegato?

AVVOCATO: Sì, ma scusi, io cosa ci posso fare? Telefono al Presidente del Consiglio, guardi che lei si sbaglia?

PICCIOTTO: No, per carità…

AVVOCATO: Io questo devo fare…

PICCIOTTO: Siccome lei… insomma ci voglio dimostrare… AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: … quello che tramano dietro le sue spalle, forse, per questo l'ho richiamato, capisce? Perché praticamente tutti puntano il dito su di lei…

AVVOCATO: Ma possono puntare quello che vogliono, ma io vorrei sapere, perché sono estremamente generici i suoi discorsi, ANDREOTTI dice che io non voglio collaborare per cosa, per andare a New York?

PICCIOTTO: Sì

AVVOCATO: E… come fa a inventarselo il Presidente del Consiglio?

PICCIOTTO: E perciò… perciò glielo sto dicendo io, guardi che lei, ha visto, ieri sera ci abbiamo telefonato… perché quello non sapeva niente, quello di sopra, no? Lui gli ha telefonato direttamente a quello, dicendo io ti ho fatto telefonare da quel signore là – che ci ho fatto il nome - però non sono…

AVVOCATO: Ma il dottor CIAMPI mi avrebbe telefonato secondo ANDREOTTI?

PICCIOTTO: Esatto… esatto, questo è tutto il… mi sono spiegato?

AVVOCATO: E lei chiede in Banca d'Italia se il dottor CIAMPI mi ha telefonato…

PICCIOTTO: No, io non chiedo a nessuno, siccome noialtri siamo qua giustamente per… per potere sistemare questa faccenda, loro puntano tutti il dito su di lei, per dire la colpa come se fosse lei e vogliono insomma… mi sono spiegato? Voglio che lei insomma si rende conto della situazione, solo per questo io… che io lo vedo, insomma… anche lo guard… guardandolo, vedo che lei è una persona a posto, per cui io non… non mi sento, diciamo noialtri, di potere fare del male, se prima non sono sicuro… mi sono spiegato… capisce?

AVVOCATO: Sì, sì

PICCIOTTO: Tutti puntano il dito su di lei… e ognuno si pulisce le mani, solo che lei (…) in modo che si stia a guardare

AVVOCATO: Comunque il problema è solo che lei o l'avvocato GUZZI domani o chi… mi sappia dire che cosa volete…

PICCIOTTO: Domani gli avvocati ci sanno dire quello che deve fare, avvocato

AVVOCATO: L'importante è quello…

PICCIOTTO: Esatto

AVVOCATO: Perché se parliamo di quaranta azionisti, non…

PICCIOTTO: Comunque lei… loro domani ci sanno dire quello che deve… che lei deve fare e se lo può fare

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: E dopo noialtri ci rivediamo, lo vengo a salutare di persona

AVVOCATO: E… sarebbe ora…

PICCIOTTO: Va bene? E vengo con una bella busta… perché così ci guadagniamo…

AVVOCATO: No, io… non ci ho niente da guadagnare… PICCIOTTO: Come?

AVVOCATO: Arrivederci

PICCIOTTO: Come avvocato?

AVVOCATO: No, dico, non ci ho niente da guadagnare… PICCIOTTO: E va bene, praticamente diciamo noialtri… io non è che sono… non sono, diciamo che lo faccio per la grande gloria di nessuno, sia ben chiaro, perché ognuno ci ha guadagnato, però giustamente, prima che io faccio un passo, non voglio sbagliare… capisce?

AVVOCATO: Ho capito

PICCIOTTO: E… perché loro puntano il dito su di lei, come se lei sarebbe il grande… invece io, lo… guardandolo, lo vedo, perché lo vedo… l'ho visto a lei e non mi sembra una tale persona… anche vedendolo di parlare, non mi potrò mai sbagliare, con l'esperienza che ho avuto, non potrò mai sbagliarmi… mi sono spiegato? E allora vedo, che dato che tutti sono amici suoi e puntano il dito su di lei…

AVVOCATO: No, amici miei non sono, guardi, ANDREOTTI non è mio amico proprio.

PICCIOTTO: Lo voglio avvisare… ma c’è quell'altro di Milano, signor CUCCIA invece pure?

AVVOCATO: Ma CUCCIA non lo conosco neanche lui, pensi un pò…

PICCIOTTO: E comunque puntano il dito tutti su di lei

AVVOCATO: Possono puntare quello che vogliono, ma se non mi chiedono niente e io non gli faccio niente e non ci conosciamo, non vedo cosa possono…

PICCIOTTO: Perché loro… attraverso loro dicono che ci hanno fatto… o chi ci ha fatto parlare di destra o chi ci ha fatto parlare di sinistra, però dicono che è sempre lei, capisce? E invece a lei non ci hanno possibilmente manco chiesto niente, mai niente…

AVVOCATO: Va bene, senta, ci sentiamo domani, dopo aver parlato con GUZZI

PICCIOTTO: Arrivederla

AVVOCATO: Grazie di nuovo

Il 10 gennaio 1979, intorno alle ore 12, l’avv. Ambrosoli ricevette nel suo ufficio l’avv. Guzzi, il quale gli chiese se aveva ricevuto una telefonata del dott. Ciampi. L’avv. Ambrosoli gli contestò che la stessa domanda era stata formulata il giorno precedente dall’autore delle telefonate anonime, e gli fece ascoltare la registrazione della relativa conversazione telefonica.

Nella sua deposizione testimoniale, l’avv. Guzzi ha specificato che l’avv. Ambrosoli gli riferì di avere "ricevuto delle telefonate minatorie da parte di un picciotto" nel periodo delle vacanze natalizie, e preannunziò che poco dopo l’anonimo interlocutore gli avrebbe nuovamente telefonato.

Nella sua agenda-diario l’avv. Ambrosoli scrisse le seguenti annotazioni: "Viene Guzzi e dice: le ha telefonato Ciampi? Allora mi secco e gli faccio sentire la telefonata del picciotto. E’ a terra. Dice di aver detto a Sindona che Stammati gli aveva assicurato che Ciampi mi avrebbe chiamato per parlare con Sarcinelli e Guzzi: evidentemente – dice – Sindona l’ha detto al picciotto. Iniziativa che deplora. Oggi telefonerà a Sindona". Mentre era in corso il colloquio del 10 gennaio 1979 tra l’avv. Guzzi e l’avv. Ambrosoli, quest’ultimo ricevette e registrò altre due telefonate (v. la sentenza del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano).

Il contenuto di una di queste due telefonate è di seguito trascritto:

PICCIOTTO: Per cortesia l’avvocato AMBROSOLI

STUDIO: Si

STUDIO 2: Pronto

PICCIOTTO: Pronto. L’avvocato AMBROSOLI?

STUDIO 2: Chi lo desidera ?

PICCIOTTO: SARCINELLI

STUDIO 2: Prego?

PICCIOTTO: L’avvocato SARCINELLI

STUDIO 2: Un attimo solo, eh. Può attendere?

PICCIOTTO: Sì.

STUDIO 2: Pronto? Sì, un attimo solo che sta parlando sull’altra linea

PICCIOTTO: Lei veda di sollecitare che telefono di fuori

STUDIO 2: Si un attimo solo

AVVOCATO: Pronto?

PICCIOTTO: Pronto, l’avvocato?

AVVOCATO: Si, buongiorno

PICCIOTTO: Buongiorno, sono io. E allora?

AVVOCATO: Allora l’avvocato Guzzi è qui ma non mi sa dire cosa dovrei fare io.

PICCIOTTO: Come? non ce l’hanno detto?

AVVOCATO: No

PICCIOTTO: Non gliel’hanno detto?

AVVOCATO: No

PICCIOTTO: Ma è impossibile. Guardi, avvocato, a me mi è stato detto questo qua: oggi le saranno fatte (…) è di andare a Nuova York entro due giorni lei deve telefonare a chi sa e farsi dare i documenti. Può essere anche durante il week-end, quando lei vuole

AVVOCATO: Questo?

PICCIOTTO: Quando lei vuole. Ma non è il problema però il fattore… capisce perché entro due giorni lui o ci fanno l’estradizione o no. Deve ritirare le cause di Nuova York, ci sono due cause a Nuova York

AVVOCATO: due cause di che tipo?

PICCIOTTO: non lo so. Questo è un biglietto che è stato detto di dirci degli avvocati. Gli avvocati a lei non ci hanno detto niente?

AVVOCATO: Di andare a New York, no.

PICCIOTTO: Non gliel’hanno detto?

AVVOCATO: No.

PICCIOTTO: Sono dei figli di buttana. E io ho l’impressione che debbo cominciare di loro. Loro dicono che debbo cominciare da lei, io invece comincio da loro, da questa massa di buffoni e cornuti. E allora di ritirare le cause di Nuova York. Chi verrà alle 11…

AVVOCATO: io non ho cause a New York

PICCIOTTO: Come?

AVVOCATO: Io non ho cause a New York

PICCIOTTO: Lei guardi aspetti ci dicono di … chi verrà alle 11. Mi sente?

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: questa è… la persona di là, no? Parlando con i suoi avvocati ci avevano detto di fare queste richieste a lei. Perciò chi verrà alle 11…

AVVOCATO: Non ho cause a New York io.

PICCIOTTO: Aspetti. Guardi mi ascolti. Chi verrà alle 11 avrà l’incarico di… ufficiale di convocare alla Banca d’Italia, di andare e dica il vero. Noi sapremo cosa di veramente ha detto. Insomma per dirci che praticamente lui di là ha parlato con i suoi legali e lei deve dire queste cose. Ora io non lo so più come è fatto il discorso qua.

AVVOCATO: Sì ma andare a New York a far cosa? io non ho cause

PICCIOTTO: Praticamente ci sono dei documenti, no? Questo è quanto lui mi dice perché praticamente io, quando lui mi dice questo di qua, che praticamente il giudice di Nuova York, no? Ci vuole fare l’espulsione

AVVOCATO: Ci vuole fare?

PICCIOTTO: l’espulsione dall’America. Perché praticamente lui ha dei titoli, dico io quello che so avvocato…

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: … e gliela vendo per come mi è stata detta. Lui ha dei titoli che ha comprato privato, da persona privata, no dalla banca

AVVOCATO: Sì

PICCIOTTO: mi sono spiegato? Questi titoli servirebbero per pagare questi creditori, mi sono spiegato? Invece dice o lei o chi per lei o un’altra persona, ha dichiarato che questi titoli lui li abbia comprati tramite la… i soldi della banca. Mi sono spiegato?

AVVOCATO: No, il discorso non è molto chiaro, ma …

PICCIOTTO: Più o meno ci arriva, no? Allora (…) il giudice di Nuova York cosa ci dice: tu hai fatto oltre alla bancarotta hai fatto anche truffa. Mi sono spiegato? E allora perciò ci vogliono fare l’estradizione. Questo è il discorso. Ora lei (…) gli avvocati…

AVVOCATO: Io voglio sapere cosa vado a fare a Nuova York, ammesso che io vada lì a New York dato che… (…)

PICCIOTTO: Lui i documenti ce l’ha

AVVOCATO: Eh, ma i documenti a cosa servono? Non ci sono cause a New York

PICCIOTTO: Noialtri questi documenti li abbiamo avuti

AVVOCATO: Eh?

PICCIOTTO: Mi sono spiegato?

AVVOCATO: E allora?

PICCIOTTO: E però ci vuole la sua persona dove dichiara che questi documenti questa è la realtà. Capisce?

AVVOCATO: Questi documenti?

PICCIOTTO: Questi documenti siano praticamente la realtà dei fatti. Mi sono spiegato?

AVVOCATO: E se sono documenti sono documenti.

PICCIOTTO: Esatto. Però ci vuole la sua persona perché dato che lei è curatore fallimentare…

AVVOCATO: sì

PICCIOTTO: mi sono spiegato? Ci vuole a dire questi sono dell’avvocato … avvocato come cazzo si chiama? Sindona. Mi sono spiegato? E allora lui si salva perché a se no non c’è niente da fare, non c’è, perché i giudici di là non lo vogliono tenere. Il discorso è solo questo. Però io (…) ieri sera mi hanno telefonato a mezzanotte e mi hanno detto che lei oggi loro a lei ci facevano queste richieste. E invece a lei non ci hanno detto niente

AVVOCATO: Di andare a New York nessuno me l’ha chiesto.

PICCIOTTO: Nessuno gliel’ha detto. Va bene avvocato, lei di pomeriggio a che ora c’è?

AVVOCATO: Eh no, io parto per Roma

PICCIOTTO: Parte per Roma? E allora come possiamo fare? Domani torna?

AVVOCATO: Dovrei tornare domani sera tardi

PICCIOTTO: Domani sera tardi

AVVOCATO: Ci sentiamo venerdì mattina

PICCIOTTO: Venerdì mattina verso le nove e mezza. No, perché lei capisce a questo punto qua ora bisogna vedere veramente quello che c’è dentro per decidere (…) giustamente … se lei… lei ha intenzione di poterci andare? Quando oggi (…)

AVVOCATO: Io a New York posso andare quando voglio. Nessuno me lo vieta ma vorrei sapere cosa devo andare a fare …

PICCIOTTO: E allora … lei di pomeriggio parte subito lei?

AVVOCATO: Sì, sì

PICCIOTTO: Sta partendo subito. Alle due non c’è?

AVVOCATO: No, no, no.

PICCIOTTO: No, non c’è. Prima lei non ci (…) potrebbe essere. Comunque eventualmente lei venerdì … questo se lei dovrebbe fare la prenotazione per andare là, perché ora io parlerò con lui, direttamente con lui, alle due lo chiamerò e ci dirò che gli avvocati che ha lui sono dei grandi…

AVVOCATO: Alle due mi sa che lo sveglia

PICCIOTTO: E non ha importanza, lo butto a terra, guardi che a me non mi danno pace, e io sono qua appositamente per questo lavoro eh. Anch’io ho i miei problemi di andare lì di nuovo. Capisce? Ieri sono stato a Roma. Oggi sono di nuovo a Milano e via di seguito. E allora come restiamo? Lei prima non lo posso trovare io?

AVVOCATO: Quando mi vuol trovare?

PICCIOTTO: (…) Io anche per questa sera lo volevo (…) perchè io alle due lo chiamo, anche verso le tre, le tre e mezzo lo volevo trovare

AVVOCATO: No io se gli aerei partono vado a Roma oggi

PICCIOTTO: Parte a Roma. E allora io provo a chiamare verso le tre?

AVVOCATO: No, no. Alle tre non ci sono io

PICCIOTTO: Non c’è mai (…) e allora lei ci sarebbe fra ora…

AVVOCATO: Venerdì di mattina

PICCIOTTO: Venerdì mattina. Lei eventualmente non mi potrebbe fare una cortesia, non potrebbe fare una prenotazione così, in modo che venerdì ci sarebbe l’aereo

AVVOCATO: Venerdì ci sarebbe l’aereo per dove?

PICCIOTTO: Per l’America.

AVVOCATO: Ma che cosa vado a fare in America? È assolutamente assurdo che prenda, vada in America a far cosa?

PICCIOTTO: Ma si incontra con lui

AVVOCATO: Mi incontro con lui?

PICCIOTTO: lo faccio mandare a pigliare con lui e lei avrà tutto pagato. Non si preoccupa avvocato per le spese

AVVOCATO: Non è, non è questione del pagato. È questione che fare un viaggio così per non sapere esattamente uno cosa va a fare …

PICCIOTTO: Ma lei deve presentare quei documenti che ha lui

AVVOCATO: Ma dove li presento, in che causa, io non ho cause in America in cui (…) di documenti

PICCIOTTO: Al pubblico ministero di Nuova York

AVVOCATO: E li presenti lui

PICCIOTTO: E non può essere, ci vuole un’altra persona, capisce? Ci vuole lei. Che dicano questi asseriscono la realtà dei fatti. Mi sono spiegato? Perché presentando lui non hanno nessun valore. Noialtri i documenti li abbiamo avuti. Capisce? Perciò ora ci vuole la sua persona e dire quelli sono i documenti della realtà dei fatti. E lui lo tengono là. E dopo si può sistemare tutta la rimanenza dei discorsi.

AVVOCATO: Lui depositi i documenti, poi Kenney mi chiederà… pronto?

PICCIOTTO: Sì.

AVVOCATO: … mi chiederà se i documenti sono veri o meno.

PICCIOTTO: Si potrebbe (…) potrebbe al limite si potrebbe fare anche così. Va bene. Ora io comunque allora lo trovo Venerdì verso le 10.

AVVOCATO: Sì, Venerdì verso le 10 mi trova.

PICCIOTTO: Comunque avvocato io per il momento non ho… mi dispiace questo fatto perché io volevo (…) perché ora gli avvocati di qua telefonano a lui capisce? Ci volevo fare dire che sono una para di buffoni e disonesti…

AVVOCATO: Ma no, perché sono dei buffoni?

PICCIOTTO: Sì, perché… perché il discorso che dovevano fare a lei è questo, difatti io ci ho il bigliettino qua di quello che dovevano chiedere a lei. Non ci sto dicendo una balla, avvocato Ambrosoli. Capisce? E loro ci dovevano fare delle richieste ben precise a lei. Se non gliele fanno loro che sono a contatto con lei, gliele posso venire a fare io?

AVVOCATO: Venga!

PICCIOTTO: Eh ma, lo so, ma io devo venire in un secondo tempo, caro avvocato, perché praticamente tutti puntano il dito su di lei, è che a me questo discorso non piace perché io non sono…

AVVOCATO: Ma se lei non lo punta, perché non viene?

PICCIOTTO: No (…) loro sono dei burattini, si immagina che noi praticamente siamo persone serie, per cui io prima che faccio un passo sono sicuro dei fatti miei. Non è che io… che noialtri siamo dei burattini, capisce? E a me è questo quello che mi dispiace. Comunque, avvocato, ci sentiamo Venerdì verso le 10 lo chiamo.

AVVOCATO: Venerdì verso le 10.

PICCIOTTO: Arrivederci.

AVVOCATO: Arrivederci.

Nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 15 aprile 1997 l’avv. Guzzi ha riferito che, a seguito del colloquio con l’avv. Ambrosoli, telefonò al Sindona dicendogli che era un pazzo a comportarsi in questo modo e specificando che le telefonate venivano registrate.

Il 12 gennaio l’anonimo interlocutore telefonò per l’ultima volta all’avv. Ambrosoli. Dalla sentenza del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano si desume che il tenore della conversazione fu il seguente:

Sconosciuto: Pronto, avvocato!

Ambrosoli: Buon giorno.

Sconosciuto: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata!

Ambrosoli: Chi glielo ha detto?

Sconosciuto: Eh, sono fatti miei chi me lo ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più.

Ambrosoli: Non mi salva più?

Sconosciuto: Non la salvo più, perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo!

A seguito di questa comunicazione telefonica, l’avv. Ambrosoli ne riferì il contenuto all’avv. Guzzi, il quale riconobbe che il proprio cliente faceva errori su errori (cfr. la deposizione del teste Guzzi).

Sulla base degli elementi di convincimento raccolti nel presente processo, l’autore delle suesposte telefonate intimidatorie può essere identificato in Giacomo Vitale.

Infatti i collaboratori di giustizia Angelo Siino e Tullio Cannella – escussi, rispettivamente, alle udienze del 18 dicembre 1997 e del 24 febbraio 1998 - dopo avere ascoltato la registrazione della prima conversazione telefonica svoltasi il 9 gennaio 1979, hanno riconosciuto nella voce dell’interlocutore dell’avv. Ambrosoli quella di Giacomo Vitale. Il Cannella ha compiuto il medesimo riconoscimento vocale anche in relazione alla seconda telefonata del 9 gennaio 1979.

In ordine alla credibilità soggettiva dei predetti collaboratori di giustizia, può formularsi un giudizio ampiamente positivo.

Lo stretto vincolo che univa Angelo Siino all’organizzazione mafiosa è evidenziato dalla sentenza n.171/94 emessa il 2.3.1994 dal Tribunale di Palermo nei confronti del medesimo soggetto ed altri cinque imputati (acquisita al fascicolo del dibattimento all’udienza del 10 giugno 1998). Con tale pronunzia, infatti, si è accertato che il Siino, pur in assenza di una formale adesione all'organizzazione, ha ricoperto un ruolo di primaria importanza nell'associazione criminosa non solo come ispiratore ed organizzatore del sistema di ingerenza della mafia nel mondo degli appalti, ma anche come garante dell'assoluto rispetto delle decisioni di "Cosa Nostra".

Essendo stato nuovamente tratto in arresto il 9 luglio 1997 per fatti delittuosi inerenti alla aggiudicazione di appalti pubblici, il Siino ha deciso di collaborare con la giustizia.

All’udienza del 19 dicembre 1997 il Siino ha così spiegato le motivazioni che hanno determinato questa sua scelta: "volevo assolutamente troncare con una vita che non faceva più per me, (…) voglio che mio figlio abbia una vita diversa dalla mia, anche grama, misera ma diversa dalla mia".

Il Siino, oltre a riconoscere le proprie responsabilità, ha delineato con ricchezza di particolari numerose vicende riguardanti il complesso intreccio tra mafia, politica ed imprenditoria in Sicilia.

Il Cannella, durante l’esame cui è stato sottoposto all’udienza del 18 giugno 1996, ha chiarito di avere svolto prima l’attività di consulente commerciale e poi quella di imprenditore, di essere vissuto fino all’età di 27 anni nel quartiere "Brancaccio-Ciaculli" di Palermo, di avere conosciuto sin dall’infanzia "personaggi di grosso spicco della organizzazione criminale Cosa Nostra", di essersi interessato di attività politica militando nella Democrazia Cristiana sin dal 1973, di avere quindi iniziato a frequentare Salvatore Greco e Stefano Bontate, di avere in seguito sviluppato intensi rapporti di collaborazione con Giuseppe Greco e con Leoluca Bagarella, ospitando quest’ultimo durante la sua latitanza ed elaborando con lui la strategia politica di "Cosa Nostra", e di essere stato tratto in arresto il 2 luglio 1995.

In data 22 luglio 1995 il Cannella decise di collaborare con la giustizia. Egli, all’udienza del 18 giugno 1996, ha così illustrato le ragioni di questa scelta:

"I motivi della collaborazione sono molti, perchè diversi sono gli stati e i momenti che spingono una persona a potere collaborare, perchè certo la scelta della collaborazione non è una scelta facile (…). E inizialmente, dopo il mio arresto, dobbiamo premettere che già era stato posto in arresto Leoluca Bagarella e anche Toni Calvaruso e quindi due personaggi, il secondo amico mio che conoscevo da tanto tempo, che io avevo, è vero, presentato a (…) Leoluca Bagarella, quindi lo avevo, diciamo come dire, creato i presupposti per il suo inserimento nell'attività criminale (…) attraverso la mia presentazione. E l'arresto di Leoluca Bagarella, che in un certo momento per me significò e rappresentò un momento di garanzia perchè avevo delle pressioni che avevo avuto in precedenza, quindi negli anni precedenti da parte dei fratelli Graviano, quindi sto parlando di pressioni di carattere estortivo (…), in quel momento venuta meno la presenza di Leoluca Bagarella (…) mi sono sentito un pochettino sguarnito, quindi in un primo momento, in prima analisi questo senso di scoraggiamento, questo senso di preoccupazione per il futuro, di preoccupazione per quello che poteva nascere nei giorni successivi, anche eventualmente dopo avere scontato io la pena che mi sarebbe stata inflitta, naturalmente fu un primo momento che cominciò a farmi pensare. Maturai ancora in una seconda fase le ragioni di una specie di responsabilità che mi sentivo addosso per avere coinvolto, (…) ma in effetti la presentazione di Leoluca Bagarella a Toni Calvaruso da parte mia, mi faceva sentire profondamente amareggiato e responsabile per quello che era successo al mio amico, e sapevo che il mio amico aveva una posizione processuale ben più pesante che la mia, quindi sapevo che prima o poi già vi erano delle indagini in corso, la sua posizione poteva diventare più complicata e siccome mi ricordavo le parole che lui mi diceva, e mi diceva quando era reduce della commissione di qualche delitto, mi diceva: "vedi, che ti devo dire, io dico addio, ti prego perdonami che posso fare, io sono un soldato devo eseguire gli ordini, se no tu capisci che questa fine la faccio io". Quindi, mi ricordo delle parole del mio amico che non era entusiasta (…) di andare a commettere delitti, mi spronò anche a meditare in questo senso e cominciai a pensare come potevo fare per poterlo aiutare, per poterlo salvare in un qualche modo, in quel momento dal punto di vista processuale per la pena che lo aspettava. La legge questo lo consente e in prima analisi il collaboratore può anche pensare a questo e non è una cosa che non è contemplata. E così poi, quando mi incontrai, durante il primo interrogatorio perchè venne ad interrogare al carcere di Rebibbia il sostituto procuratore dott. Alfonso Sabella, ancora ero indeciso, ma la spontaneità, la schiettezza, il coraggio di questo giovane magistrato mi colpì in quel momento, mi impressionò. E alla specifica domanda che mi fece: "lei vuole rispondere alle domande per discolparsi o intende dire quello che è a sua conoscenza su Cosa Nostra?". Mi fece una domanda secca, di impatto. E il coraggio di questo giovane magistrato semplice, lineare, in quel momento suscitò in me un'ammirazione e nel contempo io mi sentii un pochettino meschino nei confronti di colui il quale si poneva nei miei confronti rappresentanto la giustizia in quel momento, dicendo: "che vuoi fare". E in quel momento decisi di collaborare, e chiaramente successivamente, pian piano iniziai a collaborare, alcune cose che prima mi sembravano fatti leciti, fatti normali, perchè nel momento in cui io non mi occupavo, cioè non avevo delitti, non avevo delitti di sangue intendo dire, e quindi dei crimini sulle spalle, sulla coscenza, tutto ciò che facevo, il contributo che io davo all'organizzazione Cosa Nostra con appoggi logistici, con avere tutelato latitanze di personaggi illustri, quindi dai fratelli Graviano al Francesco Tagliavia, allo stesso Leoluca Bagarella, per un certo periodo anche a Pino Greco "Scarpa", quindi avere ospitato personaggi come Mario Prestifilippo, come Giuseppe Lucchese detto "u lucchiseddu". Quindi, altri personaggi che si trovavano presso il mio villaggio di Cosenza, che mi erano stati inviati per assisterli durante un periodo estivo, credo nel corso dell'anno 1990 o '91, ciò che mi appariva lecito in quel momento, pian piano iniziai la collaborazione e io stesso cominciai ad accorgermi e a dire: "ma in effetti non era lecito ciò che facevo". (…) E allora ripeto, nasce nell'anima pian piano, almeno a me è nato, questo ideale di giustizia, questo ideale che vuole essere un ideale, che vuole raggiungere un fine, cioè quello che non sia sparso più sangue innocente, ho cercato durante le mie dichiarazioni, le segnalazioni date ai magistrati, di potere salvare qualche vita, e spero che in questo ci siamo anche riusciti, e allora la speranza per il diritto alla vita di tutti, affinchè ciascuno faccia la propria parte nella società, e allora ciò diventa un ideale, e forte di questo ideale, con sofferenza, con sacrificio, con il massimo rispetto per la legge, per il rispetto della verità, solo la verità e nient'altro che la pura e sacra verità, sono a cospetto anche oggi di questo onorevole Tribunale per dire ciò che a me risulta con la massima sincerità e verità senza nulla aggiungere e nulla togliere".

Lo stretto rapporto di collaborazione instaurato dal Cannella con Leoluca Bagarella durante la latitanza di quest’ultimo, è stato confermato dal collaboratore di giustizia Antonio Calvaruso all’udienza del 24 aprile 1997.

Dalla deposizione testimoniale resa dall’Isp. Sup. Girolamo La Bella all’udienza del 19 giugno 1996 si desume che il Cannella, con le sue dichiarazioni, ha evidenziato l’esistenza di un "gruppo di fuoco" facente capo alla "famiglia" di Brancaccio, ha consentito di ricostruire il modo in cui si era svolta la latitanza di Leoluca Bagarella dal giugno 1993 in poi, ha riferito su beni intestati a prestanome ma effettivamente appartenenti ad "uomini d’onore" di primaria importanza.

Il teste ha, inoltre, esposto un grave episodio di ritorsione verificatosi in danno della madre del Cannella, Giovanna La Rosa. Precisamente in data 16 aprile 1996, essendo pervenuta al centralino del "Giornale di Sicilia" una telefonata anonima che comunicava l’avvenuta uccisione della madre del Cannella per motivi connessi alla collaborazione del figlio, le forze dell’ordine effettuarono un sopralluogo presso l’abitazione della donna. La madre del Cannella si trovava all’interno della camera da letto dell’appartamento, distesa per terra, in un lago di sangue; la donna, che era in stato di incoscienza, presentava un trauma cranico e varie ferite lacero-contuse sul capo e su altre parti del corpo; nei pressi dell’ingresso della stanza vennero rinvenuti alcuni escrementi (lasciati sul luogo, evidentemente, allo scopo di manifestare un particolare disprezzo per la vittima ed i suoi familiari).

Dalle risultanze istruttorie non emerge nessun motivo di risentimento o di astio che potesse indurre i collaboranti Siino e Cannella a rendere dichiarazioni calunniose rispetto alle persone coinvolte nelle vicende cui attiene il presente processo.

Le dichiarazioni, intrinsecamente attendibili e pienamente indipendenti, del Siino e del Cannella consentono di individuare in Giacomo Vitale l’autore delle telefonate intimidatorie ricevute il 9 gennaio 1979 dall’avv. Ambrosoli.

Il relativo riconoscimento vocale è stato effettuato con sufficiente sicurezza da entrambi i predetti collaboratori di giustizia, i quali hanno anche esplicitato le ragioni che consentivano loro di serbare un preciso ricordo della voce del Vitale.

Prima di ascoltare la registrazione della suddetta comunicazione telefonica del 9 gennaio 1979, il Siino ha specificato di essere in grado di riconoscere la voce del Vitale per il suo tono stridulo e per le frasi che costituivano un intercalare ricorrente nei suoi discorsi, e ha aggiunto di avere intrattenuto con il medesimo soggetto rapporti di "fratellanza massonica" e di amicizia, di averlo frequentato per tutta la seconda metà degli anni ’70, di averlo conosciuto già in epoca anteriore trattandosi del cognato di Stefano Bontate, di averlo visto per l’ultima volta nel 1987 o 1988, e di avere appreso successivamente che il Vitale era scomparso. Le dichiarazioni rese dal Siino sul punto sono di seguito riportate:

P.M.: Senta, lei sarebbe in grado di identificare a distanza di tutti questi anni la voce del GIACOMINO VITALE?

SIINO A.: Penso di sì.

P.M.: In base a che cosa ritiene di poterlo fare?

SIINO A.: GIACOMO VITALE aveva una voce un po’ stridula e poi aveva un intercalare delle frasi che lui ... con cui intercalava sempre i suoi discorsi, tipo: "mi sono spiegato", "mi spiego", "va bene". Questo è il suo tipo di intercalare che aveva, per cui sulla base di questa situazione io penso di essere in grado di identificare la voce se eventualmente è quella del VITALE.

P.M.: Senta, (...) che tipo di rapporti ha avuto con GIACOMINO VITALE?

SIINO A.: Con GIACOMINO VITALE ho avuto rapporti di fratellanza massonica e ...

P.M.: Dico proprio come risposta sintetica.

SIINO A.: Fratellanza massonica e amicale. Al di là della fratellanza massonica eravamo diventati amici e ci

siamo risolti assieme alcuni tipi di problema.

P.M.: Per quanto tempo vi siete frequentati?

SIINO A.: Ma ci siamo frequentati per tutta la metà degli anni

(...)

P.M.: Quindi diceva, vi siete frequentati per?

SIINO A.: Tutta la seconda metà degli anni '70, però ci conoscevamo già anche da prima, perchè chiaramente essendo che era cognato di Stefano, lo conoscevo anche da prima.

P.M.: E lei durante le indagini preliminari ha avuto modo di risentire la voce di GIACOMO VITALE?

SIINO A.: Sì.

P.M.: In che occasione?

SIINO A.: Quando mi è stata fatta ascoltare una registrazione, una cassetta riguardante una telefonata.

P.M.: In cui si faceva il nome di GIACOMO VITALE oppure no?

SIINO A.: No, no, assolutamente non si faceva nessun nome. Era una telefonata fatta non so a chi. Io in quel momento ho riconosciuto la voce di GIACOMO VITALE.

P.M.: Oggi sarebbe in grado se riascoltasse queste registrazioni di identificarlo o di tentare di identificarlo?

SIINO A.: Cercherò.

(…)

P.M.: Lei sa se GIACOMO VITALE è in vita oppure no.

SIINO A.: Io l'ultima volta che l'ho visto è stato nell'87 o nell'88. So che è scomparso, sicuramente sarà stato ucciso.

P.M.: Da chi ha appreso questa notizia?

SIINO A.: Ma praticamente si vociferava nell'ambiente. E' chiaro che ...

P.M.: Nell'ambiente quale?

(…)

SIINO A.: Ambiente mafioso, dissero che un simile cane feroce non poteva essere lasciato vivo. Sto parlando anche fu nell'occasione anche dell'uccisione di GIOVANNI BONTATE. Poi dissi: "ma perchè ..." domandai: "Ma perchè questi sono stati uccisi" Giacomino, specialmente per Giacomino, non tanto per GIOVANNI BONTATE, che la cosa mi interessava relativamente, ma per GIACOMINO VITALE che avevo conosciuto così dissi: "Ma questo scomparì, che fece, si nni iu?" dice: "Ma tu pensi che un cane simile possa essere lasciato ..."

PRESIDENTE: E chi era l'interlocutore?

SIINO A.: GIOVANNI BRUSCA

Dopo avere ascoltato la registrazione della prima comunicazione telefonica del 9 gennaio 1979, il Siino ha affermato: "Sì, senza ombra di dubbio si tratta di Giacomo Vitale".

Il Cannella all’udienza del 24 febbraio 1998 ha chiarito di avere conosciuto il Vitale intorno al 1978-79 in occasione della sua frequentazione con il costruttore Domenico Sanseverino (il quale era in società, per la realizzazione di una serie di edifici, con Stefano Bontate, i cui interessi erano curati dal Vitale), di averlo incontrato saltuariamente anche in occasione di riunioni della Democrazia Cristiana, di essere stato detenuto con il Vitale nella Casa Circondariale di Palermo nel gennaio 1987, di averlo visto per l’ultima volta tra la fine del 1988 e l’inizio del 1989, e di avere successivamente appreso da diversi esponenti mafiosi che il Vitale era scomparso, ucciso con il metodo della "lupara bianca". Il collaborante ha aggiunto di essere in grado di riconoscere la voce del Vitale per la sua particolare cadenza e per le espressioni che costituivano un ricorrente intercalare nei suoi discorsi.

I passaggi più rilevanti delle dichiarazioni rese dal Cannella sul punto sono di seguito riportati:

P.M.: (…) Lei ha conosciuto Giacomo VITALE?

CANNELLA TULLIO:

Sì, l'ho conosciuto intorno al 1978 - 79, in occasione della mia frequentazione con il costruttore Domenico SANSEVERINO, che a quell'epoca aveva in corso di realizzazione in via Barone della Scala una serie di edifici, va bene, dove era in società...tra l'altro in questa società, in questo lavoro con Stefano BONTADE e Giuseppe DI MAGGIO

P.M.: In via Barone della Scala in che zona di Palermo si trova?

CANNELLA TULLIO:

Via Barone della Scala sarebbe nella zona diciamo...Chiavelli...in quella zona là

(…)

P.M.: Sì... Giacomo VITALE che rapporti aveva con Stefano BONTADE se lei li sa? Cioè intanto aveva rapporti di parentela o di affinità?

CANNELLA TULLIO:

Sì, era il cognato di Stefano BONTADE

P.M.: Sa perchè era il cognato, attraverso quale...

CANNELLA TULLIO:

Atrraverso… avevano sposato due sorelle, credo, CITARDA dovrebbero chiamarsi

P.M.: Ho capito. E al di là di questo rapporto di affinità - per quello che lei sa - che tipo di rapporti interpersonali c'erano tra Stefano BONTADE e Giacomo VITALE?

CANNELLA TULLIO:

Guardi, io quando... ho iniziato a conoscere Giacomino VITALE, nel senso che era più lui che conosceva me e io nel senso che lui sapeva della mia vicinanza con Giuseppe DI MAGGIO, con il dottore Gioacchino PENNINO... con il quale lui più volte mi aveva visto, perchè io iniziai a militare nella Democrazia Cristiana, per cui diciamo avevo avuto delle buone referenze nei...nei miei riguardi, nei miei confronti da queste persone; e in quel periodo in cui lui frequentava, assieme a un altro veniva certe volte, si chiama (…) BONTA'... che era uno il quale curava (...) interessi di tipo... anche lui economico per conto di Stefano BONTADE, a livello di detentore di cassa insomma... e quindi veniva lui spesso a trovare il SANSEVERINO, li vedevo assieme perchè (…) curava per conto del cognato questo interesse societario con il SANSEVERINO in questo lavoro, ecco, quindi... in effetti quindi rappresentava una persona di assolutissima fiducia di Stefano BONTADE.

P.M.: In quel periodo i suoi...le sue occasioni di frequentare Giacomo VITALE quante furono, cioè saltuarie oppure...

CANNELLA TULLIO:

No, saltuarie, furono saltuarie... ripeto, come saltuario è stato il fatto che ci siamo incontrati in occasione di vicende carattere politico, legate sempre a motivi elettorali o organizzative della Democrazia Cristiana, dove lui partecipava assieme con Pino DI MAGGIO (…) e con Gioacchino PENNINO, per cui...

(…)

P.M.: (…) lui partecipava intende riferirsi a Giacomo VITALE?

CANNELLA TULLIO:

Sì, sì, a Giacomo VITALE, erano sempre insomma in buonissimi rapporti, anche per motivi di carattere politico organizzativo, credo

P.M.: Ho capito. Senta, quando ha visto per l'ultima volta Giacomo VITALE?

CANNELLA TULLIO:

Dunque... io credo di averlo visto per l'ultima volta tra la fine dell'88, credo, insomma inizio dell'89, comunque in questo periodo; e l'ho incontrato per l'ultima volta, che l'ho visto io, nella zona di Brancaccio, Fondo Alfano, credo chiamasi Fondo Alfano, che è una via...una viuzza che poi sfocia su via Brancaccio, vicino al primo passaggio a livello di Brancaccio, quindi adiacente al Cortile Pennino, credo (…)

P.M.: Senta...e in questa occasione vi siete parlati, ricorda qualcosa di ciò che le disse Giacomo VITALE?

CANNELLA TULLIO:

Ci siamo salutati e abbiamo parlato insomma così...ma non è che abbiamo affrontato, abbiamo avuto dei grandi discorsi? (…) abbiamo parlato, ma niente di particolare (…). Certo, me ne ricordo benissimo che lui mi disse insomma che era da poco tempo che era insomma uscito dal carcere, questo sì

(…)

CANNELLA TULLIO:

Ma fra l'altro io l'avevo visto nell'87, nel gennaio - credo - dell'87 in carcere

P.M.: Lo aveva visto nel gennaio dell'87 in carcere, ecco, eravate detenuti insieme?

CANNELLA TULLIO:

Io ero detenuto, non eravamo insieme, io ero alla V sezione e credo che lui si trovasse alla IX sezione

(…)

P.M.:

In che carcere vi trovavate?

CANNELLA TULLIO:

Ucciardone di Palermo

P.M.: Ricorda per quale motivo il VITALE fosse detenuto in quel periodo?

CANNELLA TULLIO:

Credo che era detenuto per questioni di associazione a delinquere, associazione mafiosa (…)

Dopo avere ascoltato la registrazione della prima comunicazione telefonica ricevuta dall’avv. Ambrosoli il 9 gennaio 1979, il Cannella ha dichiarato:

P.M.: Signor CANNELLA, questa è una prima telefonata, in cui si ascoltano delle voci, lei è già in grado di riconoscere qualcuna delle voci?

CANNELLA TULLIO:

Sì, guardi, io le dico anche che naturalmente arriva un pochettino di fruscio, un poco distorta la voce tramite la teleconferenza; comunque, sono certo senz'altro di riconoscerla ed è la voce della persona che ha parlato più a lungo, quella che ha concluso per dire con - abbiamo sentito - va bene e quindi mi riferisco a quella voce che ha concluso dicendo va bene, tanto è vero che (…) spesse volte, qualche volta io scherzavo con VITALE, quelle poche volte che poi ci siamo visti, perchè aveva una cadenza nella voce, anche nel parlare, che era tipica della stessa cadenza che aveva Pino GRECO e che ha Filippo LA ROSA che è una voce particolare, una cadenza particolare che è data da una inflessione dialettale particolare che hanno coloro che sono nati e cresciuti a Ciaculli, tanto è vero che io gli dicevo "ma chi si, ciacuddotu"? Io sapevo non essere di Ciaculli e quindi si scherzava in questo senso

P.M.: Quindi la voce che lei ha riconosciuto di chi è?

CANNELLA TULLIO:

Per me è quella di Giacomino VITALE

Avendo udito la registrazione della seconda conversazione telefonica del 9 gennaio 1979, il Cannella ha aggiunto:

P.M.: In questa registrazione che ha appena finito di ascoltare, ha riconosciuto la voce di qualcuno e, se sì, di chi è e quale era...

CANNELLA TULLIO:

Anche se non si capisce...non si capiva il contesto quello che si diceva, perchè arriva molto confusa, secondo me è la stessa voce della prima cassetta che io ho riconosciuto, della prima registrazione

P.M.: Quindi la voce di?

CANNELLA TULLIO:

La voce sempre di VITALE

(…)

AVVOCATO SBACCHI:

(…) mi vuol dire che cosa significa questa cadenza di LA ROSA, di cui ha parlato lei, (...) quelli di Ciaculli? LA ROSA....

(…)

CANNELLA TULLIO:

Sì, sì, è un'inflessione particolare, (…) più marcata e quasi a volte cantilenante (…)

Ciò posto, deve osservarsi che l’attività intimidatoria esercitata dal Vitale sull’avv. Ambrosoli si colloca in una fase nella quale il Sindona – secondo quanto ha riferito l’avv. Guzzi - si era risolto ad adottare iniziative apertamente illegali aderendo alle decisioni assunte da ambienti mafiosi italo-americani. Non vi è dubbio, quindi, sulla matrice mafiosa dell’intervento compiuto dal Vitale in questa circostanza.

Particolarmente rilevante risulta, poi, il sostegno fornito da "Cosa Nostra" al Sindona durante il suo simulato rapimento.

La vicenda in esame è stata così ricostruita dalla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Milano il 18 marzo 1986:

"La mattina di venerdì 3 agosto 1979, nell’ufficio di Michele SINDONA a New York, verso le ore 9.30, giunse una telefonata con la quale un anonimo interlocutore, parlando in inglese e con accento verosimilmente italiano, comunicò alla segretaria Xenia VAGO che SINDONA era stato rapito e che in seguito sarebbero state trasmesse altre notizie.

Il giorno stesso, agenti del F.B.I. iniziarono le indagini, che per i primi tempi furono dirette a ricostruire gli ultimi movimenti e gli ultimi incontri di SINDONA, attraverso le deposizioni di varie persone che avevano avuto recenti rapporti con lui o con le quali egli avrebbe dovuto incontrarsi nel giorno della scomparsa o nei giorni successivi. Fra queste vennero sentiti l’avv. Rodolfo GUZZI, giunto a New York dall’Italia la sera del 3 agosto per incontrarsi con Sindona (…), la moglie del "rapito", i figli Marco, Maria Elisa e Nino (…), il genero Pier Sandro MAGNONI (…), e Joseph MACALUSO, proprietario del Motel "Conca d’oro" e dell’annesso ristorante La Giara, siti a Staten Island, dove SINDONA risultava essersi alcune volte recato nel corso dell’ultimo anno (…).

Il 9 agosto 1979 venne recapitata per posta all’ufficio di Sindona a New York una lettera spedita a Brooklin il pomeriggio del 3 agosto, nella quale era contenuto il seguente messaggio: Comunicato n. 1 – Michele SINDONA è nostro prigioniero. Dovrà rispondere alla giustizia proletaria. (…)

Il 27 agosto 1979 giunsero allo stesso ufficio di New York diverse lettere manoscritte da Michele SINDONA, dirette alla segretaria Xenia VAGO, alla moglie Rina, al fratello Ennio, ai figli Nino, Marco e Maria Elisa, al genero Pier Sandro MAGNONI, ai difensori americani John KIRBY e Marvin FRANKEL ed al difensore italiano Rodolfo GUZZI.

Nelle lettere dirette ai parenti (…) SINDONA confermava di trovarsi prigioniero ed esprimeva la convinzione che i suoi sequestratori non lo avrebbero ucciso, ma lo avrebbero un giorno liberato (…).

Più importante era la lettera diretta all’avvocato GUZZI (…) perché in essa SINDONA rendeva noti (…) gli scopi in vista dei quali i suoi "rapitori" lo avevano sequestrato. Con questa infatti egli riferiva al suo difensore che costoro volevano da lui notizie e documenti sul famoso "elenco dei 500" (…) sull’omicidio AMBROSOLI (…), sulle operazioni finanziarie irregolari del "padronato", e sui versamenti di denaro delle sue banche a partiti e a uomini politici.

In seguito a comunicazioni ufficiali provenienti da organi governativi statunitensi (…), le autorità italiane iniziarono fin dall’agosto 1979 ad occuparsi della vicenda (…).

Alle ore 17,30 del 3 settembre 1979 i "sequestratori" si fecero vivi per la prima volta in Italia, con una telefonata giunta nello studio romano dell’avvocato Rodolfo GUZZI (…).

Con questa telefonata una voce femminile comunicò che SINDONA era prigioniero di un "gruppo proletario", che era sottoposto ad interrogatori al fine di raccogliere notizie utili alla lotta contro il "padronato", e che presto sarebbe stato portato in Italia per essere processato per i suoi crimini (…).

La lettera all’avvocato GUZZI, preannunciata nel messaggio telefonico del 3 settembre, venne spedita a Brooklin l’8 settembre e giunse nello studio romano del legale il successivo 12 settembre. Nella busta (…) vi era una lettera di SINDONA a GUZZI e un elenco di richieste dei rapitori (…).

Sia nella lettera di SINDONA che nell’elenco di richieste dei "rapitori" si specificavano in dettaglio le richieste di notizie e di documenti già accennate nella lettera a GUZZI del 27 agosto, e si lasciava chiaramente intendere che qualora tali pretese non fossero state soddisfatte SINDONA avrebbe corso pericolo di vita.

La Procura della Repubblica di Milano, ravvisando nella lettera (e nella precedente telefonata del 3 settembre) gli estremi dei reati di tentata violenza privata aggravata e di minaccia aggravata ai danni di Rodolfo GUZZI, con nota del 17 settembre 1979 trasmise i relativi atti alla Procura della Repubblica di Roma per competenza territoriale. Da questo momento, e fino al maggio 1980 quando il procedimento venne restituito a Milano per competenza, le indagini sulla scomparsa di SINDONA furono svolte prevalentemente dall’autorità giudiziaria romana.

Nei giorni seguenti i "rapitori" lamentarono la scarsa collaborazione degli avvocati di SINDONA con una telefonata del 18 settembre all’avvocato GUZZI (…), con una telefonata del 26 settembre nello studio dell’avvocato Agostino GAMBINO, altro difensore romano di SINDONA, e con una lettera dattiloscritta (…).

Verso le ore 13,30 del 1° ottobre, uno dei sedicenti sequestratori telefonò nuovamente all’avvocato GAMBINO dicendogli di prepararsi, insieme con l’avvocato GUZZI, ad un "incontro" in un luogo che sarebbe stato loro comunicato in seguito, e diffidò il legale dall’informare la polizia o gli avvocati americani, altrimenti – disse - avrebbe potuto "scorrere molto sangue".

Le precise istruzioni per tale incontro – che avrebbe dovuto avvenire a Vienna il giorno 10 ottobre 1979 - furono date dai "rapitori" con una lettera dattiloscritta spedita da Milano a GUZZI il 2 ottobre (…). Il messaggio tuttavia giunse a destinazione con grave ritardo, solo il 12 ottobre (…), e questo disguido fece precipitare la situazione.

Venerdì 5 ottobre 1979 il solito ignoto telefonò all’avvocato GUZZI, ritenendo che nel frattempo egli avesse ricevuto la lettera (…). Avendo appreso che la lettera non era ancora arrivata, interruppe la conversazione dicendo che avrebbe richiamato il giorno 8 ottobre (…). Poiché anche nella telefonata dell’8 ottobre lo sconosciuto apprese che la lettera non era stata ancora recapitata, invitò GUZZI a tenersi pronto a partire entro pochi giorni per una località che gli sarebbe stata indicata attraverso un messaggero.

Il pomeriggio dello stesso giorno telefonò all’avvocato GUZZI, per conto dei "sequestratori", una donna, la quale, avendo saputo che la lettera non era ancora arrivata, disse al legale di tenersi pronto a partire con l’avvocato GAMBINO e preannunciò l’arrivo di un messaggero con una lettera di istruzioni per il viaggio.

Poiché tale telefonata, come le precedenti a partire dal 18 settembre, era stata intercettata su disposizione dell’autorità giudiziaria (…), la polizia effettuò presso lo studio di GUZZI un servizio di appostamento, in esito al quale venne fermato come indiziato di sequestro di persona a scopo di estorsione il messaggero, identificato in Vincenzo SPATOLA di Palermo, mentre si apprestava a consegnare al legale il preannunciato plico.

La busta conteneva una lettera manoscritta di SINDONA, il quale raccomandava all’avvocato Guzzi di non avvertire la polizia e gli avvocati americani, ed un messaggio dattiloscritto dei "rapitori", dove si fissava l’incontro a Vienna per il giorno 11 ottobre, si davano le istruzioni per il viaggio e si ripeteva minacciosamente il divieto di avvertire la polizia e gli avvocati americani prima dell’incontro (…).

In possesso a Vincenzo SPATOLA si rinvenne, fra l’altro (…) un biglietto recante le seguenti annotazioni manoscritte: "Hotel Continental (Losanna) Afredo ore 15 (Castelnuovo)", e, sul retro: "2404-543744" (…).

Verso le ore 17,30 dello stesso 9 ottobre telefonò nello studio dell’avvocato Guzzi uno sconosciuto che voleva avere conferma della partenza dei due legali per Vienna: lo stesso, informato sommariamente di quanto avvenuto il mattino, interruppe la comunicazione. (…)

L’ingresso di Vincenzo SPATOLA nella vicenda rese a quel punto evidente che la scomparsa di SINDONA non aveva nulla a che fare con la lotta armata, ma presentava collegamenti con la mafia siciliana e siculo-americana. La famiglia SPATOLA, fra l’altro, risultava imparentata con la famiglia GAMBINO, il cui capostipite, Charles GAMBINO, era indicato come uno dei capi di Cosa Nostra.

L’ipotesi trovò immediate conferme nell’esito delle indagini dei giorni successivi.

Infatti, uno degli esponenti di maggior rilievo della famiglia GAMBINO, il cittadino italo-statunitense John GAMBINO, venne localizzato a Palermo dalla polizia il 12 ottobre 1979 presso il Motel AGIP, e (…) fu trovato in possesso di alcuni foglietti con appunti: su uno di questi compariva la scritta "741 - sabato - Francoforte. 6-40", che in seguito risultò riferirsi al viaggio di ritorno di SINDONA negli Stati Uniti. Su un altro foglietto erano annotati numeri telefonici, fra cui "compare Saro 554305", corrispondente all’utenza telefonica di Rosario SPATOLA, fratello di Vincenzo, "Franco 011-624714", corrispondente all’utenza telefonica di Francesco FAZZINO, cugino dei fratelli SPATOLA, residente a Nichelino (Torino), e "Villa Egea 543744" (…).

Quest’ultimo numero, 543744, era lo stesso che, accompagnato dal numero 404, compariva sul menzionato foglio di carta sequestrato il 9 ottobre a Vincenzo SPATOLA. Si trattava dell’utenza telefonica del Grand Hotel Villa Igiea di Palermo, dove John GAMBINO aveva soggiornato, proprio nella camera 404, dal 6 al 19 settembre 1979 (…).

Dalle ulteriori indagini si apprese che:

- John GAMBINO aveva occupato dal 6 settembre la camera 404 del Grand Hotel Villa Igiea di Palermo, prenotata a cura di Rosario SPATOLA, e vi aveva soggiornato fino al 19 settembre (…);

- il 6 settembre dalla sua camera il GAMBINO aveva telefonato all’utenza 4216620 di New York, in seguito risultata appartenere all’ufficio di Park Avenue della società E.A. CONSULTANTS di Pier Sandro MAGNONI, genero di SINDONA (…);

- il 19 settembre il GAMBINO aveva lasciato tale albergo, soggiornando poi fino al 21 settembre presso il Grand Hotel delle Palme di Palermo, e saltuariamente nei primi giorni di ottobre, fino al 12, presso il Motel Agip della stessa città (…);

- l’8 ottobre dal Motel Agip il GAMBINO aveva telefonato all’utenza 624714 di Torino, appartenente a Francesco FAZZINO (…), il quale, interrogato dalla polizia il 14 ottore 1979, aveva riferito di essere cugino dei fratelli SPATOLA e di conoscere John GAMBINO, negando peraltro di averlo visto negli ultimi anni e di avere ricevuto telefonate da lui.

Dopo il fermo per accertamenti, non essendo fino a quel momento emersi elementi a suo carico, il GAMBINO venne rilasciato, e dopo un soggiorno fra il 14 ed il 15 ottobre presso l’Hotel Regina di Roma (…), egli fece perdere le sue tracce, facendo evidentemente ritorno negli Stati Uniti.

Essendo subito risultati numerosi contatti, nei giorni della scomparsa di SINDONA, fra Vincenzo e Rosario SPATOLA, e fra quest’ultimo e John GAMBINO, il 17 ottobre 1979 il Giudice Istruttore di Roma emise nei confronti dei fratelli SPATOLA mandato di cattura per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione (…).

Lo stesso 17 ottobre 1979 le autorità statunitensi comunicarono agli inquirenti italiani che il giorno precedente Michele SINDONA era ricomparso a New York, ed era stato ricoverato in ospedale presentando una ferita da arma da fuoco alla gamba sinistra (…).

Contemporaneamente venne eseguito nei suoi confronti un mandato di arresto per i reati connessi con il fallimento della FRANKLIN NATIONAL BANK (…). Lo stato di detenzione di Sindona (…) fu confermato dal giudice GRIESA al termine dell’udienza del 6 febbraio 1980 davanti alla Corte Federale Distrettuale di New York (…), e da tale data si protrasse ininterrottamente in U.S.A. fino a quando, il 25 settembre 1984, egli venne consegnato alle autorità del nostro paese in accoglimento delle domande di estradizione (…).

A partire dal 17 ottobre 1979, (…) SINDONA venne ripetutamente interrogato sul suo rapimento (…).

In tali interrogatori SINDONA raccontò (…) come fosse stato sequestrato a New York nel pomeriggio del 2 agosto 1979 da alcuni sconosciuti, come fosse stato tenuto ininterrottamente prigioniero fino alla sua liberazione, come fosse stato ripetutamente interrogato e costretto a scrivere messaggi ed a fornire informazioni, come fosse stato ferito alla gamba sinistra con un colpo di pistola sparatogli da una donna del gruppo dei sequestratori durante un tentativo di fuga, e come infine fosse stato rilasciato il mattino del 16 ottobre. (…)

Poiché il progredire delle indagini svolte sulla vicenda (…) rendeva sempre più manifesto che non di un sequestro di persona si era trattato, ma di una grande messinscena attuata per degli scopi che ancora apparivano oscuri, finalmente SINDONA, in due colloqui avuti il 17 giugno ed il 1° luglio 1980 con agenti dell’F.B.I., ammise di essersi volontariamente allontanato dagli Stati Uniti e di essere venuto in Italia simulando il proprio rapimento, descrisse sommariamente lo svolgersi dei fatti e indicò alcune delle persone che lo avevano aiutato ed assistito in questa impresa. (…)

Le minuziose ed approfondite indagini svolte dalle autorità italiane e da quelle statunitensi (…) hanno portato all’acquisizione di una grande massa di risultanze probatorie, sulla base delle quali i magistrati hanno potuto ricostruire con sufficiente esattezza i movimenti di Michele SINDONA durante il periodo della sua scomparsa, e gli interventi di aiuto e di assistenza alla messinscena attuati da numerose altre persone.

(…)

La scomparsa di Michele SINDONA non venne decisa improvvisamente. Il 3 aprile 1979 tale Joseph BONAMICO, residente a New York, richiese l’emissione di un passaporto a suo nome. (…) Quel passaporto (…) fu utilizzato da Michele SINDONA, con il falso nome di Joseph BONAMICO, per tutto il periodo della sua scomparsa.

I primi preparativi per il viaggio clandestino in Italia (…) si collocavano in un periodo particolarmente delicato dell’intera vicenda di SINDONA.

Egli infatti il 19 marzo 1979 era stato formalmente incriminato per il fallimento della banca FRANKLIN, e si trovava libero su cauzione. Sul versante italiano del procedimento per la bancarotta della BANCA PRIVATA ITALIANA, SINDONA aveva visto concludersi in modo a lui sfavorevole il giudizio di impugnazione avverso la dichiarazione di insolvenza, avendo la Corte di Cassazione rigettato il ricorso in data 31 marzo 1979 (…).

Intanto in quel periodo continuavano le pressioni intimidatorie su Enrico CUCCIA, il quale il 22 marzo si era incontrato a Zurigo con MAGNONI e il 10 e l’11 aprile a New York con SINDONA, subendo in entrambe le circostanze pesanti minacce. In quest’ultimo colloquio SINDONA (…) aveva accennato al suo proposito di "far scomparire" AMBROSOLI (…).

Da qualche settimana prima della partenza SINDONA discuteva con Joseph Macaluso dell’opportunità di recarsi all’estero per qualche tempo, e nel luglio individuò la prima meta del suo viaggio (…).

Fra la fine di giugno ed i primi di luglio SINDONA convocò a New York Umberto CASTELNUOVO, con cui aveva familiarità per motivi di parentela, e gli comunicò la propria intenzione di tornare in Italia, pregandolo di gestirgli delle somme che avrebbe depositato in Svizzera per le esigenze di tale soggiorno. Così il 16 luglio 1979 il CASTELNUOVO (…) aprì presso l’UNIONE DELLE BANCHE SVIZZERE di Chiasso il conto corrente n. 643333) e affittò una cassetta di sicurezza (…).

Ancor prima, Michele SINDONA aveva informato Joseph MICELI CRIMI del proposito di fingere un rapimento per venire, clandestino, in Italia. MICELI CRIMI, che SINDONA conosceva da tempo, era un medico siciliano che viveva parte dell’anno in Italia e parte in U.S.A., era massone ed era in contatto con John GAMBINO (…). SINDONA gli aveva confidato che il viaggio era finalizzato al recupero di documenti essenziali per la sua difesa nel processo FRANKLIN ed alla organizzazione di una separazione della Sicilia dall’Italia, per sottrarla all’influenza del comunismo (…).

Nel luglio 1979 intervennero una serie di telefonate e di incontri fra varie persone che svolsero poi ruoli diversi nella gestione del finto rapimento.

Il 3 luglio, dall’utenza di Rosario SPATOLA (che SINDONA aveva in precedenza tentato di favorire indirizzandolo a Ruggero Gervasoni, interessato in numerose società edili, perché lo introducesse a livelli più elevati nell’Albo Nazionale dei Pubblici Appaltatori …) venne chiamata la residenza di SINDONA a New York, l’Hotel Pierre (…); lo stesso giorno, dall’utenza di Francesca Paola LONGO, insegnante palermitana amica di MICELI CRIMI, fu chiamato il numero dell’ufficio di Michele SINDONA a New York (…); nei giorni successivi intercorsero alcune telefonate fra le utenze di Rosario SPATOLA e di John GAMBINO (…), i quali incontrarono SINDONA a New York verso la fine del mese (…). Joseph MACALUSO, che SINDONA incontrò tra l’altro il 18 luglio a Staten Island ed il 29 al Pierre, tenne contatti continui, personali e telefonici, con suo fratello Salvatore MACALUSO residente a Racalmuto. Il 30 luglio SINDONA incontò a New York Walter NAVARRA (…).

Verso la fine di luglio, Joseph MACALUSO comunicò ad Antonio CARUSO – persona a lui legata da rapporti di collaborazione nel lavoro – che Michele SINDONA intendeva venire in Italia "per fare della Sicilia una terra indipendente", e gli chiese di accompagnarlo nel viaggio intercontinentale (…).

Il 2 agosto 1979, dunque, iniziò l’avventura europea di Michele SINDONA.

Alle 19 locali Antonio CARUSO e Michele SINDONA (…) partirono dall’aeroporto internazionale J.F. KENNEDY di New York (…), diretti a Vienna. Vi giunsero nella tarda mattinata successiva (…). All’aeroporto trovarono ad attenderli Gabriele IRNESBERGER e Guenter BLUMAUER. (…)

Ricongiuntosi con SINDONA e con CARUSO, MACALUSO effettuò una telefonata in U.S.A. (…). Il nuovo programma per il rientro di SINDONA in Italia venne prontamente deciso e passò alla fase esecutiva lo stesso 5 agosto. (…) Joseph MACALUSO volò a Catania prendendo alloggio all’Hotel Excelsior (…).

Michele SINDONA lasciò Vienna nel pomeriggio del 6 agosto e giunse ad Atene la sera con il volo 0S 381 (…).

L’8 agosto Joseph MICELI CRIMI prenotò un biglietto aereo per Atene, valido per il 9; non utilizzò tuttavia questo biglietto, pur essendosi recato ad Atene il 9 agosto. Lo stesso 9, infatti, egli prenotò quattro biglietti, tutti per la capitale greca, intestandone uno a sé, uno a Francesco FODERA’, uno ad Ignazio PUCCIO e uno a Giacomo VITALE (…); egli ne utilizzò uno e giunse ad Atene lo stesso giorno (…). Gli altri vennero utilizzati il 12 agosto.

Prima di partire per la Grecia, MICELI CRIMI si era preoccupato di trovare persone fidate che lo potessero accompagnare e aiutare per il rientro clandestino di SINDONA in Italia. La scelta era caduta su Giacomo VITALE, che MICELI CRIMI sapeva essere cognato dei Bontade (famiglia mafiosa palermitana) ed essere "persona che sapeva mantenere il silenzio" (…). Il 7 agosto, quindi, MICELI CRIMI telefonò a Michele BARRESI (in contatto con VITALE per essere entrambi affiliati alla loggia massonica CAMEA …), (…) e gli chiese come poter rintracciare Giacomo VITALE (…). Grazie alle indicazioni di BARRESI, MICELI CRIMI rintracciò Giacomo VITALE e gli espose la situazione. Vitale accettò di organizzare il rientro di SINDONA (…) e si preoccupò di trovare le persone adatte ad aiutarlo, Francesco FODERÀ e Ignazio PUCCIO. Il primo era pure un massone affiliato alla CAMEA (…), il secondo era l’esperto di navigazione che, grazie ai suoi precedenti di contrabbandiere, aveva in Grecia le entrature necessarie per reperire un natante da utilizzare per raggiungere la Sicilia (…).

Contemporaneamente MICELI CRIMI aveva (…) telefonato a Gaetano PIAZZA, massone di Caltanissetta che conosceva da qualche anno e che gli era stato presentato da Salvatore Bellassai – dirigente presso la Regione Siciliana e affiliato alla loggia massonica P2 – e gli aveva chiesto la disponibilità ad ospitare SINDONA. Il PIAZZA (…) aveva accettato.

Il 12 agosto Giacomo VITALE, Francesco FODERÀ e Ignazio PUCCIO giunsero ad Atene utilizzando i biglietti acquistati da MICELI CRIMI il 9 (…).

I cinque (…) partirono alle 21,30 del 14 agosto con la motonave S. Andrea e giunsero a Brindisi alle ore 15,45 del giorno successivo. A Brindisi si divisero: VITALE, FODERA’ e SINDONA si diressero verso la Sicilia su una Fiat 131 noleggiata all’AVIS (…); MICELI CRIMI e PUCCIO partirono per Palermo in treno (…).

Già da Atene, con alcune telefonate, MICELI CRIMI aveva preavvertito Francesca Paola LONGO e Gaetano PIAZZA che SINDONA sarebbe giunto a casa di quest’ultimo la notte fra il 15 e il 16 agosto. Così avvenne: SINDONA giunse a Caltanissetta, dove erano ad attenderlo il PIAZZA e la LONGO, verso le 1,30 di notte. Subito dopo aver cenato, VITALE e FODERA’ se ne andarono, ed il loro posto di accompagnatori venne preso, la mattina successiva, da MICELI CRIMI che era arrivato da Palermo.

Lo stesso giorno 16 Gaetano PIAZZA accompagnò a Palermo SINDONA, la LONGO e MICELI CRIMI (…). SINDONA venne ospitato nell’appartamento della LONGO, in piazza Diodoro Siculo n° 4, dove rimase per circa un mese.

Nello stesso periodo, continuarono i contatti tra le persone che partecipavano alla gestione del finto rapimento (per esempio l’11 agosto si verificò una lunga telefonata tra l’utenza palermitana di Rosario SPATOLA e quella nuovayorchese di John GAMBINO …) e si predisposero incontri a Palermo fra SINDONA e persone che svolgevano un ruolo nelle vicende di questo periodo (…).

Il 22 agosto MICELI CRIMI partì per New York con il duplice compito di tranquillizzare i familiari del SINDONA che ignoravano la natura simulata del sequestro, e di aggiornare quelli che sapevano (…).

Secondo Francesca Paola LONGO, il viaggio era servito a MICELI CRIMI anche per portare in U.S.A. alcune delle lettere che SINDONA scriveva in Sicilia fingendo di essere rapito. Tali lettere, spedite da Brooklyn, erano giunte ai destinatari il 27 agosto (…).

Nei giorni successivi si verificarono frenetici spostamenti fra l’Italia e gli Stati Uniti di vari personaggi che partecipavano alla gestione del finto rapimento.

Il 25 agosto partì per gli U.S.A. Salvatore MACALUSO (…).

Il 4 settembre Antonio CARUSO dagli Stati Uniti si portò prima a Palermo, dove (…) si incontrò con Salvatore MACALUSO (…), e poi a Roma (…). Secondo MICELI CRIMI, in uno dei suoi viaggi CARUSO aveva portato a SINDONA una macchina per scrivere di tipo americano, da utilizzare (…) per redigere i messaggi dei "sequestratori" (…).

Il 6 settembre giunse a Palermo anche John GAMBINO, accompagnato da un’amica, Mixie RITZ, con la quale prese alloggio all’Hotel Villa Igiea, in una stanza, la 404, prenotatagli da Rosario SPATOLA. Il giorno stesso del suo arrivo telefonò nell’ufficio di New York della E.A. CONSULTANTS di Pier Sandro MAGNONI (…).

Il 7 settembre giunse in Europa anche Vincent MACALUSO, figlio di Joseph: arrivò a Milano in aereo, proseguì per Lugano (…). Qui fu raggiunto da Umberto CASTELNUOVO, che gli consegnò 50.000 dollari in assegni (…) emessi dall’U.B.S. di Chiasso sul conto che il CASTELNUOVO aveva aperto dietro istruzioni di SINDONA e di MAGNONI (…).

Un’ulteriore consegna di denaro proveniente dallo stesso conto venne effettuata dal CASTELNUOVO ad un altro emissario di SINDONA, il giorno 11 settembre. Infatti Vincenzo SPATOLA (…) in quel giorno si incontrò a Losanna con il CASTELNUOVO, ricevendo 100.000 dollari (…). A quell’incontro evidentemente si riferivano alcune delle annotazioni sul bigliettino sequestrato a Vincenzo SPATOLA al momento dell’arresto: sul bigliettino, infatti erano indicati gli elementi utili per poter incontrare il CASTELNUOVO, oltre al numero di telefono dell’albergo di Palermo dove era alloggiato John GAMBINO e il numero della sua stanza (…).

Nei giorni seguenti Michele SINDONA soggiornò a Palermo, (…) si incontrò anche con Walter NAVARRA (…) il quale (…) aveva visto anche John GAMBINO.

Nel frattempo, per incarico di SINDONA, Joseph MICELI CRIMI dopo essersi incontrato a Roma con Walter NAVARRA (…) si recò ad Arezzo per un colloquio con Licio GELLI al fine di rappresentargli le necessità finanziarie di Michele SINDONA e dei suoi familiari, e di chiedergli aiuto (…).

Dopo che la notte fra il 24 ed il 25 settembre dalla casa della LONGO era stata chiamata l’utenza telefonica americana della famiglia MAGNONI, il mattino del 25 Michele SINDONA – che intanto si era trasferito a Torretta, in una villetta di proprietà di Antonino TERRANA, suocero di Rosario SPATOLA - allo scopo di rendere più credibile la messa in scena del rapimento venne ferito ad una gamba con un colpo di pistola sparatogli, a sua richiesta, da MICELI CRIMI con l’assistenza di John GAMBINO e della LONGO (…).

Il 1° ottobre SINDONA, trascorsi alcuni giorni di convalescenza nella villa di Torretta in costante compagnia della LONGO e con frequentissimi contatti con John GAMBINO (…), rientrò a Palermo nella casa della stessa LONGO, e da quel momento si dedicò prevalentemente, con i suoi collaboratori, alla preparazione dell’incontro di Vienna.

Il 2 ottobre (…) da Milano, venne spedita allo studio romano dell’avvocato GUZZI la lettera, formata da SINDONA a Palermo, con cui i "sequestratori" davano le istruzioni per l’incontro di Vienna, e nei giorni successivi i finti rapitori telefonarono più volte allo stesso GUZZI preoccupandosi per il mancato arrivo della missiva (…). SINDONA, avendo così appreso che quella lettera spedita per posta a GUZZI non arrivava, formò una nuova lettera con un messaggio dei "rapitori", e attraverso John GAMBINO, la LONGO e Rosario SPATOLA, la fece pervenire a Vincenzo SPATOLA con l’incarico di recapitarla nello studio del legale a Roma.

Il 2 ottobre una persona che presentò il falso passaporto a nome di Joseph BONAMICO cambiò in banca a Palermo 100.000 dollari versando l’equivalente in lire sul conto di Rosario SPATOLA (…). Si trattava, verosimilmente, dei 100.000 dollari consegnati l’11 settembre a Losanna dal CASTELNUOVO a Vincenzo SPATOLA.

L’8 ottobre John GAMBINO - intendendo accompagnare SINDONA nel progettato viaggio a Vienna e ritenendo evidentemente più prudente assumere un’identità meno nota della sua - ottenne dal Comune di Palermo, presentando testi falsi, una carta d’identità recante la sua fotografia e le generalità di Rosario SPATOLA (…). Sempre per accompagnare SINDONA in Austria, tramite Giacomo VITALE venne ricontattato lo stesso 8 ottobre Francesco FODERA’, il quale accettò l’incarico (…) Il medesimo giorno, e chiaramente in vista delle esigenze del viaggio, John GAMBINO dal Motel AGIP di Palermo telefonò a Francesco FAZZINO a Nichelino (TO) (…).

Come convenuto, la sera dell’8 ottobre SINDONA e GAMBINO lasciarono la casa della LONGO dopo averle affidato una busta contenente il messaggio dei "rapitori" all’avvocato GUZZI e le istruzioni per l’incontro di Vienna, con l’incarico di consegnare il plico a Rosario SPATOLA il quale a sua volta doveva affidarlo, per il recapito, al fratello Vincenzo (…).

I due, quindi, insieme al FODERA’ partirono in aereo da Palermo per Milano utilizzando (…) biglietti acquistati da Rosario SPATOLA (…), e da qui proseguirono per l’Austria a bordo dell’automobile guidata da un uomo con il quale, in seguito ad appuntamento, si erano incontrati a Milano. La notte fra l’8 ed il 9 ottobre la comitiva alloggiò nelle vicinanze di Vienna (…), e GAMBINO telefonò alla LONGO per informarla che "erano usciti dall’Italia e che stavano bene".

Il 9 ottobre GAMBINO, informato telefonicamente che Vincenzo SPATOLA era stato arrestato mentre recapitava il plico di SINDONA nello studio dell’avvocato GUZZI, rientrò in Italia (…), lasciando in Austria SINDONA e FODERA’, e prese alloggio, nella notte fra il 9 e il 10 ottobre, all’Hotel Scala di Bolzano (…).

E’ certo che l’uomo che si incontrò a Milano la sera dell’8 ottobre con SINDONA, GAMBINO e FODERA’, che li accompagnò in Italia con la propria automobile e ritornò il giorno seguente in Italia assieme al GAMBINO (…), era Francesco FAZZINO. (…) John GAMBINO, attraverso gli SPATOLA, era imparentato con il FAZZINO (…); (…) pochi giorni prima, e mentre anche il GAMBINO si trovava a Milano, il FAZZINO aveva preso parte all’attentato incendiario alla abitazione milanese di Enrico Cuccia, eseguito per incarico di SINDONA (…).

L’arresto di Vincenzo SPATOLA, e soprattutto il sequestro da parte delle autorità del messaggio dei "rapitori" diretto a GUZZI, resero (…) inattuabile il progettato incontro di Vienna, e indussero SINDONA a rientrare negli Stati Uniti.

(…) SINDONA volò (…) da Monaco a Francoforte il 12, ma ritardò di un giorno la partenza per New York, dove giunse alle ore 18.40 del 13 ottobre (…). Sull’aereo, compilò la dichiarazione doganale (…) sottoscrivendo con il nome di Joseph BONAMICO il relativo modulo, sul quale poi l’ F.B.I. rilevò le sue impronte digitali (…).

La traccia per cercare indizi della presenza di SINDONA su quel volo era giunta dal bigliettino sequestrato a John GAMBINO dalla polizia la sera del 12 ottobre, sul quale compariva, fra l’altro, l’annotazione "741 – sabato – Francoforte" (…). Il significato di questa annotazione era divenuto chiaro quando il 21 ottobre, in seguito ad una perquisizione eseguita nella cella dove era detenuto Rosario SPATOLA, era stato sequestrato allo stesso un appunto scritto di suo pugno (…), evidentemente destinato ad essere trasmesso all’esterno e reso noto al fine di scagionare il fratello Vincenzo. Nell’appunto Rosario aveva scritto (…) che SINDONA "quando a sentito che avevano arrestato SPATOLA, subito si sposta in Germania a Francoforte e da lì subito poi è ripartito per l’america, che dopo due giorni arrivato in america ci è stato il colpo di scena…" (…)

SINDONA, giunto a New York il 13 ottobre, venne ospitato e nascosto da Rosario GAMBINO, fratello di John (…), e ricomparve il 16 ottobre (…).

Anche Joseph MICELI CRIMI (…) partì alla volta di New York (…).

John GAMBINO, partito il 10 ottobre da Bolzano (…), giunse la sera stessa al Motel Agip di Palermo (…), dove il giorno 12 fu fermato per accertamenti, venendo quindi rilasciato.

Il 14 ottobre egli si presentò a Fiumicino per imbarcarsi per New York e, pur essendo in possesso di regolare passaporto, mostrò in dogana un passaporto scaduto, come per far constare alla polizia la sua presenza in Italia, e dopo essere stato respinto trascorse la notte fra il 14 ed il 15 all’hotel Regina di Roma (…). Poi fece perdere le sue tracce, rientrando evidentemente per altre vie negli Stati Uniti.

(…)

La ricostruzione della messa in scena e delle sue complesse modalità di attuazione offre una preziosa chiave di lettura del personaggio SINDONA, della sua personalità tortuosa, e delle sue sconfinate capacità di frode e di simulazione teatrale. (…)

Il contesto e lo stato dell’intera vicenda sindoniana nell’epoca in cui venne decisa la simulazione del rapimento, alcune dichiarazioni rese durante le prime indagini da persone vicine a SINDONA, e tutto lo svolgimento della messa in scena con i numerosi messaggi dei "rapitori" e del "rapito", evidenziano in primo luogo (…) una finalità che si potebbe chiamare pubblicitaria, in quanto rivolta a ricostituire in senso positivo l’immagine del finanziere, a quel punto gravemente deteriorata, ed a propagandare con la massima risonanza l’assunto della sua estraneità ai delitti attribuitigli e, in particolare, all’omicidio dell’avvocato AMBROSOLI.

SINDONA è sempre stato molto sensibile all’esigenza di proporre al pubblico un’immagine positiva di sè, e ciò a buona ragione, essendo egli consapevole del fatto che ben difficilmente gli uomini del potere ufficiale ai quali si rivolgeva per la sistemazione delle procedure a suo carico, avrebbero potuto aiutarlo concretamente qualora la sua immagine pubblica fosse stata impresentabile.

Questa esigenza era diventata particolarmente acuta nella primavera del 1979, quando tutto sembrava svolgersi in modo per lui nettamente sfavorevole, con il sostanziale stallo dei tentativi di salvataggio della BANCA PRIVATA ITALIANA e la formale incriminazione negli Stati Uniti per il fallimento della FRANKLIN BANK, e quando egli aveva deciso di reagire preparando un attentato ai danni dell’avvocato AMBROSOLI, pur avendo la consapevolezza che l’opinione pubblica e la stampa lo avrebbero indicato come il probabile mandante di un simile delitto.

E’ infatti significativo rilevare come le attività decisionali, preparatorie ed esecutive dell’attentato a Giorgio AMBROSOLI e della simulazione del sequestro si fossero svolte nelle stesse epoche, tanto da giustificare la convinzione che fra le due imprese vi fosse un preciso rapporto.

(…)

E’ logico quindi concludere che SINDONA, già indicato come bancarottiere in Italia e negli Stati Uniti, prevedendo o temendo di essere sospettato quale mandante dell’attentato che stava preparando contro Giorgio AMBROSOLI, ed essendo consapevole che tutto questo poteva influire sfavorevolmente sull’esito delle procedure in corso a suo carico in entrambi i paesi, avesse ideato la clamorosa simulazione del proprio sequestro ad opera di un’organizzazione terroristica di sinistra, riproponendosi, fra l’altro, di distrarre l’opinione pubblica italiana e statunitense dai delitti a lui attribuiti, e di sostituire alla propria immagine pubblica di bancarottiere e di mandante di un assassinio quella di vittima dell’altrui malvagità. Tutto ciò confidando nella scarsa memoria che il pubblico ha dei delitti commessi da taluno, quando della stessa persona si offre, con grande risonanza pubblicitaria, un’immagine in chiave pietosa e vittimistica che riesca a sovrapporsi alla prima.

Quando SINDONA predispose la simulazione del proprio rapimento si era conclusa solo da un anno la tragica vicenda del sequestro dell’on. MORO ad opera delle Brigate Rosse (…). SINDONA, ideando la messa in scena del proprio rapimento, ebbe sicuramente presenti le cronache del sequestro MORO, tanto che ne imitò varie modalità (…). Egli quindi volle suscitare anche per sé un’uguale ondata di commozione e di pietà, contando di avvalersene sia nelle procedure italiane che, soprattutto, in quelle statunitensi, dove da tempo la sua linea di difesa faceva leva sull’assunto della persecuzione comunista ai suoi danni. Inoltre, con la messa in scena del rapimento egli accreditava l’esistenza di una organizzazione violenta e misteriosa, a lui ostile, che poteva anche essere responsabile dei delitti a lui ingiustamente attribuiti.

L’ipotesi che alla simulazione del sequestro non fosse estranea una siffatta finalità "pubblicitaria", ed in particolare la finalità di creare una grande cassa di risonanza alla tesi difensiva di SINDONA sull’omicidio AMBROSOLI, è confortata sia dalla cura con la quale i "sequestratori", ossia lo stesso SINDONA, in vari messaggi avevano trasmesso disposizioni sulle forme di pubblicità da dare ai loro scritti ed a quanto gli avvocati GUZZI e GAMBINO avrebbero visto durante l’incontro di Vienna (dove SINDONA intendeva presentarsi nella pietosa condizione di prigioniero recentemente ferito con un colpo di pistola), sia dal contenuto della lettera pervenuta il 27 agosto all’avvocato GUZZI, nella quale SINDONA sosteneva la sua estraneità all’omicidio AMBROSOLI ed affermava che di ciò erano convinti anche i suoi sequestratori. (…)

Una attenta analisi delle lettere che SINDONA trasmise dalla sua finta condizione di prigionia, e dei messaggi da lui attribuiti agli inesistenti sequestratori – lettere e messaggi nei quali si raccomandano, o si suggeriscono, determinate forme di pubblicità – rivela chiaramente che la messa in scena del rapimento ebbe da parte dello stesso SINDONA un’altra, e forse prevalente, finalità: quella di esercitare una continua e persistente pressione ricattatoria su ambienti e persone allo scopo di ottenere un aiuto concreto e fattivo che valesse a fargli superare la critica situazione in cui si trovava.

Basta leggere, al riguardo, la lettera pervenuta all’avvocato GUZZI il 27 agosto (…), il messaggio telefonico trasmesso dalla LONGO, nella finta veste di portavoce dei "rapitori", all’avvocato GUZZI il 3 settembre (…), e la lettera del "rapito" recapitata allo stesso GUZZI il 12 settembre (…) per constatare come SINDONA, da un lato, volesse rappresentare i propri sequestratori come individui fermamente intenzionati ad accertare, documentare e rendere di pubblico dominio atti di corruzione, "operazioni irregolari" e malefatte varie che sarebbero state commesse negli anni precedenti da uomini politici e da personaggi del mondo economico e finanziario, e, dall’altro, intendesse presentare se stesso come persona che, per quanto leale e riluttante, avrebbe potuto essere costretta dalla necessità di salvare la propria vita a fornire i documenti ed a fare le rivelazioni richieste, e quindi come persona che molti avevano interesse ad aiutare in quel frangente.

I destinatari di queste pressioni ricattatorie, ai quali SINDONA rimproverava di non avere mai mosso un dito per aiutarlo, venivano indicati genericamente nei vari messaggi come persone della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista e del Partito Socialdemocratico, e come esponenti del "padronato" e del mondo finanziario, quali coloro che apparivano sulla famosa "lista dei 500" titolari di irregolari depositi bancari esteri, e tali indicazioni erano comunque formulate in modo da consentire alle persone interessate di riconoscersi come destinatari delle richieste di aiuto. E ciò che SINDONA si aspettava da costoro erano aiuti finanziari – magari mascherati come riscatto da versare agli inesistenti sequestratori – e, a seconda delle singole possibilità e competenze, fattivi interventi a sostegno dei progetti di salvataggio che continuavano ad essere coltivati.

Del resto, anche negli anni e nei mesi precedenti SINDONA, trasmettendo attraverso l’avvocato GUZZI all’on. ANDREOTTI delle richieste di intervento in suo aiuto, le aveva accompagnate talvolta con messaggi sottilmente ricattatori, rappresentando il pericolo di dover fare rivelazioni compromettenti (…). E sempre con minacce di questa natura (…) nei primi mesi del 1978 SINDONA aveva costretto Roberto CALVI a versargli una cospicua somma di danaro.

Le pressioni ricattatorie poste in essere da SINDONA nel periodo del finto rapimento nei confronti di un certo estabilishment politico e finanziario non furono quindi che la prosecuzione di questi metodi, attuati questa volta nella cornice di un inscenato sequestro terroristico destinato ad attribuirvi particolare efficacia intimidatrice. (…)

Sempre a proposito delle finalità del rapimento e del viaggio segreto di SINDONA in Sicilia, resta da chiedersi quale valore attribuire alle due diverse spiegazioni fornite dallo stesso quando si risolse ad ammettere la simulazione (…).

Nella prima versione SINDONA sostenne di essere venuto in Sicilia simulando il proprio rapimento, al fine di dare il suo contributo ad un progetto di sollevazione armata dell’isola, da attuarsi con la partecipazione della massoneria, della mafia e delle organizzazioni di trafficanti di droga, e destinato alla secessione della Sicilia dall’Italia dove ormai si stava sempre più diffondendo il comunismo. Questa spiegazione, sia pure con meno dovizia di particolari, venne sostenuta anche da CARUSO nel suo memoriale (…) e da MICELI CRIMI in alcune dichiarazioni istruttorie (…).

Con la seconda versione, SINDONA spiegò che la sua venuta in Sicilia era stata decisa – in seguito a sollecitazioni a lui trasmesse attraverso MICELI CRIMI da un movimento politico separatista cui partecipavano vari esponenti della massoneria – allo scopo di utilizzare la sua popolarità ed il carisma personale di cui egli godeva nell’isola, a sostegno e diffusione di tale movimento, da attuarsi con metodi esclusivamente politici e non insurrezionali.

Ora, appare evidente che entrambe le versioni, nei termini in cui sono state formulate, non rispondono al vero, non potendosi certo credere che SINDONA ed i suoi amici siciliani avessero preso seriamente in considerazione, come realizzabile, il progetto di una sollevazione armata della Sicilia con finalità secessioniste, né che fosse stata organizzata la messa in scena del sequestro e la permanenza segreta di SINDONA a Palermo affinché lo stesso, nello stato di latitanza e clandestinità in cui si trovava, potesse svolgere attività politica nell’isola mettendo a frutto, in favore del movimento indipendentista, il suo carisma personale.

E’ tuttavia possibile che queste spiegazioni contengano alcuni spunti di verità, dato che realmente alla permanenza segreta di SINDONA in Sicilia collaborarono la massoneria dell’isola ed esponenti della mafia e di Cosa Nostra, e visto che in effetti da quell’epoca si è assistito ad un progressivo accentuarsi del connotato eversivo ed antistatuale delle attività e delle organizzazioni mafiose, con una serie di sanguinosi attentati terroristici compiuti contro rappresentanti dello Stato e delle istituzioni in Sicilia. Su tale aspetto di quella vicenda di SINDONA non sono tuttavia emerse risultanze che consentano di pervenire a qualche conclusione in termini di sufficiente certezza".

Dalla suesposta ricostruzione compiuta dalla sentenza della Corte di Assise di Milano emergono, dunque, sia la costante azione di sostegno esplicata in favore del Sindona, durante il suo simulato rapimento, da soggetti legati ai gruppi mafiosi facenti capo a Stefano Bontate e a John Gambino, sia le finalità "pubblicitarie" e ricattatorie (nei confronti di ambienti politici e finanziari) perseguite dal Sindona con tale operazione, sia il progetto secessionista sostenuto dal finanziere siciliano.

Il coinvolgimento di autorevoli esponenti di "Cosa Nostra" nella complessa vicenda è ulteriormente evidenziato dalle dichiarazioni di una pluralità di collaboratori di giustizia, i quali hanno altresì riferito in merito alle finalità che il Sindona intendeva perseguire in occasione del suo ritorno in Italia.

Francesco Marino Mannoia all’udienza del 4 novembre 1996 ha riferito quanto segue:

P.M. NATOLI: passiamo ad un altro argomento. Lei ha sentito parlare in "COSA NOSTRA" di MICHELE SINDONA?

MANNOIA F.: sì, io ho sentito parlare di MICHELE SINDONA in una specifica circostanza, direttamente da STEFANO BONTADE.

P.M. NATOLI: qual è questa circostanza?

MANNOIA F.: dopo l'incontro di cui ho già parlato, avvenuto al "BABY LUNA" con alcuni membri di "COSA NOSTRA" statunitensi e altri membri di "COSA NOSTRA" del palermitano, nel quale fra l'altro si è parlato (...) di raffinare della morfina, dell'eroina...

P.M. NATOLI: quindi è l'incontro dell'inizio del '79 al quale prende parte JOHN GAMBINO?

MANNOIA F.: esattamente. Successivamente dopo, io andai alla ricerca di trovare il posto adatto per raffinare questa morfina. Ricordo in un'occasione che mi recai insieme a SALVATORE FEDERICO e ROSARIO (...) a visitare questa villa in PIANO TORRETTA, di ROSARIO SPATOLA, per vedere se si poteva in questa villa, appunto, dello SPATOLA, realizzare (...) questo tipo di lavorazione di questa morfina. Io visitai attentamente la villa e cercai il posto adatto per raffinare (...) questa eroina, questa morfina. L'unico posto era una cucina adiacente alla villetta, ma era di modeste dimensioni. Ritornammo, dissi a BONTADE che in effetti (...) non era gran che per affrontare quel ciclo di lavorazione che era abbastanza consistente, erano più di cento chili allora, di raffinazione di morfina. Passò un breve periodo di tempo, non si riusciva a trovare (...) qualcosa di meglio, e allora io andando sempre a trovare BONTADE a MAGLIOCCO, gli dissi: "STEFANO, io credo di poter essere in condizioni di fare quella morfina nella casa, appunto, nella villetta in zona TORRETTA, di ROSARIO SPATOLA". A quel punto BONTADE mi disse, dice: "no, FRANCO, adesso non è più possibile, perché in quella villetta adesso c'è rinchiuso SINDONA". E io gli chiesi: "ma STEFANO cosa abbiamo a che fare noi con SINDONA?" E STEFANO in poche parole mi spiegò che SINDONA era rifugiato a PALERMO, attraverso l'aiuto, diciamo, di JOHN GAMBINO era sceso dagli STATI UNITI poi attraverso GIACOMO VITALE, cognato di STEFANO BONTADE lo aveva... era andato a prenderlo, se non ricordo male in GRECIA, fino a che lo hanno portato a PALERMO e doveva simulare un finto sequestro perché, diciamo, aveva fatto un fallimento e quindi doveva giustificarsi anche di una grossa, diciamo, quantità di denaro. So che (...) il SINDONA era interessato anche, anche a (...) un progetto di un separatismo (...) per rendere la SICILIA, diciamo, indipendente. Un progetto che era molto entusiasto anche SALVATORE INZERILLO ma che BONTADE (...) non condivideva. Io non approfondii (...) i particolari di questa vicenda perché non ero tanto interessato. In quell'occasione della permanenza di SINDONA in SICILIA, successivamente dopo, STEFANO BONTADE manifestando a MICHELE GRECO (...) la sua volontà, (...) il suo ragionamento, all'interno della struttura esponendo la sua logica, disse a MICHELE GRECO che "COSA NOSTRA" sarebbe rimasta indietro se non si sarebbe, diciamo, addentrata o, comunque, avrebbe cercato in qualche modo di allacciare (...) nuove amicizie (…), di allargare il suo raggio di conoscenze per avere più possibilità ad introdursi in situazioni che potevano essere come Magistratura, come politica, come tante altre cose, e STEFANO BONTADE era uno che guardava in avanti e non guardava mai indietro. E a volte si lamentava dicendo: "siamo una massa di ignorantoni che molti preferiscono guardare sempre al presente e non al futuro". E ricordo che il MICHELE GRECO contrastò il BONTADE che già era divenuto capo commissione, MICHELE GRECO, contrastò il BONTADE dicendo che il fare parte di alcuni uomini della massoneria contrastava con quelle che erano le regole di "COSA NOSTRA". Il BONTADE disse che certamente non avrebbero, non avrebbero immischiato il comportamento o le regole di "COSA NOSTRA" con le altre, con l'altra, diciamo, associazione, diciamo, con l'altra setta. Comunque nonostante il diniego del MICHELE GRECO il BONTADE l'ultimo periodo della sua vita, fece parte, aderì a questa... a questa setta, per tramite anche di suo cognato GIACOMO VITALE.

P.M. NATOLI: questa che lei definisce setta, quindi, che cos'era? Era la?

MANNOIA F.: era una "logica massone" (loggia massonica). Io mi ricordo che GIACOMO VITALE era denominato "33". Ora io non mi ricordo la... proprio la definizione esatta di questa... di questa loggia.

(…)

P.M. NATOLI: ...BONTADE le parlò di un problema nascente dal giuramento?

MANNOIA F.: me ne parlò, perché MICHELE GRECO gli fece osservare che questo contrastava con le regole, diciamo, di "COSA NOSTRA". Ma BONTADE gli replicava, ha replicato dicendo che certamente non avrebbe influito moltissimo sulle regole di "COSA NOSTRA", perché sarebbero sempre rimaste vive e, diciamo, e ferree all'interno della propria persona. Ma che necessitava certamente in tutti i modi, allargare il raggio di amicizia, di, appunto di conoscenze per non rimanere indietro ed essere sempre limitati in alcuni, alcuni campi.

(…)

P.M. NATOLI: senta, ritorniamo un attimo su SINDONA e sul suo finto rapimento in SICILIA nel '79. In che epoca siamo? Per collocarlo nel tempo.

MANNOIA F.: eh, io ho già detto, noi la riunione al "BABY LUNA" l'abbiamo fatta nei primi di... nei primi del '79...

P.M. NATOLI: del '79.

MANNOIA F.: ...quindi alcuni mesi dopo si cerca di raffinare queste... questa eroina, e poi apprendo che il SINDONA era venuto a PALERMO e che non c'era più la possibilità, quindi siamo nella... nella metà del '79, quasi nell'estate.

P.M. NATOLI: quindi nell'estate del '79.

MANNOIA F.: ecco, potrei sbagliare di qualche mese, ma io non posso essere completamente preciso.

P.M. NATOLI: benissimo. Sempre con riferimento a questo finto sequestro che si è verificato nel '79 a partire dall'estate, lei sa se questo finto sequestro ha una qualche relazione con gravi delitti che si verificarono in quello stesso anno? Intendo riferirmi agli omicidi di MICHELE REINA, di MINO PECORELLI, di AMBROSOLI, dell'Avvocato AMBROSOLI, del Dottor BORIS GIULIANO, del Giudice CESARE TERRANOVA. Questi omicidi vengono compiuti tra il 9 marzo del '79, quello di REINA, per finire al 26 settembre del '79 con l'omicidio di CESARE TERRANOVA. Sa se c'è una qualche relazione?

MANNOIA F.: io non ho elementi utili da poter fornire alla Corte e alla Signoria Vostra, per potere dire se vi è un filo conduttore. Non ho elementi utili.

P.M. NATOLI: ho capito. E la venuta di SINDONA in SICILIA che natura aveva, che finalità aveva, che scopo aveva?

MANNOIA F.: per quello che ho sentito io, lui aveva un progetto, il quale anche l'INZERILLO condivideva, un progetto politico (…) separatista. Voleva separare la SICILIA dall'ITALIA, ma io non mi sono addentrato (…) a questi commenti.

P.M. NATOLI: sa se incontrò con persone di rilievo durante il periodo del finto sequestro in SICILIA?

MANNOIA F.: no, questo non lo so.

P.M. NATOLI: quindi di incontri con persone esterne a "COSA NOSTRA" lei non sa nulla?

MANNOIA F.: no.

P.M. NATOLI: quindi soltanto con uomini d'onore.

MANNOIA F.: per quello che mi ha riferito STEFANO BONTADE.

P.M. NATOLI: ancora un'altra domanda. Quale interesse poteva avere "COSA NOSTRA" alla separazione della SICILIA dall'ITALIA nel 1979?

MANNOIA F.: ma come ho detto, l'interesse scaturiva da questa ideologia, questa diciamo novità del SINDONA, che era condivisa da INZERILLO. Può darsi che vi era qualcosa perché l'INZERILLO la condivideva, ma l'INZERILLO certamente non era una persona intelligente come il BONTADE, magari aveva qualche suggeritore oltre oceano; ma ripeto, io non mi sono addentrato a questa situazione. So solo che il BONTADE non era tanto entusiasto di questo.

Nella successiva udienza del 5 novembre 1996, il Marino Mannoia ha aggiunto:

AVV. SBACCHI: senta, lei ha conosciuto JOHN GAMBINO?

MANNOIA F.: sì, l'ho conosciuto.

AVV. SBACCHI: e sa perché è venuto a PALERMO GAMBINO?

MANNOIA F.: JOHN GAMBINO è venuto a PALERMO sia per la situazione di SINDONA, sia per la raffinazione dell'eroina.

AVV. SBACCHI: non è venuto solo per l'eroina?

MANNOIA F.: in quel periodo di tempo era interessato anche alla situazione SINDONA.

AVV. SBACCHI: era interessato. Lei da chi lo seppe?

MANNOIA F.: da STEFANO BONTADE.

Analoghe affermazioni erano state compiute dal Marino Mannoia nella deposizione resa in data 4 febbraio 1993 nel processo instaurato nei confronti di John Gambino ed altri imputati davanti al Tribunale del Distretto Sud di New York, di cui si riportano i passaggi più significativi:

D.: Che cosa è accaduto dopo che ha raffinato i 60 e gli 80 chilogrammi di morfina nel magazzino davanti alla villa di Giovanni Bontate?

R.: Ho chiesto a Stefano di trovare un altro posto per la raffinazione dell’eroina.

D.: E l’ha trovato?

R.: Andai a vedere una villa che si trovava a Torretta, nelle montagne, insieme a Salvatore Federico (…) e Rosario Spatola.

D.: A chi apparteneva la villa? A Spatola o a qualcun altro?

R.: A Rosario Spatola.

(…)

D.: Cosa è successo quando è andato nella villa di Spatola nelle montagne?

R.: Ho ispezionato la villa per vedere se fosse adatta allo scopo. L’unica stanza dove avremmo potuto lavorare con la morfina era una specie di dispensa vicino alla casa, ma non era particolarmente adatta.

(…)

D.: Cosa ha fatto dopo aver deciso che la villa di Rosario Spatola nelle montagne a Torretta non andava bene?

R.: Ho chiesto a Stefano di trovarmi un altro posto.

D.: Lui glielo ha trovato?

R.: Ci ha provato, ma ha solo perso un sacco di tempo. Allora, dopo 20 giorni, quasi un mese, sono tornato da Stefano e gli ho detto che avrei raffinato la morfina nella villa di Rosario Spatola.

D.: Cosa ha detto quando gli ha chiesto di usare la villa che in precedenza aveva rifiutato?

R.: Mi ha detto che non era più possibile, perché adesso nella villa c’era Michele Sindona.

D.: Le ha detto cosa ci faceva Michele Sindona nella villa?

(…)

R.: Io gli ho chiesto: cosa c’entra Michele Sindona? Lui mi ha risposto che era interessato a lui, Totuccio Inzerillo e John Gambino. Mi ha spiegato che Sindona aveva dichiarato bancarotta, aveva defraudato molte persone e stavano simulando un rapimento.

D.: In questa occasione è stato detto qualcos’altro riguardo a Sindona?

R.: Sì. (…) Che Michele Sindona era arrivato in Sicilia dall’America. John Gambino gli aveva organizzato il viaggio dall’America fino alla Grecia. Il cognato di Stefano Bontate, Giacomo Vitale, era andato in Grecia. Anche lui era un massone.

(…)

D.: Durante la vostra conversazione, Bontate non gli ha raccontato niente di quello che è successo una volta che Giacomo Vitale è arrivato in Grecia?

R.: L’unica cosa che mi ha detto è che Giacomo Vitale lo ha accompagnato in Sicilia a Palermo e poi alla villa di Rosario Spatola.

D.: Bontate le ha raccontato altro riguardo a Michele Sindona?

R.: Mi ha detto che Michele Sindona voleva che Stefano ed altri membri di Cosa Nostra diventassero massoni. Mi ha anche detto che l’unico interesse che aveva nei confronti di Sindona era costituito dal fatto che lui aveva investito i suoi soldi, quelli di Stefano Bontate, ed anche quelli di Totuccio Inzerillo e John Gambino. Ha detto anche che Michele Sindona voleva la separazione dall’Italia.

D.: Separazione?

R.: Che la Sicilia si separasse dal resto dell’Italia.

D.: E’ stato detto altro riguardo a Sindona durante questa conversazione con Bontate?

R.: Non ricordo, in seguito ho parlato altre volte con Stefano Bontate.

D.: (…) Mi può dire quando ricorda di avere avuto questa conversazione su Michele Sindona?

R.: Nell’autunno del 1979. Non ricordo la data esatta.

(…)

D.: Lei ha detto prima di aver parlato con Stefano Bontate di Michele Sindona in altre occasioni.

R.: Sì.

D.: Ci può dire cosa si ricorda di quello che Bontate le disse riguardo Michele Sindona (…)

R.: (…) Parlando con Michele Greco, Bontate gli aveva detto che sarebbe stato importante che alcuni membri entrassero a far parte di una loggia massonica tramite Michele Sindona. Gli disse anche che Cosa Nostra ne avrebbe tratto vantaggio e che avrebbe avuto l’occasione di stringere amicizie con persone di alto livello.

(…)

Michele Greco non era d’accordo ed aveva messo in imbarazzo Stefano Bontate, dicendo che una volta che un membro di Cosa Nostra aveva prestato giuramento di rimanere fedele alla sua organizzazione non poteva prestare un altro giuramento per diventare massone.

Bontate era amareggiato e me ne parlò. Mi disse che non avrebbe mai tradito Cosa Nostra e che Cosa Nostra era fatta per persone in gran parte ignoranti, ma malgrado tutto ciò, lui sarebbe entrato a fra parte di una loggia massonica.

Nell’interrogatorio reso davanti al P.M. in data 29 gennaio 1994, in sede di commissione rogatoria internazionale, il collaboratore di giustizia aveva affermato:

Io non ho visto personalmente SINDONA Michele. Ho saputo da BONTATE Stefano della sua presenza a Palermo nel modo sotto specificato.

Io ed altri dovevamo raffinare una grossa quantità di morfina (è un episodio che ho già raccontato), e avevo visionato, come possibile luogo per l’installazione del laboratorio, la villa che SPATOLA Rosario aveva a Palermo in zona Piano dell’Occhio.

Quel luogo inizialmente non mi era sembrato adatto, e ne avevo esaminati altri. Successivamente invece pensai che tutto sommato quella villa era il luogo più adatto tra quelli che avevo visto.

Quando però lo dissi a BONTATE Stefano, egli mi disse che non era possibile disporre della villa, perché in quel periodo vi dimorava SINDONA Michele.

Io chiesi a BONTATE "ma che c’entra SINDONA con noi?".

Il BONTATE mi rispose che vi era un interesse a simulare il sequestro di SINDONA, e che a questo erano appunto interessati lui stesso, INZERILLO Salvatore e GAMBINO John.

Dalle dichiarazioni del Marino Mannoia si desume, quindi, che il Bontate, nel comunicargli che il Sindona si trovava nella villa rientrante nella disponibilità di Rosario Spatola, gli riferì che egli stesso, Salvatore Inzerillo e John Gambino erano interessati a simulare il sequestro del finanziere siciliano, e chiarì che la messinscena realizzata dal Sindona era determinata da due ragioni: la necessità di giustificarsi per la perdita di una elevata somma di denaro nel corso del suo crack finanziario e l’intento di attuare un progetto separatista (condiviso da Salvatore Inzerillo, ma non dal Bontate). Il Bontate spiegò al Marino Mannoia che il Gambino ed il Vitale avevano aiutato il Sindona a fare ritorno in Sicilia, aggiunse che il proprio interessamento nei confronti del Sindona era connesso al fatto che quest’ultimo aveva compiuto investimenti per conto dello stesso Bontate, dell’Inzerillo e del Gambino, specificò che il Sindona voleva che alcuni esponenti di "Cosa Nostra" (tra cui lo stesso Bontate) aderissero alla massoneria, e precisò di avere rappresentato a Michele Greco l’opportunità che alcuni membri dell’associazione mafiosa divenissero massoni per intrecciare relazioni con personaggi di alto livello, senza però ottenere il consenso del capo della "Commissione".

I contatti intercorsi, durante il finto sequestro, tra il Sindona ed il Bontate trovano puntuale riscontro nelle affermazioni di altri collaboratori di giustizia.

In particolare, Francesco Di Carlo all’udienza del 30 ottobre 1996 ha dichiarato di avere appreso da Stefano Bontate che quest’ultimo, nel periodo in cui il Sindona si era recato in Sicilia, lo aveva incontrato, aveva discusso con lui di qualche argomento, e non aveva poi più voluto incontrarlo, definendolo "un pazzo vivente" ("mi ricordo sempre in quelle poche circostanze che ci sono state con Stefano Bontate, mi racconta un fatto. Che quando il Sindona era stato in Sicilia, nella provincia di Palermo o vicino Palermo, Stefano era andato a conoscerlo e visitarlo. Raccontato da Stefano, l'ha definito solo … non so di che cosa avevano discusso o di che cosa avevano parlato, l'aveva definito un pazzo vivente. E nemmeno lo voglio vedere più").

Le dichiarazioni del Di Carlo divergono da quelle del Marino Mannoia con riguardo alla descrizione dell’ atteggiamento tenuto dal Bontate nei confronti del Sindona durante la permanenza di quest’ultimo in Sicilia.

Questa divergenza non è però riconducibile al mendacio di nessuno dei due collaboratori di giustizia.

In proposito, occorre chiarire che – come si desume dalle affermazioni compiute dal collaborante Angelo Siino – il Bontate era andato incontro a gravi difficoltà nei rapporti con altri esponenti mafiosi a causa del ritorno del Sindona in Sicilia.

E’ quindi perfettamente comprensibile che il Bontate, parlando con un suo "uomo di fiducia" - quale era il Marino Mannoia - contestualmente allo svolgersi della vicenda, abbia esposto in modo esaustivo il contenuto dei suoi rapporti con il Sindona, ma in seguito - pur ammettendo di essersi recato a far visita al Sindona - abbia cercato di ridimensionare la natura e l’intensità di tali contatti nel corso del colloquio con un "uomo d’onore" legato allo schieramento corleonese come il Di Carlo, sostenendo di non avere condiviso minimamente i disegni del Sindona e di avere manifestato l’intento di non incontrarlo più.

E’, peraltro, ovvio che deve attribuirsi una sicura prevalenza alla prima versione dei fatti, essendo evidente che, in mancanza del consenso del Bontate, un soggetto a lui strettamente legato - per rapporti di affinità, per il vincolo associativo di natura mafiosa e per comuni interessi - come il Vitale, non avrebbe certamente potuto prestare un costante sostegno al Sindona per diversi mesi nell’anno 1979.

La circostanza che il Sindona nel corso del suo finto sequestro abbia incontrato il Bontate e l’Inzerillo trova riscontro nelle dichiarazioni de relato del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, il quale all’udienza del 9 gennaio 1996 ha riferito quanto segue:

DOMANDA - Lei ha conosciuto Michele Sindona?

RISPOSTA - No.

DOMANDA - All'interno di Cosa Nostra le è stato parlato mai di Michele Sindona?

RISPOSTA - Sì. Nel 1980 mi trovai in condizioni di parlare con due latitanti massonici tutti e due, uno era il cognato di Bontade, credo che si chiamava Vitale, non ricordo il nome. Avevo saputo, attraverso Bontade, che Sindona era andato a trovare, accompagnato da due uomini d'onore americani, anche se siciliani di nascita, avevano accompagnato Sindona presso Bontade e Inserillo (rectius Inzerillo: n.d.e.).

DOMANDA - In che anno l'avevano accompagnato?

RISPOSTA - O '78 o '79.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE –

Uno era Vitale e l'altro chi era dei latitanti?

RISPOSTA - Uno di Alcamo, ma non so, l'ho perso di vista, e neanche ricordo la fisionomia. Erano massonici tutti e due, e tutti e due latitanti per fatti inerenti a Sindona, a bigliettini... era una cosa che non mi interessava, e non ricordo neanche la fisionomia di questo alcamese massonico insieme a Vitale.

DOMANDA - Le dissero perché Sindona era venuto in Sicilia?

RISPOSTA - Sindona, secondo quello che mi dissero loro, intendo dire Bontade e Inserillo (rectius Inzerillo: n.d.e.), dissero che era venuto in Sicilia per provare a fare un colpo di Stato, cose che loro trasmisero in Commissione di Cosa Nostra, ebbero un diniego, non ne parlarono più, e non ebbero più contatti con Sindona.

Il tentativo di "colpo di Stato" menzionato dal Buscetta può identificarsi con il progetto separatista che, secondo il Marino Mannoia, costituiva uno degli scopi del viaggio segreto del Sindona a Palermo.

Anche le ulteriori indicazioni espresse dal Marino Mannoia in ordine alle restanti finalità perseguite dal Sindona trovano conferma in dichiarazioni di altri collaboranti.

In particolare, per quanto attiene al collegamento esistente tra il ritorno del Sindona in Sicilia e la perdita di una elevata somma di denaro nel corso del crack del suo impero finanziario, un significativo riscontro si rinviene nelle affermazioni di Gaspare Mutolo, il quale all’udienza del 30 maggio 1996 ha riferito quanto segue:

P.M.: Signor Mutolo, passiamo ad un altro argomento. Lei durante la sua vita passata in Cosa Nostra ha mai sentito parlare di Michele Sindona? E se è sì in che occasione, in che termini?

MUTOLO G.: Guardi, io ne ho sentito parlare spesso di Michele Sindona. Io di Michele Sindona ho parlato direttamente con Riccobono, sono stato in galera, diciamo. Al dottor Crini (rectius Crimi: n.d.e.) a quello che curò la ferita ... di Sindona ne ho sentito parlare, ne ho parlato con diversi personaggi. Uno degli ultimi che ne parlai è stato un certo, diciamo, non mi ricordo ora ... ma comunque io ne ho sentito parlare che quando lui è venuto a Palermo, diciamo, era fatto venire dall'America perché, diciamo, avevano investito, alcuni mafiosi come Bontate, Inzerillo, Riina, Teresi insomma tanti personaggi importanti mafiosi, dei soldi su Sindona perché, non lo so, nelle banche, perché anche i mafiosi investono nelle azioni delle banche, della borsa e quindi ... però le cose andarono male a Sindona, è venuto qua in Sicilia e mi ricordo che (...) con il Riccobono è stato che quando lui è venuto era per recuperare i soldi che doveva dare diciamo ai mafiosi. A un certo punto il Sindona fa una lista che manda a Roma a un avvocato, non mi ricordo come si chiama, ce la porta il fratello di Spatola, quello che costruiva, diciamo, per Inzerillo Salvatore, questo Spatola Vincenzo arrivando, diciamo, l'avvocato Guzzone, Guzzoni, qualcosa del genere, trova inaspettatamente i carabinieri. I carabinieri, diciamo, arrestano questo Spatola e non si sa che fine fa questa lista di 500 nominativi in cui chiedeva i soldi Sindona. A quel punto, insomma, l'hanno fatto andare via di nuovo insomma perché ci interessava che ai mafiosi recuperare i soldi che avevano dato a Sindona ...

P.M.: E questo scopo del viaggio di Sindona in Sicilia, lei lo apprende ...? Vuole ripetere da chi?

MUTOLO G.: Da Rosario Riccobono.

P.M.: Che aveva investito, aveva investito dei soldi?

MUTOLO G.: ...Dopo ne parlo con Micalizzi Salvatore ma la persona più importante è Rosario Riccobono.

(…)

PRESIDENTE: Mutolo, senta, questa lista di 500 nomi che cosa era? Che cosa intende dire? Che cosa ha saputo sull'argomento?

MUTOLO G.: Dunque, il Sindona, almeno, per come mi racconta Riccobono per i suoi amici che aveva; politici, massoni, non lo so ... persone importanti però tutti con soldi, non lo so quali potevano essere gli interessi io non posso sapere ... erano 500 persone tra politici ed altri personaggi in cui il Sindona chiedeva, insomma, dei soldi. Soldi in modo che queste persone ci davano e questo Spatola il fratello di Rosario Spatola fu arrestato, diciamo, nell'androne dove doveva portare questa lista. Ora non mi ricordo bene come si chiama quest'avvocato però erano una lista di nominativi che in qualche modo erano coinvolti nei traffici che faceva, diciamo, Sindona.

La circostanza che il Sindona, in occasione del suo viaggio segreto, intendesse recuperare somme di denaro precedentemente affidategli da autorevoli esponenti mafiosi perché provvedesse ad investirle, è perfettamente coerente sia con le indicazioni fornite dal Marino Mannoia circa le ragioni che avevano sorretto l’interesse manifestato dal Bontate per il finanziere siciliano, sia con l’accertato svolgimento, da parte del Sindona, di attività di riciclaggio dei proventi del narcotraffico.

Ne resta, pertanto, confermata l’attendibilità del nucleo essenziale delle informazioni apprese dal Mutolo in ordine alle ragioni della messinscena realizzata dal Sindona.

Appaiono, invece, riconducibili ad una errata comprensione, da parte del Mutolo, delle circostanze comunicategli dal Riccobono, alcune affermazioni concernenti la c.d. "lista dei 500".

Dall’esame delle deposizioni dei testi M.llo Novembre, avv. Guzzi ed on. Teodori si evince che la c.d. "lista dei 500" rappresentava lo strumento attraverso cui era possibile risalire ai soggetti che avevano esportato capitali dall’Italia all’estero attraverso la Finabank di Ginevra. Nei confronti di questi soggetti si procedette - prima della pronunzia della sentenza del 14 ottobre 1974, con cui il Tribunale Civile di Milano dichiarò lo stato di insolvenza della Banca Privata Italiana - al rimborso delle somme loro dovute, rompendo il c.d. cordone sanitario (cioè il blocco delle operazioni finanziarie) imposto nel luglio 1974 dalla Banca d’Italia. Come ha chiarito il teste Novembre, tra i soggetti in questione vi erano anche persone collegate a partiti politici, società indicate come riconducibili alla Democrazia Cristiana, nonché i fratelli Gaetano, Francesco e Camillo Caltagirone.

L’interesse manifestato dal Sindona, nel corso del suo simulato rapimento, per la "lista dei 500", è desumibile dalla lettera da lui indirizzata all’avv. Guzzi e pervenuta in data 27 agosto 1979 all’ufficio del finanziere siciliano a New York. Si è già rilevato che con questa missiva il Sindona rese noti gli scopi perseguiti dai suoi "rapitori", sostenendo, tra l’altro, che costoro volevano ottenere da lui notizie e documenti sull’"elenco dei 500". Le richieste di notizie e documenti vennero ribadite e specificate nella lettera giunta all’avv. Guzzi il successivo 12 settembre.

Non vi è dubbio che il possesso di simili notizie e documenti potesse rappresentare un importante strumento di ricatto nei confronti dei soggetti che avevano esportato capitali all’estero ed avevano ricevuto il relativo rimborso, al fine di indurli a corrispondere al Sindona le somme di denaro che avrebbero dovuto essere restituite ad esponenti di "Cosa Nostra".

Non si comprende, però, per quale ragione la documentazione relativa alla "lista dei 500" dovesse essere trasmessa dal Sindona all’avv. Guzzi. Né è verosimile che la stessa documentazione sia scomparsa a seguito dell’arresto di Vincenzo Spatola.

Deve dunque ritenersi che il Mutolo, dopo avere ricevuto dal Riccobono determinate informazioni in merito alle finalità del viaggio in Sicilia del Sindona, all’interesse di quest’ultimo per la documentazione attinente alla "lista dei 500", ed all’invio di un plico all’avv. Guzzi tramite Vincenzo Spatola, abbia collegato deduttivamente in modo erroneo alcuni di questi diversi dati, identificando indebitamente con la "lista dei 500" il messaggio che Vincenzo Spatola avrebbe dovuto trasmettere all’avv. Guzzi per conto del Sindona.

Questa imprecisione non intacca, tuttavia, il valore dimostrativo delle ulteriori notizie fornite al Mutolo dal capo della sua "famiglia", il quale aveva stabilito con lui un saldo rapporto fiduciario e (per le ragioni sopra riassunte) aveva la possibilità di disporre di precisi elementi conoscitivi in ordine all’effettivo significato della vicenda in esame.

La circostanza che il Sindona, durante la sua permanenza a Palermo, abbia incontrato il Bontate ed intrattenuto stretti rapporti con il Gambino e con l’Inzerillo, si desume dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Siino, il quale ha precisato che il finanziere siciliano manifestava l’intento di organizzare un colpo di Stato, ma - ad avviso di Giacomo Vitale - perseguiva, in effetti, finalità riconducibili alla tutela dei propri interessi e cercava di ricattare il sen. Andreotti.

Secondo la prospettazione formulata nella sua deposizione dibattimentale dal Siino, quest’ultimo, circa 15 giorni dopo una gara automobilistica svoltasi il 14 e 15 luglio, trovandosi in un albergo sito a Cefalù in C.da Mazzaforno, incontrò il Vitale, il Foderà e il Barresi, i quali gli comunicarono che il Sindona si trovava in Sicilia. Il Vitale raccontò di essersi recato ad Atene, insieme al Foderà, per prelevare il Sindona, e di averlo quindi condotto a Palermo partendo da Patrasso con una imbarcazione, sbarcando in Puglia, proseguendo il viaggio in autovettura e facendo tappa a Catania ed a Caltanissetta. Il Vitale, inoltre, informò il Siino che si stava organizzando un colpo di Stato separatista.

Il Sindona fu poi presentato dal Vitale al Siino quando quest’ultimo, nella seconda decade del mese di agosto del 1979, si recò nell’abitazione della Longo. In questa occasione era presente anche Stefano Bontate.

Il Vitale incaricò il Siino di restare "a disposizione" del Sindona, con il compito di agevolare la realizzazione di tutte le sue esigenze di vita e di accompagnarlo nei luoghi in cui il finanziere siciliano doveva recarsi.

Anche il Sindona parlò al Siino, in tono enfatico, del colpo di Stato.

In vista di questo progetto, nella terza decade del mese di agosto 1979 il Siino ed il Vitale si recarono a Gioia Tauro, dove incontrarono i titolari dell’emittente televisiva "Tele Monte Tauro", i quali avrebbero dovuto mettersi a loro disposizione per la collocazione, su un ripetitore ad essi appartenente, di un apparecchio idoneo ad interrompere le comunicazioni radiotelevisive tra la penisola italica e la Sicilia. Il Vitale, dopo avere portato i saluti di Stefano Bontate e di Enzo Cafari (soggetto inserito nell'ambiente della ‘ndrangheta calabrese e della massoneria) ai titolari dell’emittente, chiese se fosse possibile avvalersi di un tecnico per installare il predetto apparecchio, ed ottenne risposta affermativa.

Pochi giorni dopo, il Siino ed il Vitale si recarono in località Monte Soro, per verificare se fosse possibile danneggiare gli impianti radiotelevisivi installati in tale luogo.

Fu esaminato anche un altro progetto tendente ad isolare la Sicilia attraverso il blocco dello stretto di Messina. A tal fine, nei primi giorni del mese di settembre del 1979, il Siino, il Vitale ed il Barresi si recarono a Messina, dove presero parte alla riunione di una loggia massonica il cui capo era Peppino Costa, il quale era legato da stretti rapporti di amicizia ai capitani ed ai direttori di macchina dei traghetti che percorrevano lo Stretto di Messina.

In epoca successiva ai viaggi a Gioia Tauro e a Monte Soro, il Vitale, conversando con il Siino intorno alla fine del mese di agosto 1979, manifestò il dubbio che il Sindona si fosse recato in Sicilia non per realizzare un colpo di Stato, ma per altre finalità recondite.

Il Siino, dopo essere stato "messo a disposizione" del Sindona, lo accompagnò spesso ad incontrare altre persone e ad effettuare telefonate da una cabina pubblica sita nelle vicinanze dell’abitazione della Longo.

Tra l’altro, il Siino, insieme al Vitale, accompagnò il Sindona a Mondello, dove era stato fissato un appuntamento con Antonino Salvo. Il Sindona, dopo avere salutato Antonino Salvo, si allontanò con lui per un tempo superiore ad un’ora, e, quando fece ritorno, magnificò la bellezza della villa in cui si era recato. Dopo avere accompagnato nuovamente il Sindona nell’appartamento della Longo, il Vitale riferì al Siino che il medesimo soggetto, unitamente ad Antonino Salvo, era andato ad incontrare l’avv. Guarrasi.

Il Siino ebbe modo di udire che, in una concitata conversazione telefonica effettuata mediante il predetto impianto pubblico, il Sindona diceva ad alta voce: "Giulio, tu non mi puoi fare questo". Successivamente il Siino domandò al Vitale chi fosse il soggetto di nome Giulio cui il Sindona telefonava. Il Vitale rispose che si trattava dell’on. Andreotti, espresse l’avviso che il Sindona fosse giunto in Italia anche per ricattare il medesimo esponente politico, e fece capire che il Sindona "aveva dei documenti molto (…) compromettenti che potevano creare degli imbarazzi all'Onorevole Andreotti". Già in precedenza, il Siino aveva constatato che il Vitale "esprimeva dubbi sul fatto che il Sindona era venuto per il golpe separatista. Diceva che si era venuto a fare i fatti suoi".

L’abitazione della Longo, nel periodo in cui vi dimorava il Sindona, era frequentata da alcuni esponenti mafiosi, come Stefano Bontate e Calogero Di Maggio.

Il Siino assistette ad un incontro svoltosi presso una villa sita in località Portella di Renda, nel corso del quale Licio Gelli, in presenza di Michele Barresi, di Giacomo Vitale e di Aldo Vitale (soggetto affiliato alla loggia massonica CAMEA), definì "una pazzia" il progetto del Sindona, che intendeva realizzare un colpo di Stato.

Dopo l’arrivo in Sicilia di John Gambino (verificatosi intorno al 6 settembre 1979 o nei giorni immediatamente successivi), il Siino non vide più il Sindona, il quale si trasferì in un luogo diverso dall’abitazione della Longo.

Verso la fine del mese di settembre, Giacomo Vitale disse al Siino: "guarda che di quella cosa non se ne fa più niente, perchè te lo avevo detto, questo si venne a fare i fatti suoi". Il Vitale, inoltre, incaricò il Siino in un primo tempo di accompagnare il Sindona a Vienna a bordo di un’autovettura, ed in un secondo tempo – essendo stato modificato l’originario programma – di acquistare due biglietti aerei per Vienna. I biglietti avrebbero dovuto essere utilizzati dal Siino e dal Vitale. Il viaggio, però, non venne più effettuato a seguito dell’arresto del fratello di Rosario Spatola.

Il Siino, alla notizia dell’arresto, rimase molto preoccupato, in quanto aveva già appreso dal Vitale che "il Sindona era ormai gestito da Totuccio Inzerillo e dai Gambino e da Sarino Spatola".

In seguito anche il Sindona, giunto negli U.S.A., venne tratto in arresto.

Commentando lo sviluppo degli eventi, Rosario Spatola, riferendosi al Sindona, disse al Siino: "io lo pensavo che questo signore faceva questa fine", ed aggiunse: "ora questo ci consuma a tutti".

Dopo avere interrotto i propri rapporti con il Bontate nel settembre 1980, il Siino raccontò la vicenda, e segnatarmente il progetto di colpo di stato, a Giovanni Brusca, il quale ne informò il proprio padre.

Nel periodo successivo, il Siino incontrò il Bontate solo una volta, in una trattoria sita a Campobello di Mazara. In questa occasione, il Bontate affermò di essere "stato rovinato" e specificò che la vicenda riguardante il viaggio del Sindona in Sicilia "gli aveva creato una serie di guai" con gli altri esponenti mafiosi.

I passaggi salienti delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Angelo Siino all’udienza del 17 dicembre 1997 sono di seguito trascritti:

P.M.: E arriviamo a un personaggio che lei ha ripetutamente menzionato fino a poc'anzi, MICHELE SINDONA.

SIINO A.: Sì.

P.M.: (…) Quando lo conosce?

SIINO A.: Lo conosco in occasione della sua venuta in Sicilia in casa della signora LONGO in piazza Diodoro Siculo a Palermo (…).

P.M.: Quando avviene questa conoscenza?

SIINO A.: Avviene quando io, accompagnato dal GIACOMINO VITALE mi recai in detta casa e fui messo a disposizione per ogni bisogno, così mi disse, e con mio sommo disdegno, perchè eravamo in pieno agosto, per tutti i bisogni del signor SINDONA, cioè accompagnarlo ...

P.M.: Mi scusi, mi scusi un attimo prima di andare ai bisogni di SINDONA, agosto di che anno?

SIINO A.: 1979.

(…)

P.M.: Quando le viene presentato SINDONA quello è il primo momento in cui lei apprende della presenza di SINDONA o ...

SIINO A.: No, quello è il momento proprio fisico della ... cioè la presentazione fisica.

P.M.: invece quand'è che lei aveva appreso ...

SIINO A.: Io ho appreso della presenza di SINDONA in Sicilia quando dopo essermi eclissato immediatamente dopo la dodici ore di Campobello ...

P.M.: Che stamattina abbiamo visto, Presidente, 14-15 luglio.

(…)

SIINO A.: ... per cui evidentemente sono stato fuori una ventina di giorni dopo ... no, meno, una quindicina di giorni.

P.M.: Una quindicina di giorni dopo?

SIINO A.: La dodici ore di Campobello e dopo essere stato cercato e ricercato in tutti i modi e le maniere da parte del BARRESI, mi recai all'hotel Baia del capitano, dove trovai ...

P.M.: Dove si trova la Baia del capitano?

SIINO A.: Baia del capitano si trova a Mazzaforno in ... Cefalù.

P.M.: Mazzaforno, Cefalù.

SIINO A.: Che è una cosa ... una borgata di Cefalù dove c'è questo albergo e praticamente lì incontrai il VITALE, il FODERA' ed il BARRESI, con le rispettive signore. Erano particolarmente euforici. Mi chiamarono a parte e mi disse: "Ti comunichiamo..." prima mi rimproverarono perchè ero sparito.

(…)

SIINO A.: Io praticamente vado a Mazzaforno, vedo queste persone che bonariamente mi rimproverano: "Al solito tuo, quando c'è bisogno di te scompari"! e ci dico: "perchè" "Eh, perchè! Prima di tutto ti comunichiamo che praticamente SINDONA è qui con noi a Palermo e poi tu dovevi recarti con Giacomino e Ciccio a prenderlo ad Atene".

P.M.: Giacomino e Ciccio chi sono?

SIINO A.: Giacomino ... sono GIACOMINO VITALE e FRANCESCO FODERA'.

P.M.: E FRANCESCO FODERA'.

SIINO A.: Praticamente mi dovevo recare con loro a prenderlo ad Atene. Era stata prevista una eventualità, sempre per quello che loro mi raccontarono, che doveva essere prelevato con una barca di proprietà di ANGELO RANDAZZO, dico barca per dire una barca di altura.

P.M.: Una barca di altura come a motore o a vela?

SIINO A.: A vela, a vela. Che praticamente era di proprietà di ANGELO RANDAZZO. Questa barca ebbe un avaria e restò al porto del Pireo, malgrado che poi Giacomino mi disse: "Sì, avaria, questo è scanto" per l'avvocato COPPI: "E' paura questa" cioè disse che ANGELO RANDAZZO aveva avuto paura a imbarcare SINDONA.

(…)

P.M.: (…) Lei ha detto due o tre volte: "parlano, parlano", al plurale. Chi è che parla e le dice queste cose?

SIINO A.: Soprattutto GIACOMINO VITALE.

(…)

P.M.: E quindi le racconta diciamo di questo ...

SIINO A.: Di questo soggiorno greco.

P.M.: No, di questo progetto di prelevamento del SINDONA al quale avrebbe dovuto partecipare anche lei.

SIINO A.: Sì, mi dice che io ero scomparso e loro erano stati costretti ad andarci da soli. Prima erano stati all'hotel (…) Hilton di Atene e poi in un hotel del Pireo quando praticamente avevano avuto la certezza che l'ANGELO RANDAZZO non voleva portare SINDONA a causa dell'avaria, in Sicilia. poi mi raccontò che si erano imbarcati a Patrasso.

P.M.: Ecco, la cosa più importante invece cosa le racconta di quello che effettivamente fecero e chi lo fece.

SIINO A.: Praticamente è stato lui ...

P.M.: Lui, GIACOMO VITALE, cioè?

SIINO A.: E CICCIO FODERA'.

P.M.: E CICCIO FODERA', che cosa fecero?

SIINO A.: Si imbarcarono a Patrasso.

P.M.: Sì.

SIINO A.: E sbarcarono in Puglia e affittarono una macchina e si sono diretti in Sicilia. Passarono da Catania, dove furono ospitati in albergo da TANO GRACI insieme ad altre persone ...

P.M.: TANO GRACI è il cavaliere?

SIINO A.: GAETANO GRACI, cavaliere del lavoro di Catania.

P.M.: Il cavaliere del lavoro. E furono ospitati dove?

SIINO A.: In un albergo. Non mi dissero quale.

P.M.: Sì.

SIINO A.: E poi praticamente ... un albergo che mi pare dissero addirittura che era di proprietà del GRACI. Poi mi dissero, non so se era di Catania o di Taormina, mi dissero poi che andarono a Caltanissetta.

P.M.: Dove lo sa?

SIINO A.: Sì, sono andati a casa dell'avvocato PIAZZA che io poi ho conosciuto, conoscevo, era un avvocato di Caltanissetta. Veramente un avvocato di San Cataldo di cui conoscevo la figlia a nome Isabella.

P.M.: E il PIAZZA era massone?

SIINO A.: Sì, il PIAZZA era massone.

P.M.: Era massone.

SIINO A.: E poi praticamente fu portato a Palermo a casa della signora LONGO che era amica di JOSEPH MICELI CRIMI, che era un medico originario anch'egli di Salemi.

P.M.: Quindi a casa della signora (…) LONGO a piazza Diodoro Siculo, lei conosce il SINDONA. Chi glielo presenta, forse lo ha già detto ma ...

(…)

SIINO A.: Me lo presenta GIACOMO VITALE e ...

P.M.: Siete voi due soli?

SIINO A.: No, no, praticamente c'era anche STEFANO BONTATE e mi pare MICHELE BARRESI.

P.M.: Il "mi pare"?

SIINO A.: Mi pare perchè non ne sono sicuro.

P.M.: Cioè questa volta è un forse.

SIINO A.: Non ne sono sicuro se c'era anche Michele o no.

P.M.: E il "mi pare" è riferito a MICHELE BARRESI?

SIINO A.: A MICHELE BARRESI.

P.M.: Quindi sicuramente c'è GIACOMO VITALE ...

SIINO A.: Sicuramente c'erano STEFANO BONTATE, GIACOMO VITALE ed io.

P.M.: E lei.

SIINO A.: Poi entrò immediatamente, subito dopo, sia la signora che MICELI CRIMI. MICELI CRIMI fu in un certo senso allontanato di malo modo in quanto diceva il BONTATE che MICELI CRIMI era una spia della CIA, pensava ... diceva che era una spia, presumibilmente della CIA, per cui non si fidava molto del MICELI CRIMI. E infatti (…) tendeva sempre a lasciarlo al di fuori dei nostri discorsi.

P.M.: Quindi dico questo lo diceva ovviamente in un ambiente riservato, non ...

SIINO A.: Certo, non in ambiente ... Chiaro, chiaramente.

P.M.: No, dico, non davanti al MICELI CRIMI.

SIINO A.: No, chiaramente no.

P.M.: E lei aveva detto ed io poi avevo interrotto la sua risposta, che fu messo a disposizione di SINDONA.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Che significa, messo a disposizione?

SIINO A.: Cioè praticamente mi disse che dovevo stare proprio fermo lì a disposizione di SINDONA. Cioè se lui aveva bisogno di andare in un posto, di essere accompagnato in qualche posto, qualsiasi bisogno, qualsiasi cosa, dovevo stare lì a disposizione del SINDONA, cosa che proprio per me fu uno choc in quel momento.

PRESIDENTE: Chi è? Il soggetto chi è?

SIINO A.: Chi, chi me lo disse?

PRESIDENTE: Il soggetto che glielo disse.

SIINO A.: GIACOMO VITALE.

(…)

P.M.: Senta, una domanda di chiarimento: ma quando lei apprende che SINDONA si trova in Sicilia, no? perchè mi pare di capire che quando siete a Mazzaforno le dicono già c'è SINDONA a Palermo, è così?

SIINO A.: Sì, sì, mi dicono ...

P.M.: E lei riceve diciamo la comunicazione e resta tranquillo o ha una reazione di tipo diverso?

SIINO A.: No, praticamente ho avuto prima una reazione euforica, cioè anch'io mi feci trasportare dall'euforia

(…)

P.M.: Le faccio una domanda (…) più precisa: lei già sapeva che SINDONA era sparito dagli Stati Uniti oppure no?

SIINO A.: Lo sapevo dai giornali.

P.M.: Ecco.

SIINO A.: Infatti tutto potevo pensare che SINDONA ... Lo sapevo rapito, si diceva che fosse rapito da organizzazioni terroristiche, ma mai potevo pensare che SINDONA era a Palermo e nelle mani di GIACOMINO VITALE, accompagnato da GIACOMINO VITALE e CICCIO FODERA'. Proprio non lo pensavo proprio.

P.M.: Proprio per questa risposta, quindi lei era consapevole che SINDONA era apparentemente rapito o sequestrato addirittura, accetta tranquillamente questo incarico oppure cerca di declinarlo, si rappresenta un pericolo per lei.

SIINO A.: Certamente prima ho avuto una reazione (…) euforica.

PRESIDENTE: Ma perchè?

SIINO A.: Cioè praticamente mi disse: "Ah, come, c'è SINDONA qua", erano tutti loro pure euforici, contenti di avere un personaggio simile con loro. Dopodichè cominciai a preoccuparmi e cominciai a chiedere che cosa era venuto a fare SINDONA, perchè SINDONA era a Palermo.

P.M.: Ecco, che cosa sa quindi lei del viaggio di SINDONA a Palermo o in Sicilia.

SIINO A.: In primis il signor GIACOMINO VITALE mi disse, dice: "Angelo, stiamo organizzando un colpo di stato, colpo di stato separatista", cioè dicevano che se si venivano a creare delle situazioni particolari a Roma quale l'allargamento ... la creazione del cosiddetto compromesso storico si sarebbe dovuto fare questo colpo di stato, questa separazione (…) dall'Italia della Sicilia. Io praticamente sono rimasto molto perplesso da questa cosa. Insomma, restai un pò meravigliato, comunque mi feci un pò trasportare e accettai di fare quello che mi veniva ordinato.

P.M.: Signor SIINO, quando VITALE le fa questa confidenza o le comunica questa notizia siete voi due soli o c'è dell'altra gente?

SIINO A.: No, no, ci sono tutti, c'è MICHELE BARRESI e c'è anche CICCIO FODERA'.

P.M.: E vi trovate dove? Riesce a ricordarlo?

SIINO A.: Sì, a mazzaforno, messi di lato, c'erano le signore che conversavano e noi ci siamo allontanati.

P.M.: Ma è la stessa occasione che lei ha già riferito o è un altra occasione?

SIINO A.: Non lo so se è stato proprio nella stessa occasione ma penso proprio di sì.

P.M.: Quindi cioè in coincidenza con la prima notizia della presenza di ...

SIINO A.: Di SINDONA in Sicilia.

P.M.: Di SINDONA, e quindi ancor prima che lei lo conoscesse fisicamente.

SIINO A.: Sì, ancora prima che io lo conoscessi. infatti quando io l'ho conosciuto, la prima cosa che lui mi parlò di questo colpo di stato con un fare enfatico, (…) anche lui era molto eccitato, mi cominciò a dire che finalmente la Sicilia (…) sarebbe stata liberata. Insomma, delle cose un poco particolari. Io lo guardai un pò strano, stranito, perchè diceva delle cose che per me mi sembravano pazzesche. Comunque standogli vicino per un poco di giorni ho visto che aveva una cultura fuori dal comune di fatti siciliani, cioè praticamente mi cominciava a parlare dello sbarco dei mille a tutta l'epopea risorgimentale siciliana e non. Era una persona molto informata sui fatti siciliani. Però debbo dire che in un altra occasione poi GIACOMINO VITALE mi disse: "Sì, colpo di stato, sa chi vinni a fare chistu".

P.M.: Cioè?

SIINO A.: Cioè praticamente lui metteva in dubbio che la verità del SINDONA, cioè quello che diceva il SINDONA riguardo alla questione del colpo di stato, lui diceva che doveva avere degli altri fini reconditi.

P.M.: E mi scusi, per seguire un attimo l'evoluzione, questo dubbio GIACOMO VITALE glielo manifesta quando?

SIINO A.: Intorno alla fine di agosto.

(…)

P.M.: (…) lei quando incontra il SINDONA, se è in grado di collocarlo nel tempo.

SIINO A.: Seconda decade di agosto.

P.M.: Nella seconda decade di agosto, quindi sostanzialmente glielo manifesta quasi subito questo dubbio.

SIINO A.: Sì, diciamo sì. Praticamente me lo manifesta dopo (…) il nostro viaggio a Gioia Tauro e a Montesoro.

P.M.: Ecco, ne vuole parlare di questo viaggio?

SIINO A.: Sì, praticamente Giacomino mi disse che dovevamo andare a Gioia Tauro. A Gioia Tauro abbiamo incontrato due personaggi, padre e figlio. Questi personaggi erano titolari di una televisione, mi pare che si chiamasse o Tele Tauro o Tele Gioia Tauro. Uno di questi personaggi era claudicante. Ambedue so che sono stati uccisi nei primi anni '80. Questi due personaggi (…) titolari di questa televisione, dovevano mettersi a disposizione nostra. La prima cosa che abbiamo fatto, che ha fatto GIACOMINO VITALE è quella di portare i saluti di STEFANO BONTATE e di ENZO CAFARI a questo (…). E (…) il motivo del nostro viaggio era di potere collocare in una montagna che c'era sopra Gioia Tauro in un ripetitore di proprietà di questi signori un apparecchio, un lineare, che era (…) una cosa per accecare tutte le comunicazioni radiotelevisive tra l'Italia e la Sicilia.

P.M.: E come doveva avvenire o poteva avvenire questo fatto?

SIINO A.: Cioè praticamente questo monte che c'è su Gioia Tauro è a specchio con Montesoro che si trova in provincia di Messina tra Sanfratello e Cesarò.

P.M.: Sì.

SIINO A.: E dove ci sono un sacco di antenne televisive, antenne di tutti i tipi e colori, anche radio, anche di ... antenne militari. E praticamente (…) questa montagna è a specchio con Montesoro, dovevano accecare (…) queste antenne. Dovevano fare in modo che non c'erano più contatti radio tra l'Italia e la Sicilia. E naturalmente il VITALE disse che se aveva un tecnico che poteva installare questa apparecchiatura che doveva fornire il VITALE, noi cioè. Il titolare della televisione disse che lo aveva. Il VITALE gli disse che era di fiducia, io rabbrividii quando il titolare della televisione disse che se non era di fiducia ce lo facevamo diventare, alias che era disposto pure ad ammazzarlo.

P.M.: Cioè che significava?

SIINO A.: Significava che dopo aver ... dopo aver installato questo apparecchio sarebbe stato ucciso.

P.M.: Ho capito.

SIINO A.: A maggiore sicurezza. Poi in effetti noi ...

P.M.: Mi scusi, questo viaggio avviene quando?

SIINO A.: Diciamo che avviene prima della fine di agosto.

P.M.: Prima della fine di agosto.

SIINO A.: Sì, terza decade di agosto.

P.M.: Per collocare nel tempo con riferimento ad altri atti dei quali già disponiamo nel fascicolo del dibattimento, MICELI CRIMI in questo periodo è a Palermo o si era allontanato?

SIINO A.: Mi pare ... non glielo so dire. Comunque era un periodo antecedente alla venuta di GIOVANNI GAMBINO in Sicilia, di JOHN GAMBINO.

P.M.: Di JOHN GAMBINO

SIINO A.: GIOVANNI GAMBINO.

(…)

P.M.: Allora, come lo chiamavate voi, GIOVANNI GAMBINO quando arriva a Palermo?

SIINO A.: Ma nei primi ... nei primi di settembre, intorno al 6, 7, 8, 9, prima decade di settembre.

P.M.: Quindi nei primi di settembre. E questo viaggio è anteriore. Dopo questo viaggio che cosa fate?

SIINO A.: Andiamo a vedere esattamente l'ubicazione delle antenne di Montesoro.

P.M.: Quindi è sempre lei con GIACOMO VITALE.

SIINO A.: Sì, con GIACOMO VITALE. Siamo andati a vedere se a Montesoro c'era un presidio di Carabinieri, quattro carabinieri c'erano. Fra l'altro quando ci siamo andati i Carabinieri, c'era molto caldo, erano un pò così, erano molto ... Certo stare a guardia di queste cose non doveva essere molto entusiasmante. Tra l'altro c'erano anche un sacco di persone. Abbiamo convenuto che l'unico modo per cercare di potere fare qualche danno era di arrecare danni fisici alle persone, ai carabinieri, cioè dovevamo fare qualche azione violenta nei confronti dei carabinieri. debbo dire che anche lo stesso GIACOMINO VITALE dice: "ma guarda, sono dei ragazzini, ma c'amo a fare?" e non ... la cosa ... dice: "Semmai lo facciamo sempre tramite Monte Tauro".

P.M.: Quindi mi scusi, rispetto alla visita che fate in Calabria, questa seconda perlustrazione come si colloca, a distanza di quanto tempo?

SIINO A.: Pochi giorni.

P.M.: pochi giorni.

SIINO A.: Sì, pochi giorni perchè secondo me ...

P.M.: Voi comunque eravate già ritornati a Palermo e siete andati a Montesoro.

SIINO A.: Sì, siamo ritornati a Palermo e poi siamo ritornati a Montesoro.

P.M.: Senta, con riferimento ai luoghi dai quali trasmetteva Tele Tauro o tele Gioia Tauro.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Lei ha mai saputo il nome della montagna dalla quale si doveva con il lineare accecare Montesoro?

SIINO A.: No, non l'ho mai saputo.

(…)

PRESIDENTE: Allora il Monte Tauro che cosa è?

(…)

SIINO A.: Era Tele Monte Tauro.

P.M.: Tele Monte Tauro è il nome della emittente televisiva. Quindi è inutile che io le indichi delle località della Calabria perchè lei non sarebbe in grado di dirci ...

SIINO A.: No, non sono, perchè non se ne parlò (…) alla mia presenza.

P.M.: Un ultima cosa, con riferimento a Tele Tauro. Delle due persone padre e figlio chi aveva quella invalidità?

SIINO A.: Il figlio era invalido, era poliomielitico.

Nella successiva udienza del 18 dicembre 1999 il Siino ha aggiunto quanto segue:

P.M.: Signor SIINO, ieri avevamo interrotto il suo esame parlando del momento in cui era giunto a Palermo GIOVANNI GAMBINO.

SIINO A.: Sì.

P.M.: E lei aveva detto intorno al 6, 7, 8 di settembre mi pare di ricordare, è così?

SIINO A.: Sì.

P.M.: Stavamo pure ripercorrendo la attività da lei svolta insieme a GIACOMO VITALE andando dapprima in Calabria ad incontrare quelle persone presso quell'emittente televisiva ...

SIINO A.: Sì.

P.M.: E poi mi pare di ricordare che lei ha detto che siete andati a fare una ...

SIINO A.: Una ricognizione a Montesoro..

(…)

P.M.: (…) questa ricognizione a Montesoro era avvenuta?

SIINO A.: Nell'ultima decade di agosto.

P.M.: E quindi prima dell'arrivo di GIOVANNI GAMBINO.

SIINO A.: Certamente.

P.M.: Sempre seguendo allora questo percorso, in modo da concluderlo e poi parleremo d'altro, che cosa avviene in questo torno di tempo? Quindi siamo arrivati alla fine di agosto, primi di settembre del 1979.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Sia con riferimento al tentativo di golpe separatista, sia con riferimento agli altri fatti, alle altre vicende di cui lei è stato protagonista, cioè il suo essere a disposizione di SINDONA.

SIINO A.: Benissimo. Io sono stato messo a disposizione di SINDONA e lo accompagnai spesso, sia per incontrare persone, sia per portarlo a fare delle telefonate che lui faceva da una cabina telefonica che era vicina a P.zza Diodoro Siculo. Praticamente io un giorno, insieme a GIACOMINO VITALE, accompagnai SINDONA a Mondello (…), avevamo un appuntamento con NINO SALVO che aspettava in macchina, nella sua macchina, nella zona di Viale dei Pioppi, alla fine di Viale dei Pioppi, in una piazzetta che c'è alla fine di Viale dei Pioppi a Mondello. Il SINDONA scese dalla macchina, si salutò con NINO SALVO, si salutò affettuosamente con NINO SALVO, come che si conoscessero da lungo tempo, e se ne andò e mancò per circa, non lo so, un'ora e mezza, un'ora ... più di un'ora comunque. Suscitando anche risentimento di GIACOMINO VITALE che si sentiva un po' messo da parte, non messo al corrente. Infatti dice:-"Ma a questi quanto li dobbiamo aspettare ancora"? Era piuttosto nervoso, irritato di questa situazione.

P.M.: Quindi lei e GIACOMO VITALE siete rimasti in macchina?

SIINO A.: Sì, ad aspettare in macchina, nella nostra macchina ad aspettare in questa piazzetta che, guardi, è all'incrocio tra Viale Giunone e Viale dei Pioppi.

P.M.: Ecco.

SIINO A.: Praticamente c'è una rotonda, ora mi ricordo che forse c'era anche un chioschetto che vendeva gelati. Così. Eravamo un po' messi lì ad aspettare etc ... Giacomino era nervoso. Infatti, quando venne il SINDONA, sempre accompagnato dal SALVO che salutò e se ne andò, il Giacomino, con fare sfottente, disse: -"Michele, come sta l'Avvocato"? Dice:- "Bene, bene". Comunque il SINDONA era tutto preso nel magnificare l'abitazione in cui era stato. Diceva che era una villa in stile moresco, molto bella. Addirittura c'era una vasca all'interno di questa casa con delle fontane. Diceva che simili dimore ormai si potevano tenere solamente in Sicilia. Questo è quello che disse.

P.M.: E lei ha mai avuto modo di sapere chi fosse l'Avvocato?

SIINO A.: Sì, quando abbiamo lasciato MICHELE SINDONA sempre nella casa della signora LONGO a P.zza Diodoro Siculo, io domandai ... sono un po' curioso ... domandai al VITALE: "Ma chi era questo Avvocato da cui sono andati"? "Niente, non lo hai capito? Era l'Avvocato GUARRASI". Non ho chiesto più di tanto perchè, peraltro, non mi interessava la cosa. Altre volte debbo dire che accompagnai il SINDONA in diversi posti. Mi pare che si incontrò con un personaggio che mi pare che si chiamasse DI PASQUALE, e faceva l'ottico, e si incontrò pure ... era un massone pure questo signore, questo DI PASQUALE, era un grosso massone, penso che era ai vertici della massoneria palermitana di altri riti però, non del rito a cui apparteneva La Camea.

(…)

P.M.: Mi scusi signor SIINO, andando per sintesi, quindi in queste visite, se può dirci sinteticamente chi lei ha visto che il SINDONA ha incontrato. (…)

SIINO A.: Ha incontrato anche un certo SAPIENZA, che aveva una fabbrica di macchine di caffè. Ha incontrato un certo TELARO.

P.M.: Un certo?

SIINO A.: TELARO, era pure un altro esponente massonico. Comunque alle volte pure mi ha ... si è fatto accompagnare in posti e io non sapevo con chi parlava. In questo momento non ricordo bene i nomi, ma comunque si incontrò con parecchie persone a livello palermitano.

P.M.: Senta, questi ...

SIINO A.: Cioè sempre nella città di Palermo.

P.M.: Sempre nella città di Palermo. Questi incontri avvenivano, diciamo, avvennero in un arco di tempo limitato? O si snodarono durante la permanenza del SINDONA?

SIINO A.: No, si snodarono durante la permanenza del SINDONA a Palermo, che va dal suo arrivo intorno al 7, 8 di settembre, quando poi sparì insieme al GIOVANNI GAMBINO.

P.M.: Quindi sono ... entro quest'arco di tempo?

SIINO A.: Sì.

P.M.: Senta, lei ha fatto già accenno al fatto che ha accompagnato il SINDONA a fare delle telefonate in una cabina nei pressi di P.zza Diodoro Siculo.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Ma perchè doveva accompagnarlo? Lo accompagnava in macchina?

SIINO A.: No, lo accompagnavo non mi ricordo se in macchina o a piedi. Evidentemente cercavamo anche per brevi percorsi, di farla (…) in macchina, perchè c'era sempre una certa preoccupazione. Benchè il SINDONA era, rispetto a quello che erano le fotografie che avevamo visto nei giornali e nella televisione, era molto invecchiato, molto sciupato. C'era quella fossetta che aveva sulla fronte che era ancora più in risalto. E praticamente devo dire che anche per brevi percorsi usavamo la macchina. Non ricordo se per andare ...

P.M.: Mi scusi, soltanto per ricordare l'effige, in quel periodo ricorda se portasse barba e baffi oppure no?

(…)

SIINO A.: Completamente non l'ho mai visto nè con barba e nè con baffi. Allora praticamente io lo accompagnavo per una ragione precisa a telefonare. Allora (…) il telefono che usavamo era a gettone. Per cui lui faceva diverse telefonate, quasi quotidiane. La sera c'era un certo orario che come si arrivava all'imbrunire, intorno alle otto e mezza, nove, praticamente noi uscivamo per fare queste telefonate, quasi ogni sera. Quando io sono stato con lui. Praticamente io avevo provveduto ad acquistare un sacchetto di gettoni che tenevo (…) in una sacca di pelle scamosciata. E porgevo questi gettoni a SINDONA man mano che si andava scaricando la gettoniera, perchè faceva delle telefonate abbastanza lunghe. Per cui evidentemente aveva bisogno che io gli porgessi questi gettoni. In effetti, in una di queste telefonate, gli ho sentito dire, proprio letteralmente ... ah, erano delle telefonate spesso concitate. Il SINDONA era particolarmente nervoso in quel periodo, parlava a scatti, (…) aveva un modo brusco di approccio. Per cui queste telefonate spesso erano tumultuose. In una di queste telefonate gli sentii dire: -"Giulio, tu non mi puoi fare questo". Fui colpito da questa frase. Dopo, quando mi sono incontrato con GIACOMINO VITALE che era la persona con cui avevo più confidenza, la persona che poi praticamente era molto al corrente di queste cose, ho detto:-"Giacomo, ma chi è questo Giulio a cui telefona"? "Come chi è? ANDREOTTI". Anche lì sono rimasto un po' perplesso. E questa è stata la cosa quando io ho sentito dire questa frase. Cioè quando io accompagnavo alle telefonate. Debbo dire che le telefonate erano diverse e per diversi personaggi. Spesso faceva delle telefonate al Nord, non so se erano anche delle telefonate internazionali, ma non penso perchè le telefonate internazionali allora forse non si potevano fare a gettone, non c'era ancora il numero diretto con gli altri Stati. Ma faceva delle telefonate lunghe che richiedevano l'uso di parecchi gettoni.

P.M.: Senta, VITALE, quando lei gli pone quella domanda, fa dei commenti, oltre a darle quella risposta? Aggiunge qualcosa oppure no?

SIINO A.: Sì, debbo dire che già il VITALE, nei primi tempi della venuta di MICHELE SINDONA in Sicilia, praticamente era dubbioso sul fatto che il vero scopo della venuta di SINDONA in Sicilia era il colpo di Stato separatista. Diceva sempre:-"Chissà che è venuto a fare questo". Perchè esprimeva dubbi sul fatto che il SINDONA era venuto per il golpe separatista. Diceva che si era venuto a fare i fatti suoi. In occasione che io gli dissi:-"Ma chi è questo Giulio"? Lui mi disse che secondo ... aveva un pensiero, secondo lui il MICHELE SINDONA era venuto in Italia anche per ricattare l'Onorevole ANDREOTTI.

P.M.: Fece accenno allo strumento attraverso il quale il ricatto sarebbe stato posto in essere, oppure no?

SIINO A.: Cenno preciso no, ma mi fece capire che il SINDONA aveva dei documenti molto ma molto compromettenti che potevano creare degli imbarazzi all'Onorevole ANDREOTTI.

(…)

SIINO A.: Debbo dire che a un certo punto vidi inquietare in maniera ... bisogna dirlo, che si inquietò forte il SINDONA quando a un certo punto un certo numero di telefono non gli rispose più. (…) Cioè praticamente faceva un certo numero di telefono e mi ha detto:-"Questo ha chiuso il telefono, non mi risponde più". Non so a chi si riferisse.

P.M.: Ho capito. Le stavo chiedendo per cercare di ancorare nel tempo questo suo ricordo, riesce a darci una indicazione rispetto al periodo complessivo in cui SINDONA è stato accanto a lei diciamo, o meglio ...

SIINO A.: Diciamo dal periodo dal 20 ... dal 18 agosto fin tutto il periodo che io non l'ho visto più, dopo la venuta di GIOVANNI GAMBINO in Italia. Cioè naturalmente c'erano pure dei momenti che io non è che ero poi full-time a sua disposizione. Quando c'ero, io l'ho visto fare queste telefonate. Poi chiaramente ... poi magari ne avrà fatte altre nel momento che io non c'ero, per esempio quando siamo andati a Gioia Tauro, quando siamo andati a Montesoro

(…)

SIINO A.: (…) quando GIOVANNI GAMBINO venne in uno slang siculo-americano domandò a GIACOMINO VITALE (…) chi ero io, si informò chi ero io. Giacomino gli disse:-"E' il nipote di SALVATORE CELESTRE". "Ah", praticamente si rassicurò, perchè mi guardava con un certo coso, chi ero io che assistevo a queste cose di un certo pericolo, di una certa segretezza. Devo dire che quando il SINDONA era ospite della signora LONGO, ho visto parecchi esponenti mafiosi frequentare la casa della signora LONGO, quali DI MAGGIO CALOGERO, Caluzzo, lo stesso Stefano, DI MAIO TOTO' ...

P.M.: Stefano chi, scusi?

SIINO A.: STEFANO BONTATE, e anche DI MAIO SALVATORE. Però non so se si chiamasse DI MAGGIO o DI MAIO

(…)

P.M.: Vede altri soggetti?

SIINO A.: Forse TOTUCCIO INZERILLO ho visto una volta, ma non ne sono sicuro. Diciamo che non è che ne frequentassero molti! La cosa era abbastanza chiusa.

P.M.: Senta, a parte questi mafiosi, vede frequentare quella casa ad altri soggetti non mafiosi?

SIINO A.: Sì, soggetti non mafiosi frequentavano quella casa amichevolmente.

P.M.: Parliamo di casa LONGO .

SIINO A.: Sì, sì, MICHELE BARRESI, ma non mi pare che era cosa ... MICHELE BARRESI era tra l'altro quello meno convinto della situazione e subiva un effetto trascinamento dalla personalità del GIACOMINO VITALE. Era diciamo aggregato a GIACOMINO VITALE, faceva ...

P.M.: Scusi, era meno convinto della situazione, se ci sa dire ...

SIINO A.: Per niente convinto.

P.M.: No, no, se ci specifica che cosa intende per situazione.

SIINO A.: Certamente, intendo dire la venuta di SINDONA con finalità golpiste separatiste.

(…)

P.M.: Senta, assiste durante questi giorni a qualche conversazione particolare, o comunque sia, che cosa si dicevano questi soggetti quando si incontravano fra loro e con MICHELE SINDONA, se riesce a ricordare?

SIINO A.: Praticamente una volta ho assistito ad una discussione che, più che tra MICHELE SINDONA e questi soggetti, era tra di loro. Cioè una volta ho assistito a una conversazione tra CALOGERO DI MAGGIO e STEFANO BONTATE, in cui tra il serio e il faceto, mica tanto faceto, (…) parlavano di chi si doveva prendere le banche, chi si doveva prendere il Banco di Sicilia, chi si doveva prendere la Cassa di Risparmio. Onestamente, ...

P.M.: In che senso si doveva prendere?

SIINO A.: Cioè praticamente se questo golpe veniva finalizzato, poi dovevano spartirsi quelli che erano gli enti di maggiore importanza.

P.M.: Ho capito.

SIINO A.: Questa cosa suscitò anche a me una certa ilarità, perchè pensando a CALOGERO DI MAIO che voleva la Cassa di Risparmio, insomma, come ... non penso che era il tipo adeguato.

P.M.: Senta, ritorniamo ancora al progetto separatista. Lei, dopo Montesoro fa altra attività, oppure ...?

SIINO A.: No, vengo a conoscenza di altre attività. Cioè praticamente è successo questo, che io sono stato incaricato di andare a prendere all'Hotel delle Palme a Palermo il Dottor ALDO VITALE che io trovai nella hall di detto albergo. Non so se era ospite di questo albergo o era lì per incontrare qualcheduno. Il Giacomino mi aveva detto di portarlo a RENDA. RENDA è una magnifica casa che il Dottore BARRESI, è una casa che viene da sua moglie, possiede in località Portella di Renda. Portella di Renda si trova tra Borgetto e Pioppo. Io praticamente accompagnai il VITALE a casa di MICHELE BARRESI, casa debbo dire casa di campagna di MICHELE BARRESI, è una bellissima casa, un baglio siciliano splendido, bianco, situato sulla sinistra andando verso Borgetto, sulla strada statale. Arrivando là, capii che c'era organizzato un pranzo con finalità di parlare dopo di questa situazione della venuta di MICHELE SINDONA in Sicilia e di quello che era venuto a fare. Dopo poco tempo arrivò un'altra macchina guidata da una persona che poi io ho saputo chiamarsi ATTINELLI. (…) Questa persona accompagnava quello che poi mi fu presentato come LICIO GELLI, fratello massone. LICIO GELLI allora (…) era più giovane di quello che poi l'ho rivisto nelle fotografie dei giornali, aveva i capelli appena brizzolati, mi colpì la cosa perchè portava un occhiale scuro che non si levò neanche quando siamo rimasti a pranzo lì. Praticamente abbiamo ... siamo rimasti a pranzo, a colazione di giorno, e poi abbiamo parlato un po'. Veramente bisogna dire che l'abbiamo ...

(…)

P.M.: Quindi, lei quella mattina va a prendere chi?

SIINO A.: ALDO VITALE.

P.M.: Dove?

SIINO A.: Hotel delle Palme.

P.M.: E lo porta?

SIINO A.: A Renda.

P.M.: A Portella di Renda.

SIINO A.: Sì.

P.M.: A Portella di Renda chi trova?

SIINO A.: A Portella di Renda trovo MICHELE BARRESI, GIACOMINO VITALE, GAETANO BARRESI ...

P.M.: GAETANO BARRESI cioè il figlio del Professore?

SIINO A.: Sì, la signora Maria Rosa ...

P.M.: La signora BARRESI quale?

SIINO A.: La moglie.

P.M.: La moglie del Professore.

SIINO A.: E anche la madre del Professore che io non conoscevo.

(…)

P.M.: A che ora siamo della giornata?

SIINO A.: Ma io arrivo intorno a mezzogiorno, undici e mezza, forse un po' più tardi.

P.M.: Insomma, siamo intorno alla metà della giornata.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Quando arriva la macchina con ATTINELLI e LICIO GELLI?

SIINO A.: Una mezz'ora dopo che sono arrivato io.

P.M.: E vuole descrivere un attimo, perchè lei sostanzialmente è già lì quando arriva LICIO GELLI, no?

SIINO A.: Sì.

P.M.: Che cosa avviene? Ci faccia vivere, se riesce, questo attimo.

SIINO A.: Avviene praticamente che arriva questa macchina. L'ATTINELLI saluta, io rimango ... la macchina entra, io mi pare manco entrò nel baglio, perchè poi c'era questa scaletta a destra che portava alla casa di MICHELE BARRESI, perchè questa casa, essendo di provenienza della moglie del Dottore BARRESI, era di provenienza MISTO, era parte del Dottore MISTO, che era allora Direttore del consorzio di bonifica dell'Alto e Medio Belice, e parte della moglie, che usava anche MICHELE BARRESI chiaramente. Allora arrivano, scendono dalla macchina, saluti, baci, i soliti tre baci ...

P.M.: Scusi, saluti e baci. Saluti e baci tra GELLI e chi?

SIINO A.: Tra GELLI e VITALE.

P.M.: Tra GELLI e quale VITALE?

SIINO A.: Aldo, tra GELLI e GIACOMINO VITALE, tra GELLI e MICHELE BARRESI, tra GELLI e me, che vengo presentato come un fratello.

P.M.: Da chi?

SIINO A.: Vengo presentato da MICHELE BARRESI che era il più autorevole, il più alto in grado massonicamente parlando.

P.M.: E che cosa dice MICHELE BARRESI?

SIINO A.: Che questo è LICIO GELLI, un fratello nostro.

P.M.: Quindi glielo presenta con nome e cognome?

SIINO A.: Sì, sì, certamente.

P.M.: Quindi non c'è ombra di dubbio che non potesse trattarsi di LICIO GELLI?

SIINO A.: No, no, assolutamente. Mi dice LICIO GELLI, un nostro fratello.

P.M.: Senta, e ... ATTINELLI?

SIINO A.: ATTINELLI se ne va.

P.M.: ATTINELLI le viene presentato?

SIINO A.: No, non mi viene neanche presentato e non mi dicono niente. ATTINELLI mi viene detto poi. Io domando:-"Ma chi era quello che lo accompagnava"? Mi dicono:-"E' ATTINELLI".

P.M.: Cioè?

SIINO A.: Mi dicono che era uno della P2, che era iscritto alla P2, e mi dicono pure che era, o parente, i insomma molto amico di BELLASSAI.

P.M.: E BELLASSAI chi è?

SIINO A.: BELLASSAI era un funzionario regionale della Regionale Siciliana, che era anche lui capo della frangia P2 siciliana.

(…)

P.M.: Ed allora, ripercorrendo un attimo quella giornata, che cosa avviene?

(…)

SIINO A.: Allora, praticamente i convenevoli di rito, siamo andati a colazione, praticamente le due signore erano a capotavola, alla destra della signora c'era LICIO GELLI, dall'altra parte MICHELE BARRESI, io ero alla sinistra della signora MARIA ROSA MISTO e a destra c'era GIACOMINO VITALE. Dopo avere fatto una veloce ma splendida colazione, passammo a discutere quelli che erano le situazioni per cui c'era stata secondo me questa riunione. (…) C'è stata questa riunione, si cominciò a parlare della venuta di SINDONA in Sicilia e dei suoi scopi. Il GELLI immediatamente, così ...

P.M.: Alla presenza di tutti?

SIINO A.: No, no, io prima ... loro si appartarono, loro intendo dire GELLI, i due VITALE e MICHELE BARRESI. Io cominciai a scherzare un po', a fare i complimenti (…) alla madre del Dottore BARRESI (…), poi mi avvicinai agli altri. Avvicinandomi agli altri, sentii dire al GELLI che era una pazzia quella che voleva fare Michele, Michele era SINDONA, che non potevano assolutamente fidarsi degli americani, non c'era da fidarsi degli americani perchè gli americani, non appena raggiunto il loro scopo, avrebbero mandato tutti al mare. Questa è stata la cosa. Invece era molto entusiasta ALDO VITALE, perplesso come sempre, da sempre lo era MICHELE BARRESI che guardava la cosa con certa apprensione. Devo dire che il BARRESI era insomma una persona pulita, per cui chiaramente tutte queste cose lo preoccupavano e molto.

P.M.: Senta, e per concludere questa carrellata delle opinioni dei presenti, GIACOMO VITALE?

SIINO A.: GIACOMO VITALE diciamo che era stato il fulcro di questa cosa, però sempre che lui aveva quel sospetto, cioè che SINDONA in Sicilia era venuto almeno apparentemente per fare il golpe separatista, ma non era quella la finalità. Chissà per quale cosa era venuto. Comunque si adoperava chiaramente per ogni situazione inerente questa cosa, perchè secondo me era coinvolto ... secondo me! Era coinvolto anche Stefano, per cui evidentemente si doveva dare un fatto di serietà a questa cosa. Lui si adoperò in tutti i modi, poi ...

P.M.: Senta, ancora un'altra cosa. Lei ha detto ALDO VITALE era entusiasta.

SIINO A.: Sì.

P.M.: Che cosa significa per dare questa qualificazione?

(…)

SIINO A.: Significava che era contento che la confessione a cui apparteneva la Camea andasse a gestire un fatto così importante.

P.M.: Quindi era anche un fatto massonico?

SIINO A.: Sì, principalmente, era un fatto massonico. Sicuramente era un fatto massonico, cioè secondo me c'erano ... secondo me! C'erano, mi diceva sempre Giacomino che c'erano stati dei placet da parte della massoneria internazionale.

P.M.: Cioè? A che livello?

SIINO A.: Mi diceva appunto che avevano dei contatti con il rito scozzese, e praticamente aveva a livello internazionale di massoneria c'era stato lo star bene:-"Andate avanti, la cosa si può fare".

P.M.: Quindi c'era stato un intervento straniero diciamo, sia pure sotto il profilo autorizzativo?

SIINO A.: Ma guardi, interventi stranieri effettivi io non ne ho mai sentito parlare in particolare. Mi si disse che la massoneria internazionale aveva dato lo star bene. Di interventi stranieri che ho sentito parlare io ...

P.M.: No, no, scusi, di intervento straniero intendevo in questo caso intervento a livello di massoneria e a livello di autorizzazione.

SIINO A.: Sì.

P.M.: E a questo proposito, siccome internazionale è troppo vago, lo star bene della massoneria internazionale venne qualificato in quale parte del mondo, o da quale parte del mondo era provenuto?

SIINO A.: Massoneria americana.

P.M.: Quindi massoneria americana. Poi lei stava dicendo invece di interventi stranieri io?

SIINO A.: Di interventi stranieri io ho sentito solamente una cosa, (…) l'ho sentita dal SINDONA, dalla sua bocca, ha detto che era pronta, incrociava al largo di Palermo una portaerei americana e c'era una nave carica di uomini che dovevano intervenire per aiutare militarmente questo golpe. Questi uomini erano al comando di SOGNO, mi disse di quel grande massone, grande fratello che è SOGNO. Questo disse e questo so.

P.M.: Senta, e questo intervento era di militari, la nave era una nave militare?

SIINO A.: No, no, era praticamente l'intervento di uomini adusi, avezzi all'uso delle armi chiaramente. Militari ... cioè erano gente non so di che tipo, ma comunque dovevano intervenire, aiutare militarmente la conduzione di questo golpe. Bisogna dire che, oltre al fatto di Montesoro, era stata fatta qualche altra avance per cercare di organizzare questo golpe. Siamo stati ...

(…)

P.M.: Prima di passare oltre, due chiarimenti. Questa nave di che tipo era?

SIINO A.: Era una nave liberty, era una vecchia nave liberty.

P.M.: Cioè?

SIINO A.: Cioè era praticamente una nave da carico, non era una nave passeggeri.

P.M.: Ho capito.

SIINO A.: E mi disse pure che questa nave addirittura proveniva dall'Argentina.

P.M.: Ed era al comando del ...

SIINO A.: Del SOGNO.

P.M.: Del fratello massone.

SIINO A.: Però non me lo disse, mi disse di quel grande fratello, e praticamente le debbo dire che SINDONA era spesso ieratico, era una persona che parlava con aria ispirata. Per cui io lo prendevo per quello che lui mi diceva.

P.M.: Senta, questa conversazione tra SINDONA e lei dove avviene?

SIINO A.: Dentro la casa della signora LONGO, nel salottino a destra entrando.

P.M.: Quindi siamo prima dell'arrivo di GIOVANNI GAMBINO?

SIINO A.: Esattamente.

P.M.: Quindi sempre entro la prima decade di settembre?

SIINO A.: Senza dubbio.

P.M.: E stava dicendo? Ritornando ...

SIINO A.: Che erano stati ... mi ero scordato di dire una cosa, che oltre al fatto di Montesoro e di Gioia Tauro, un altro escamotage che era stato messo in atto per cercare di isolare la Sicilia, era quello di creare un blocco dello stretto di Messina.

P.M.: E come?

SIINO A.: Come? Praticamente siamo stati a Messina, stiamo stati in una loggia che era ...

P.M.: Mi scusi, siamo stati chi? Lei e chi?

SIINO A.: Io, GIACOMO VITALE, e MICHELE BARRESI.

P.M.: Quindi voi tre?

SIINO A.: Siamo stati a Messina dove c'è stata una riunione straordinaria di una loggia che era affine a La Camea, cioè non era ancora stata messa dentro a La Camea, però aspirava ad essere cooptata ne La Camea. Capo di questa loggia era PEPPINO COSTA, un personaggio di grande carisma messinese. E questo personaggio mi fu spiegato era molto amico di tutti i capitani dei traghetti, che erano massoni, e di tutti i direttori di macchina dei traghetti che fanno spola sullo stretto. Mi si disse che ad un certo punto, in una riunione riservata che avevano avuto loro, si erano messi a disposizione per eventualmente bloccare lo stretto di Messina.

P.M.: Senta, sempre per collocare nel tempo questo viaggio a Messina, questa riunione a Messina, è dopo Montesoro?

SIINO A.: Sì, dopo Montesoro, nei primi di settembre. Diciamo che l'attività che fu fatta in quei giorni, che io ho avuto occasione di vedere SINDONA, quando sono stato con SINDONA, è stata notevole. Le mie qualità non di autista ma di pilota, sono state messe a dura prova.

P.M.: Senta, e a parte Messina, siete andati in qualche altro posto, o lei ha avuto notizia di altra attività?

SIINO A.: Ma praticamente io ho avuto notizia che c'erano dei personaggi che dovevano provvedere a mobilitare il centro della Sicilia, il centro della Sicilia parlo del centro geografico della Sicilia: Caltanissetta,... ed erano dei personaggi americani, cioè oriundi italiani americani, mi pare che fossero originari di Ravanusa.

(…)

P.M.: Che cosa significava mobilitare il centro della Sicilia?

SIINO A.: Mobilitare la parte mafiosa, cioè praticamente tutti gli affiliati della mafia dovevano dare un aiuto particolare a questo golpe.

P.M.: Ho capito. Quindi, sempre per seguire un percorso cronologico, tutto questo avviene sempre nel periodo in cui MICHELE SINDONA si trova in casa LONGO?

SIINO A.: Sì, sempre nel periodo che avviene questo ... sì, sempre nel periodo di casa LONGO. Perchè poi a un certo punto ...

P.M.: Perchè poi lei ha detto ... poi arriva GIOVANNI GAMBINO e lui si trasferisce, cioè sparisce, mi pare che abbia usato questo termine.

SIINO A.: Sì, sì, praticamente io non l'ho visto più.

P.M.: Cioè lei non lo ha visto più?

SIINO A.: No, non l'ho visto più. Però a un certo punto mi si dice ... GIACOMO VITALE mi diceva, dopo ... verso fine di settembre, mi dice:-"Guarda che di quella cosa non se ne fa più niente, perchè te lo avevo detto, questo si venne a fare i fatti suoi".

P.M.: Questo glielo dice quando?

SIINO A.: Verso, intorno alla fine di settembre.

P.M.: Quindi c'è questa attività diciamo più intensa che si esaurisce entro la prima decade di settembre ad occhio e croce, giusto?

SIINO A.: Sì.

P.M.: Poi arriva GIOVANNI GAMBINO?

SIINO A.: Sparisce SINDONA.

P.M.: Sparisce SINDONA, cioè lei proprio materialmente non lo ha più visto fino a quando SINDONA non si è allontanato?

SIINO A.: Esatto.

P.M.: E lei come ha notizia di questo allontanamento?

SIINO A.: Perchè mi si dice che dovevo io accompagnare SINDONA (…) GIACOMINO VITALE mi dice che dovevo accompagnare io in macchina sempre il SINDONA a Vienna. Dopo si cambia questo progetto di accompagnata in macchina, viene messo da parte. A un certo punto mi si dice:-"Devi fare due biglietti".

P.M.: Chi glielo dice?

SIINO A.: Giacomo, "Per te e me per Vienna". Io effettivamente feci questi biglietti, li ho fatti in un'agenzia di viaggi che si chiama Ventana. (…) E che allora si trovava in una traversa della via Libertà. (…) Direzione Politeama a destra. Era praticamente tra via ... tra la Croci e il Politeama. (…) E praticamente lo so bene perchè poi è rimasto un incubo questa cosa, perchè avendo emesso questi biglietti ...

P.M.: Ah, lei addirittura fece i biglietti?

SIINO A.: Sì, li ho comprati.

P.M.: Ricorda come li pagò?

SIINO A.: In contanti. Praticamente avevo la paura che un giorno o l'altro si scoprisse che c'era questa situazione per Vienna, questo viaggio prenotato per Vienna da me e da GIACOMINO VITALE.

P.M.: Ricorda questo viaggio per Vienna come doveva svolgersi?

SIINO A.: In aereo.

P.M.: Sì, ma lungo quale tratto?

SIINO A.: Palermo-Roma, Roma-Vienna.

P.M.: E questo le viene detto da GIACOMO VITALE quando?

SIINO A.: Fine settembre.

P.M.: E perchè non partite più?

SIINO A.: Perchè non partiamo più? Perchè una mattina stavo leggendo il giornale a letto, mia moglie mi portò il caffè, mi cadde il caffè sul giornale, quando appresi dal giornale che era stato catturato il fratello di SPATOLA che aveva portato la famosa busta, la famosa lettera all'Avvocato (…) di SINDONA, non mi ricordo come si chiama.

P.M.: Scusi, SPATOLA ...

SIINO A.: SPATOLA era il fratello, non lo so come si chiamava, però era il fratello di SPATOLA ROSARIO. SARINO SPATOLA che io conoscevo benissimo, e che poi ho avuto occasione di parlare di questa questione SINDONA all'interno della Cassa di Risparmio. (…)

P.M.: (…) Quindi lei apprende dal giornale che c'è stata questa cattura, e perchè si preoccupa? Lei che sapeva di un coinvolgimento di SPATOLA nella vicenda SINDONA?

SIINO A.: Sì, praticamente me lo aveva detto Giacomino che praticamente il ...

P.M.: Giacomino è sempre VITALE?

SIINO A.: VITALE, sì, il SINDONA era ormai gestito da TOTUCCIO INZERILLO e dai GAMBINO e da SARINO SPATOLA.

P.M.: Quindi lei sapeva che ROSARIO SPATOLA gestiva, cioè aveva ...

SIINO A.: Sì, ospitava (…) stava con, cioè era a disposizione di MICHELE SINDONA.

P.M.: Quindi aveva preso praticamente il suo posto?

SIINO A.: Debbio dire che io praticamente lo appresi con molta contentezza, perchè questo fatto mi pesava.

P.M.: Quale fatto?

SIINO A.: Il fatto di avere ... di dovere fare tutte queste cose a SINDONA, accompagnarlo, cose.

P.M.: (…) Ed allora, lei apprende questo dal giornale, e dopo averlo appreso dal giornale, (…) che cosa fa?

SIINO A.: Mi preoccupo, mi preoccupo moltissimo e cerco di capitare GIACOMINO VITALE. GIACOMINO VITALE, si era in altri tempi chiaramente, mi telefona e mi disse:-"Annulla immediatamente quella cosa". Ma come l'annullavo? Che ci andavo? "Non voglio più i biglietti"? Insomma, comunque pensai che l'unica cosa da fare era di lasciare le cose lettera morta e lasciare le cose com'erano. Naturalmente i biglietti li ho distrutti, non so se quasi subito, oppure dopo qualche tempo. Naturalmente, pensando di essere coinvolto in questa cosa, addirittura cambiai casa, cioè me ne andai, andai ... sono stato per cinque, sei mesi lontano da casa mia, cercando ... perchè mi aspettavo da un minuto all'altro di essere arrestato.

(…)

PRESIDENTE: Credeva di essere arrestato perchè?

SIINO A.: Perchè praticamente poi ci sono stati una serie di arresti, è stato arrestato CICCIO FODERA', è stato arrestato lo stesso BARRESI, ed io ero molto preoccupato perchè il SINDONA aveva cominciato a parlare, cosa che io avevo previsto. E chiaramente pensavo che coinvolgesse pure me. Ma per fortuna mia non sono stato coinvolto.

PRESIDENTE: Ma SINDONA era stato arrestato?

SIINO A.: Sì, dopo fu arrestato.

PRESIDENTE: In America?

SIINO A.: In America.

P.M.: Senta, e a proposito di SINDONA arrestato in America, vi è stato qualche momento in cui lei ha temuto maggiormente di poter essere scoperto per questa sua compresenza con SINDONA a Palermo? Cioè attraverso quello che lei ha vissuto, attraverso quello che lei ha saputo ...

SIINO A.: Debbo dire che praticamente ROSARIO SPATOLA mi preannunziò che quel cornuto, che lui diceva che era messinese, in effetti il MICHELE SINDONA era messinese, era originario di Patti, della provincia di Messina. Lui, ROSARIO SPATOLA mi disse:-"Io lo pensavo che questo signore faceva questa fine", perchè praticamente dice:-"Ora questo ci consuma a tutti".

P.M.: Cioè?

SIINO A.: Ci rovina a tutti, perchè ci rovinava a me e a lui che eravamo stati tutti complici di questa venuta del SINDONA in Sicilia. E in quel momento ero ancora più preoccupato, stante anche il fatto che io per le ragioni che ho detto, mi ero allontanato poi nel 1980 dal STEFANO BONTATE, per cui praticamente non avevo notizie più di prima mano, essendo anche il fatto che mi ero trasferito nel mentre a Catania, (…) perchè ero preoccupato anche per la mia vita.

P.M.: Senta, ritornando un attimo a questo periodo, quindi periodo di presenza di SINDONA a Palermo, e con riferimento sempre al progetto di colpo di Stato, al progetto separatista, lei successivamente ha modo di commentare con qualcuno, cioè con STEFANO BONTATE, con GIACOMO VITALE o con altri vostri amici e conoscenti il perchè il progetto separatista viene abbandonato?

SIINO A.: Sì, Stefano mi disse che il progetto separatista viene abbandonato perchè non si realizza più il compromesso storico. Praticamente gli americani non avevano più interesse a sponsorizzare questo colpo di Stato, per cui avevano lasciato ... avevano ... ci hanno posato, cioè avevano posato sia tutta la situazione inerente lo svolgimento del colpo di Stato. E poi sempre il solito Giacomino che diceva:-"Ma che, ma quale colpo di Stato! Questo chissà che è venuto a fare". Cioè sa quali erano le vere motivazioni. Secondo lui è venuto per ricattare ANDREOTTI. Questo mi disse.

Il Siino ha quindi esposto le ragioni per cui, nel settembre 1980, fu costretto a cessare di far parte della massoneria, ed ha aggiunto:

SIINO A.: (…) Successivamente fui chiamato da STEFANO BONTATE che con altra aria, e anche con l'appoggio di MIMMO TERESI, mi disse che era meglio che per un certo periodo di tempo non ci vedevamo più. Chiaramente capii che questo era preparativo anche ad una mia eliminazione fisica. Per cui, armi e bagagli, me ne andai a Catania, dove mi misi sotto la protezione di NITTO SANTAPAOLA, ancora gliene sono obbligato, e feci anche un altro passo, misi al corrente di tutto GIOVANNI BRUSCA, la questione del golpe (…) Prima immediatamente GIOVANNI BRUSCA mi prese con un certo beneficio di inventario, perchè pensava che quello che gli dicevo io era un po' esagerato. Poi quando vide che ci scoppiò il fatto, che vide che c'era sul giornale scoppiò il fatto di SINDONA, tutte queste situazioni, naturalmente disse che ne aveva parlato subito col padre. Quando io feci le mie rimostranze per il fatto che c'era il pericolo di essere assassinato, BERNARDO BRUSCA mi mandò a dire con GIOVANNI BRUSCA che a me mi era piaciuto di stare con i palermitani? Cioè non stare con le persone che erano vicine per questioni di campanile, con le persone di San Giuseppe Jato. E ora pigliati questo. Comunque mi disse di stare tranquillo perchè non mi sarebbe successo niente. (…) Ancora mi sono spaventato di più, perchè pensavo che anche loro potessero farmi del male. L'unica cosa che ho fatto mi ritirai a Catania dove stiedi fino quasi al 1984.

P.M.: Catania intende Sigonella?

SIINO A.: Sigonella.

(…)

SIINO A.: (…) dopo questo fatto, (…) non ho parlato più con BONTATE, l'ho visto solamente a Mazara del Vallo, no, a Campobello di Mazara, dove lui aveva una proprietà; entrai in una trattoria e lo vidi, insolitamente solo. (…) Mi disse di sedermi con lui, e mi cominciò a dire:-"Io sono stato rovinato ....", mi cominciò a parlare male di MIMMO TERESI, di Giacomino, perchè lui diceva che questo fatto che SINDONA era venuto in Sicilia, tutta questa situazione gli aveva creato una serie di guai.

P.M.: Con chi gli aveva creato una serie di guai?

SIINO A.: Con gli altri esponenti mafiosi. Lui non sapeva che io avevo messo al corrente tramite GIOVANNI BRUSCA gli altri esponenti mafiosi. Ma debbo dire che sono stato anche poi interrogato su questa cosa, cioè sono stato interrogato da GIOVANNI BRUSCA che mi disse:-"Ora me la devi raccontare giusta, per filo e per segno, perchè io ne debbo riferire a chi di competenza".

P.M.: Sì, e glielo raccontò?

SIINO A.: Certamente.

(…)

P.M.: (…) Lei aveva detto di una andata alla Cassa di Risparmio, può essere?

SIINO A.: No, andata alla Cassa di Risparmio fu quando io dovevo parlare di SPATOLA ROSARIO. (…) Cioè praticamente alla Cassa di Risparmio abbiamo parlato del fatto che eravamo tutti e due al corrente della questione di SINDONA, e appunto in quella occasione mi disse:-"Questo ci consuma a tutti. Ce l'avevo detto io che era messinese". Messinese nel senso che, messinese allora, il messinese era considerato provincia babba, provincia che non dava natali a personaggi con la pancia. Per cui lui diceva:-"Io l'avevo detto che questo ci avrebbe consumato a tutti". Era ...

PRESIDENTE: Questo lo diceva ROSARIO SPATOLA?

SIINO A.: Sì, e lo disse proprio nella hall della Cassa di Risparmio antistante l'allora ... la cosa del Dottore NICOLETTI, che era il Direttore della Cassa di Risparmio filiale. E che era preoccupatissimo.

P.M.: Quindi dove?

SIINO A.: In P.zza Borsa. E debbo dire che NICOLETTI era preoccupatissimo. NICOLETTI fino a quel punto era stato molto ... NICOLETTI Direttore della Cassa di Risparmio, era stato molto amico di quello che era l'entourage mafioso e imprenditoriale. I costruttori erano tutti alla Cassa di Risparmio di P.zza Borsa. (…)

P.M.: Senta, portò mai SINDONA in occasione della sua permanenza a Palermo, in qualche banca?

SIINO A.: Non mi pare, non mi ricordo onestamente. Però spesso lui mandava a scambiare tramite GIACOMINO VITALE dei soldi che aveva, dei dollari in lire italiane.

P.M.: Ultima domanda su SINDONA. Ha saputo nulla del tentativo, del ferimento che SINDONA subì durante la sua permanenza a Palermo?

SIINO A.: No, non ho saputo nulla, però ho saputo dei commenti, che dissero che era una cacchiata, perchè ferirlo con una pistola 635, cioè era una pistola di piccolissimo calibro, dice:-"Ma chi è che pensa che le Brigate Rosse ci hanno sparato con la 635"? Ma chi è che va a pensare che le Brigate Rosse o i terroristi gli vanno a sparare con una pistola di così piccolo calibro?

P.M.: E questo è un commento che lei apprende mentre SINDONA è ancora a Palermo?

SIINO A.: Sì.

P.M.: E a proposito di SINDONA a Palermo, ha saputo come SINDONA si allontanò da Palermo?

SIINO A.: Mai, non l'ho mai saputo, ma penso che si allontanò insieme con CICCIO FODERA'.

P.M.: Mi scusi, il penso significa che è una sua ipotesi, oppure ...

SIINO A.: No, si allontanò con CICCIO FODERA', perchè il CICCIO FODERA' ci aspettava a Vienna e poi è stato accertato che CICCIO FODERA' era a Vienna. Io dovevo raggiungerlo, era un mercoledì, me lo ricordo come ora, dovevo prendere questo aereo di mercoledì' e dovevamo andare a Vienna. Poi successe quel fatto, Giacomino annullò tutto e così finì la cosa.

All’udienza del 19 dicembre 1997 il Siino ha compiuto le seguenti precisazioni:

AVV.COPPI: (…) Io vorrei soltanto sapere questo: quando si è parlato di questo progetto di colpo di Stato, questo progetto volto alla separazione della Sicilia dal resto dell'Italia, venne fatto il nome del Senatore ANDREOTTI come interessato o contro interessato a questo progetto? Si parlò quindi di una posizione del Senatore ANDREOTTI?

SIINO A.: Del Senatore ANDREOTTI si parlò, ma non come interessato al progetto di colpo di Stato, si parlò dell'Onorevole ANDREOTTI, ma non come interessato nel colpo di Stato. (…)

AVV.COPPI: (…) Vorrei sapere questo: lei accompagnava il SINDONA la sera delle telefonate, d'accordo?

SIINO A.: Sì.

AVV.COPPI: Questo durante la permanenza ovviamente di SINDONA in Sicilia. A me interessa il periodo di Mondello, anche a Mondello abbiamo appreso ieri lei ha accompagnato il SINDONA la sera a fare delle telefonate.

(…)

SIINO A.: Professore, le telefonate no, io accompagnai a Mondello (…) A Viale dei Pioppi, all'angolo di Viale Giunone dove c'era questa rotonda, sono stato là ad aspettare con GIACOMINO VITALE, lui si allontanò con NINO SALVO, dopo ritornò, ci fece aspettare, Giacomino era nervoso, perché si sentiva appunto messo di lato, quando rientrò in macchina il Giacomino domandò a MICHELE SINDONA "Michè, che dice l'Avvocato? Come sta l'Avvocato", per farci capire che lui sapeva dove era andato. SINDONA magnificava questa casa di (...), con la piscina...

(…)

AVV.COPPI: (…) torniamo a quella famosa cabina e alla telefonata di cui lei ha parlato ieri, quella del "Giulio, non puoi fare così o non mi puoi abbandonare, qualche cosa del genere". Il SINDONA parlava ad alta voce?

SIINO A.: Sì, aveva un tono di voce ostentorio.

AVV.COPPI: Lei però ha fatto solo questa battuta?

SIINO A.: No, diverse altre cose che ho riferito....

AVV.COPPI: Allora ci può inserire questa battuta nel contesto del discorso che lei ha sentito?

SIINO A.: Sì. No, nel contesto no, io sentivo altre cose, cioè io... cioè ho fatto caso a questo fatto di "Giulio, non mi puoi fare questo", anche perché c'erano stati degli accenni da parte di GIACOMINO VITALE a un fatto di un probabile ricatto di SINDONA nei confronti dell'Onorevole ANDREOTTI. Per questo mi ero... Infatti poi lui dirà "a Giulio cu è? ANDREOTTI". Cioè ma chi è? ANDREOTTI.

AVV.COPPI: Ecco, però non è in grado, quindi, di ricostruire il discorso.

SIINO A.: Assolutamente no, però era un discorso abbastanza concitato.

AVV.COPPI: Sì, sì, no, che fosse concitato lei ce lo ha già detto, ma siccome ha detto anche che SINDONA parlava ad alta voce...

SIINO A.: Sì, parlava anche con suo genero.

AVV.COPPI: Era naturale, ecco, era naturale...

SIINO A.: Parlava con suo genero.

AVV.COPPI: Parlava?

SIINO A.: Con suo genero, parlava con (…) un altro personaggio che chiamava Ased, con un altro personaggio che chiamava Giovanni, insomma ne parlava con diversi personaggi, però onestamente deve andare a vedere che origliavo, non capivo il senso compiuto dei discorsi che faceva.

AVV.COPPI: (…) a me interessava sapere se quella sera SINDONA, come al solito adesso possiamo dire, parlava a voce alta e però, nonostante parlasse a voce alta, lei ha capito solo quella frase, quella battuta e non è in grado di inserirla...

SIINO A.: Di inserirla in un discorso, assolutamente no.

(…)

AVV.SBACCHI: Lei, diciamo, viene informato ad un certo punto che SINDONA è a Palermo.

SIINO A.: Sì.

AVV.SBACCHI: Anzi le dicono "tu quando c'è bisogno, non ci sei mai..."

SIINO A.: Perfetto.

(…)

AVV.SBACCHI: Lei sapeva del (…) programma di fare venire SINDONA a Palermo?

SIINO A.: No.

(…)

AVV.SBACCHI: Sapeva del colpo si Stato, del programma di colpo si stato?

SIINO A.: No.

AVV.SBACCHI: Quindi sono tutte cose che lei apprende successivamente?

SIINO A.: In quel fatale agosto.

AVV.SBACCHI: (…) Senta, lei conosce l'avvocato GUARRASI?

SIINO A.: No.

AVV.SBACCHI: Non ha conosciuto l'Avvocato GUARRASI. Lei era in buoni rapporti con GIACOMO VITALE?

SIINO A.: Sì.

AVV.SBACCHI: Buoni rapporti, vi vedevate spesso, vi incontravate di tanto in tanto?

(…)

SIINO A.: Spessissimo, ci fu un periodo, un paio d'anni che ci (…) dividevamo il sonno.

AVV.SBACCHI: Le fu detto mai da GIACOMO VITALE perché era stato scelto lei, diciamo, a fare da chaperon al signor...

SIINO A.: No, perché secondo me era quello che aveva più tempo a disposizione.

AVV.SBACCHI: Ma lei non lavorava in quel periodo? Non faceva niente?

SIINO A.: Sì, lavoravo, lavoravo, correvo in macchina, mi divertivo.

AVV.SBACCHI: Cioè non faceva... non lavorava allora.

SIINO A.: No lavoravo, però mi limitavo all'acquisizione di commesse nuove, poi c'era mio padre che era poi una specie di accentratore terribile, non mi dava spazio, per cui io ero ben contento di questo, perché mi divertivo (…).

AVV.SBACCHI: Ma le furono raccomandate particolari cautele in quell'occasione, le fu detto di stare attento, di vigilare. (…) Le furono in quell'occasione, quando le fu chiesto di accompagnare il SINDONA, insomma di stare sempre con SINDONA o quasi...

SIINO A.: Certamente.

AVV.SBACCHI: Le furono date particolari raccomandazioni?

AVV.SBACCHI: Sì, sì, certamente, ma comunque non è che ce ne fossero molte. Mi ricordo c'era una Palermo già allora deserta in agosto, andavamo tranquilli.

AVV.SBACCHI: Andavate tranquilli. Quindi sostanzialmente lei stava sempre con SINDONA, se ho capito bene?

(…)

SIINO A.: Molto tempo della giornata fino ad un certo punto, fino alla sera, poi intorno alle 9-9.30 lo lasciavo. Ho abbandonato SINDONA quando sono stato mandato ... ho fatto altre attività, non è che sono stato a tempo pieno, ma buona parte del mese questo sì lo posso dire, nel mese di agosto ci sono stato molto tempo, però poi siamo andati a Monte Soro, siamo andati a Gioia Tauro, siamo andati a Messina, insomma...

(…)

AVV.SBACCHI: Senta, lei assistiva, ha detto, alle telefonate di SINDONA, è così?

SIINO A.: Sì.

AVV.SBACCHI: Sì. E lei ci può raccontare il contenuto di altre telefonate diverse da quelle che ha raccontato ieri?

SIINO A.: Cioè praticamente non è che io sentivo tutto il contenuto, ho detto che il nesso logico delle telefonate non lo sentivo, perché anche per educazione non origliavo, quella frase che ho sentito è stata nel momento che io...

AVV.SBACCHI: E' stato solo quella frase?

SIINO A.: No, non ho detto solo quella frase, è stato nel momento che io gli porgevo il gettone, proprio mi venne di captare quella frase, però ho captato anche altre frasi, tipo anche quando parlava con suo genero, mi pare che si chiamava MAGNONI, quando parlava con un certo Fred, che non so chi era, non ho mai saputo chi era, quando parlava con altre persone, sapevo che parlava di situazioni di ordine anche amministrativo, questo qua lo sentivo, ne sentivo parlare.

AVV.SBACCHI: Sì, situazioni di ordine amministrativo. Io vorrei un contenuto qualsiasi...

(…)

SIINO A.: Il senso logico, il senso logico delle telefonate no, le posso dire qualche frase che ho sentito, "riassicura ... assicura tutti nei confronti di suo genero, dicci a tutti di stare tranquilli", forse si riferiva ai suoi familiari. Una volta dice ho bisogno di soldi, mandami... guarda, almeno ho bisogno di 120 mila dollari. Questo me lo ricordo preciso, ci sono state queste affermazioni.

AVV.SBACCHI: Senta lei sa quando SINDONA viene trasferito a Torretta per la pistola, il colpo di pistola?

SIINO A.: No, io so che intorno alla prima decade di settembre, 4-5-6-7 settembre non l'ho visto più, con mio grande sollievo, perché potevo dedicarmi di nuovo alla mia attività preferita.

AVV.SBACCHI: E GAMBINO? Lei vede GAMBINO invece?

SIINO A.: Sì, vedo GAMBINO.

AVV.SBACCHI: Lei che rapporti ha con GAMBINO?

SIINO A.: Nessuno, perché neanche lo conoscevo, lui anzi domandò chi ero io, lo domandò a GIACONIA, GIACONIA ci disse questo è un nipote di LIDDU CELESTRE.

AVV.SBACCHI: Lei ha mai saputo che GAMBINO è stato individuato dalla Polizia a Palermo?

(…)

SIINO A.: Non glielo so dire, non lo so.

AVV.SBACCHI: Senta, lei doveva raggiungere SINDONA a Vienna, perlomeno nella sua ricostruzione.

SIINO A.: Sì.

AVV.SBACCHI: Ma lei era stato avvertito che avrebbe dovuto... Ci spiega meglio questo, intendo dire lei deve raggiungerlo, perché non lo accompagna prima?

SIINO A.: Perché mi era stato detto prima, come ho già detto ieri, che dovevo accompagnarlo io in macchina.

AVV.SBACCHI: Sì.

SIINO A.: Poi ad un certo punto si cambia, si cambiò completamente programma, mi si disse di fare due biglietti (…)

AVV.SBACCHI: (…) Io ora le chiedo le ragioni del cambiamento di programma del ...

SIINO A.: Non le so, non le so completamente, non so chi accompagnò SINDONA, so solo che FODERA'-CICCIO poi fu arrestato....

AVV.SBACCHI: Sì.

SIINO A.: Per avere accompagnato SINDONA a Vienna.

AVV.SBACCHI: Ma mi scusi che senso aveva raggiungere SINDONA a Vienna una volta che SINDONA era già stato...

SIINO A.: Dovevamo accompagnarlo... si pensava di accompagnarlo direttamente in un posto dove doveva prendere poi l'aereo per rientrare in Francia. Mi pare che doveva essere Germania o in America, pardon non in Francia, in America. Doveva essere in Germania o in Francia. Questo volevo dire.

(…)

AVV.SBACCHI: Senta, GIACOMO VITALE disse mai di aver visto documenti di SINDONA?

SIINO A.: No, ma ne parlò.

AVV.SBACCHI: Sì, lo so, lo sappiamo.

SIINO A.: Non mi pare che mi abbia detto questo, almeno che mi ricordi io no, mi disse, mi parlò di documenti.

(…)

P.M.: Ora le vorrei mostrare (…) una fotocopia, che (…) è un cartellino di una carta d'identità, per chiederle se lei in questa riconosce qualcuno (…) che ha incontrato nella sua vita ed eventualmente chi.

(…)

SIINO A.: E piuttosto sbiadita. Comunque, guardi, ci ha dei tratti di somiglianza, veramente ci sono stato pochissimo con questo personaggio, per cui effettivamente non so dire se è lui, questo dovrebbe essere (…) il figlio di quella persona che siamo andati a trovare a Gioia Tauro e che ho visto pure io.

P.M.: Quindi quella che siete andati a trovare nella emittente televisiva?

SIINO A.: Il titolare sì di quella che poi si chiama Teletauro, mi pare.

P.M.: E aveva... era questa che aveva un difetto...

SIINO A.: Sì, era una persona claudicante, era poliomielitico, non claudicante, era poliomielitico, era storpiato di malo modo.

PRESIDENTE: E allora l'Ufficio dà atto che si tratta di PRIOLO-GIUSEPPE-ROCCO, nato il 17.12.56. (…) A Gioia Tauro. (…) Segni particolari: invalido alla gamba sinistra.

La versione dei fatti esposta dal Siino denota una profonda e dettagliata conoscenza della vicenda ed è pressocchè integralmente coerente con le circostanze accertate dalla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Milano il 18 marzo 1986. I pochi particolari difformi (ad esempio, l’asserito soggiorno del Sindona, del Vitale e del Foderà in un albergo di Catania o di Taormina) hanno carattere estremamente marginale ed attengono non a fatti direttamente percepiti dal collaborante, bensì a informazioni fornitegli da altri, le quali potrebbero essere state trasmesse inesattamente ovvero essere state fraintese.

Le indicazioni del Siino hanno non di rado trovato puntuale riscontro in altri elementi di convincimento.

In particolare, dalla deposizione resa dal teste Magg. Luigi Bruno all’udienza del 15 gennaio 1998 si evince che:

  • nel 1979, nella località Monte Soro esistevano antenne radio-televisive e ponti radio vigilati da personale dell’Arma dei Carabinieri, che alloggiava in una piccola struttura presente sul posto;
  • il prof. Michele Barresi era il responsabile regionale siciliano della Loggia CAMEA;
  • la moglie del Barresi, Maria Rosa Mirto, era comproprietaria di un fabbricato rurale sito in località Portella di Renda, compresa nel territorio del Comune di Monreale, e raggiungibile percorrendo la strada che conduce da Monreale a Partinico;
  • Giacomo Vitale, scomparso nel 1989, era cognato di Stefano Bontate per averne sposato la sorella Rosa, ed aveva fatto parte della loggia massonica Orion, inserita nella CAMEA (nonché, in precedenza, della loggia massonica Concordia);
  • l’avv. Vito Guarrasi risiedeva nel quartiere palermitano di Mondello, in Via Principe di Scalea n. 41, ed abitava in una villa posta a circa 300 metri di distanza da Piazzale Giove (corrispondente all’intersezione tra Viale Giunone e Viale dei Pioppi).

Il teste dott. Domenico Farinacci all’udienza del 15 gennaio 1998 ha evidenziato che:

  • Giuseppe Costa era iscritto alla loggia CAMEA di Messina, della quale facevano parte anche alcuni Comandanti di Navi da traghetto;
  • Aldo Vitale era il Maestro della loggia CAMEA;
  • Giacomo Vitale, nell’ambito massonico, in data 1 settembre 1979 fu elevato al 33° grado, che comportava la possibilità di operare nell’ambito nazionale;
  • nell’ottobre 1979 esisteva una agenzia di viaggi Ventana con sede a Palermo in via Libertà n. 10, all’angolo con via Carducci;
  • nel 1979 esisteva a Cefalù, in Contrada Mazzaforno, un complesso alberghiero denominato "Baia del Capitano".

L’avv. Vito Guarrasi, nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 23 settembre 1998, ha ammesso di avere conosciuto negli anni ‘70 Antonino Salvo, ha specificato che nella sua villa di Mondello vi era una fontana riproducente quella del chiostro del Duomo di Monreale, ha evidenziato di essere "considerato in buoni rapporti" con il banchiere Enrico Cuccia (destinatario di numerose richieste, spesso con carattere apertamente intimidatorio, provenienti dal Sindona), ed ha chiarito di avere intrattenuto ottimi rapporti con Graziano Verzotto (il quale nel 1975 era stato sottoposto ad indagini in relazione allo scandalo dei fondi neri della Banca Unione di Michele Sindona).

La circostanza che il Guarrasi abbia escluso di avere incontrato il Sindona non appare decisiva, essendo ben possibile che, con tale negazione, il teste – ormai anziano ed afflitto da un male incurabile - abbia voluto tutelare la propria onorabilità contro il possibile pregiudizio connesso all’episodio riferito dal Siino.

Il fatto che il Siino abbia riferito a Giovanni Brusca che il finto sequestro del Sindona era stato organizzato dal gruppo facente capo al Bontate, trova puntuale conferma nelle dichiarazioni rese dallo stesso Brusca anteriormente alla deposizione dibattimentale del Siino.

Giovanni Brusca, infatti, all’udienza del 28 luglio 1997 ha riferito quanto segue:

P.M.: (…) Lei ha mai sentito parlare di MICHELE SINDONA e se sì cosa sa.

BRUSCA GIOVANNI: Io ho sentito parlare di MICHELE SINDONA sempre da parte di mio padre e di SALVATORE RIINA e una parte di ANGELO SIINO, che il famoso finto sequestro di SINDONA, che hanno organizzato STEFANO BONTATE, INZERILLO e tutto questo gruppo, nei confronti del SINDONA, per dargli una mano di aiuto, non so qual'era lo scopo, e che SALVATORE RIINA non gli hanno proposto di partecipare a questo complotto, cioè a questo favoritismo nei confronti di SINDONA e non ha voluto aderire, tant'è vero che diceva: "lasciate stare, non vi andate ad immischiare in questo fatto" Al che invece loro hanno continuato e so che poi hanno organizzato questo finto sequestro, hanno organizzato tutto (…) nei confronti del SINDONA, in quanto STEFANO BONTATE, cognato di ANGELO VITALE, se non ricordo male.

P.M.: Di Angelo o di Giacomo?

BRUSCA GIOVANNI: GIACOMO VITALE.

P.M.: GIACOMO VITALE

BRUSCA GIOVANNI: E' massone, allora me lo confermò anche ANGELO SIINO, perchè anche costui è massone, anche se poi è stato buttato fuori, e che ANGELO SIINO diceva che lui era contrario anche a questo finto sequestro, però in particolare per quale motivo non glielo so dire.

P.M.: Quindi lei ha fatto riferimento a ANGELO SIINO, (...) cioè lo conosce?

BRUSCA GIOVANNI: ANGELO SIINO è un lontano parente nostro, una persona a nostra disposizione, non è uomo d'onore, ma era un massone che è stato buttato fuori dalla massoneria.

P.M.: Ed ANGELO SIINO conosceva BONTATE?

BRUSCA GIOVANNI: Sì, conosceva STEFANO BONTATE e conosceva anche a GIACOMINO VITALE, in quanto erano nella stessa ... cioè io non li conosco come vengono chiamati questi gruppi massonici, comunque erano nello stesso ramo.

Il fatto che la Longo, nella sua deposizione testimoniale, non abbia incluso il Siino tra le persone incontrate dal Sindona durante la sua permanenza segreta a Palermo, non vale ad inficiare l’attendibilità delle dichiarazioni del predetto collaboratore di giustizia. E’, infatti, del tutto verosimile che la Longo – semplice pedina utilizzata da altri, proprio perché insuscettibile di attirare su di sé i sospetti delle forze dell’ordine, in una vicenda assai complessa ed oscura – abbia ignorato l’identità di alcune delle persone con le quali il Sindona veniva in contatto. Dalle dichiarazioni della Longo si desume, inoltre, che la teste ha cercato di rimuovere il ricordo degli eventi verificatisi in quel periodo ("ho cercato di cancellare tutto quanto mi venisse… dopo 18 anni ho dimenticato molto"), fu tenuta all’oscuro di gran parte delle reali ragioni del viaggio del Sindona (tanto da ricevere dal Miceli Crimi, cui aveva rivolto una domanda sull’argomento, la seguente risposta: "meno ne sai e meglio è per te"), non era in grado di sapere chi frequentasse il suo appartamento quando essa se ne allontanava, e non conosceva l’identità delle persone con cui il Sindona poteva incontrarsi quando usciva nelle ore serali.

Dalla deposizione del Siino, intrinsecamente attendibile, è possibile desumere:

  1. l’esistenza di rapporti diretti tra il Bontate ed il Sindona, durante la permanenza di quest’ultimo a Palermo;
  2. l’attivo coinvolgimento dell’Inzerillo nella vicenda riguardante il viaggio segreto del Sindona in Sicilia, quanto meno nel periodo successivo all’arrivo del Gambino a Palermo;
  3. il convincimento esternato dal Vitale, già intorno alla fine del mese di agosto 1979, circa le reali motivazioni del ritorno del Sindona in Sicilia.

Per quanto attiene ai primi due punti, deve osservarsi che l’intervento dei predetti esponenti mafiosi nella vicenda in questione è perfettamente coerente con il ruolo anteriormente esplicato dal Sindona nel riciclaggio di capitali illeciti di pertinenza dei medesimi "uomini d’onore". Non vi è dubbio, infatti, che soggetti aventi una posizione di vertice nell’ambito di "Cosa Nostra", come il Bontate e l’Inzerillo, per attivarsi direttamente ed a mezzo di alcuni loro congiunti legati all’illecito sodalizio (segnatamente, il Vitale, gli Spatola, e lo stesso John Gambino) in favore del Sindona, benchè costui fosse ricercato con grande determinazione dalle forze dell’ordine italiane e statunitensi, dovevano essere spinti da forti ragioni di interesse, quali quelle riguardanti il recupero di elevate somme di loro pertinenza, affidate al Sindona anteriormente al crack del suo impero finanziario.

Il durevole impegno del Bontate, dell’Inzerillo e delle persone loro vicine in favore del Sindona, in una situazione nella quale era particolarmente grave il pericolo di essere scoperti dalle forze dell’ordine, non poteva, infatti, essere motivato esclusivamente da un disegno separatista che il Vitale riteneva poco plausibile già alla fine del mese di agosto del 1979, che lo stesso Bontate sostenne di non condividere parlando con il Marino Mannoia nell’autunno dello stesso anno (mentre il finanziere siciliano si trovava nella villa sita nel territorio di Torretta), che la "Commissione" di "Cosa Nostra" aveva respinto, e che il Gelli considerava come "una pazzia".

Non a caso, il Bontate, discutendo con il Marino Mannoia, spiegò che "l’unico interesse che aveva nei confronti di Sindona era costituito dal fatto che lui aveva investito i (…) soldi (…) di Stefano Bontate, ed anche quelli di Totuccio Inzerillo e John Gambino".

Dunque il Vitale – esternando al Siino la propria convinzione che il Sindona intendesse in realtà perseguire non un (irrealizzabile) progetto separatista, ma un disegno ricattatorio nei confronti del sen. Andreotti, in funzione dei propri interessi – manifestava di essere a conoscenza sia dell’interesse del Bontate di recuperare le somme di denaro precedentemente affidate al Sindona, sia dell’intento del finanziere siciliano di sfruttare, a proprio vantaggio, taluni documenti suscettibili di assumere una valenza compromettente rispetto a parte del mondo politico.

Entrambi questi dati erano, infatti, agevolmente conoscibili per il Vitale, per il suo stretto legame con il Bontate (il quale - come si è detto - aveva incaricato il Sindona di investire ingenti somme di denaro di origine illecita) e per la sua intensa frequentazione con il Sindona durante il finto rapimento.

E’, peraltro, perfettamente comprensibile che il Vitale non abbia reso noto al Siino (il quale, pur svolgendo importanti incombenze nell’interesse del Bontate, non era affiliato a "Cosa Nostra" e non era coinvolto nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti) il collegamento esistente tra il Sindona ed il Bontate sul piano del riciclaggio dei proventi del narcotraffico. Si trattava, infatti, di un argomento che era del tutto estraneo al ruolo effettivamente disimpegnato dal Siino a vantaggio dell’organizzazione mafiosa, ed ineriva strettamente ai più rilevanti interessi patrimoniali del Bontate e degli "uomini d’onore" a lui vicini.

Il Vitale evitò quindi di far conoscere un siffatto argomento al Siino, pur manifestandogli con sincerità il proprio pensiero in merito alle effettive ragioni delle iniziative adottate dal Sindona. Nessuna conseguenza pregiudizievole per il gruppo mafioso facente capo al Bontate poteva, infatti, ricollegarsi alla semplice conoscenza, da parte del Siino, delle finalità ricattatorie perseguite dal Sindona.

Appare assai significativo il fatto che il Vitale attribuisse al Sindona l’intento di ricattare il sen. Andreotti proprio nello stesso periodo in cui il finanziere siciliano – indirizzando all’avv. Guzzi le lettere recapitate rispettivamente il 27 agosto e il 12 settembre – iniziava ad esercitare precise pressioni su esponenti del mondo politico e finanziario, dai quali attendeva aiuti economici ovvero interventi a sostegno dei progetti di salvataggio (cfr. sul punto le conclusioni raggiunte dalla citata sentenza della Corte di Assise di Milano).

Una simile contestualità denota inequivocabilmente che le opinioni espresse dal Vitale erano fondate su precisi elementi conoscitivi, riguardanti l’effettivo sviluppo della linea di condotta tenuta dal Sindona.

Va tuttavia osservato che – ferma restando la esattezza del nucleo essenziale delle affermazioni compiute dal Vitale nei colloqui con il Siino in ordine all’individuazione degli obiettivi perseguiti dal Sindona – non vi è certezza sulla identificabilità nel sen. Andreotti del soggetto di nome Giulio, cui il Sindona aveva telefonato in presenza del collaborante.

E’ infatti ben possibile che il Vitale sia pervenuto a tale identificazione semplicemente in via deduttiva, partendo dalla premessa che il Sindona mirava ad esercitare pressioni ricattatorie sul sen. Andreotti.

Né può pervenirsi a delineare la personalità dell’interlocutore sulla base dei limitatissimi elementi forniti dal Siino per quanto attiene al contenuto della comunicazione telefonica.

Pur non essendo rimasto dimostrato con certezza che il Sindona abbia telefonato all’imputato, non vi è dubbio – sulla base delle osservazioni sopra formulate con riguardo alle valutazioni espresse dal Vitale ed alle risultanze istruttorie prese in esame dalla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Milano il 18 marzo 1986 – che il sen. Andreotti fosse uno dei destinatari del disegno ricattatorio coltivato dal finanziere siciliano.

Questo disegno si poneva in correlazione con la necessità di assicurare il recupero di ingenti capitali agli esponenti dello schieramento "moderato" di "Cosa Nostra" che in precedenza si erano avvalsi dell’opera del Sindona per il riciclaggio dei proventi del narcotraffico.

E’ proprio questa correlazione, infatti, che spiega il costante sostegno offerto al Sindona in tutta la vicenda relativa al suo finto rapimento, al suo viaggio in Europa ed al suo ritorno negli U.S.A., da una pluralità di soggetti strettamente legati all’organizzazione mafiosa.

Un così intenso e persistente interessamento non poteva certamente trovare la sua esclusiva o principale giustificazione nel progetto separatista, che, durante la permanenza del Sindona in Sicilia, aveva suscitato serie e crescenti perplessità in diversi esponenti di vertice di "Cosa Nostra".

Il progetto separatista, inoltre, risultava completamente estraneo alle motivazioni che avevano indotto il Vitale ad effettuare, per conto del Sindona, le suesposte telefonate intimidatorie all’Avv. Ambrosoli, nelle quali si manifestava chiaramente il collegamento del finanziere siciliano con la mafia italo-americana.