25 gennaio - Presentato a Milano
il libro "L' altra faccia della medaglia" di Maria Eleonora Guasconi, edito
da Rubettino. Il libro si occupa dei condizionamenti, ufficiali e non,
che gli Usa misero in atto in Italia durante la Guerra fredda, nell' ambito
della lotta al comunismo. "L' intervento Usa - ha spiegato la Guasconi,
giovane storica toscana - per la lotta al comunismo in Italia riguardo'
tre settori: la cosiddetta guerra psicologica, il tentativo di contrastare
la Cgil e favorire nel contempo la nascita di sindacati anticomunisti e
gli interventi nel settore delle relazioni industriali". Ci fu anche un
piano denominato 'Demagnetize' (smagnetizzazione) operante tra il
'52 e il '53 che poi fu congelato ma alcuni aspetti vennero comunque portati
avanti "come ad esempio i prestiti alle industrie, tra cui la Fiat per
far calare la presenza di operai e sindacalisti comunisti in fabbrica".
Gli Usa tentarono di esportare il loro modello di organizzazione industriale
ma fu la parte del piano in cui ebbero meno successo: la Fiat 600 ne e'
un esempio, un' auto radicalmente diversa dal modello di auto che gli americani
avrebbero voluto fosse prodotta.
8 febbraio – Il sen. Francesco Cossiga
dichiara: “Certamente le dichiarazioni dell'amico Berlusconi sulla scarsa
democraticita' delle future elezioni regionali suonano in verita' un po'
improprie anche perche' sul futuro poco possiamo dire e ancor di meno,
a mio avviso, sull'efficacia degli spot. Per rispetto della verita', tuttavia,
ci e' parso fin dall'inizio che l'idea della par condicio sia stata dettata
piu' da tardive paure elettorali che da rigorose e neutrali applicazioni
di principi di correttezza e uguaglianza giuridica, del tutto dimenticati
sotto il governo Prodi e il primo governo D'Alema e in verita' poco pertinenti
in un paese nel quale il cosiddetto servizio pubblico ('risum teneatis!'),
e come e' stato accertato anche parte di quello commerciale, sono uno 'spot
continuo', a favore della coalizione di maggioranza e del governo. Ma,
se questa e' materia opinabile non e' opinabile il fatto, tra l'altro consacrato
in migliaia di pagine degli atti della Commissione di inchiesta sulle stragi,
che alcuni dirigenti dei Ds, che ora si sbracciano, sono gli stessi dirigenti
del Pds e in moltissimi casi del Pci che erano ben addestrati e quasi maestri
della retorica del complotto di memoria terzinternazionalista. Retorica
secondo la quale la mancata ascesa al potere del Pci era dovuta a complotti
internazionali, alla Nato, a disegni destabilizzanti, a stragi di Stato
e quant'altro (a partire dalla vituperata Gladio che diede luogo
ad una vergognosa caccia alle streghe), rifiutando in questo modo la tradizione
realista della socialdemocrazia europea. Per rispetto della verita', va
detto che sono state queste affermazioni e queste logiche a cercare nel
passato di delegittimare, anche sulle piazze, il sistema parlamentare italiano
quando venivano sconfitti, ed in particolare in significative occasioni,
quali l'approvazione del Patto Atlantico e dei trattati costitutivi della
Comunita' europea. E mi duole, ma non mi meraviglia, che anche in questa
occasione i Ds abbiano avuto alcuni caudatari che fino ad avant'ieri avrebbero
detto le stesse cose che oggi dico io”.
17 febbraio - Il sottosegretario alla Difesa
Paolo Guerrini, rispondendo in commissione Difesa al Senato ad un' interrogazione
di Vicenzo Manca (Forza Italia) in cui si chiedeva se “per tutti gli appartenenti
alla disciolta Stay Behind non si ritenesse opportuno quanto doveroso
procedere al riconoscimento dello stato giuridico di militari per il periodo
in cui essi sono stati inquadrati nella struttura” afferma che “Non si
puo' ridurre Gladio a una vertenza sindacale sulle ricostruzioni di carriera.
La storia del dopoguerra, della contrapposizione tra i blocchi est-ovest
e' questione troppo seria e complessa per essere vista solo dal lato della
ricostruzione di carriera dei gladiatori. Su Gladio vi sono opposte opinioni:
una che la considera un' organizzazione che aveva lo scopo di organizzare
la resistenza in caso di invasione del nostro Paese. In questo caso, ora
per allora, chiederei anch' io di farne parte. Un' altra visione la considera
come un' organizzazione che voleva impedire la costituzione di un governo
frutto di un risultato elettorale indesiderato. In questa ipotesi non c'
e' bisogno che io mi iscriva al partito avverso poiche' gia' ne faccio
parte, quello della repubblica democratica”. Il senatore Vincenzo Manca
ribatte che “La magistratura ha gia' autorevolmente assolto Gladio da qualsiasi
sospetto” e che “la risposta del governo e' stata deludente, in quanto
ha messo in evidenza scarsa conoscenza dell' argomento, volontaria distorsione
dei dati oggettivi di riferimento, pretestuosita' nel distinguere i gladiatori
con servizio militare precedentemente prestato da quelli che erano esonerati
dalla leva”. Secondo il senatore di Forza Italia, “il tutto va giudicato
come grave forma di ipocrisia, ingratitudine e insensbilita' verso dei
cittadini meritevoli, che hanno militato volontariamente in un' organizzazione
creata dal governo italiano con accordi Nato per il bene della patria.
Per quanto ci riguarda e ci compete - conclude - non staremo ne' zitti
ne' fermi e daremo battaglia per far trionfare la giustizia e debellare
l'ipocrisia. Cio' anche nella certezza che presso il Sismi e le procure
della repubblica esista un' ampia documentazione per gli adempimenti burocratici
richiesti e finora ignorati”.
28 febbraio – Il sen. Giulio Andreotti,
all'uscita dall'aula del tribunale di Velletri dove e' stato ascoltato
come testimone e quale ministro della Difesa dell'epoca, in un processo
per diffamazione, dice:“Io non ho mai visto il Piano Solo, ma da
tutto quello che si e' saputo non sembra fosse assolutamente un piano di
carattere eversivo, non credo assolutamente che ci sia stato il rischio
di un golpe in Italia”. Prima di lui anche il sen. Francesco Cossiga nell'ambito
dello stesso procedimento, aveva ridimensionato l'importanza del Piano
Solo, redatto nel 1964 dall'allora comandante generale dell'Arma dei Carabinieri,
Giovanni De Lorenzo. “Considero questo Piano - ha precisato Andreotti –
un fatto di nessunissima importanza sostanziale su cui si sono create tante
leggende”. In aula, il senatore si e' soffermato su due punti in particolare
delle spiegazioni che diede il gen. De Lorenzo sui fascicoli del Sifar,
i servizi segreti del tempo, che ha definito “plausibili”: il numero dei
fascicoli esistenti e il coinvolgimento in essi di esponenti ecclesiastici.
Andreotti ha ricordato che i fascicoli furono distrutti nell'inceneritore
a Fiumicino nel 1974, quando torno' alla carica di ministro della Difesa
ed apprese che il materiale non era stato ancora distrutto, come aveva
disposto in precedenza la commissione Alessi. “Non mi risultano casi –
ha precisato Andreotti - in cui questi fascicoli siano stati utilizzati
diversamente dal loro scopo o che siano stati fatti abusivamente fascicoli”.
In quell'anno egli apprese il contenuto degli 'omissis' che coprivano una
parte della relazione riguardante la vicenda, scoperta, ha detto, che “non
mi ha portato ad una valutazione diversa da quella che avevo espresso in
precedenza”. Il senatore ha precisato anche: “Nel 1964 non sentii parlare
del Piano Solo, ne ho sentito evocare dopo”, cosi' come del presunto ordine
di uccidere 50 altoatesini. Infine Andreotti si e' soffermato sui cattivi
rapporti esistenti tra il gen. Aloia, predecessore del gen. De Lorenzo
nella carica di capo di Stato Maggiore, e il comandante di Corpo d'Armata,
Beolchini, autore della prima relazione sui fascicoli per la commissione
che indago' sul caso. “Il gen. Beolchini nutriva risentimento nei confronti
del gen. De Lorenzo”, ha detto Andreotti, mentre i rapporti tra Aloia e
De Lorenzo “erano pessimi”. Fu questo uno dei motivi principali per cui
si oppose all' epoca alla successione di De Lorenzo a capo di Stato Maggiore.
Il processo ha preso spunto da un opuscolo pubblicato nel 1993 dal settimanale
'Avvenimenti', nel quale si affermava che il gen. De Lorenzo era un “golpista”.
A presentare la querela e' stato il figlio dell'ufficiale, Alessandro De
Lorenzo. Il processo e' stato aggiornato al 3 aprile quando deporranno
l'ex direttore della Repubblica Eugenio Scalfari ed il sottosegretario
alla Difesa Massimo Brutti.
28 marzo - L'ex presidente Francesco Cossiga
polemizza con il segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti:"Fa bene il giovane
Castagnetti a ricordarmi le mie responsabilita'. Me le sono sempre assunte
ed ho pagato per esse. Me le sono assunte davanti al tribunale dei ministri
quando mi feci carico di Gladio, voluta a suo tempo da Moro e Taviani e
di cui mi occupai per incarico del primo; e l'ho pagata con un'autentica
persecuzione da parte dei comunisti. Me la sono assunta quando riuscii
a far schierare, con l'aiuto di Zaccagnini, Craxi, Spadolini e Malagodi,
l'Italia accanto alla Germania nel riarmo nucleare e per risposta i comunisti
mi trascinarono nel caso Donat Cattin. Me le assunsi per il caso Moro dimettendomi,
sia perche' lo sentivo un dovere morale sia per cercare di non fare naufragare
il progetto politico di Moro e Andreotti della solidarieta' nazionale".
28 marzo - L'ex presidente della Commissione
Difesa della Camera Falco Accame segnala che nel suo sito
Internet, Antonino Arconte, un sardo che dice di essere stato un gladiatore
dal nome in codice G71, scrive che negli anni '70 furono indetti concorsi
dal ministero della Difesa per entrare nel Sid (i servizi segreti dell'epoca)
e da qui transitare in Gladio. Scorrendo il sito, realizzato alcuni anni
fa, si legge che "Gladio era composto di tre centurie: la prima era chiamata
'Aquile', ed era composta da aviatori e para' della Folgore; la seconda
'Lupi', ed era composta da personale della Marina e dell'Esercito; la terza
era invece chiamata 'Colombe' ed era composta da civili, donne comprese".
Accame sottolinea che il nome di Antonino Arconte non figura nella lista
dei 622 resa nota in Parlamento, risultata comunque "del tutto inattendibile"
e che le modalita' di reclutamento "se vere, sarebbero del tutto inedite".
G71, infatti, "sarebbe stato arruolato nel '70 in un concorso di militari
per il passaggio nel Sid tenutosi a Viterbo. Ora lamenta - aggiunge Accame
- che pur essendo a libro paga fin dal 1970, non prende la pensione, ne'
ha potuto riscuotere i due terzi del suo stipendio accantonato in titoli
di Stato". In un' intervista, anche questa presente in rete e di cui inserisco
una
copia, perche' e' un file zippato da scaricare,, Arconte dice anche
che Raul Gardini era una delle 'Colombe' ed esprime forti dubbi sul suo
suicidio.
3 aprile - Al processo di Velletri per
diffamazione intentato da Alessandro De Lorenzo, figlio del defunto generale,
nei confronti del settimanale "Avvenimenti", il sottosegretario agli interni
Massimo Brutti, intervenuto in qualita' di persona informata dei fatti
come ex presidente del Comitato parlamentare sui servizi di informazione
e sicurezza, dice che il generale Giovanni De Lorenzo, "stando in un circuito
istituzionale, partecipo' con responsabilita' di primo piano all'approntamento
di uno strumento illegittimo". Riferendosi al piano Solo, Brutti ha parlato
di "una vicenda in continuita' con altre vicende degli anni 50" sottolineando
che le liste di persone da fermare e arrestare di cui si parla nel Piano
Solo sono altra cosa rispetto ai fascicoli anch'essi illegittimi realizzati
dai servizi segreti sulla vita di esponenti pubblici. De Lorenzo, infatti,
fu a capo del Sifar prima di passare al vertice dell' Arma. "Nel 1964 -
ha detto Brutti - ci fu una stretta, un aggiornamento delle liste perche'
potessero diventare operative immediatamente". Il motivo di tale iniziativa
per Brutti sarebbe stata la formazione del primo Governo di centrosinistra.
Il sottosegretario ha parlato di due giudizi, storico e politico: "Lo scopo
era bloccare gli uomini dell' opposizione ed i capi comunisti, una iniziativa
che contraddiceva i principi della Costituzione ma che storicamente costituiva
un atto di sottomissione alla 'ragion di Stato' nell'epoca della guerra
fredda". Una parziale giustificazione quest'ultima "per gli anni '50 ma
non per il 1964 quando la pressione della guerra fredda era diminuita;
la novita' allora era il centrosinistra". Per Brutti, De Lorenzo non agi'
da solo. Il giornalista Eugenio Scalfari ha fornito dettagli sul Piano
Solo sostenendo che in una certa situazione di allarme, di tensione, c'era
la preoccupazione che il partito comunista ed i suoi alleati prendessero
l'iniziativa per assicurarsi il potere. Il piano era controreazione preventiva
a questa iniziativa. Il piano prevedeva che per un centinaio di nominativi
- ha ricordato Scalfari - tra i quali dirigenti e sindacalisti di sinistra,
giornalisti e funzionari pubblici di un certo tipo venissero prelevati
a mezzanotte dalle loro case, portati in luoghi di concentrazione e da
li' con aerei e navi in Sardegna per essere trattenuti". I carabinieri,
da soli, avrebbero preso possesso delle stazioni televisive e radio, delle
Ferrovie. Per attuare una operazione di questo tipo Scalfari ha sottolineato
che occorreva sorvegliare queste persone, "conoscere dove abitavano, sapere
come erano fatti i
loro portoni, ecc". Scalfari, e prima di lui
il giornalista Lino Jannuzzi, furono gli autori, rispettivamente in qualita'
di direttore e di inviato dell'Espresso, di un'inchiesta giornalistica
che nel 1966 porto' alla conoscenza del Piano Solo. Scalfari ha detto che
l'esistenza del piano fu resa nota dal parlamentare socialista Pasquale
Schiano, e fu successivamente confermata da alti ufficiali dei carabinieri,
in particolare dall'allora vicecomandante Giorgio Manes e dal comandante
della legione di Milano Zinza. Iannuzzi ha sottolineato che l'irregolarita'
del piano stava nel fatto che il presidente della Repubblica Segni, scavalcando
il Governo, aveva avuto colloqui privati con De Lorenzo proprio su questo
progetto.
3 aprile - Vincenzo Manca (FI), vicepresidente
della commissione Stragi, chiede l' audizione del vice capo della "residentura"
romana del Kgb negli anni del "piano Solo", colonnello Leonida Kolossov.
" Sembrerebbero esistere infatti sufficienti elementi - dice Manca - per
poter sostenere che il Piano Solo in realta' fu formulato presso la residenza
romana del Kgb e passato quindi, tramite un deputato socialista a due giornalisti
dell' Espresso".
4 aprile - Il sottosegretario alla Difesa
Paolo Guerrini (Pdci), rispondendo ad un'interrogazione in Senato, dice
che Capo Marrangiu, la base nei pressi di Alghero in cui Gladio addestrava
i suoi uomini, e' stata realizzata con il contributo economico della Cia.
"In merito alla partecipazione finanziaria della Cia all'acquisto e alla
costruzione del centro di Capo Marrangiu - ha detto Guerrini - risultano
riscontri che hanno trovato collocazione nella Relazione sull'operazione
Gladio" del comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti. Secondo
il sottosegretario, in quel documento "nella parte riguardante gli aspetti
finanziari della suddetta operazione, si evincono le spese sostenute dal
servizio statunitense. Riscontri in tal senso - ha aggiunto - risultano
anche da altri documenti relativi al carteggio Gladio a suo tempo sequestrati
dalla procura della repubblica di Roma".
19 maggio - Sono state depositate le motivazioni
della sentenza con cui, il 16 dicembre scorso furono assolti tutti gli
imputati del processo per la caduta di "Argo 16", l' aereo militare dei
servizi segreti precipitato a Marghera il 23 novembre 1973 provocando la
morte dei quattro membri dell' equipaggio. "Appaiono evidenti - e' detto
in un passo della sentenza emessa dalla corte d'assise di Venezia - le
intrinseche debolezze delle ipotesi di partenza, che si alimentano di ulteriori
ipotesi, che solo apparentemente le sorreggono e le convalidano in una
logica autoreferenziale, finalizzata piu' a rafforzare convinzioni che
non a fornire dimostrazioni". Nella sentenza, redatta dal presidente Ivano
Nelson Salvarani, vengono comunque definite un legittimo presupposto per
la riapertura dell' istruttoria le dichiarazioni fatte nel 1986 dal gen.
Ambrogio Viviani, secondo cui "l' esplosione sarebbe stata un avvertimento
del Mossad", e viene inoltre precisato che "non si intende di certo valutare
lo sforzo profuso dal Giudice Istruttore nella compendiosa istruttoria
che, per altro, in parte non irrilevante si e' occupata della struttura
di Gladio". Per quanto riguarda l' ipotesi di sabotaggio del velivolo,
la Corte afferma che "non potendo essere dimostrato ne' da elementi oggettivi
ne' da prove orali, e' stato ritenuto come effettivamente verificatosi
in via deduttiva, in seguito a ipotizzate condotte di copertura attuate
dal Sid sul versante informativo e dall' Aeronautica militare". Ma riguardo
a queste presunte coperture, i giudici aggiungono che non vi e' prova neppure
che il Sid avesse raggiunto la fondata convinzione che Argo 16 fosse stato
sabotato. Riguardo poi alle presunte omissioni da parte dell' Aeronautica,
i giudici sottolineano che spesso la Commissione sugli incidenti di volo
"si rifugiava nelle conclusioni di comodo di attribuire l' incidente a
una 'causa imprecisata', ma appare azzardato fondare su tale prassi disdicevole
la dimostrazione che le conclusioni relative alla caduta di Argo 16 siano
state falsificate". Gli stessi periti poi, fa presente la Corte, non hanno
saputo spiegare con certezza esatta la causa della caduta, e nel corso
del processo hanno propeso per l' ipotesi dell' avaria accidentale. "Indimostrata
la strage - proseguono le motivazioni - anche l' occultamento della stessa
e' rimasta una mera congettura. La tesi accusatoria che una pratica
con le prove del sabotaggio era stata 'impiantata e poi distrutta' non
ha trovato alcuna conferma, neppure parziale".
28 maggio - All' assemblea annuale degli
ex appartenenti a Gladio, il presidente dell' Associazione italiana volontari
Stay Behind, Giorgio Mathieu, chiede per gli ex gladiatori il riconoscimento
lo status giuridico di militari. Secondo Mathieu, il governo deve riconoscere
agli ex gladiatori lo status di militari, mediante la trascrizione in chiaro
del servizio prestato nella Gladio sui fogli matricolari sostituendo le
attuali descrizioni "di copertura" con la specifica dell' indicazione "organizzazione
militare speciale" e l' apertura di fogli matricolari caratteristici anche
per coloro (come le donne) che all' epoca non erano contemplati come iscrivibili
in tali fogli. "L' iniziativa - ha spiegato Mathieu - ha il duplice scopo
di far certificare in un atto ufficiale la piena legittimita' della appartenenza
alla struttura segreta e di far cosi' risultare in maniera inequivocabile
che nessuno dei corsi ed esercitazioni effettuate era finalizzato a compiti
ed impieghi impropri e diversi da quelli previsti e programmati". All'
assemblea hanno partecipato anche l' on. Marco Taradash e il sen. Vincenzo
Manca della Commissione Stragi, che hanno illustrato le interrogazioni
parlamentari da loro presentate sull' argomento e alle quali il governo
ha dato risposte da loro ritenute "insoddisfacenti".
22 giugno - Francesco Gironda, portavoce
degli ex appartenenti a Gladio, commenta le affermazioni contenute nella
relazione dei Ds alla commissione stragi "in cui si afferma che la Gladio
aveva anche lo scopo di contrastare un partito politico democraticamente
chiamato a rappresentare le istanze di milioni di italiani" e le definisce
affermazioni "destituite di ogni fondamento", che dimostrano "un pressapochistico
tentativo di giustificazione della storia di un partito che continua a
non distanziarsi da un passato democraticamente impresentabile".
23 giugno - L' ammiraglio Fulvio Martini,
ex capo del Sismi, commenta con i giornalisti il dossier dei Ds sulle stragi
e dice:"Ho letto che hanno citato Gladio e questo mi sembra stupefacente:
dovrebbero rileggersi l' archiviazione dell' indagine su Gladio del 1996
che e' a firma Salvi, Ionta e Saviotti". Ad un giornalista che gli chiedeva
che cosa ne pensasse della definizione di "stragi di Stato e atlantiche",
Martini ha risposto: "Siamo d' estate e il sole picchia".
20 luglio - Il deputato torinese della
Lega Nord Mario Borghezio, in una lettera al Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi, propone la nomina di Edgardo Sogno a senatore a vita.
Sogno, 85 anni, da Natale e' sofferente per gravi disturbi cardiaci ed
e' attualmente ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale
Molinette; le sue condizioni non sono pero' particolarmente preoccupanti.
"Mi pare incredibile - scrive Borghezio nella lettera - che un uomo di
questa levatura rischi di morire dimenticato e abbandonato dall' Italia
ufficiale. I meriti storici e politici di questo coraggioso combattente
per la liberta' di tutti non vanno dimenticati". Anche Stefania Craxi,
figlia di Bettino Craxi, dichiara:"Vorrei testimoniare solidarieta' ad
Edgardo Sogno perche' la sua sofferenza e la sua solitudine mi ricordano
quella di mio padre, Bettino Craxi, al quale la vicenda Sogno arrecava
profonda indignazione". "Vorrei dire al patriota Sogno - aggiunge Stefania
Craxi - che ha il dovere di continuare a lottare e quello di curarsi, perche'
la sua salute e la sua battaglia per la verita' e la giustizia stanno a
cuore di tutti i patrioti, ai garibaldini braccati e agli incalliti libertari
che ancora ci sono in questo Paese".
26 luglio – Muore a Milano Adolfo Beria
D'Argentine, magistrato, 79 anni. Beria D' Argentine era stato procuratore
generale di Milano tra febbraio 1987 e dicembre 1990, quando lascio’ l'
incarico e la magistratura per raggiunti limiti di eta'. Nato a Torino
il 5 dicembre 1920. Laureato in giurisprudenza e filosofia, comincio' il
tirocinio come uditore a Biella e passo' poi attraverso vari incarichi
fino ad assumere, nel 1978, quello di presidente del tribunale dei minori
di Milano. E' stato anche segretario generale del Centro di prevenzione
e difesa sociale, capo di gabinetto del Ministero della Giustizia, componente
del Csm e piu' volte presidente dell' Associazione Nazionale Magistrati.
Beria D’Argentine, durante la resistenza, e’ stato uno dei componenti dell’organizzazione
Franchi, un avventuroso gruppo di partigiani bianchi, guidato da Edgardo
Sogno, in contatto con i servizi segreti della Gran Bretagna e degli Stati
Uniti. Con Sogno, Beria d’ Argentine e’ rimasto legato anche in seguito.
Ecco un brano di un’ audizione del marzo 1999 di Alberto Franceschini in
commissione stragi:
PRESIDENTE - ...A questo proposito c’è
un episodio che la riguarda. Quando foste arrestati, nel 1974, è
vero che avevate un carteggio intercorso tra Edgardo Sogno e il giudice
Adolfo Beria d’Argentine che però non risulta fra il materiale sequestrato
?
FRANCESCHINI - E’ stata un’altra delle cose emerse
al processo di Torino del 1978. Durante il sequestro Sossi compimmo due
azioni: una alla sede del CRD (Comitato di resistenza democratica) a Milano
e un’altra al Centro Sturzo (mi sembra che si chiamasse così) a
Torino. In queste due "perquisizioni", soprattutto in quella a Milano presso
il CRD, portammo via una documentazione, consistente in un elenco di persone
che avevano partecipato ad un convegno sulla riforma dello Stato in senso
gollista che si era tenuto a Firenze credo nel 1973-1974.
PRESIDENTE - Capisco a cosa si riferisce.
FRANCESCHINI - Vi era una serie di relazioni
fatte a questo convegno. A una di tali relazioni (riguardava le modifiche
alla Costituzione eccetera) era allegato questo documento anonimo, una
lettera che ricordo ancora cominciava con: "Caro Eddy". Diceva: "Ti ho
mandato le cose che mi chiedevi, ti prego, leggile tu al convegno: sai,
per la mia posizione non posso venire, non posso espormi". Era Beria d’Argentine
che all’epoca credo fosse procuratore di Milano o una roba del genere.
Quando fummo arrestati io e Curcio, questi documenti li avevamo in macchina,
anche perché volevamo renderli noti pubblicandoli in una specie
di libretto. Questi documenti sono scomparsi. Al processo, nel 1978, parlo
di questi documenti e chiedo alla corte di far venire Edgardo Sogno e Beria
d’Argentine in aula e di svolgere un confronto per vedere se erano vere
queste cose che dicevo io. Vennero in aula e confermarono: Beria d’Argentine
disse che era vero, era amico di Sogno dai tempi della "Franchi", un’organizzazione
in cui erano stati insieme durante la Resistenza, c’era un rapporto di
amicizia, lui aveva scritto questa lettera .
PRESIDENTE - Il punto che mi interessa è
che questa documentazione è scomparsa.
FRANCESCHINI - Sì, scompare. La ricordo
ancora perché l’ho guardata, c’era circa un migliaio di nomi. L’elemento
più interessante era un tabulato con moltissimi nomi (ufficiali,
certamente alte personalità dello Stato). Poi, quando è uscita
la storia della Loggia P2 ho pensato che forse c’entrava qualcosa.
Nella richiesta di autorizzazione a procedere
contro il sen. Giulio Andreotti per l' uccisione di Mino Pecorelli, c'
e' una dichiarazione del gen. Nicolo' Bozzo, stretto collaboratore del
gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, raccolta l' 11 maggio 1993. Bozzo dice:
"Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi
di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a
Savona nel 1974/75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento
operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalita' comune organizzata,
massoneria e settori dei servizi deviati. Successivamente al 1° settembre
1978 e cioe' quando il rapporto di dipendenza divenne diretto, il generale
mi invito', in piu' occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo
parere, si fondava sull'esistenza di una struttura segreta paramilitare,
con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni
illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro intemo. A suo parere
questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza,
attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso
il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza. In particolare
il generale mi segnalo' l'Organizzazione Franchi. Un'occasione di discussione
a tale proposito fu l'indicazione da parte di Viglione del nome del Magistrato
Beria D'argentine, come partecipe delle riunioni delle Br il generale,
infatti, la defini' un'azione di depistaggio ma si interrogava sulla funzione
di questa operazione di depistaggio e se essa potesse essere ricondotta
agli organismi di cui ho parlato. In questo contesto, su indicazione del
generale, mi recai anche a contattare un confidente del quale non intendo
fare il nome, avvalendomi del diritto di non rivelare la fonte - che mi
forni' qualche notizia generica, che confermava il senso dell'ipotesi operativa
manifestatami dal generale. Il confidente apparve pero' terrorizzato e
temeva per la propria vita. Egli mi disse che temeva di essere assassinato
da questa síruttura, che pero' non volle indicare specificamente.
In sostanza egli disse che alcune formazioni comuniste erano state infiltrate
durante la Resistenza al fine di portarle all'annientamento. Si trattava
delle formazioni comuniste, socialiste e azioniste. Non volle pero' parlarne
oltre. L'incontro avvenne nell'autunno 1978. Il generale ed io fummo poi
presi da ben altri impegni immediati, anche per il ritmo incalzante delle
operazioni antiterrorismo. Dai primi mesi del 1979, o meglio da quando
vi fu a Roma il processo Viglione, l'interesse del generale scemo', anche
perche' vi era ormai una pubblicita' sul tema e non era piu' opportuno
svolgere indagini di carattere riservato. Ne' si poteva pensare ad aprire
un'indagine vera e propria con quegli elementi, o meglio con le sole ipotesi
di cui si disponeva."
5 agosto - Edgardo
Sogno Rata del Vallino, 84 anni, muore nella sua casa di Torino, stroncato
da una crisi cardiaca. Secondo alcuni e' stato un golpista e un agente
dei servizi segreti occidentali, secondo altri un eroe della liberta' e
un precursore della seconda repubblica e del bipartitismo. Edgardo Sogno
Rata del Vallino, di famiglia nobile piemontese, nasce nel 1915 a Torino.
Nel 1938 si arruola come volontario franchista nella guerra civile spagnola.
Partecipa alla seconda guerra mondiale come ufficiale del "Nizza cavalleria"
ed entra poi nella resistenza come fondatore dell' Organizzazione Franchi,
da lui comandato con il nome di battaglia di Franco Franchi, un gruppo
di partigiani bianchi (ne fa parte anche Adolfo Beria D'Argentine, morto
pochi giorni fa) collegato con i servizi segreti inglesi e con quelli americani
che gli conferiranno la "Bronze star". L'avventurosa banda di Sogno mette
a segno alcune imprese come la liberazione di Ferruccio Parri. Lo stesso
Sogno e' arrestato quattro volte dai nazisti e quattro volte liberato.
Monarchico convinto, nel dopoguerra entra nel Partito liberale. Nel 1948
comincia la carriera diplomatica. Nell' agosto 1950, mentre e' segretario
d' ambasciata a Parigi, riceve l' invito dal ministro dell' Interno Scelba
di organizzare elementi civili di appoggio alle forze dell' ordine e elabora
il progetto degli "atlantici d' Italia", primo abbozzo della futura Gladio.
Nel 1953, con Luigi Cavallo, fonda il movimento "Pace e liberta", un centro
di attivita' anticomunista. Nel 1971 forma i "comitati di resistenza democratica",
che hanno l'obiettivo, come dira' lui stesso, di "impedire con ogni mezzo"
che il PCI vada "al potere, anche attraverso libere elezioni". La sede
dei Comitati viene "perquisita" nel 1974 dalle Brigate rosse che portano
via alcuni elenchi. Queste liste di nomi erano in mano a Renato Curcio
e Alberto Franceschini quando, poco dopo, saranno arrestati. I due brigatisti
denunceranno la sparizione dei documenti. Il 1974 e' anche l'anno in cui,
per l'agosto, Sogno avrebbe organizzato il cosiddetto "golpe bianco", secondo
l'accusa un piano per rapire il presidente Leone, costringerlo a sciogliere
il Parlamento e nominare un governo di tecnici e militari presieduto da
Pacciardi. Sempre secondo l'accusa il piano prevedeva anche campi di concentramento,
un tribunale speciale, la sospensione dell'immunita' parlamentare e lo
scioglimenti del Msi e dei gruppi extraparlamentari di destra e di sinistra.
Sul presunto golpe apre un'inchiesta l'allora giudice istruttore torinese
Luciano Violante che chiede al Sid i documenti su Sogno, che pero' saranno
quasi tutti coperti da segreto di Stato. Il 5 maggio 1976 Violante ordina
l' arresto di Sogno e Cavallo per cospirazione contro le istituzioni dello
Stato. Sogno, in un primo momento, sfugge all'arresto, ma poi si costituisce.
La Cassazione trasferisce pero' l' inchiesta a Roma, ai giudici che si
occupano del golpe Borghese. Dopo un mese e mezzo Sogno ottiene la liberta'
provvisoria. Il 12 settembre 1978 Sogno, con Cavallo, Randolfo Pacciardi,
Remo Orlandini e altri e' prosciolto perche' il fatto non sussiste. Nel
febbraio 1975 intanto, in un comizio a Roma con Pacciardi, propone una
seconda repubblica, presidenziale, come unica soluzione alla crisi del
regime parlamentare giudicato in stato agonico. Per Pacciardi e Sogno "l'Italia
e' un baccanale orgiastico di delitti e rapine".Tra il 1975 e il 1976 Sogno,
con Licio Gelli, Carmelo Spagnuolo, Anna Bonomi Bolchini e altri, e' uno
dei firmatari degli ''affidavit'' a favore di Michele Sindona, dichiarazioni
giurate rilasciate all' ambasciata Usa e rivolte alla magistratura americana
che sostenevano che Sindona era perseguitato dalla giustizia italiana perche'
anticomunista e prendevano posizione contro la sua estradizione in Italia
per il crack della "Banca privata italiana". Nel 1981 il suo nome compare
negli elenchi dei presunti iscritti alla P2 trovati negli uffici della
Gio.Le. di Gelli a Castiglion Fibocchi. Sogno riprende l'attivita' politica
nel 1986, intervenendo al congresso del Pli, che nel 1988 esorta a "favorire
in ogni modo il successo del progetto politico di Craxi" verso un "sistema
bipolare in cui dialogano e si avvicendano al governo due schieramenti,
uno riformista-innovatore, l'altro tradizionalista e moderato". Alle elezioni
politiche del 1996 e' nelle liste di An, candidato del Polo al seggio senatoriale
di Cuneo, ma non viene eletto. Nel 1997, in un' intervista dichiara che
se la secessione di cui parla Bossi divenisse realta' chiamerebbe a raccolta
"gli uomini della Resistenza, tutti, senza distinzione alcuna in una situazione
del genere. Sono vecchio ma se necessario riprenderei le armi". Nel marzo
del 1999 interrompe la sua collaborazione al quotidiano "Il Giornale" perche'
troppo tiepido nei confronti del "clerico-marxismo". A gennaio di quest'anno
Berlusconi dichiara che "Edgardo Sogno e' uno degli uomini che in Italia
merita maggior rispetto e onsiderazione". Il 20 luglio il deputato leghista
Mario Borghezio chiede al presidente Ciampi la nomina di Sogno a senatore
a vita e lo stesso giorno Stefania Craxi, figlia dell' ex segretario socialista,
dice che "la sua sofferenza e la sua solitudine mi ricordano quella di
mio padre, Bettino Craxi, al quale la vicenda Sogno arrecava profonda indignazione".
Sogno, da Natale del 1999, era sofferente per gravi disturbi cardiaci ed
era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale Molinette.
5 agosto - Per Francesco Cossiga "Con Edgardo
Sogno scompare una figura di grande patriota, un liberale che ha onorato
le tradizioni risorgimentali, un combattente eroico della Resistenza, un
democratico che mai e' venuto meno agli ideali civili e morali dell'antifascismo"
e "una vittima della cultura dietrologica e di una concezione illiberale
della giustizia". Per Silvio Berlusconi "Con Edgardo Sogno scompare un
grande italiano, un vero patriota, un testimone esemplare coraggioso della
liberta' e della democrazia". "Sogno - dice ancora Berlusconi - ha subito
nel corso della sua vita un' atroce ingiustizia ed una vergognosa persecuzione
politica, con l' unica colpa di essere un servitore della patria ed un
combattente della liberta'. La sua vicenda ha dimostrato di quali infamie
e di quali bassezze si e' nutrita anche in Italia l' ideologia comunista.
Il suo ultimo trepidante messaggio per l'affermazione della verita', ancora
calpestata e irrisa dagli epigoni dei comunisti, rappresenta per noi un
lascito morale e politico di cui sapremo essere degni. La battaglia per
la liberta' oggi e' piu' forte e piu' consapevole perche' puo' contare
sull' esempio e sulla testimonianza di uomini come Edgardo Sogno. Spero
- conclude Berlusconi - che l' Italia sappia rendergli oggi il dovuto onore".
6 agosto - In un'intervista al "Corriere
della sera" Giulio Andreotti dice che "Edgardo Sogno tutto era tranne che
un golpista. L'accusa non stava in piedi. Perche' fondata su un carteggio
che e' poi risultato inesistente. Essere stati anticomunisti non significa
aver celato disegni eversivi". "Un uomo che ha dato molto alla Resistenza
- ricorda il senatore a vita - per poi finire al centro delle polemiche
su un pregetto di riforma della Repubblica che andava in senso opposto
al modello che fu poi adottato. Un uomo insomma che aveva conosciuto la
politica senza tuttavia mai rimanerne coinvolto fino in fondo". Andreotti
smentisce ogni rapporto tra Sogno e Gladio: "Conosco la vicenda - sottolinea
- anzi, qualcuno non mi ha mai perdonato per aver rivelato quegli elenchi.
E comunque il nome di Sogno non e' mai comparso".
6 agosto - Il generale Gianalfonso d'Avossa,
dimessosi quattro anni fa dall'Esercito e ora responsabile di una fondazione
culturale a San Pietroburgo chiede "Perche' l'ex presidente della Repubblica
Cossiga, invece di dichiarare oggi con fare gesuitico che Edgardo Sogno
e' stato una vittima della cultura dietrologica, non lo ha nominato a suo
tempo senatore a vita?". "L'ex capo dello Stato - prosegue d'Avossa - sempre
pronto a sottolineare la mancanza di coraggio negli altri, come ha fatto
anche in relazione alle ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio
a proposito della strage di Bologna, avrebbe potuto, lui si', fare un gesto
coraggioso, rendendo un omaggio alla Resistenza nel senso piu' ampio del
termine. Un gesto che sarebbe servito anche da riparazione morale nei confronti
dell'uomo Sogno, perseguitato per le sue idee piu' durante la Repubblica
che nell'epoca fascista".
6 agosto - Edgardo Sogno, in uno scritto
dell' 11 luglio scorso, probabilmente l' ultimo, inviato ad amici e ad
intellettuali, nel segnalare numerosi articoli usciti "contro" di lui,
afferma di "essersi battuto per 50 anni per la distruzione dello Stato"
che i comunisti "con i loro amici e alleati sono riusciti a creare". "Non
c'e' soluzione - scrive Sogno riferendosi in modo particolare ai "comunisti"
- al di fuori della distruzione totale di questa realta' perche' le alternative
sono soltanto la nostra sottomissione o il loro annientamento. Il Pc e'
riuscito a rendere ovvia all' opinione comune delle Sinistre la nozione
storica che io sono un mostro antidemocratico e totalitario". In una altro
passo, Sogno sostiene che "sarebbe ridicolo pensare che i comunisti usino
qualche obiettivita' per me che sono un loro nemico, ma e' ugualmente ridicolo
ed assurdo continuare come voi fate ad illudersi che i comunisti accettino
un qualche compromesso di ragionamento obiettivo quando non serva ad una
loro poltica". Tra i destinatari della lettera vi sono Gianni Baget Bozzo,
Marcello Dell' Utri, Mario Cervi, Giorgio Forattini, Paolo Guzzanti, Marcello
Pera, Maurizio Belpietro, il "Foglio", Radio Radicale.
8 agosto – Jean Rodocanachi, 81 anni, ex
manager industriale di origine greca, compagno di Edgardo Sogno nei Comitati
di resistenza democratica, fra le circa 2 mila persone che hanno partecipato
ai funerali di Sogno, dice:“Non siamo mai stati dei golpisti, e' stato
uno dei piu' clamorosi falsi storici italiani”. Anche lui comandante partigiano,
Rodocanichi, che si professa “repubblicano”, fu, come Sogno, coinvolto
(ma mai indagato) nell' inchiesta del 1976 sul “golpe bianco”. “La sentenza
di assoluzione - ricorda - appuro' senza ombra di dubbio che il fatto non
sussisteva. Sottoscrissi, insieme ad altre persone di sicura fede democratica,
come Edoardo Visconti, fratello del regista Luchino, l' atto costitutivo
dei Crd. Non volevamo certo rovesciare lo Stato, ma cercavamo dei minimi
comuni denominatori fra tutti i democratici dell' arco costituzionale per
aiutare l' Italia a combattere i pericoli di diventare uno Stato totalitario
comunista”. “Sogno era un uomo profondamente democratico – conclude Rodocanachi
- ed e' morto ancora con la disperazione della persecuzione, come dimostra
la lettera che ha inviato a me e ad altri 31 amici fidati pochi giorni
prima di morire”.
7 settembre - Lo storico Gianni Donno,
consulente della Commissione parlamentare sulle stragi, per conto della
quale sta conducendo un’ indagine sulla formazione paramilitare del partito,
denominato “apparato di vigilanza”. Secondo Donno l’intera attivita’ della
cosiddetta Gladio Rossa, l’apparato militare del partito in piedi dall’estate
del 1945 fino alla meta’ degli anni Sessanta era contenuta in cinque valige
di pelle verde, di cui si sono ormai perse le tracce. A meta’ degli anni
Ottanta sarebbero state trasferite “dalla sede di istituzioni culturali
vicine al Pci nelle abitazioni di antichi e fidati dirigenti”. “L’archivio
segreto - sostiene il professore Donno in base a riscontri con esponenti
autorevoli dell’ex Pci e con testimoni esterni al partito - avrebbe contenuto
la documentazione ”militare”, cioe’ le direttive e i piani insurrezionali
territoriali, elaborati anche attraverso dettagliate mappe regionali ed
urbane. Sarebbero stati individuati i punti ”sensibili” delle comunicazioni
stradali e ferroviarie, ai quali assegnare speciali bande di sabotatori
e di armati, che a questo scopo frequentavano corsi specifici di addestramento
politico e militare in campi segreti internazionali in Cecoslovacchia fin
dal 1950”. Ma nell’archivio sarebbero state contenute anche indicazioni
della direzione centrale del Pci sull’armamento individuale, sui nascondigli
di armi e munizioni, sui campi di concentramento locali e regionali cui
avviare, scoccata l’ora X di un eventuale insurrezione, gli elementi “governativi
e reazionari”. Nelle direttive - ha accertato sempre lo storico Donno dalla
consultazione dei documenti del Viminale - si sarebbe infatti raccomandato
ai dirigenti delle federazioni comuniste la tenuta e l’aggiornamento delle
“liste di proscrizione” contenenti i nomi di dirigenti e proprietari delle
principali aziende e fabbriche, oltreche’ dei nemici “politici” locali.
Ancora, importanti direttive erano quelle circa la diserzione da promuovere
nelle file dell’esercito e della polizia. Sempre a quanto risulta dalle
ricerche svolte dallo storico Donno, nei documenti si sarebbe dichiarato
con aperto ottimismo “che una volta scoppiata l’insurrezione, la polizia
non avrebbe sparato un colpo, che l’esercito, come per l’8 settembre 1943,
si sarebbe immediatamente disgregato, con la diserzione di molti e l’ingresso
di altrettanti nelle bande armate clandestine del Pci”. “Dalle carte del
Viminale - ha aggiunto Donno - risulterebbe che il Pci avesse previsto
l’attivazione e la difesa strenua di un corridoio padano, che da Imola
avrebbe operato il collegamento con la frontiera jugoslava, per ottenere
entro sei giorni l’aiuto dai Paesi dell’Est. Un piano insurrezionale siciliano
avrebbe invece organizzato una dura resistenza e guerriglia contro il prevedibile
sbarco americano. La predisposizione dei piani insurrezionali e le relative
direttive segrete sarebbero avvenute sotto il controllo e la consulenza
di agenti sovietici”. Il tutto sarebbe stato confermato, direttamente o
indirettamente, nelle relazioni del personale diplomatico americano in
Italia. Per Donno l’archivio sparito rappresenta in sostanza la documentazione
dell’attivita’ illegale del Pci e la testimonianza di un suo proposito
di eversione dello Stato repubblicano, che si veniva costruendo secondo
i principi, del tutto inaccettabili per il Pci, delle liberaldemocrazie
occidentali”. Nelle cinque valige di pelle c’erano anche le istruzioni
sulla custodia della documentazione segreta pervenuta alle federazioni
del partito: “Essa doveva essere distrutta e affidata alla conservazione
presso le abitazioni degli elementi piu’ fidati”. Per il presidente della
Commissione stragi, senatore Giovanni Pellegrino, la storia ufficiale e’
piena di vuoti negli archivi ufficiali, immaginiamo negli archivi che riguardano
la vita interna dei partiti” e non c’e’ da stupirsi che siano ancora oggi
introvabili alcuni documenti segreti sulla Gladio Rossa. “Pensare che ci
possano essere dei vuoti nella vita di molti partiti mi sembra plausibile
- aggiunge -. Secondo me Craxi ha utilizzato molti dei fondi neri che venivano
da Tangentopoli per aiutare la resistenza greca, finanziare Solidarnosc
e probabilmente anche qualcosa in Medio Oriente. Nonostante agli storici
revisionisti non piaccia la parola doppio stato, nella vita delle istituzioni
c’e’ un ambito segreto che non si riesce a ricostruire bene documentalmente.
Dunque non mi meraviglierebbe che la storia interna dei partiti non sia
oggi ricostruita per intero, e questo non vale solo per il Pci”. Sulla
Gladio Rossa, secondo il presidente della Commissione stragi, “ora il problema
e’ procedere con gli approfondimenti, riscontrare i vuoti documentali e
non abbandonarsi alla fantasia. Mi chiedo dove sono carte di Cirillo il
quale avrebbe confidato alle Br segreti sulla Democrazia Cristiana”. Vincenzo
Manca (Fi), vicepresidente della Commissione stragi, spiega che i consulenti
dell’organismo bicamerale cercano in piu’ direzioni “gli elementi per poter
spiegare storicamente su quale terreno e’ nata, si e’ sviluppata e si e’
conclusa l’esperienza dell’eversione di sinistra in Italia. Ci sono anche
buone ragioni per pensare che documenti siano passati negli anni da Botteghe
Oscure a case private di alcuni ex dirigenti del Pci”. Per il professore
Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Istituto Gramsci, che afferma
di non sapere niente di “un archivio segreto del Pci”, le eventuali carte
mancanti, potrebbero essere state trattenute a Mosca, durante gli anni
della guerra fredda. I documenti del Pci potrebbero essere finiti nella
capitale sovietica o in case private anche per Alfredo Mantica. Il problema,
secondo il senatore di An, “e’ che la verita’ sugli ultimi cinquant’anni
di storia italiana non verra’ accertata se non si procedera’ alla riforma
degli archivi”.
4 settembre – Sono 15 i documenti presentati
in commissione Stragi. Nei circa otto mesi di legislatura che restano l'
obiettivo e' quello di arrivare - come prevede il regolamento- ad una relazione
finale per il Parlamento. Oltre a quello dei Ds su “Stragi e terrorismo
in Italia dal dopoguerra al '74”, che in giugno aveva sollevato polemiche,
il primo in ordine di presentazione e' quello del senatore del PPi Luigi
Follieri dal titolo: “Gli eventi eversivi e terroristici degli anni tra
il '69 ed il 1975”. Su “il Piano Solo e la teoria del golpe negli anni
'60” il testo depositato dai parlamentari del Polo Enzo Fragala', Alfredo
Mantica e Vincenzo Manca, autori di altri “dossier” tra cui quello su “Il
parziale ritrovamento dei reperti di Robbiano di Mediglia e la 'Controinchiesta'
Br su piazza Fontana”. Ma Mantica e Fragala', di An, hanno elaborato anche
documenti sugli “Aspetti mai chiariti nella dinamica della strage di Piazza
della Loggia”, su “Il contesto delle stragi. Una cronologia 1968-75”, “Per
una rilettura degli anni '60”, su “La dimensione sovranazionale del fenomeno
eversivo in Italia” e su “I depistaggi di Piazza Fontana”. Fragala' e Mantica,
con Vincenzo Manca e Marco Taradash, si sono occupati quindi anche di Ustica
(“Sciagura aerea del 27 giugno 1980”) e di KGB con “L'Ombra del KGB sulla
politica italiana”. E con altri due parlamentari dell'opposizione, Cosimo
Ventucci e Antonio Leone, hanno poi presentato un documento su “Il
terrorismo e le stragi in Italia”. Solo Mantica, invece, ha depositato
una relazione su “Il problema di definire una memoria storica condivisa
della lunga marcia verso la democrazia nell'Italia post-bellica (Un contributo
dall'esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione in
Sudafrica)”. “Contributo sul periodo 1969-'74” e' il titolo del testo proposto
dal senatore dei Verdi Athos De Luca. Mentre il deputato dei Ds Walter
Bielli si e' occupato di Mario Moretti: “Nuovi elementi concernenti il
brigatista rosso Mario Moretti e la sua latitanza”. L' obiettivo e' ora
quello di arrivare ad un confronto per “confezionare” testi omogenei da
votare per la relazione finale.
12 settembre - Il sen. Antonio Di Pietro,
rispondendo a un lettore nella sua rubrica sul settimanale sulla 'Gladio
Rossa' scrive che la documentazione “si dice sarebbe sparita. Mi meraviglierei
del contrario”. Comunque secondo Di Pietro, che riassume al lettore tutte
le vicende che portarono l'Italia a essere “in mezzo a due fuochi” anche
dal punto di vista dei servizi segreti, “quell'epoca e' finita e l'opera
di sbaraccamento non poteva non riguardare, oltre agli archivi ufficiali
dei vari servizi segreti, anche quelli dei partiti e organizzazioni satelliti.
Certo - aggiunge - leggendo quei documenti avremmo potuto sapere qualche
nome in piu'. Ma e' acqua passata. Non credo che il risultato storico potrebbe
essere tanto diverso rispetto a cio' che sappiamo. E' inutile perdere tempo
dietro questa storia: ci sono - conclude - problemi ben piu' urgenti di
cui le istituzioni devono occuparsi”.
12 settembre – Il presidente della commissione
stragi Giovanni Pellegrino, nella sua bozza di relazione che evidenzia
anche le analogie tra il rapimento Moro e quello dell'assessore regionale
campano Ciro Cirillo, ipotizza un ruolo guida di Giovanni Senzani nel rapimento
Moro, che da Firenze potrebbe aver retto la regia politica dei 54 giorni.
“Anche l'uomo politico napoletano - scrive Pellegrino – fu infatti sottoposto
a una sorta di processo la cui documentazione (comprese alcune cassette
audioregistrate) non e’ mai stata per intero rinvenuta. E dato che e' certo,
per la vicenda Cirillo, che tale documentazione fu oggetto di una plurima
trattativa, con l'inserimento di familiari, uomini politici, spezzoni dei
servizi segreti, “anche il mancato ritrovamento delle carte di Moro non
potra' piu' ritenersi casuale, rafforzando il convincimento di una inaccettabilita'
delle spiegazioni che nel tempo hanno provato a darne i protagonisti del
sequestro”. Tra l'altro, il presidente della commissione Stragi cita anche
i molti riferimenti a legami tra Senzani e apparati di sicurezza italiani
e stranieri. Il professore delle Br ebbe un ruolo di vertice per il sequestro
D'Urso e poi per Cirillo, avvenuti nell'80 e nell'81, ed e' quindi “poco
probabile” che fosse entrato nelle Br da poco. Ma su Senzani e il caso
Moro, da un punto di vista delle sentenze della magistratura, c'e' una
sostanziale assenza di giudizio: condanne per il '76-'77 (banda armata
Br) e gravi responsabilita' per gli omicidi e i fatti successivi al caso
Moro, ma sul 1978 nulla. Tra i molti elementi gia' noti, citati da Pellegrino,
c'e' quello inedito, ma che la commissione non puo' far suo perche' anonimo,
presente nelle carte che il generale Le Winter consegno' anni fa al giornalista
Ennio Remondino che stava svolgendo una inchiesta sulla CIA e la strategia
della tensione in Europa. Nelle poche righe si affermava che “La stazione
di Roma (della CIA ndr.) ha assicurato Sops che il nuovo contatto con Parigi,
Giovanni Senzani, e' sotto contratto”. Il documento su carta bianca non
puo' essere preso in considerazione dalla commissione Stragi - scrive Pellegrino
- “in quanto si tratta di documentazione anonima e priva quindi di requisiti
di autenticita’ e che appare quindi inidonea a provare in termini di certezza
l'esistenza di rapporti fra Senzani e strutture istituzionali italiane
a straniere. L'insieme degli elementi innanzi ricordati, tuttavia, attribuisce
a tale ipotesi piu' volte emersa, una qualche consistenza”.
13 settembre - An e Forza Italia attaccano
Giovanni Pellegrino per la sua proposta di relazione sugli ultimi sviluppi
dell'inchiesta riguardante il caso Moro, e in particolare per il riferimento
a Giovanni Senzani, ritenuto comunque non fondato da Pellegrino, come “agente
a contratto” della CIA e agganciato alla struttura 'Stay behind'. Questo
documento e' contenuto nel 'Dossier Brenneke', consegnato nel 1991 al giornalista
Ennio Remondino da parte di Oswald Le Winter. “E' un fatto gravissimo,
che apre una questione di natura istituzionale in seno alla commissione
– affermano Alfredo Mantica ed Enzo Fragala' di An - di una cosa siamo
ormai certi: o il senatore Pellegrino scrive il falso o ha esercitato (e
continua ad esercitare) un potere istruttorio (e quindi di natura penetrativa)
autonomo' e occulto, al di fuori del contesto istituzionale”. In sostanza,
affermano i parlamentari, la maggioranza dei commissari e' stata tenuta
all'oscuro di una parte cruciale e delicata di tutto il lavoro svolto,
“visto che non sono stati messi in condizione di verificare e riscontrare,
in corso d'opera, le 'scoperte' e le valutazioni del presidente”. In particolare
Fragala' arriva ad ipotizzare che il comportamento di Pellegrino possa
configurare “il reato di uso e divulgazione di notizie false e tendenziose,
che potrebbero anche portare all'apertura di un fascicolo alla Procura
di Roma”. Il senatore Vincenzo Manca (FI), vice presidente della commissione
Stragi, attacca anch'egli Pellegrino e la sua “politica di rapporti coi
mass media, dato che “ha fornito indebitamente, a nome dell'intera commissione,
documenti non ancora esaminati dalla stessa, e con valutazioni soggettive
contrabbandate come gia' condivise dall'organismo parlamentare, inducendo
cosi' in inganno i giornalisti”. “E' questo il caso delle anticipazioni
su una ennesima versione, la quarta, della sua relazione sulla vicenda
Moro, che contiene anche nuovi elementi in merito alla figura di Senzani”.
Da Forza Italia viene la denuncia del tentativo di reintrodurre l'ipotesi,
scartata in prima istanza dallo stesso Pellegrino, e reintrodotta solo
ora, “di una supposta dipendenza di Senzani da centrali atlantiche”. Cio'
dimostra “solo il disperato tentativo dei Ds di sottrarsi, con questi tentati
depistaggi, al confronto sempre rimandato sui documenti provenienti dagli
archivi dell'Est”.
13 settembre - L'ex portavoce dell'associazione
di ex appartenenti alla Stay-behind, Francesco Gironda afferma che non
c’e’ nessun collegamento tra Giovanni Senzani e Gladio. Secondo Gironda,
i documenti citati dal senatore Giovanni Pellegrino “a sostegno di un supposto
contatto di Senzani con i comandi Nato o americani preposti a sovraintendere
l'attivita' di guerra non ortodossa in caso di invasione da parte dell'Urss,
si appoggiano ad un carteggio emerso alcuni anni fa in occasione del 'caso
Brenneke', portato a conoscenza del pubblico italiano dal giornalista Remondino.
Tale carteggio e' stato giudicato completamente inattendibile da tutte
le procure della Repubblica che ne entrarono in possesso”. “Probabilmente
- ipotizza Gironda - si trattava di un'operazione di depistaggio ed intossicazione
da contorni oscuri che riguardava il tentativo di colpire Bush in occasione
della sua ricandidatura alla presidenza americana. Stupisce che Pellegrino
possa cadere inconsapevolmente in questo tipo di trappola. Si potrebbe
supporre - conclude Gironda - un suo desiderio di essere anticipatamente
delegittimato, con la conseguente crisi della Commissione stragi, per non
dover prendere in esame ben altri documenti o acquisire altre testimonianze,
e metterle in discussione con risultati prevedibilmente poco graditi alla
sua parte politica”.
14 settembre - L' ex brigatista rosso Giovanni
Senzani smentisce le ipotesi avanzate dal presidente della commissione
stragi, sen. Pellegrino, in una bozza di relazione, sul ruolo guida di
Senzani durante il sequestro Moro, e l' ipotesi di un suo “contatto” con
la Cia. “Non ho mai fatto parte –afferma Senzani - come dimostrato da processi
e da molte indagini, delle strutture locali e di vertice delle Br tirate
in ballo dal sen. Pellegrino per quell' epoca e le sue ipotesi non sono
suffragate dai fatti”. “E quali sarebbero le prove ? – dice anche Senzani
- Una relazione del sen. Pellegrino che si sarebbe convinto sulla base
di 'seria deduzione logica pur non suffragata da prove', che io sarei coinvolto
nel sequestro Moro nonostante che tutte le indagini e i processi abbiano
dimostrato l' opposto. Perche' come residente a Firenze non posso non aver
partecipato addirittura alle riunioni del Comitato Esecutivo delle Br di
quell' epoca e come 'professore' non posso non aver dato consigli ai brigatisti.
Altra prova sarebbe il fatto che sarei salito, in anni successivi, troppo
in fretta nella 'gerarchia' della organizzazione e quindi 'dovevo essere
brigatista e di vertice da chissa' quanto tempo'”. “Insomma - continua
Senzani - secondo il senatore nella comprovata ferrea organizzazione politico
militare delle Brigate Rosse si poteva fare carriera per titoli di studio.
Ed era necessario un professore per concepire ed attuare il sequestro Moro.
La realta' storica e giudiziaria ha dimostrato ben altra cosa ed e' davanti
a tutti, dopo anni di dibattito sul caso Moro, smentendo il nuovo teorema
che si vorrebbe portare avanti”. Anche per quanto riguarda i collegamenti
con i servizi, Senzani sottolinea che “siamo al riutilizzo di inconsistenti
voci che non sono state dimosrtare e neppure prese in considerazione, per
la loro labilita', in qualche processo. E sarebbe bastato a Pellegrino
confrontare alcune dichiarazioni per vedere che si contraddicevano. Non
e' vero come dice il collaboratore di giustizia Franceschini che io sarei
stato arrestato per pochi giorni e scarcerato nel 1976 e poi sarei andato
pur con la fama di brigatista a fare ricerche universitarie nel 1979 in
Usa ottenendo un visto sospetto. Sono stato come ricercatore in Usa, universita'
di Berkeley, nel 1972/73, con una borsa di studio del Cnr, pubblicando
poi diversi libri, e sono stato arrestato nel 1979, e non 1976. E poi sembra
credibile tale supposizione alla luce del fatto che mi sono fatto 17 anni
di carcere duro insieme ad altri brigatisti, per giunta con tre anni di
isolamento nei braccetti?”.
18 ottobre - In commissione stragi, audizione
dell' ex questore Arrigo Molinari. Molinari afferma che nel settembre del
1978 la questura di Genova invio' all' allora ministro dell' Interno Virginio
Rognoni un rapporto per segnalare tutta una serie di elementi e di riscontri
che facevano ritenere Giovanni Senzani un infiltrato all' interno delle
Br. La questura due giorno dopo l' invio a Roma del rapporto ricevette
un' ispezione che fece le "pulci" all' ufficio, nel quale lavorava anche
Molinari. Molinari ha confermato che, su ordine del Viminale, consegno'
le chiavi dell' armadio che conteneva tutte le carte servite per stendere
il rapporto al gen. Dalla Chiesa. Molinari ha poi confermato all' Ansa
questo elemento, aggiungendo anche che ci fu uno scambio di opinioni con
l' ufficio Affari riservati del Viminale per dire, in sostanza, che dalla
questura di Genova ci sarebbe stato un diverso atteggiamento se fossero
stati informati della natura "particolare" del brigatista Giovanni Senzani.
"Ce lo potevate dire che era un infiltrato. Ci saremmo comportati diversamente",
ha sintetizzato Molinari citando quello scambio di battute. L' audizione
di Molinari ha riguardato anche alcuni momenti cruciali della strategia
della tensione, comprese le notizie apprese a Genova relative al piano
Solo e al "reclutamento" di uomini che venivano dall' OAS. Dopo l' audizione
Athos de Luca, capogruppo dei Verdi in Commissione Stragi, chiede di ascoltare
in commissione Stragi l' ex ministro dell' Interno, Virginio Rognoni. "
Molinari - dice De Luca - ha parlato di un rapporto riservato contenente
delle rivelazioni su Senzani ed ha affermato che all' indomani di questa
iniziativa, non solo non vennero presi provvedimenti verso l' uomo sospettato
di essere la mente delle Br ma anzi venne immediatamente disposta un' ispezione
negli uffici della Questura. A seguito di questa inchiesta il questore
De Longis fu costretto alle dimissioni. Queste dichiarazioni se lette in
relazione con l' affermazione attribuita a De Longis per cui 'su cinque
brigatisti tre erano falsi e due veri, e i tre falsi manovravano i due
veri' accrediterebbero la tesi di ampie infiltrazioni dei servizi nelle
Br, forse con l' avallo del Viminale. Ecco perche' chiediamo di ascoltare
Rognoni per chiarire queste circostanze che, se confermate, indicherebbero
precise responsabilita' politiche".
19 ottobre - Enzo Fragala' (An), Vincenzo
Mantica (An) e Marco Taradash, parlamentari d’ opposizione membri della
commissione stragi, illustrano in una conferenza stampa due loro relazioni
gia' depositate in Commissione Stragi: “L'ombra del Kgb sulla politica
italiana” e “Il Piano Solo e la teoria del golpe negli anni '60”. Secondi
i tre il “Piano Solo” non e' mai esistito (“e' il frutto del lavoro intossicante
del Kgb”), la strategia della tensione e' stata piu' o meno “inventata”
da una certa parte della sinistra e il Kgb ha influenzato, se non addirittura
governato, la vita italiana dal dopoguerra ad oggi. Secondo i tre esponenti
dell'opposizione “la storia degli ultimi 30 anni non puo' essere raccontata
partendo dal presupposto che c'e' stata una strategia unica, un filo conduttore
dei vari eventi, un solo regista”. “Ogni strage - spiega Fragala' - ha
infatti una sua storia e una sua origine. Ed e' per questo che abbiamo
deciso di presentare 12 relazioni. Piazza Fontana, voluta dagli anarchici,
non c'entra niente con Ustica, di matrice libica, e cosi' via”. Da qui
la difficolta' denunciata tempo fa da esponenti della commissione di arrivare
ad una relazione conclusiva condivisa. “Vogliamo poi denunciare - aggiunge
Fragala' - che dopo la scoperta del dossier Mitrokhin nessuna indagine,
ne' interrogatorio sono stati fatti”. “Basta con la lettura caricaturale
degli ultimi decenni offerta dalla sinistra - dichiara Taradash - occorre
ristabilire la verita' e ridare dignita' ad apparati dello Stato ingiustamente
accusati” come ad esempio “i vertici dell'Aeronautica per il Caso Ustica”.
“Il fatto che non vogliamo arrivare ad un'unica relazione conclusiva -
precisa Mantica - e' da parte nostra una risposta politica. Sono fatti
diversi e a se' stanti che richiedono analisi separate”. Il Piano Solo
ad esempio, dichiara, “non e' mai esistito. Sono stati solo degli appunti
del generale De Lorenzo 'pompati' ad arte ed enfatizzati da certa stampa”.
Cosi' come non si e' mai parlato “a sufficienza e nei giusti termini del
ruolo svolto in Italia dal Kgb” che avrebbe, per il senatore di An, tra
l'altro, non solo finanziato ed etero-diretto il Pci, ma sostenuto le Br
e dato corpo alla cosiddetta 'pista atlantica' per il Caso Moro. Pellegrino,
intervenuto alla conferenza, ha invitato a rileggere quegli anni con piu'
distacco e serenita' senza commettere “lo stesso errore commesso allora
dalla sinistra di ideologizzare troppo gli eventi”. “La vera domanda a
cui si deve rispondere - dichiara - e' perche' gran parte dei giovani di
allora decise di armarsi contro lo Stato chi per abbatterlo e chi per piegarlo
in senso autoritario. Ma senza pregiudizi politici che impediscono di capire
la verità”.
25 ottobre – Il mensile GQ pubblica un’
intervista di Antonino Arconte a Marco Gregoretti. Arconte afferma che
Supergladio e' esistita sino al 1987, si chiamava Supersid, e la componevano
280 militari, ad altissimo addestramento, che compivano missioni segrete
all' estero: Tunisia, Cina, Libia, Angola, Vietnam e nei Paesi dell' est
europeo. Il capitano di vascello Nino Arconte, che faceva parte della struttura
supersegreta, con la sigla in codice G-71-VO-155-M, afferma:“I veri gladiatori
eravamo noi, non i 622 i cui nomi furono letti da Giulio Andreotti alla
Camera”. Secondo l' ex gladiatore, accanto a quella militare, e quindi
operativa, esisteva una seconda struttura parallela civile, di cui, ha
aggiunto, faceva parte anche Raul Gardini, per la sua profonda conoscenza
dei meccanismi di finanziamento dell' allora Pci. Da Arconte anche la “rivelazione”
che, per conto di Craxi, agi' in Tunisia al fine di provocare la caduta
del regime guidato da Bourghiba. “Ma non fu un golpe morbido - ha aggiunto
- come sostenne l' amm.Martini, ex capo del Sismi, nelle prime ammissioni
del coinvolgimento di Gladio in quel golpe. Io c' ero: fu un bagno di sangue”.
Arconte ha anche rivelato che “uno di noi era il col.Mario Ferraro”, trovato
impiccato nel luglio del 1995, e continua:“l'ho conosciuto a Beirut”.
27 ottobre - In un'intervista a "La Repubblica",
che serve anche ad annunciare la prossima uscita del libro "Segreto di
Stato, la verità da Gladio al caso Moro", edito da Einaudi, libro-intervista
condotta da Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri a Giovanni Pellegrino,
il presidente della commissione stragi, che ha gia' annunciato e oggi riconferma
la decisione di non ricandidarsi, propone una nuova interpretazione della
'strategia della tensione' fino a definirla una 'guerra civile a bassa
intensità'. Pellegrino afferma che il Parlamento dovrebbe riconoscere
che "non possiamo piu' fare del passato un tema di scontro" e, su terrorismo
e stragi, invoca la "soluzione sudafricana", in cui chi sa, a destra e
sinistra, parli ottenendo cosi' il perdono. Se ci sara' questa "maturazione",
dice, "nella prossima legislatura si potra' affrontare la soluzione politica
con un provvedimento che in primo luogo accolga tutte le richieste che
vengono dalle associazioni dei familiari". Poi, aggiunge Pellegrino, "basterebbe
un modesto intervento in campo penale per chiudere definitivamente la partita
giudiziaria con gli anni di piombo". Pellegrino si rammarica perche' lo
scontro politico "non ha permesso alla Commissione di arrivare a una soluzione
unitaria anche su vicende come il caso Moro" sulla quale, peraltro, si
e' lavorato "con grande sintonia e efficacia". Il presidente della Commissione
stragi cerca anche di spiegare un aspetto della "anormalita' " del caso
italiano:"Dc e Pci avevano al loro interno settori che spingevano in senso
antidemocratico, ma li hanno saputi contenere e asorbire. Alla fine il
saldo e' stato positivo: eravamo un paese distrutto dalla guerra e dal
fascismo, siamo una democrazia che cresce, la classe politica della Prima
Repubblica ha il diritto di essere in parte orgogliosa di questo". Nel
libro comunque Pellegrino rivela una nuova ipotesi secondo la quale nel
1990 Giulio Andreotti svelo' l'esistenza di Gladio "per coprire qualcosa
di piu' segreto, di piu' occulto e probabilmente anche di piu' antico".
Su questa misteriosa rete clandestina sarebbe in corso una indagine giudiziaria.
Pellegrino parla anche della fallita audizione di Bettino Craxi ad Hammamet
nel 1997. L' audizione salto' all' ultimo momento per una serie di difficolta'.
Secondo Pellegrino fu la Procura di Milano a fare pressioni su autorita'
istituzionali" perche' cio' accadesse. Alla domanda:"Fu il Quirinale ?"
(il presidente era Scalfaro) Pellegrino non smentisce. Secondo Pellegrino
inoltre, dietro l'irritazione "da belva ferita" con cui Cossiga reagisce
ai dubbi sulla gestione del caso Moro, c' e' un segreto. Per Pellegrino
Cossiga fece di tutto per salvare Moro, ma poi scopri' di essersi affidato
a "persone" o "apparati" sbagliati, di essere stato "atrocemente beffato
da mandatari infedeli".
28 ottobre - Giovanni Pellegrino (Ds),
presidente della commissione stragi, conferma che c' erano "autorevoli
esponenti della sinistra parlamentare" che manifestarono contrarieta' ad
una "trasferta" della commissione ad Hammamet per ascoltare Bettino Craxi
sulla vicenda Moro e declina l' invito del presidente dei senatori Ds Gavino
Angius che vorrebbe che si concludesse quanto prima l' inchiesta sulla
vicenda Moro con una audizione dello stesso Pellegrino davanti la commissione
Stragi: "Mi dispiace di non poter seguire il consiglio dell' amico Angius.
Ma non c'e' nulla di cui possa riferire alla commissione che di tutto e'
informata. Agli atti risulta la contrarieta' di autorevoli esponenti all'
audizione. Vi furono anche lettere a me indirizzate e liberamente consultabili.
L' ufficio di presidenza allargato ritenne allora di svolgere una inchiesta
sull' inchiesta e ascolto' a lungo il ministro Dini per cercare di capire
le ragioni che impedirono lo svolgimento dell' audizione. Il verbale dell'
incontro con Dini e' pubblico e dimostra quanto diffuso fosse nell' ufficio
di presidenza il convincimento che quella audizione incontrasse difficolta'
perche' sgradita ad autorevoli esponenti italiani. Ricordo a memoria, tra
gli altri, i colleghi Tassone e De Luca". Sulle anticipazioni del suo libro
riguardanti "la interpretazione" della vicenda Moro, Pellegrino conferma
che questa sua analisi e' "affidata a documenti istruttori e preparatori
di relazioni gia' consegnate alla commissione e che la stessa non ha discusso
data la situazione di empasse in cui l' hanno condotta le note divisioni
interne". "Per tali ragioni - spiega - ho affidato ai verbali dell' ufficio
di presidenza il preannuncio della pubblicazione della lunga intervista
che tra qualche giorno sara' in libreria. Nessuno mosse obiezioni. E di
tale proposito ho riferito ai presidenti delle Camere nella relazione semestrale
sull' attivita' dell' organismo che guido. Non resta quindi che attendere
che il libro possa essere letto e meditato. Ci si avvedra' allora che io
non ho alcuna certezza circa gli autori di pressioni sul governo tunisino
e che valuto come considerevolissimo l' importante contributo di
Scalfaro dato dal Quirinale all' inchiesta su Moro". Il libro "chiarira'
in che limiti - spiega ancora Pellegrino - la mia posizione coincida con
la proposta di relazione dell' on. Bielli (Ds). E in che limiti se ne distacchi
recependo valutazioni e proposte venute da altre componenti della commissione".
"Le mie riflessioni si fondano su acquisizioni della commissione frutto
di un lungo e paziente lavoro collegiale e non di indagini personali o
private". "Solo a quel punto - conclude Pellegrino - potro' valutare se
il mio tentativo, ampiamente preannunciato, di portare serenita' nel dibattito
politico su questo difficile passato, abbia avuto o no successo; e cioe'
creare quel clima politico piu' sereno che consentira' al prossimo Parlamento
di accogliere le richieste venute dalle associazioni dei familiari delle
vittime del terrorismo e chiudere la partita giudiziaria con gli anni di
piombo. E' una proposta che ha avanzato il senatore di An Mantica per primo
e che ho ripreso e che ha avuto la condivisione del senatore De Luca (Verdi).
Puo' questo essere un inizio". Nel capitolo del libro dedicato alla vicenda
Moro spunta nuovamente Igor Markevitch, il direttore d' orchestra di fama
internazionale su cui si e' indagato partendo dall' ipotesi che potesse
essere l' "anfitrione" delle Br, cioe' l' uomo che ospito' a Firenze la
direzione strategica delle Br. Per Giovanni Pellegrino, Markevitch e' "un
personaggio interessantissimo, intrinsecamente doppio. Un uomo con cui
i servizi degli opposti schieramenti avrebbero potuto benissimo entrare
in contatto per utilizzarne il passato resistenziale come bigliettino da
visita da mostrare nelle Br. E d' altra parte, e' un intellettuale raffinatissimo
e abbastanza snob da apparire 'misterioso' ai brigatisti". In quel "misterioso"
c' e' un riferimento di Pellegrino ai "misteriosi intermediari" che compaiono
nel comunicato numero quattro delle br. Piu' volte Pellegrino parla di
Markevitch e si dilunga sulla sua vita e sulle sue amicizie. "Mi piacerebbe
che qualcuno, per esempio la procura di Roma, indagasse seriamente e fino
in fondo su un' ipotesi del genere. Questa non e' un' inchiesta che possa
condurre un organismo composto da 41 persone, come la nostra commissione".
Nel libro "Segreto di Stato" di Giovanni Pellegrino, che sara' nelle librerie
a partire dalla prossima settimana c' e' un capitolo anche su Gladio. "Non
vorrei violare segreti istruttori - scrive Pellegrino - tuttavia posso
dire che da un' indagine giudiziaria sta emergendo un' ipotesi clamorosa:
cioe' che quando Giulio Andreotti parlo' per la prima volta di Gladio,
volesse in realta' gettare in qualche modo un osso all' opinione pubblica
per coprire qualcosa di piu' segreto, di piu' occulto e probabilmente anche
di piu' antico rispetto a Gladio". "Io non posso dire se sia esistita una
Gladio parallela, quello che posso dire con certezza - dice in un' altra
risposta dello stesso capitolo - e' che la Gladio che conosciamo non esaurisce
questo mondo segreto, sotterraneo. Anzi, piu' siamo andati avanti nelle
indagini, piu' quello di Gladio ci e' apparso come un ruolo minore". Per
Pellegrino inoltre, alla base della cosiddetta "strategia della tensione"
non ci sarebbe stata solo una funzione anticomunista, ma anche lo scontro
nord-sud. Rispetto alla vulgata interpretativa, Pellegrino dice: "Gli approfondimenti
di questi ultimi anni mi hanno convinto che la chiave di lettura anticomunista
e' insufficiente perche' porta a una ricostruzione unilaterale". "Nei delicati
equilibri strategici dell' area - sottolinea Pellegrino - l' Italia era
la portaerei della Nato nel Mediterraneo e doveva rimanere imprigionata
in quel ruolo. Se, nei conflitti nord-sud, provava ad assumere una posizione
autonoma, scattavano immediatamente spinte di carattere geopolitico volte
a riconsegnarla in quel suo ruolo sostanzialmente subalterno". Pellegrino
si sofferma a lungo sui rapporti Italia-Libia, Italia-mondo arabo. "Gli
ambienti vicini alle multinazionali mal sopportavano l' attivismo del presidente
dell' Eni, Enrico Mattei, o la politica filo-araba di Giulio Andreotti
e Aldo Moro, e cercavano di contrastarla alimentando situazioni di instabilita'
all' interno del nostro paese". La politica filo-araba italiana, poi, era
sgradita alle lobbies ebraiche, molto potenti in Inghilterra e negli Usa.
Se consideriamo le difficolta' che incontra lo stesso Governo americano
nel misurarsi con questi problemi, e' facile immaginare l' effetto che
poteva provocare in quegli ambienti il tentativo della piccola Italia di
crearsi un suo spazio nel Mediterraneo". Pellegrino parla anche del ruolo
della Germania e di Israele rispetto all' Italia. Questi due paesi avevano
"interesse ad accreditarsi agli occhi degli americani come gli alleati
piu' affidabili e influenti: la prima nello scacchiere europeo, il secondo
in quello mediterraneo. E dunque anche loro soffiavano sul fuoco dell'
instabilita'".
1 novembre - Il Tribunale di Velletri assolve
il direttore di “Avvenimenti” Claudio Fracassi, il prof. Giuseppe De Lutiis
ed i giornalisti Aldo Giannuli e Gianni Cipriani che in un libro pubblicato
nel 1993 avevano definito golpista il generale dei carabinieri Giovanni
De Lorenzo. Erano imputati di diffamazione a mezzo stampa sulla base di
una denuncia del figlio di De Lorenzo, Alessandro e difesi dagli avvocati
Alfredo Galasso, Licia D' Amico e Alessandro Benedetti. Alessandro De Lorenzo
non presentera' appello, ma ha annunciato che agira' in sede civile per
ottenere il risarcimento dei danni. Al processo numerosi sono stati i testimoni,
tra i quali i senatori Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Massimo Brutti,
il giornalista Eugenio Scalfari. “Al diritto di cronaca e ancora piu' quello
di critica storica - commentano i difensori - non puo' essere posto il
bavaglio; in questo Paese e' ancora possibile parlare e analizzare anche
in maniera fortemente critica gli aspetti piu' inquietanti della nostra
storia recente”. “La formula 'perche' il fatto non costituisce reato' -
ha detto l' avvocato di De Lorenzo, Francesco Caroleo Grimaldi - lascia
comprendere che l' assoluzione e' intervenuta per il ritenuto diritto di
critica storica. Il fatto, viceversa, inteso come illecito e' evidentemente
configurato”.
6 novembre - Comincia davanti alla prima
Corte di Assise di Roma il processo per la distruzione della documentazione
segreta proveniente dalla scuola militare di paracadutismo di Pisa (Smipar)
per occultare i rapporti intercorsi tra un ufficiale addetto ai servizi
di sicurezza e un estremista di destra legato a Ordine Nuovo. Gli imputati
sono due alti ufficiali del Sios dell' Esercito, il generale Roberto Montagna
e il colonnello Giuseppe Giordano, che dovranno rispondere - secondo le
contestazioni del pm Franco Ionta - di "soppressione di atti concernenti
la sicurezza dello Stato" (art. 255 del Codice Penale) che prevede una
pena di non meno di otto anni di reclusione. Al centro del processo il
fascicolo a firma del capitano Carmine De Felice (che tra il 1971 e il
1977 lavoro' all'ufficio I, cioe' la sicurezza della Smipar di Pisa) e
le informazioni contenute sul rapporto con Andrea Brogi, coinvolto, tra
l'altro, in una serie di attentati dinamitardi avvenuti negli anni
'70 in Lombardia, Emilia Romagna, Marche e Umbria e condannato definitivamente
a due anni di reclusione. Le indagini partirono dall'Ufficio istruzione
di Venezia dove il giudice Carlo Mastelloni chiese il sequestro di alcune
carte nell' ambito delle indagini sull'Argo 16, l'aereo che veniva usato
anche per il trasporto degli appartenenti a Gladio ed era gestito dalla
Smipar. Mastelloni sapeva dei rapporti tra De Felice e Brogi, che aveva
fatto il servizio militare alla scuola di paracadutismo di Pisa e faceva
da informatore - come e' emerso oggi in aula - indicando chi tra i commilitoni
aveva simpatie o amicizie e legami in ambienti della sinistra. Il 21 dicembre
del 1992, secondo l'accusa, mentre funzionari della Digos cercavano le
carte della Smipar indirizzate al Sios esercito, qualcuno della Scuola
di Pisa informo' lo stesso Sios che fece distruggere le carte relative
al periodo in cui Brogi era di leva e faceva 'da ponte' per De Felice.
Che cosa quelle carte potessero contenere di tanto imbarazzante non e'
mai venuto fuori nel corso delle indagini. In aula sono sentiti i funzionari
della Digos di Roma e Venezia che si sono occupati del caso e in particolare
Lamberto Giannini ha parlato di un memoriale in cui Brogi tra l' altro
diceva di essere stato "spinto" da persone del Sid. Giordano e Montagna,
negano con decisione le accuse: il primo perche' a dare l'ordine di distruzione
delle carte fu il colonnello Regesburger che al momento del fatto era in
congedo e fu sostituito proprio da Giordano; il secondo perche' doveva
obbedire, in qualita' di tenente colonnello, agli ordini del superiore.
La prossima udienza e' fissata per il 17 novembre.
9 novembre - Il quotidiano "Il Tempo" pubblica
una lunga intervista di Stefano Mannucci a Antonino Arconte sulla sua esperienza
di "gladiatore". Arconte, nato a Oristano, in Sardegna, il 10 febbraio
1954, ha gia' scritto delle sua avventure in un sito
internet in cui racconta le sue esperienze in operazioni segrete "Stay
behind" in Vietnam, in Angola, in Medio Oriente, in Sudafrica. arconte
afferma anche che la Gladio rivelata da Giulio Andreotti in Parlamento
non era la vera Gladio, divisa in centurie di Aquile (composta da aviatori,
elicotteristi, paracadutisti), di Lupi (composta da truppe scelte arruolate
tra la Marina militare) e di Colombe (personale civile con compiti soprattutto
informativi e dei quali faceva parte, secondo Arconte, anche Raul Gardini,
che lui ritiene sia stato "suicidato"). Per Arconte, la struttura e' poi
stata smantellata a tradimento ealcuni gladiatori sono stati "eliminati",
tra cui anche il tenente colonnello del Sismi Mario Ferraro, trovato impiccato
in casa e sul cui suicidio ci sono stati sempre molti dubbi. Lo stesso
Arconte dice di aver subito una perquisizione con accuse ingiuste per detenzione
di stupefacenti e di essere stato oggetto di un attentato quando qualcuno
tento' di buttarlo giu' da una scogliera. Arconte fa vedere al giornalista
anche alcune lettere in cui Bettino Craxi lo invitava a tacere per il bene
del Paese. Arconte racconta anche che, pochi giorni prima del rapimento
di Aldo Moro fu mandato a Beirut, in Libano, dove doveva incontrare proprio
Ferraro. Arconte riusci' a vedere che tra gli ordini da lui portati c'
era anche quello di attivarsi per cercare contatti con gruppi terroristici
del Medio Oriente per ottenere la liberazione di Moro, che pero' non era
ancora stato rapito.
11 novembre - Per Falco Accame, le radici
della nuova Gladio di cui ha parlato, in un accenno, il senatore Giovanni
Pellegrino nel suo libro “Segreto di Stato” sarebbero in un patto “armi
contro petrolio”. Accame, ex presidente della Commissione Difesa, parla
di una “Gladio offensiva, interventista, avendo nel retroterra interessi
delle armi e del petrolio”. Secondo vari storici - dice - la presa del
potere da parte di Gheddafi “si avvalse di operatori italiani all' estero
e la nascita di Israele conto' per il suo riarmo sulle forniture italiane
che nel dopoguerra venivano dai campi Arar, pensiamo all'attivita' della
ditta Tirrenia di Vittorio Amadasi e a chi ha supportato questa attivita'”.
E' ben noto - aggiunge – che nei servizi ci fosse una corrente filo-araba
facente capo in una determinata epoca al generale Miceli. Nel retroterra
operavano interessi petroliferi (Moro, Eni, Mattei) e una corrente filo-israeliana
che faceva capo al generale Maletti e che aveva nel suo retroterra interessi
nella vendita delle armi (non solo i primi armamenti vennero forniti ad
Israele dall'Italia, ma dopo anche apparecchiature di guerra elettronica).
Inoltre Israele figurava da tramite coperto per la vendita di armi al Sud
Africa. Vi sono personaggi politici che hanno operato sia in direzione
filo-araba sia filo-israeliana. Cio' si ripercuoteva in direttive contrastanti
per le operazioni occulte dei servizi segreti”.
14 novembre – “Il Corriere della sera”
pubblica un fondo di Ernesto Galli Della Loggia dal Titolo “Il grande vecchio
e’ in mezzo a noi”. Galli Della Loggia scrive che se il presidente di una
commissione come quella Stragi, Giovanni Pellegrino, ha scelto la via di
un libro pubblicato da Einaudi per esporre le sue conclusioni “credo che
abbia avuto le sue buone ragioni. Provo a immaginarne almeno due: a) la
convinzione che probabilmente la legislatura in corso si chiudera’ senza
che la Commissione sia riuscita a terminare i suoi lavori; b) la constatazione
che le sue opinioni divergono notevolmente, ormai, da quelle della maggioranza
che pure lo ha designato, e in particolare da quelle del gruppo dei Ds
che abbiamo letto appena qualche mese fa. In effetti, su molte questioni
della massima importanza il giudizio odierno del senatore Pellegrino appare
non solo diversissimo da quello dei suoi compagni, e non solo abbastanza
diverso da quanto egli stesso in passato ha sostenuto, ma opposto, o almeno
in radicale contrasto, rispetto a cio’ che la maggior parte dell' opinione
pubblica di sinistra ha fino ad oggi creduto come verita’ di fede”. “Ecco,
riassunti con la massima brevita’ – scrive ancora Galli della Loggia –
i punti piu’ importanti sui qua li si e’ esercitata la revisione di giudizio
da parte di Pellegrino. In generale e’ tutta la vulgata della «strategia
della tensione» che esce drasticamente ridimensionata. Gladio, ad
esempio, era «una struttura giustificata dalla Guerra fredda»
ed e’ «difficilmente condivisibile» l' idea che fosse «lo
strumento operativo della strategia della tensione». Anche il piano
Solo (1964) e il ruolo del generale De Lorenzo appaiono a Pellegrino episodi
di natura tutto sommato dubbia, per i quali «probabilmente c' e’
stata un' enfatizzazione nel successivo trattamento giornalistico giudiziario»:
frutto di un ceto politico che «pur essendo nel complesso sostanzialmente
fedele alla Costituzione, si assumeva a volte la responsabilita’ di qualche
cosciente forzatura di fronte alle emergenze del momento». Sono parole
pesanti, ma perfettamente comprensibili nel quadro di quello che mi pare
lo sforzo piu’ meritorio di Pellegrino: lo sforzo di contestualizzare la
storia d' Italia alla luce dello scontro durissimo dominato dall' ambigua
presenza del Pci e del suo legame con l' Unione Sovietica. E, tuttavia,
«la verita’ - non esita a scrivere Pellegrino contraddicendo un altro
tradizionale luogo comune della «strategia della tensione»
- e’ che il Pci, almeno fino al 1989, non ha mai avuto una concreta possibilita’
di andare al governo semplicemente perché una sinistra comunista
e non socialdemocratica non e’ mai parsa alla maggioranza degli italiani
una credibile alternativa di governo». Aggiungendo poi che a suo
giudizio mai «il governo degli Stati Uniti si e’ deciso ad appoggiare
le spinte golpiste o paragolpiste italiane». Che naturalmente dunque
ci furono, cosi’ come ci furono le stragi: frutto, le une e le altre, del
connubio tra settori degli «apparati di forza» paranoicamente
sensibili al pericolo comunista e settori dell' anticomunismo di marca
neo fascista. Ai quali pero’ manco’ qualunque copertura politica effettiva,
ma non una colpevole volonta’ insabbiatrice, da parte del ceto di governo
democristiano, preoccupato nella sostanza che le indagini giudiziarie portassero
alla luce gli impegni segreti in ambito Nato e le connesse reti operative
(donde i depistaggi) ovvero compromettessero pubblicamente i Servizi. Il
tutto all' insegna non gia’ di una strategia made in Usa in funzione anti-Pci,
ma della variegata presenza sul territorio italiano di servizi stranieri
dell' Est e dell' Ovest impegnati in special modo nel controllo dello scacchiere
mediterraneo e nell' impedirvi qualunque ruolo di rilievo dell' Italia.
Gli spunti e le osservazioni contenuti nell' intervista di Pellegrino sui
quali si dovrebbe riflettere sono moltissimi, ma almeno su un' altra questione
vorrei fermarmi ancora: quella del terrorismo rosso. A proposito del quale
osservo di passata come, a differenza che in passato, oggi mi sembrano
convincenti le cose che ora il presidente della Commissione stragi afferma
circa la dinamica del delitto Moro (compiuto certo non per contrastare
l' incontro Pci-Dc, egli sottolinea) e circa l' importanza cruciale delle
carte del suo «interrogatorio» da parte delle Brigate Rosse
che personalmente, lo ammetto, avevo invece sempre sottovalutato. Nella
sostanza, oggi Pellegrino pensa che il terrorismo rosso, lungi dall' essere
stato il burattino di qualche subdola intelligenza volta a tutt' altri
scopi, come hanno a lungo creduto vasti settori dell' opinione pubblica
nazionale, abbia rappresentato viceversa la propaggine di quella vera e
propria «guerra civile a bassa intensita’» che e’ durata ininterrottamente
dal 1945 fino agli anni '80 (in barba ad ogni conclamato patto costituzionale
che pure ci fu, certo, ma anch' esso, evidentemente, dotato di un' intensita’
piuttosto relativa). Una guerra civile che vide schierata allora, dietro
o a fianco dei brigatisti - si legge nell' intervista - un' area contigua
non solo di un' ampiezza insospettabile (3-4 mila tra regolari e irregolari,
piu’ 30-40 mila simpatizzanti) ma, quel che e’ piu’ stupefacente, radicata
e ramificata soprattutto negli ambienti della classe dirigente di sinistra.
La borghesia media e alta delle professioni, del giornalismo, dell' universita’,
del sindacato e della cultura fece a gara nel mettere a disposizione delle
Br salotti, amicizie, protezioni e collegamenti di ogni tipo. Ha rivelato
uno dei carcerieri di Moro, Germano Maccari:«So con certezza che
oggi vi sono persone, magari giornalisti o sindacalisti che ricoprono incarichi
importanti, che allora tifavano ed erano onorate di avere in casa il cavaliere
impavido. Il terrorista, il guerrigliero era una figura affascinante, romantica,
ovviamente in quegli anni. Vi sono anche filosofi e sociologi, insomma,
l' intellighenzia di sinistra». Il presidente della Commissione stragi
e’ convinto che proprio in quest' area di contiguita’ si celi tuttora il
vero cervello politico delle Brigate rosse, rimasto pero’ fino ad oggi
sconosciuto. E proprio la cui presenza incognita ma nota a chi di dovere
(per esempio ai brigatisti e ai Servizi) o sospettata da altri, ha rappresentato
e rappresenterebbe ancora una continua fonte di ricatti e di complicita’
occulte, di intorbidamento profondo e continuo della vita pubblica del
Paese. Per disinquinare finalmente la quale, e chiudere una buona volta
la guerra civile italiana, Pellegrino propone che, sul modello sudafricano,
venga promesso a chiunque, in cambio della verita’, l' impunita’ penale
non solo per sé ma anche per tutti coloro che risultino coinvolti
dalle sue parole. Per quel che vale sono completamente d' accordo”.
14 novembre – Il presidente della commissione
stragi Giovanni Pellegrino commenta cosi’ l’ articolo di Galli della Loggia.“Mi
fa piacere che un intellettuale come Galli della Loggia, dopo le polemiche
accese che ci sono state tra di noi apprezzi, sia pur con alcuni distinguo,
il risultato finale a cui sono giunto sulle materie di indagine della commissione
e soprattutto colga il senso politico di cio' che suggerisco e che si approdi
ad una storia piu' serena”. “Credo - spiega - che si possa passare finalmente
questa materia agli storici sperando che il confronto tra loro non sconti
l' apriorismo pregiudiziale delle opinioni politiche”. Ad una domanda riguardante
i rapporti con il suo partito, Pellegrino risponde:“non penso di essere
del tutto isolato nei Ds. Diversi colleghi hanno letto il libro e l' hanno
apprezzato. Da alcuni sono venuti momenti di dissenso. Un forte apprezzamento
e' venuto da Giuliano Amato e quindi rincresce che l' annunciata presentazione
ufficiale del libro a Roma non sia ancora avvenuta”. Pellegrino parla infine
della “area di contiguita' alle Br. Non e' difficile ipotizzare che chi
allora faceva parte di questa area sia approdato nell' area moderata di
questo Paese”. Per quanto riguarda il “grande vecchio” pellegrino dice
che non doveva essere per forza una sola persona ma tante che “ruotarono”
in una area di contiguita' delle Br. “Quando parlo di questa figura, voglio
intendere un'area riferibile ad un milieu culturale di sinistra anche se
giudico non improbabile che protagonisti di questa stagione e che facevano
parte di quell'ambiente, facciano parte oggi dell'area moderata di
questo Paese. Alcuni percorsi apparenti sono in questo senso, e non troverei
quindi sorprendente che quelli apparenti siano doppiati da percorsi sotterranei”.
14 novembre - Walter Bielli, deputato dei
Ds e componente della commissione Stragi, spiega, ai microfoni di Radio
Radicale, di non condividere molto di quanto detto da Giovanni Pellegrino
nel suo libro: “Segreto di Stato”. Soprattutto per quanto riguarda Gladio
e la strategia della tensione. “Pellegrino - dichiara Bielli - introduce
alcune chiavi di lettura che in qualche modo non erano state indagate compiutamente.
Da questo punto di vista ha il merito di aver fatto qualche cosa di nuovo
e di interessante. Su alcune questioni pero' e' andato un po' troppo avanti
rispetto alle sue convinzioni non sempre suffragate da documentazioni.
Per esempio non condivido molto tutto il passaggio su Gladio e la strategia
della tensione. Non solo infatti Gladio c'era. Ma c'era qualche cosa che
andava oltre Gladio. Io vorrei discutere piu' dell'altro e Pellegrino invece
- prosegue - lo lascia un po' nell'ombra. In questi giorni dagli americani
ci viene detto quello che hanno fatto in Cile. Pellegrino ci dice che in
Italia gli americani non sono stati presenti in prima persona in mire di
tipo autoritario. Perche', chiedo a Pellegrino, avrebbero dovuto esserlo
in Cile e non in Italia?”. Bielli poi afferma di non condividere molto
la tesi secondo la quale le Br non sarebbero state condizionate da nessuno.
“Pellegrino - dichiara Bielli - apre una nuova finestra sul terrorismo
rosso quando dice che oltre ai brigatisti c'erano anche quelli che in qualche
modo li sostenevano e poi c'era quell'area di contiguita' che senza sostenerli
in prima persona gli permetteva di agire. Quando pero' si dice che le Br
sono state quelle che hanno detto di essere - sottolinea - si sottovaluta
che qualcuno ha fatto in modo di intervenire su questi personaggi e li
ha anche molto condizionati. Basta pensare per esempio al ruolo di Senzani.
Su questi aspetti - conclude Bielli - forse si sottacciono alcune questioni
alle quali sarebbe bene invece guardare con piu' attenzione”.
14 novembre – In comissione stragi sono
arrivate migliaia di pagine frutto del lavoro di ricerca svolto negli archivi
della Cia da Gianni Cipriani, uno dei consulenti della commissione. I documenti
portati da Cipriani in Italia riguarderebbero i fatti piu' importanti avvenuti
in Italia dal dopoguerra in poi e conterrebbero le schedature molto
dettagliate di alte personalita' della politica e del mondo dell'industria.
Tra le notizie contenute nella documentazione, quella che gli Stati Uniti
erano a conoscenza del golpe Borghese gia' dall'agosto del 1970, cioe'
ben quattro mesi prima che avvenisse l'operazione.
14 novembre - L'avvocato Giuseppe De Gori
attacca Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione stragi:“Per il
suo libro si e' ispirato largamente a quanto dissi nel corso della mia
audizione in commissione stragi”. “Vengo regolarmente saccheggiato - dice
l'avvocato di parte civile della Dc nei 5 processi Moro - su quanto scrivo
sul caso Moro, sul terrorismo, sulla Commissione Stragi. L'8 luglio 1998
venivo ascoltato dalla Commissione Stragi. Qualche giorno fa in un libro
intervista il sen. Pellegrino faceva proprie con opportune, anche se ridicole,
modifiche quanto da me dichiarato alla Commissione. Per esempio io parlavo
di 5 mila brigatisti tra regolari ed irregolari, sul libro-intervista veniva
riportato il numero di 3 o 4 mila. Lo stesso dicasi sull' 'area di contiguita’’
e di favoreggiamento Br: io ho detto 50 mila, il saggio parla di 30-40
mila. Il giorno 13 novembre l'agenzia di stampa 'Repubblica' anticipa un
mio editoriale in tema sul suo sito internet e puntualmente in data odierna
sul 'Corriere della Sera', con l'editoriale 'Il grande vecchio e' tra di
noi' Ernesto Galli della Loggia fin dalle prime righe si appropria di quanto
da me scritto su Repubblica. Attendo spiegazioni e scuse da parte di Pellegrino”.
14 novembre - Dalle pagine di un giornale
di Francoforte, Friedrich Schaudinn,condannato in Italia a 22 anni per
l'attentato al rapido treno Napoli-Milano, nel dicembre 1984, del quale
si dice totalmente estraneo, lancia accuse pesanti alla giustizia italiana,
e in particolare al responsabile dell'Antimafia Pierluigi Vigna. Schuadinn,
di professione tecnico e all'epoca residente con la famiglia a Ostia, fu
condannato con l'accusa di essere stato il costruttore del sistema di accensione
dell'ordigno esploso mentre il treno percorreva il tratto ferroviario Firenze-Bologna
e che costo' la vita a 15 persone. Grazie a una soffiata dell'ambasciata
tedesca, come racconta alla 'Frankfurter Rundschau', Schaudinn, il quale
oggi ha 61 anni, riusci' a fuggire in Germania poco prima della sentenza
nell'88. Da allora tutti i ricorsi fino alla Cassazione sono stati respinti
dalla giustizia italiana che lo cerca con un mandato di cattura internazionale.
Dall' '88 Schaudinn non ha mai lasciato la Germania.Finora poteva stare
tranquillo: da una parte la procura di Francoforte, in due verifiche del
suo caso, ha contestato gli estremi dell'accusa italiana, e, dall'altra,
la legge tedesca, finora, non consentiva l'estradizione di cittadini della
Germania verso stati Ue. Da due settimane, pero', il governo ha modificato
la legge e Schuadinn teme di essere arrestato ed estradato. Secondo Schaudinn,
pero’, e' improbabile pero' che l' Italia insista per l'estradizione perche'
il caso verrebbe riaperto e la verita' verrebbe a galla: “non vogliono
clamore”, afferma. Schaudinn sostiene che la sola prova addotta contro
di lui dai procuratori, Vigna incluso, fu il nome di un mafioso trovato
nell'indirizzario della sua ditta di allarmi. Il suo caso era una rotella
“nell'ingranaggio della giustizia italiana”, disse l'allora portavoce della
procura di Francoforte Hubert Harth. Nel 1993, racconta ancora Schaudinn,
quando studiava a Francoforte per avere la licenza di tassi', Vigna addirittura
lo accuso' dell'attentato agli Uffizi a Firenze. Tentativi di indurlo a
pronunciarsi sul caso sono finiti tutti nel vuoto.
15 novembre - Il gip di Brescia Francesca
Morelli decidera' nei prossimi giorni se interrogare, con la formula dell'incidente
probatorio, Carlo Digilio, nell'ambito dell'inchiesta sulla strage di Piazza
Loggia. L'incidente probatorio e' stato chiesto dai pm Roberto Di Martino
e Francesco Piantoni a causa delle cattive condizioni di salute di Digilio,
personaggio legato all'eversione nera ed ora collaboratore di giustizia,
le cui dichiarazioni sono risultate fondamentali nel processo per la strage
della Questura di Milano e che sono al vaglio dei giudici della seconda
Corte d'assise di Milano, davanti ai quali si sta celebrando il processo
per la strage di piazza Fontana. Digilio, detto 'Zio Otto', con le sue
dichiarazioni ha coinvolto nove persone che ora potranno presentare opposizione
alla richiesta di incidente probatorio. Tra le persone coinvolte da Digilio
c'e' anche Felix Marie Guillon, meglio noto come 'Guerin Serac', francese,
ex direttore del centro spionistico legato alla Cia e camuffato dall' agenzia
di stampa 'Aginter Press'. Digilio ha chiamato in causa anche Giovanni
Maifredi, genovese, ex guardia del corpo del ministro Taviani e indagato
per il Mar di Carlo Fumagalli (anche Fumagalli e' stato sentito nei mesi
scorsi dai pm bresciani sulla strage). Inoltre ha coinvolto Arturo Francesconi
Sartori, padovano, e Angelo Pignatelli, ex ufficiale dei carabinieri, processato
e poi assolto perche' accusato del depistaggio delle indagini sulla strage
di Peteano. Interessati dell'eventuale incidente probatorio sono anche
Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, entrambi imputati al processo per la strage
di piazza Fontana e l'ex collaboratore dei servizi Maurizio Tramonte, meglio
noto come 'Fonte Tritone'. Digilio ha chiamato in causa anche il generale
dei carabinieri Francesco Delfino, all'epoca della strage comandante del
nucleo operativo dei carabinieri di Brescia. Per quanto riguarda l'esistenza
del cosiddetto 'Nostro Servizio' (la struttura parallela ai servizi segreti)
gli atti inviati dai pm bresciani alla Commissione stragi proverrebbero
in gran parte dall'archivio affari riservati del Viminale. A quanto si
e' appreso i sospettati di appartenere al Sid parallelo sarebbero stati
ad un livello “piu' alto” rispetto ai presunti ideatori ed esecutori materiali
dell'eccidio.
15 novembre – Alcuni quotidiani pubblicano
notizie su una relazione tecnica per la Procura di Brescia, giunta a San
Macuto, il palazzo nel centro di Roma che ospita gli uffici della commissione
stragi. Nei documenti la struttura viene chiamata semplicemente "il noto
Servizio". In giornata il documento viene reso noto. Il 'noto servizio'
sarebbe una struttura parallela, un servizio composto da imprenditori,
industriali, ex ufficiali o badogliani o “repubblichini”, come ad esempio
lo scomparso Giorgio Pisano', ma anche religiosi, come Padre Zucca, entrato
nelle cronache per per aver trafugato la salma di Benito Mussolini a Milano.
E Adalberto Titta, l'uomo che entrava e usciva a suo piacimento dalle carceri
italiane durante le frenetiche trattative con le Br di Giovanni Senzani
che avevano nelle loro mani l'assessore Dc Ciro Cirillo, ma anche Tom Ponzi,
l' investigatore privato che si afferma fosse legato alla destra estrema.
Il “noto servizio” poteva contare su un buon numero di uomini (164 nel
1972) che costavano diversi miliardi l'anno e che avevano il compito di
predisporre anche i piani per uccidere uomini politici (con finti incidenti
stradali) o per fare rapimenti (tra gli obiettivi, il sindaco di Milano
Aniasi, ma anche Mario Capanna e Giangiacomo Feltrinelli). Uomini che si
appoggiavano prevalentemente ai carabinieri, ma anche al Sid, avendo un
rapporto mediato - come si afferma in piu' punti nelle “veline” citate
dalla relazione - con Giulio Andreotti. Tra questi uomini troviamo nomi
noti del mondo politico-affaristico, come Felice Fulchignoni, ma anche
illustri sconosciuti. Una struttura parallela che nasce con la fuga del
generale Roatta, nel marzo 1945. Nei documenti compare anche Jordan Vesselinov,
un bulgaro che potrebbe aver avuto un ruolo centrale nel finanziamento
dei gruppi estremisti di destra, massone coperto, e consuocero di Igor
Markevitch, l'uomo di cui si e' parlato lo scorso anno come possibile “anfitrione”
delle Br. Nella relazione, che espone in gran parte informative sul 'noto
servizio', si indicano come uomini centrali della struttura Padre Zucca,
Pisano', Titta, Fulchignoni e Sigfrido Battaini, che si appoggiavano prevalentemente
su un ufficiale dei carabinieri a Milano (il maggiore Pietro Rossi), con
un ufficio in via Statuto, e uno a Roma. “Battaini - e' scritto in una
informativa - dispone di notevoli masse di denaro e tiene il proprio deposito
armi, munizioni e automezzi presso la caserma dei Carabinieri di via Moscova.
Il servizio dispone anche di un aereo e di un elicottero che sono depositati
presso un campo di aviazione in territorio svizzero, a pochi chilometri
dal confine italiano”. Si cita il “noto servizio” per piazza Fontana, la
strage di Brescia, il Mar di Fumagalli, l'attivita' del 'bombardiere nero'
Gianni Nardi, con un riferimento anche ai sequestri, al riciclaggio dei
soldi derivanti da sequestri (Cristina Mazzotti) e ai contatti con lo storico
boss mafioso Luciano Liggio. La struttura, almeno nelle carte citate nella
relazione inviata da Brescia a San Macuto, avrebbe avuto un rapporto privilegiato
con Giulio Andreotti (si citano soprattutto carte degli anni Settanta),
e si riportano informative e veline che attribuiscono al senatore a vita
il ruolo di fomentatore della destra eversiva (cui arrivano armi ed esplosivi)
tramite alti ufficiali dell'Arma (ad esempio il generale Jucci, che inizio'
il rapporto con la Libia all'inizio degli anni Settanta) e guastatori che
operavano in Sardegna (un riferimento a Capo Marrargiu, sede di Gladio?).
Sulla base di molte vecchie testimonianze, di riscontri documentali e di
verifiche incrociate sui documenti ritrovati negli archivi da Aldo Giannuli,
il perito dei magistrati di Brescia Roberto De Martino e Francesco Piantoni,
si afferma in sostanza che sotto la denominazione di “noto servizio”, locuzione
questa che potrebbe sottendere un ben preciso nome, si e' nascosta la struttura
definita come “Super-Sid” e “Supersismi”, e che si ipotizzo' essere la
struttura italiana di Stay Behind, cioe' Gladio. E si ricorda tra l'altro
che Andreotti, presentando Gladio a San Macuto, titolo' la sua relazione
“Il 'cosiddetto Sid parallelo' e l'operazione Gladio”: cioe' un “servizio
segreto clandestino, irregolare”, ma comunque “innestato sul tessuto istituzionale”.
E si sostiene che questa struttura possa aver ospitato al suo interno personaggi
di primo piano dell'eversione degli anni Settanta; che l'azione di alcuni
personaggi, indicati come membri della struttura, possa essersi intrecciata
con la strage di piazza Fontana; che questo servizio possa essere in qualche
modo “connesso” alla strage di Piazza della Loggia (“anche se non necessariamente
come mandante o organizzatore”), al punto che le indagini hanno potuto
portare a questa struttura. Adalberto Titta, ex maggiore dell' aeronautica
morto otto mesi dopo il rilascio di Ciro Cirillo per un infarto che il
giudice Carlo Alemi, che ha indagato sul rapimento Cirillo, definisce “strano”,
compare come collaboratore esterno del Sismi nella trattativa con la Nuova
Camorra organizzata di Raffaele Cutolo per arrivare alla liberazione dell'
assessore Dc napoletano sequestrato dalle Brigate rosse il 27 aprile 1981.
Titta era in ottimi rapporti con l' avv. Francesco Gangemi, testimone di
nozze di Cutolo. Un paio di settimane dopo il rapimento, Titta, insieme
al col. Belmonte, accompagno' nel carcere di Ascoli Piceno l' ex sindaco
di Giugliano, Giuliano Granata, collaboratore di Cirillo, il camorrista
Vincenzo Casillo (in contatto con i servizi segreti e poi ucciso dall'
esplosione di un'autobomba) e Corrado Iacolare, per trattare l' intervento
di Cutolo. Cutolo in seguito ha affermato che Titta gli mostro' un 'foglio
di scarcerazione', ma che lui si fece “una risata perche' capivo che la
cosa non era possibile”. In seguito il giudice Alemi ha dichiarato che
diversi di quelli che in un modo o nell'altro avevano partecipato alla
trattativa o ne erano al corrente, tra cui Casillo, Titta, Nicola Nuzzo,
Luigi Bosso, Salvatore Imperatrice, Aldo Semerari, Maria Fiorella Carraro
sono morti “prematuramente”, di morte naturale, suicidi o assassinati.
Il nome di Felice Fulchignoni e' comparso nelle cronache il 25 gennaio
1985, quando fu arrestato nell' ambito dell' inchiesta della magistratura
milanese sulle tangenti pagate dalla societa' di costruzioni edilizie Icomec
per ottenere appalti di opere pubbliche. Originario di Messina, all' epoca
Fulchignoni aveva 70 anni, ed era un uomo d' affari e giornalista professionista,
molto legato al segretario del Psdi Pietro Longo (il cui nome era nei presunti
elenchi della P2 sequestrati a Castiglion Fibocchi). Con Longo, Fulchignoni,
alcuni anni prima, aveva fondato una agenzia giornalistica. Nella sua abitazione
furono sequestrati circa settecento fascicoli contenenti informazioni,
tra l' altro, sull' attivita' di grandi imprese e sulla costituzione di
societa' all' estero. Fulchignoni fu accusato di concorso in concussione
per una somma di oltre un miliardo e mezzo, versati dalla Icomec per essere
inserita nell' elenco delle ditte che partecipavano all' appalto per la
costruzione della centrale idroelettrica di Edolo (Brescia). La sua posizione
fu pero' stralciata per gravi motivi di salute. Nella vicenda furono coinvolti
diversi personaggi finiti poi in “Tangentopoli” come Gianfranco Troielli,
Massimo Berruti, Antonio Natali, Fortunato Nigro e Salvatore Curcio. Padre
Enrico Zucca, morto il 16 luglio 1979 nella clinica di Ponte San Pietro
(Bergamo) all' eta' di 73 anni, e' stato priore del convento dell' Angelicum
di Milano e fondatore e presidente a vita della Fondazione Balzan, che
ha sede a Zurigo, in Svizzera. Il suo nome e' tra l' altro legato al trafugamento
del cadavere di Benito Mussolini, avvenuto nel 1946, dal cimitero di Musocco
(Milano). Il corpo fu consegnato a padre Zucca. Lo Stato italiano lo restitui'
alla famiglia solo nel 1957. Per questa vicenda padre Zucca fini' in carcere
per un mese e mezzo. Nel 1957 padre Zucca partecipa alla creazione della
“fondazione Balzan” con i soldi dell' eredita' di Eugenio Balzan, ex direttore
amministrativo del “Corriere della sera”, per la gestione della quale avra'
continue dispute giudiziarie con l' avv. Ulisse Mazzolini, esecutore testamentario
della famiglia Balzan, e con il governo svizzero. Nel 1976 il frate finisce
ancora in carcere per una sola notte, accusato di reticenza in un' inchiesta
sul finanziere Franco Ambrosio. Durante il caso Moro, padre Zucca,
Presidente della Fondazione Balzan avrebbe messo a disposizione una cifra
di due milioni di dollari, con l'impegno a trovarne molti di piu' (si parlo'
di 50 milioni di dollari) grazie all' aiuto di anche e imprenditori italiani
e stranieri o ricorrendo ai fondi dell' Istituto. Fu lo stesso frate a
parlarne a fine maggio 1978, sostenendo di aver incontrato un brigatista
in un confessionale di una chiesa di Milano, verso la fine di aprile del
1978 e di aver avuto la disponibilita' a trattare e addirittura un invito
a visitare il presidente della Dc nella “prigione del popolo”. Secondo
padre Zucca, della tentata trattativa, sarebbero stati al corrente l' allora
presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che pero' non avrebbe mai risposto
alle lettere di Zucca, e il governo federale svizzero, che replico' di
essere completamente all' oscuro della vicenda, aggiungendo che padre Zucca
era stato espulso nel 1965 dal consiglio della Fondazione Balzan, su decisione
del ministero dell' Interno federale. A sua volta Zucca replico' che i
due milioni di dollari provenivano dai fondi del ramo francese della fondazione,
di cui lui aveva la disponibilita'. La Procura di Brescia apre, con l'invio
in Commissione stragi del rapporto sul 'noto servizio', la struttura parallela
che avrebbe operato in Italia dal '43 al '90, una partita forse decisiva
per capire quale e' stata la portata della 'politica occulta' nel gioco
democratico nel nostro Paese e costringe anche, se venisse verificata,
a rivedere la questione Gladio ed anche lo scontro politico che la contraddistinse.
Se e' vero che quello dell'ottobre 1990 fu "un osso" gettato da Andreotti
per tutelare altre strutture, questa in particolare, verrebbero confermati
gli elementi, indiziari e anonimi, che sembrano collegare il 'noto servizio'
al senatore a vita che quando invio' San Macuto il suo dossier per illustrare
Gladio lo titolo', con una malizia che ora fa riflettere, "Il cosiddetto
'Sid parallelo' e l'operazione Gladio". L'ipotesi da cui si parte - una
struttura civile, infarcita di ex Salo', imprenditori, religiosi, e uomini
'dell'ombra', posti all'incrocio tra affari e politica e che e' intervenuta
in tanti ambiti, ben oltre il limite della raccolta di informazioni e anche
con presunte uccisioni - e' ben grave e poggia per ora solo sulle
veline e vecchi riscontri documentali "coerenti" con carte trovate in archivi.
Dal quadro delineato emerge un mix che vede spuntare il riciclaggio dei
proventi dei sequestri, i progettati rapimenti di esponenti politici, i
contatti con Liggio e l'utilizzo a fini politici della destra eversiva
(Mar, Gianni Nardi) ma anche tracce interessanti che portano a piazza Fontana
e alla strage di Brescia. Sullo sfondo della struttura, sulla base di diversi
passaggi, quasi tutti tratti da informative anonime, il profilo di Giulio
Andreotti, accusato, sulla base di un vecchia velina anonima che e' anche
pubblicata negli atti della Commissione P2, di fomentare e foraggiare i
gruppi della destra eversiva. Il 'noto servizio' comunque sembra poggiare
su snodi importanti, come, ad esempio, il tentativo di fondare un nuovo
partito cattolico a meta' degli anni Settanta che divenne poi l'oggetto
principale, con i riferimenti alle forniture militari alla Libia, del famoso
dossier M.Fo.Biali. Tra gli uomini della struttura spicca Giorgio Pisano',
indicato,piu' volte, come "canale" di contato con i carabinieri che sembrano
essere, nell'architettura delineata dalla relazione, i referenti principali
della struttura civile che aveva mani libere nell'azione pur di mantenere
l'Italia nel campo occidentale evitando, a questo punto con qualsiasi mezzo
utile, l'arrivo al potere della sinistra. Nella caserma di via Moscova,
a Milano, erano le armi della struttura e a due passi vi era la sede principale.
Adalberto Titta sembra assumere i contorni del capo operativo, mentre altri
uomini si adoperano in campo imprenditoriale ed economico. Da citare che
nel 1974, quando tra i primi parlo' di una struttura occulta dei servizi,
Roberto Cavallaro affermo' che il "Sid parallelo" aveva al suo interno
anche imprenditori e questa struttura si infiltrava, utilizzandoli, sia
in gruppi di destra estrema sia di sinistra estrema. A Brescia poi operava,
come ufficiale pagatore del Mar, Jordan Vesselinov, un uomo probabilmente
centrale per capire certi intrecci. Tutto il dossier allude a cose molto
gravi ma poggia su testimonianze e riscontri deboli, per ora: data la notoria
riservatezza di magistrati di Brescia e la loro rigorosita' e' facile intuire
che ben altro ci sia nei cassetti della Procura sul 'noto servizio' e che
quindi si dovranno attendere quei documenti per dare una valutazione compiuta
della ipotesi di quello che sembra essere l'ultimo cassetto della politica
occulta in Italia. Certi nomi, come Adalberto Titta, che e' il vero e proprio
'prezzemolo' del caso Cirillo, e Padre Zucca, che compare in tante
vicende quantomeno complesse ed anche come colui che raccolse un ingente
somma per un eventuale riscatto per salvare la vita ad Aldo Moro, sono
molto indicativi.
15 novembre - Athos De Luca, capogruppo
Verde in Commissione stragi, chiede al governo chiarezza sul “servizio
segreto parallelo” scoperto dai magistrati che indagano sulla strage di
Brescia, “scoperta che, se confermata, costringerebbe a rivedere il periodo
dello stragismo sotto una luce nuova”. De Luca chiede in particolare di
aprire gli archivi della Presidenza del Consiglio. Il documento dei magistrati,
sottolinea il senatore, descrive “una sorta di superservizio” attivo fino
al 1990 “a carattere prevalentemente civile (ma a guida militare) composto
da industriali, ex partigiani bianchi e reduci di Salo”' che aveva per
scopo “di ostacolare l'avvento al potere delle sinistre”. Per fare chiarezza,
De Luca chiede dunque al governo “di avviare un'indagine immediata negli
archivi della presidenza del Consiglio per verificare l'esistenza di questa
struttura e di riferire al Paramento, in aula e in commissione stragi”.
I punti da chiarire, secondo il senatore verde, sono: se e quando questo
organismo e' esistito; se sia stato un servizio segreto; quali rapporti
abbia avuto con lo stragismo; quale rapporto con la struttura segreta Gladio.
“Sarebbe gravissimo, se, come avvenuto per Gladio” afferma De Luca, l'esistenza
di questo superservizio fosse stato tenuto segreto “ai governi e al Parlamento”.
Il comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti chiedera'
alla procura di Brescia di poter acquisire gli atti relativi all'inchiesta
sul 'Noto servizio'. “Proporro' ai colleghi del Comitato - ha detto Franco
Frattini Presidente del Copaco - di fare richiesta alla Procura di Brescia
per ottenere la documentazione gia' inviata alla Commissione Stragi. Da
quanto si apprende - osserva inoltre - questa documentazione rappresenta
un capitolo rilevante nella storia delle deviazioni dei servizi segreti”.
Frattini che si dice “sorpreso” per l'esito dell'inchiesta di Brescia plaude
invece per “la riservatezza con la quale la procura ha proceduto nell'indagine”.
15 novembre - “Non ne so niente, sono a Pechino
e non mi curo veramente di queste cose”, ha detto Giulio Andreotti raggiunto
telefonicamente dall'Ansa a Pechino per un commento sulla documentazione
presentata dalla procura di
Brescia alla Commissione stragi. “Non ho mai
avuto rapporti ne' segreti ne' non segreti – ha aggiunto Andreotti - Si
vede che a qualcuno da' fastidio che io non sia ancora morto”. Andreotti,
che e' in Cina da una settimana a capo di una delegazione dell'Istituto
italo-cinese, rientra domani in Italia.
15 novembre – Per Walter Bielli, capogruppo
Ds in commissione stragi, il libro di Giovanni Pellegrino, 'Segreto di
stato', ha “aperto una finestra” sugli anni delle stragi e del terrorismo,
ma restano ancora “altre finestre” da aprire. Bielli tiene a precisare
che il libro di Pellegrino “non smentisce la relazione presentata dai Ds”
sulle stragi fino al 1974, e non nega il ruolo di Gladio. Quanto all'ingerenza
Usa nella politica italiana, che Pellegrino invita a non enfatizzare, per
Bielli “c'e' stata ed ha agito pesantemente”. Anche se, osserva, sono state
le amministrazioni piu' conservatrici ad aver agito per bloccare le sinistre
in Italia. Quanto alle Br, Bielli condivide il giudizio che si e' trattato
di un “fenomeno soprattutto nazionale”, ma sostiene che soprattutto nel
caso Moro “sono state vastissime le infiltrazioni” da parte di “tutti i
servizi segreti, non quelli di una parte sola”.
15 novembre - Il giudice veneziano Carlo
Mastelloni. Il magistrato si era imbattuto nell'organizzazione segreta
“Gladio” indagando come giudice istruttore sulla caduta dell' aereo dei
servizi segreti Argo 16, commenta.“Si e' sempre sostenuto, dopo la
scoperta di 'Gladio', che il Sid parallelo potesse identificarsi
con esso. Se invece per Sid parallelo si intende una struttura ulteriore
mai emersa, con gerarchie occulte, allora ne e' plausibile la pregressa
esistenza”.
15 novembre - Le rivelazioni della relazione
della procura di Brescia alla Commissione stragi, secondo il deputato di
An Enzo Fragala', sono la solita “leggenda metropolitana” della sinistra
vittima dei servizi segreti e dell'estrema destra. Secondo Fragala', questi
documenti servono ai magistrati per ottenere “l'ennesima proroga” per le
loro inchieste. “Bisogna leggere questa relazione - afferma il deputato
- per capire come ancora in Italia vi siano procure che svolgono le loro
indagini su informative anonime, reperite dal consulente di turno presso
o l'archivio dell'ufficio affari riservati, o addirittura dell'Istituto
Gramsci”. “E' grave - continua - che fonti anonime e palesemente inattendibili
trovino ingresso in indagini giudiziarie e poi vengano inviate ad una commissione
parlamentare nonostante contengano calunnie e denigrazioni ai danni di
soggetti istituzionali di alto rilievo.”
15 novembre - “Il Sid parallelo? E' solo
un' ipotesi contenuta nella relazione di uno dei consulenti della procura
di Brescia. Non c'e' per ora alcuna prova certa...”. Giovanni Pellegrino,
presidente della Commissione Stragi, minimizza cosi' ai microfoni di Radio
Radicale la notizia dell' esistenza di un servizio segreto parallelo contenuta
in un documento trasmesso dai giudici bresciani a S.Macuto. “La relazione
che ci e' arrivata e che peraltro per me e' ancora coperta da segreto istruttorio
- osserva Pellegrino - contiene solo una pura ipotesi. Parla di alcune
informative, peraltro anonime, secondo le quali ci sarebbe stata in Italia
una struttura segreta diversa da Gladio”. “Se la procura di Brescia - aggiunge
- ci ha mandato questa consulenza vuol dire che senz'altro avra' anche
altri riscontri. Ma per ora noi non abbiamo altro se non questa relazione
fatta da Aldo Giannuli che peraltro e' anche un consulente della commissione
Stragi”. “L'idea che mi sono fatto io - prosegue Pellegrino - e' che all'epoca
esistesse una pluralita' di reti clandestine composte per lo piu' da civili
che agivano spesso in concorrenza tra di loro o coprendosi le malefatte
a vicenda. Parte di queste strutture rispondeva al famoso ufficio Affari
Riservati del Viminale e parte al servizio segreto militare”.
15 novembre - "Certamente, per quel che
mi riguarda, e' credibile il fatto che volessero rapirmi o uccidermi, e
anche che volessero rapire o uccidere altre persone": cosi' Aldo Aniasi,
ex sindaco socialista di Milano, commenta le notizie relative al 'noto
servizio' che lo riguardano. Aniasi, che e' attualmente presidente della
direzione provinciale milanese Ds, racconta che, a partire dagli anni '70,
avverti' un clima di minaccia intorno alla sua persona: "Ebbi piu' di un
avvertimento - spiega senza pero' precisare i singoli episodi - e poi minacce,
e mi accaddero episodi stranissimi. Quindi per me e' credibile che qualcuno
volesse rapirmi o attentare alla mia vita". "Non sono invece in grado -
conclude Aniasi - di dare giudizi sul resto delle questioni relative all'operato
o agli obiettivi di questo 'noto servizio'".
15 novembre - Massimo Brutti, sottosegretario
agli Interni, spiega che la notizia dell' esistenza di un apparato di intelligence
super riservato non e' "del tutto inedita" e ricorda come nel 1990 Andreotti
parlo' per la prima volta di Gladio. "Ricordo bene quei giorni. Come gruppo
parlamentare presentammo una mozione che impegnava il governo a riferire
entro 60 giorni sull'esistenza di un super servizio segreto parallelo.
E con nostra grande sorpresa Andreotti fece propria quella mozione. Noi
infatti - aggiunge Brutti - ne avevamo gia' sentito parlare. Conoscevamo
alcuni dei documenti di cui parla ora la Procura di Brescia. Come ad esempio
quello rinvenuto tra le carte di Craxi. E scrissi di questo 'super servizio'
nella relazione del comitato di controllo sui servizi dell'ottobre 1995.
Presentammo quindi una mozione - racconta - nell'agosto 1990. E Andreotti
tra lo stupore generale, visto che prima aveva sempre negato l'esistenza
di una struttura del genere, la fece propria. Ma spiego', e considerammo
questa una sorta di ammissione, che siccome si trattava di cosa estremamente
riservata ne avrebbe parlato in Commissione Stragi. Fu a quel punto - prosegue
Brutti - che tiro' fuori la storia di Gladio. Subito dopo pero' Andreotti
revoco' la delega al Sismi su segreto di Stato e Ucsi tenendola prima per
se' e poi affidandola, prima volta nella storia, ad un civile e cioe' all'ambasciatore
Fulci allora capo del Cesis". Brutti sottolinea quindi che di questo superservizio
segreto se ne parlo' anche nel processo Borghese e in quello sulla Rosa
dei Venti. "La notizia dell' esistenza di un super organismo occulto all'
interno del Servizio segreto militare - scrive Brutti nella sua relazione
del 1995 - non poteva considerarsi del tutto inedita nel 1990 essendo gia'
piu' di una volta affiorata nella tormentata vicenda delle indagini giudiziarie
sui fenomeni di eversione e di deviazione degli apparati dello Stato".
"Alcune testimonianze - prosegue Brutti - a proposito di una struttura
occulta operante nel Sid furono raccolte nel 1974 dal giudice Giovanni
Tamburino, che indagava sull'organizzazione eversiva Rosa dei Venti'. Il
14 dicembre 1977 il generale Vito Miceli interrogato nel processo per il
Golpe Borghese, che si svolgeva davanti alla Corte d'Assise di Roma, ammise
esplicitamente l'esistenza di un organismo occulto nell'ambito del Servizio
segreto Italiano. Vi fu anche - prosegue Brutti nella sua relazione - una
specifica indagine giudiziaria conclusasi con l'archiviazione il 22 febbraio
1980. Il presidente del Consiglio Andreotti aveva risposto il 4 ottobre
1978, alla Procura della Repubblica di Roma escludendo con una formula
estremamente ambigua l'esistenza dell'organismo occulto".
15 novembre - Francesco Cossiga commenta
cosi', intervistato dal GR1, le notizie sulla relazione che ha svelato
i contorni del 'noto servizio':"Non so niente di tutto questo; solo che
penso che una procura della Repubblica se ha elementi non deve trasmettere
atti ma iniziare azioni penali e non aspettare l' uscita del libro, che
non gli sara' andato bene, del sen. Pellegrino". Cossiga risponde anche
ad una domanda sulla fondatezza o meno della "strategia della tensione":
"Non sono in grado perche' non ne ho mai saputo nulla e nessuno me lo ha
mai chiesto pur essendomi presentato 68 volte alle commissioni di inchiesta
e all' autorita' giudiziaria".
15 novembre - Vincenzo Manca, videpresidente
della Commissione Stragi e senatore di Forza Italia, invita alla prudenza:.
"Non emerge dalle indagini - afferma Manca - il profilo di una struttura
segreta tale da meritare il nome di Sid parallelo o super Sid. Si intravedono
solo le ombre di un possibile agglomerato, mutevole nel tempo, di 'esperti'
gia' appartenenti a strutture clandestine risalenti all'epoca della Repubblica
Sociale, e di professionisti e di imprenditori organizzati in una struttura
di natura 'volontaristica' forse usata, ma senza che il rapporto ne indichi
specifiche prove a suffragio, da spezzoni di servizi segreti del nostro,
o di altri paesi, in funzioni non specificate di 'anticomunismo militante'".
Vincenzo Manca loda la serieta' dei giudici di Brescia e li invita a proseguire
"nell'attivita' di accertamento su questa materia informando la Commissione
dei progressi fatti ed eventualmente offrendo ai magistrati l'opportunita'
di esporre direttamente in audizione quanto essi ritengono opportuno sull'
argomento".
16 novembre - I parlamentari di An Enzo
Fragala' e Alfredo Mantica chiedono che il generale Roberto Jucci venga
ascoltato al piu' presto dalla Commissione Stragi dopo la pubblicazione
del documento della procura di Brescia secondo il quale esisteva un super
servizio segreto parallelo nel quale l' alto ufficiale avrebbe avuto un
ruolo facendo capo a Giulio Andreotti. Notizie che sono contenute in veline
anonime. "Ogni volta che la sinistra cerca di muovere le acque - dichiara
Enzo Fragala' - fa autogol. Infatti, in questa vicenda, e' stata chiamata
in causa un'alta personalita' come quella del generale Jucci. Lo stesso
che ebbe l'incarico anche durante il governo D'Alema di occuparsi della
riforma dei servizi segreti".
16 novembre - Il deputato di An Enzo Fragala'
definisce "spazzatura" il documento trasmesso dalla procura di Brescia
alla commissione Stragi nel quale si parla di un super servizio segreto
parallelo e annuncia che la Casa delle Liberta' si opporra' ad ogni richiesta
di proroga delle indagini sulla strage del 1974 in piazza della loggia.
"E' chiaro che la procura - ha detto Fragala' in una conferenza stampa
- ha trasmesso sua sponte quel documento per ottenere l'ennesima proroga
delle indagini sulla strage di Brescia. Ma faro' di tutto affinche' la
Casa delle Liberta' si opponga a questo. Basta, sono passati piu' di 20
anni e' ora di finirla. Anzi chiederemo al ministro della Giustizia come
mai questa indagine continua ancora". Il parlamentare ha quindi detto che
presentera' "un' interpellanza urgente per capire come mai in certe procure
si dia tanta rilevanza a documenti anonimi. Documenti peraltro costruiti
a tavolino". "E' grave - ha aggiunto - che un' indagine cosi' delicata
e importante come quella sulla strage di Brescia sia affidata a magistrati
che si comportano in questo modo". Magistrati che Fragala' definisce "sepolcri
imbiancati" visto che "hanno addirittura aperto un'indagine per capire
come sia stata possibile la fuga di notizie sul documento. Mentre sanno
benissimo che la notizia ai giornali e' arrivata da Brescia non certo dalla
commissione".
16 novembre - Il generale Gianadelio Maletti,
raggiunto telefonicamente in Sud Africa dove vive, commenta cosi' la notizia
di un super Sid parallelo contenuta nel documento inviato dalla Procura
di Brescia alla commissione Stragi:"Non posso smentire, ne' confermare.
Non ho mai individuato infatti una struttura parallela di questo tipo".
"No - dichiara Maletti - non so cosa sia stato scritto in questi giorni
sui giornali italiani semplicemente perche' dove abito non ne arrivano.
Di Gladio si', so qualcosa. Ma di questa super struttura segreta che avrebbe
fatto capo ad Andreotti non ne so nulla. Non so se sia mai esistita". Interrogato
poi sui vari nomi, come ad esempio quello di Tom Ponzi, di cui si parla
nel documento bresciano, Maletti risponde: "Tom Ponzi? Per quanto mi ricordo
in quegli anni era in Svizzera".
16 novembre - Miriam Tomponzi, figlia di
Tom Ponzi, indicato come componente del super-servizio segreto parallelo,
commenta:"Se ci mettessimo anche noi 50 anni per scoprire i segreti, non
avremmo piu' un cliente. Quello di cui si parla e' un ridicolo rapporto
di quattro pagine dattiloscritte su carta bianca e non firmate. Vorrei
dire agli investigatori istituzionali di venire a studiare intelligence
presso la nostra agenzia, perche' se fosse vera l' esistenza di una struttura
del genere, facciamo i complimenti alla solerzia e all' efficienza degli
investigatori che hanno impiegato 50 anni per scoprire una organizzazione
di tale portata. Ci complimentiamo per il buon gusto dimostrato nell' attaccare
i morti e ricordiamo che siamo sempre disponibili per fornire qualsiasi
informazione sulla propria attivita' e su quella del padre".
16 novembre - I parlamentari di An Enzo
Fragala' e Alfredo Mantica hanno annunciato in una conferenza stampa di
voler presentare al piu' presto una proposta di legge per regolamentare
la gestione e l'accesso agli archivi istituzionali. "E' mai possibile infatti
- ha detto Mantica - che l'archivio dell' Arma sia praticamente inaccessibile?
E cosi' quello della Presidenza della Repubblica?". "Abbiamo avuto difficolta'
di accesso - aggiunge - anche in quello del Senato. E poi com'e' possibile
che ogni singola istituzione abbia il suo archivio? I Ros hanno il loro,
la GdF anche e cosi' ogni singolo ministero. Per non parlare poi dei Tribunali
e delle Procure. Ma chi sa cosa contengono? E chi si occupa di vedere che
non venga sottratto nulla?"."E' anche questo - prosegue - che ha impedito
alla commissione Stragi di fare un certo tipo di lavoro". "Ma vi rendete
conto? - conclude - Come commissione abbiamo un consulente fisso per gli
archivi del Kgb ed un altro per quelli della Cia. E invece in Italia non
sappiamo dove mettere le mani". "L'interrogatorio di Moro di Via Monte
Nevoso ad esempio - osserva - c'e' un carabiniere che giura di averlo fotocopiato
e poi rimesso al suo posto. Ma quando gli ho chiesto e a noi chi ce lo
assicura? Lui ha candidamente risposto 'io'. E questo basta? Senza contare
poi che se l'ha fotocopiato in qualche parte dell'archivio dell'Arma deve
stare". Mantica propone anche che venga istituita una 'commissione di pacificazione',
una soluzione di tipo 'sudafricano' che permetterebbe di arrivare a 'una
memoria storica condivisa'. La commissione dovrebbe avere per Mantica,
che sul tema ha presentato lo scorso luglio un relazione illustrata oggi
in una conferenza stampa, il "compito di indagare sui crimini a sfondo
politico compiuti in uno specifico periodo davanti alla quale tutti coloro
che ammettessero pubblicamente le proprie responsabilita' potrebbero ottenere
l' amnistia". "Bisognerebbe pero' risolvere a monte - prosegue - il problema
dell'obbligatorieta' dell'azione penale che vige in Italia e che impedisce
ad organismi diversi dai tribunali di giudicare su notizie di reato". "Potremmo
anche ipotizzare - aggiunge - una modifica della Costituzione creando giudici
ad hoc con poteri speciali, incaricati di far luce una volta per tutte,
sugli episodi criminosi di stampo politico rimasti insoluti". "Sono contento
- conclude - che anche il presidente della commissione Stragi Giovanni
Pellegrino ora la pensi come me. Con il tempo forse saremo tanti a pensarla
cosi'. In pochi giorni infatti oltre a lui si sono detti d'accordo anche
Ernesto Galli Della Loggia ed Enrico Morando".
16 novembre - L' ex presidente della Repubblica
Francesco Cossiga definisce la consulenza della Procura di Brescia sul
super-servizio segreto parallelo il solito "feulleiton rosso" e si augura
che "la si smetta al piu' presto con queste ricostruzioni storiche e giudiziarie
a trattativa privata". "Non sapevo di cosa si trattasse - dichiara Cossiga
- sono stato in un primo momento indotto a credere che si trattasse di
atti di giustizia. Poi, ho capito che si tratta di uno dei soliti feulleiton
rossi privi di fatti e ricchi piu' di panzane che di fantasie, prodotto
cui si da' il pomposo nome di 'consulenze' nelle quali tanti soldi ha sprecato
l' autorita' giudiziaria da Palermo, e questo me ne duole molto, a Brescia.
E le varie commissioni parlamentari di inchiesta. Spero che la si smetta
con queste ricostruzioni storiche e giudiziarie a trattativa privata".
19 novembre - Il quotidiano "La Repubblica"
pubblica in prima pagina un lungo fondo
di Eugenio Scalfari, intitolato "Gli anni terribili del paese normale".
L' articolo e' un commento del libro "Segreto di Stato" del presidente
della Commissione Stragi, Giovanni Pellegrino. Scalfari polemizza con
Ernesto Galli Della Loggia e il suo commento pubblicato il 14 novembre
sul "Corriere della Sera". "Poiché non ho dubbi sull'onestà
di pensiero e di ricerca di Della Loggia - scrive Scalfari - mi vien
fatto di pensare che quel libro Ernesto non l' abbia letto; forse spinto
dal desiderio e dalla fretta di segnalarne l'interesse si sarà limitato
a sfogliarlo cogliendone qua e là alcune frasi che più colpivano
la sua soggettiva sensibilità. Così almeno voglio sperare".
"Ma veniamo al caso Moro - scrive poi Scalfari - e ad alcune importanti
novità che emergono dal libro di Pellegrino. Le sintetizzo in questi
punti.
1. Il rapimento, il processo all'ostaggio, le
contropartite
richieste per la sua liberazione, il codice in
base al quale fu
emessa la sentenza fanno parte di un disegno
delle Br senza
interferenze esterne. Non si tratta cioè
di un'operazione
eseguita "in appalto per conto terzi".
2. Non c'è tuttavia ombra di dubbio che
le Br furono
largamente infiltrate sia dai carabinieri di
Dalla Chiesa sia da
servizi stranieri.
3. Il primo punto di svolta si verifica quando
Moro comincia
a parlare con i suoi carcerieri e a rispondere
alle loro
domande. Se ne ha testimonianza dalla lettera
che Moro
invia a Cossiga e dal comunicato n. 4 delle Br
in cui si dice
che il prigioniero "collabora" con i suoi sequestratori.
4. Da questo momento in poi nasce negli apparati
di
sicurezza, nel ministro dell'Interno, nella dirigenza
della Dc e
dei servizi americani un interesse vivissimo
ad entrare in
possesso delle carte che contengono le "confessioni"
di
Moro e di farle scomparire affinché segreti
di Stato e della
Nato non siano rivelati. Analogo interesse per
opposti
motivi hanno i servizi dell'Est ad entrarne in
possesso.
5. Questo doppio interesse - liberare il prigioniero
ed
entrare in possesso di tutte le carte che lo
riguardano -
complica terribilmente il problema; infatti una
liberazione del
prigioniero senza la presa di possesso delle
sue
"confessioni" potrebbe portare alla rivelazione
di segreti che
non debbono a nessun costo essere riconosciuti.
6. Pellegrino ipotizza che la mancata scoperta
del covo
brigatista di via Gradoli possa esser stata voluta
dalle forze
di sicurezza proprio per non arrivare alla liberazione
dell'ostaggio prematuramente e senza le carte
che lo
riguardano.
7. Il ministro dell'interno Cossiga predispone
nel frattempo il
piano Victor in base al quale - una volta che
sia stato
liberato - Moro dovrebbe essere tenuto in quarantena
per
un certo periodo di stretto isolamento affinché
non possa
diffondere i segreti rivelati.
8. Tra questi segreti c'è sicuramente
anche l'esistenza di
Gladio la cui scoperta è fonte di gravi
preoccupazioni sia
per gli apparati di forza italiani che per quelli
della Nato.
9. Il comunicato sull'uccisione di Moro al lago
della
Duchessa è un falso architettato dai servizi
italiani e dal
procuratore Vitalone. Due le possibili finalità
di questo falso
montaggio: far capire alle Br che la polizia
è ormai sulla loro
pista ravvicinata, spingere i sequestratori ad
eliminare il
prigioniero. Pellegrino si dice certo che dopo
il comunicato
del lago della Duchessa la sorte di Moro è
comunque
segnata.
10. Moro dal canto suo è certo invece
che ormai sarà
liberato e lo scrive alla famiglia ma poi tutto
precipita e
nell'ultima lettera alla moglie il prigioniero
sa che la sua
esecuzione è ormai decisa e imminente.
11. L'interrogatorio e le risposte del prigioniero
vengono
condotte dal gruppo toscano alla testa del quale
c'è
Sensani. Moretti porta le domande a Moro e riporta
le sue
risposte a Firenze.
12. Sensani (In realta' si tratta di Senzani,
ndr.) è un intellettuale di notevole spessore con moltissimi rapporti
interni e internazionali anche nel mondo delle università. Risulta
che sia anche in contatto con uomini del Sismi (il servizio segreto civile)
(Ndr. - piccolo lapsus, il Sismi e' il servizio segreto militare) e con
la criminalità organizzata (se ne avrà poi conferma in occasione
del rapimento Cirillo). Il ruolo di Sensani introduce gravi sospetti sulla
parte finale del caso Moro che però restano nel libro allo stato
di ipotesi.
Chi poteva avere interesse all'eliminazione del
prigioniero e
al possesso delle carte? Gli apparati di forza
italiani e quelli
della Nato; forse anche gli apparati israeliani.
La
motivazione era la difesa a qualunque costo di
segreti di
Stato e internazionali che Moro poteva aver rivelato.
In effetti le carte di Moro vengono solo in parte
ritrovate
quattro mesi dopo nel covo di via Montenevoso
a Milano,
ma si tratta di copie incomplete. Gli originali
e le cassette
con la registrazione dell'interrogatorio sono
scomparse.
Questo è lo stato delle conoscenze ad
oggi. Passi avanti
notevoli sono stati fatti ma manca ancora la
parola fine.
Cossiga, dice Pellegrino, sa su questa vicenda
molto di più
di quanto non abbia detto nella testimonianza
di fronte alla
Commissione.
* * *
Ma più di metà del libro è
dedicata allo stragismo cioè al
terrorismo di destra. Anche qui riassumerò
per punti.
1. Non è affatto vero che l'analisi di
Pellegrino (come
asserisce Della Loggia) ridimensioni e quasi
legalizzi Gladio
e riduca il piano "Solo" del generale De Lorenzo
ad una
pura azione dimostrativa priva di importanza.
Al contrario:
Gladio è un segreto Nato che deve a tutti
i costi essere
occultato; il piano Solo (voluto da Segni, dice
Pellegrino) è
un'anticamera golpista che servirà a porre
fine al riformismo
del primo centrosinistra e spostare a destra
l' asse della
politica italiana. In più: tra i carabinieri
del piano Solo e
Gladio esistono strettissime interrelazioni a
cominciare dalla
base in comune in Sardegna.
2. Ormai è chiara la natura di Gladio:
è il centro di una rete
di altre organizzazioni segrete di secondo e
terzo livello nelle
quali si incontrano i vertici degli apparati
di forza
(soprattutto carabinieri e Stato maggiore della
Difesa) e la
manovalanza neofascista (Ordine nuovo, Avanguardia
nazionale).
3. Il vero padre di Gladio però non è
Cossiga - secondo
Pellegrino - ma Taviani. Inizialmente questo
pullulare di
organizzazioni clandestine è giustificato
dalla guerra fredda.
Ad esse del resto fa riscontro il Gladio rosso
cioè la
struttura paramilitare e difensiva del Partito
comunista.
Taviani comunque - a differenza per esempio di
Pacciardi -
si è sempre rifiutato di arrivare alla
messa fuori legge del Pci
che avrebbe scatenato la guerra civile. Le sollecitazioni
in
quel senso erano venute a suo tempo dall'ambasciatrice
americana Clara Boothe Luce e successivamente
dall'ambasciatore Graham Martin, ma non furono
accolte
dai capi della Dc.
4. Gladio è un'organizzazione segreta
ma legalizzata dalla
sua organica appartenenza alla Nato. Altre organizzazioni
ancor più segrete non hanno lo stesso
timbro di
legalizzazione. Esse sono: i Nuclei per la difesa
dello Stato,
organizzati da Freda e Ventura tra i militari
con la copertura
dello Stato maggiore della Difesa; il Mar (Movimento
Azione Rivoluzionaria) guidato da Carlo Fumagalli,
che fa
capo al comando della divisione dei carabinieri
Pastrengo, a
Edgardo Sogno e a Randolfo Pacciardi.
5. L'Ufficio Affari Riservati del Viminale tiene
le fila di
questa rete e organizza i depistaggi di copertura
quando la
magistratura andrà vicino alla verità.
6. La strage di piazza Fontana è il primo
anello della catena
stragista e viene organizzata in combutta dagli
apparati di
forza e dai neofascisti. L'obiettivo è
di attribuirla alla sinistra
e provocare una grande emozione pubblica che
giustifichi la
dichiarazione dello stato di emergenza e la presa
del potere
da parte della destra oltranzista e dei militari.
7. Il golpe borghese costituisce giusto un anno
dopo la
seconda tappa. Viene giudicato dal presidente
della
Commissione Stragi come un tentativo estremamente
pericoloso e tutt'altro che da operetta, il seguito
logico delle
bombe di piazza Fontana. Apprendiamo dal testo
che esso
prevedeva, a sei anni di distanza dal "rumore
di sciabole" di
De Lorenzo, l'attuazione integrale del piano
"Solo". Altro
che ridimensionamento, caro Della Loggia!
8. L'operazione però improvvisamente si
arresta. La
supposta sponsorizzazione di Andreotti viene
meno? Resta
su questo punto l'ombra (e più che l'ombra)
del mistero. Sta
di fatto che da quel momento inizia una lunga
e complessa
operazione di sganciamento: i carabinieri e gli
altri apparati
istituzionali coinvolti cercano di sganciarsi
dalla manovalanza
fascista. Quest'ultima grida al tradimento e
continua ad
operare da sola: è l'attentato contro
i carabinieri a Peteano,
la strage di Brescia che avrebbe dovuto colpire
un reparto
di carabinieri, e la strage alla Questura di
Milano che aveva
come obiettivo Rumor, colpevole agli occhi dei
fascisti di
aver promesso ma non mantenuto l'impegno alla
dichiarazione dello stato di emergenza.
Brescia segna una svolta: Taviani, ministro dell'Interno,
scioglie Ordine nuovo e Avanguardia nazionale.
Siamo al
'74. Le Br sono già nate da un paio d'anni.
La strategia
della tensione (che Pellegrino non marginalizza
affatto come
scrive invece Della Loggia, ma anzi pone al centro
di tutto
quel periodo) ha prodotto i suoi frutti avvelenati:
ha
coinvolto gli apparati istituzionali nelle trame
dello stragismo,
ha suscitato per reazione il terrorismo brigatista
altro
elemento di tensione, che a sua volta ha eliminato
il capo
riformista della Dc.
La strategia della tensione è guidata
da molte mani, ciascuna
con il proprio obiettivo: apparati segreti dell'oltranzismo
di
destra, apparati Nato, destra radicale americana,
industriali
colpiti nei loro interessi (elettrici nazionalizzati),
multinazionali del petrolio, servizi dell'Est,
Kgb, Mossad.
Essa rimane una costante dal '69 all'83. Per
certi aspetti
dura tuttora". "Al contrario di Galli Della Loggia
- conclude Scalfari - ne ricavo l'impressione d'una connivenza gravissima
e continuata tra una parte consistente del ceto politico democristiano,
la destra radicale americana, gli apparati di forza e soprattutto i carabinieri,
il neofascismo bombarolo.
La guerra fredda spiega molte di queste iniziative
ma non le
giustifica certamente tutte. Alcune di esse hanno
dato luogo
a delitti orribili e non c'è guerra fredda
che possa servire da
lavacro per quelle responsabilità ancora
in gran parte
impunite. Nel finale del libro Pellegrino propone
una generale amnistia condizionata al disvelamento pieno della verità.
Sono sempre stato scettico su queste misure di perdonismo
miracolistico e soprattutto domando al presidente
della
Commissione Stragi: chi può garantire
che la verità
confessata dagli amnistiandi sia veramente la
verità e tutta la
verità? Mi piacerebbe avere una risposta
su questo punto.
Pellegrino è un bravo avvocato ma talvolta
non è questo il
titolo migliore per dare consigli allo Stato".
19 novembre - Francesco Cossiga, commentando
l' editoriale dell'ex direttore di Repubblica Eugenio Scalfari, lo invita
a "tornare alla filosofia". Cossiga punta il dito sui mutamenti politici
di Scalfari: "Esser stato compagno di strada del Pci, dopo una giovanile
entusiastica adesione alle idee forza del fascismo, e l'essere stato anche
Onorevole", puo' essere motivabile - afferma il senatore a vita - "come
una qualche sorta di pentimento e come una confusa reazione al 'grande
peccato della storia', la sconfitta dell'azionismo e la vittoria dei partiti
popolari". "Anche io in fondo da democratico cristiano ed antifascista,
da parlamentare e da ministro - ricorda Cossiga - feci un non breve tratto
di strada insieme al Pci, nell'interesse del Paese e della pace civile".
"Ma fare il lacche' del sinistrismo piu' becero e fazioso. proprio di fronte
ad un testo limpido ed onesto, quale quello di Giovanni Pellegrino, e'
cosa assai poca onorevole. Mi spiace per Scalfari - conclude Cossiga -
queste cose le lasci fare a D'Avanzo, e segua il consiglio di chi gli fu
amico: torni alla filosofia...".
20 novembre - L'ufficio popolare della
'Gran Giamahiria araba libica popolare socialista' (ambasciata di Libia)
a Roma esprime "meraviglia" per la "campagna di disinformazione" in atto
in Italia, basata anche su dichiarazioni del senatore Giovanni Pellegrino,
che "tenta invano di gettare dei sospetti e coinvolgere la Libia e la Rivoluzione
del Primo Settembre ed il suo leader in conflitti italiani interni negli
anni '70". In particolare, in una nota diffusa oggi, l'Ambasciata libica
definisce "prive di fondamento di verita"' le affermazioni di Pellegrino
su un presunto coinvolgimento dell'Italia nell'avvento della Rivoluzione
del Primo Settembre 1969. Dichiarare di "avere il sospetto", come ha fatto
Pellegrino, che "l'Italia abbia aiutato Gheddafi ad impossessarsi del potere"
equivale a fare "fantapolitica", ha precisato la rappresentanza diplomatica
libica. Allo stesso tempo, l'ambasciata bolla come "dicerie" quanto pubblicato
"in contemporanea" dal quotidiano "il Tempo" su "esponenti e personalita'
italiane che avrebbero fatto fallire le operazioni e i complotti che miravano
al mutamento dell'ordinamento politico in Libia".
29 novembre – Il quotidiano La Stampa”
pubblica un lungo articolo in cui presenta il libro che uscira’ il 5 dicembre,
pubblicato da Mondadori, Dalla Resistenza al golpe bianco. Testamento di
un anti-comunista”, libro di colloqui tra Edgardo Sogno e Aldo Cazzullo.
Le conversazioni sono avvenute lungo l'arco di un anno e mezzo, dalla primavera
del 1999 fino alla morte di Sogno, avvenuta il 5 agosto scorso. La parte
sul Golpe bianco fu messa per iscritto dallo stesso Sogno. La Stampa pubblica
numerosi brani tratti dal libro:
Aldo Cazzullo NEL '76 lei pubblico' un
pamphlet, Il golpe bianco, nel quale da una parte denunciava una persecuzione
giudiziaria nei suoi confronti, dall'altra teorizzava la necessita' di
soluzioni che non rientrano nel calcolo e nel dosaggio politico ordinario”.
Credo che una delle ragioni di questo libro sia chiarire se questo intento
sia rimasto a livello di enunciazione verbale, o sia stato invece accompagnato
da preparativi concreti. Anch'io credo sia arrivato il momento di non tacere
piu' nulla. Quando, come ha previsto Giorgio Galli, la storia d'Italia
del secolo appena concluso sara' riscritta al di fuori della contingenza
politica, mi sara' riconosciuto il merito di aver contribuito alla lotta
per sottrarre lo Stato alla morsa mortale del clerico-marxismo. Un obiettivo
per il quale ritenevo fosse necessario uno strappo da operare non nella
coscienza degli italiani, che in maggioranza l'avrebbero approvato, ma
contro la coalizione moderata, gli intellettuali, le maggiori forze economico-finanziarie
e la Chiesa di sinistra”. Cosa intende per strappo”? Occorreva in sostanza
un fatto compiuto al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale,
in una triplice alleanza di laici occidentali, come Pacciardi, di cattolici
liberali, come Cossiga, e di socialisti antimarxisti, come Craxi. (...)
Occorreva in sostanza ottenere dal presidente Leone lo strappo che De Gaulle
era riuscito a ottenere da Coty. (...) Randolfo Pacciardi, che era su questa
linea da tempo, e che nel tentativo di realizzarla aveva gia' preso contatto
con gruppi politici assai piu' a destra di me, come gli agrari di Ruspoli
e i nazionalisti di Borghese, mi propose di unire al suo progetto di rottura
le iniziative parallele che svolgevo in quel momento”. (...) Qual e' il
momento in cui lei passa dai convegni agli incontri riservati? All'apparire
sulla scena delle Brigate rosse, ebbi la sensazione di un precipitare degli
eventi. Nella primavera del '74 le Br catturano il giudice Sossi e fanno
irruzione nel mio ufficio di Milano, con lo scopo di catturare anche me
(...) Iniziando l'organizzazione militare per lo strappo al vertice sul
modello gollista, io non avevo dubbi, come non ne aveva Pacciardi, di compiere
un atto dovuto, nella difesa della liberta' democratica”.(...) Sta dicendo
di aver intrapreso un'azione con l'appoggio dei militari? Certamente, ma
non solo. Si trattava di un'operazione politica e militare, largamente
rappresentativa sul piano politico, e della massima efficienza sul piano
militare. Nell'esecutivo, che avrebbe dovuto essere guidato da Pacciardi,
erano autorevolmente rappresentate tutte le forze politiche, ad eccezione
dei comunisti, con personalita' liberali, repubblicane, cattoliche, socialista,
ex fasciste ed ex comuniste. Tra loro c'erano cinque medaglie d'oro al
valor militare: due della guerra 1940-43, Luigi de la Penne e Giulio Cesare
Graziani, e tre della guerra di Liberazione: Alberto Li Gobbi, Aldo Cucchi
e io”. Lei parla di organizzazione militare. Su quali forze riteneva di
contare? Le diro' i principali reparti pronti a operare, con i loro comandanti,
che avevo tutti contattati personalmente. La Regione Militare Sud, il comandante;
la Regione Militare centrale, il vicecomandante e il capo di Stato maggiore;
l'Arma dei carabinieri, il vicecomandante; la Divisione carabinieri Pastrengo,
il comandante; la Legione carabinieri di Roma, il comandante; la Brigata
paracadutisti a Livorno, il comandante; la Divisione Folgore, il comandante;
la Marina, il capo di Stato maggiore generale; l'Aeronautica, il capo di
Stato maggiore generale; la guardia di Finanza, il generale comandante;
la Scuola di Guerra, il generale comandante.” (...) . Ci sara' pure stato
qualche alto ufficiale che si sarebbe decisamente opposto. Sapevate anche
di questi? Si', ma non erano molti. Sapevamo ad esempio che il comandante
e il capo di Stato maggiore dell'Arma dei carabinieri dovevano essere neutralizzati.
Ma sapevamo anche che il piu' alto magistrato della Repubblica era con
noi”. A chi si riferisce? Intendo semplicemente dire che Giovanni Colli,
per noi Nino, mio amico personale fin dalla gioventu', che ricopriva negli
Anni Settanta la massima carica della magistratura italiana - era il procuratore
generale presso la Corte di Cassazione - era totalmente d'accordo con me
sulla necessita' di rovesciare il regime cattocomunista con qualsiasi mezzo.(...)
Fu nello studio romano di Pacciardi, nell'ufficio che usava personalmente,
in fondo al corridoio a sinistra, che stendemmo insieme la lista del governo.
(...) ''E per te cosa vuoi?'', mi chiese a un certo punto. Non ebbi esitazioni
e risposi: ''Il ministero della difesa''. Ricordavo le parole di Colli:
''Ma le forze? Le forze?''. E le forze erano li'.Chi le disse si', chi
no, chi ne' si' ne' no. Cominciamo con Eugenio Reale, che avrebbe dovuto
essere il ministro degli Interni (...)lo avvicinai io, e mi disse che avrebbe
acconsentito a prendere parte a qualsiasi azione per abbattere il regime.
Trovai in lui il comunista libero dalle finte remore democratiche, quando
la politica lo esige. Accetto' di essere incluso nel progettato governo
Pacciardi, purche' non ci fossero tra di noi dei tiepidi e degli indecisi
(...) Pensai che fosse importante la sua presenza, come quella di Aldo
Cucchi, per il suo passato e forse per il suo presente comunista, che,
mi auguravo, la democrazia raggiunta avrebbe contribuito a temperare. (...)
Con lui ero in contatto nel Gruppo Medaglie d'oro, e in sintonia politica
da tempo. Il discorso sulla sua adesione era scontato. Quanto a Manlio
Brosio, che sarebbe andato agli Esteri... In sostanza Brosio mi lascio'
intendere che, pur non volendo esporsi nell'azione, a cose fatte avrebbe
aderito. Ricordo una sua frase: ''I colpi di Stato si fanno, non se ne
parla''. Brosio ebbe un suo scambio di idee anche con Pacciardi, organizzato
da me. Non ho pero' notizie sui contenuti”. (...) E i militari? Tra le
alte cariche c'era in primo luogo il generale Liuzzi, gia' capo di Stato
maggiore generale quando Pacciardi era ministro della Difesa. Pacciardi
mi incoraggio' ad andarlo a trovare nella sua casa di Milano. Lo trovai
disponibile (...) Un altro generale che collaboro' con me ai preparativi
e' Alberto Li Gobbi, medaglia d'oro della Resistenza, al mio fianco nella
Franchi, un uomo straordinario. Attraverso di lui ottenemmo l'adesione
ai piani del colonnello Gambarotta, che comandava il reparto paracadutisti
di Livorno. (...) Tra gli ufficiali di Marina era gia' stata avviata un'organizzazione:
quella degli ammiragli Rosselli Lorenzini e Pighini, entrambi miei amici
personali, visto che eravamo stati insieme all'ambasciata a Parigi. Un
settore in cui avevo trovato degli amici pronti a collaborare era l'ambiente
degli ufficiali di cavalleria. Il piu' alto ufficiale che avvicinai in
questo settore e' il mio amico Giorgio Barbasetti, allora a Roma allo Stato
maggiore generale. Il maggior tessitore del piano militare, pero', era
il generale Ricci, che era al comando della Regione militare Sud a Caserta,
e aveva una rete sua di alti ufficiali consenzienti. Lo incontrai piu'
volte a Roma e al casello di Caserta dell'autostrada. Ma era Pacciardi
a tenere il rapporto con lui, e non entrai mai nel dettaglio del piano
preparato e organizzato da Ricci. Dopo aver assunto opportune informazioni,
feci anche qualche reclutamento isolato. Vidi il generale Santovito, che
comandava la divisione Ariete in Veneto, e l'incontro fu totalmente positivo.
Un altro incontro importante, per suggerimento del vice capo dell'Arma
dei carabinieri, generale Picchiotti, lo ebbi a Milano con il comandante
della divisione Pastrengo, generale Palumbo. Questi ando' al di la' del
segno, chiedendomi di ottenere dalla Marina il lancio di missili contro
il carcere di Alessandria dove, a suo dire, erano detenuti molti comunisti
pericolosi”. Un moderato... Palumbo assicurava il concorso di tutti i carabinieri
dell'Italia settentrionale, ma, quando le cose volsero in senso a noi contrario,
si butto' dall'altra parte, e, invece di tacere, per proteggere se stesso
se ne usci' rinnegandomi e insultandomi. Contattai anche qualche alto ufficiale
su cui avevo informazioni positive, come Borsi di Parma, generale della
guardia di finanza, tramite Augusto De Angelis, il finanziere che aveva
accompagnato Cadorna nel lancio con il paracadute. La sua risposta fu sostanzialmente
positiva. Contattai inoltre il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica,
generale di squadra aerea Giulio Cesare Graziani, medaglia d'oro, che aderi'
entusiasticamente. E' interessante notare che nell'inchiesta di Violante
non e' affiorato neppure uno di questi contatti, tanto che si puo' dire
che l'apparato militare abbia tenuto un comportamento irreprensibile”.
Qualcuno le avra' pur risposto di no. Nessuno tra gli uomini che contattai
mi disse di no, anche perche' ero molto cauto nel selezionare gli interlocutori.
C'e' piuttosto un'altra categoria di cui occorre parlare: coloro di cui
tutto mi faceva ritenere che, di fronte al fatto compiuto, non avrebbero
avuto esitazioni, ma che sarebbe stato difficile inserire nell'operazione
fin dagli inizi. Rientrano in questa categoria i democristiani gollisti
del gruppo di Ciccardini e Zamberletti, che avevano elaborato progetti
analoghi e che non dubitavo avrebbero aderito a cose fatte. Una posizione
particolare era quella del mio amico Sergio Ricossa, che ci accompagno'
in tutta la fase preparatoria dei Comitati, chiedendomi talvolta lumi sulla
strada da prendere, ma che negli ultimi tempi aveva dichiarato di voler
rimanere fuori da ogni trama. Ricossa presentava sempre, nell'indipendenza
della sua genialita', una buona dose di imprevedibilita' (...) Il cerchio
dei preparativi si chiuse con il mio contatto con il generale Liuzzi a
Milano e con il generale Ricci nei pressi di Caserta. Il 2 maggio ci fu
l'irruzione delle Br in via Guicciardini. Come ultimo atto, il 2 agosto
tenemmo al Grand Hotel di Roma una riunione politica dei maggiori esponenti
non militari”. E i suoi amici americani, non li avverti'? Nel luglio del
'74 chiesi all'ambasciata americana un colloquio riservato per importanti
comunicazioni. Un funzionario dell'ambasciata venne con un autista al Grand
Hotel e mi accompagno' in una palazzina, all'interno di una vasta proprieta'
recintata appartenente a una comunita' religiosa, sulla via Aurelia, quasi
di fronte all'hotel Holiday Inn. Era la residenza del capo dei servizi
americani per l'Italia, mister Brown. Mi introdusse nel suo studio e dopo
qualche preliminare alzo' al massimo il volume della radio: a quei tempi
era una precauzione contro i microfoni spia. Gli esposi nel dettaglio le
nostre intenzioni e il nostro piano d'azione. Precisai che facevo questa
comunicazione esclusivamente come alleato nella lotta per la liberta' dell'Occidente,
e chiesi quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo americano. Mi
rispose quel che gia' sapevo: gli Stati Uniti avrebbero appoggiato qualsiasi
iniziativa tendente a tenere lontani o ad allontanare i comunisti dal governo.
E aggiunse che se, come sembrava, la situazione italiana avesse preso nei
mesi successivi una piega cilena - accenno' ai cortei di protesta delle
donne di Santiago, che l'anno prima battevano le pentole per strada per
protestare contro Allende - il suo governo avrebbe approvato l'attuazione
del nostro progetto”. Nell'estate del '74 a Washington avevano anche altre
preoccupazioni: si consumavano gli ultimi atti della tragedia vietnamita
e del Watergate. Nixon cadde nell'agosto, proprio nel momento critico.
Lo scenario politico cambio' radicalmente. E il 27 agosto 1974 Violante
apri' le ostilita' pubbliche contro di me, ordinando una perquisizione
in casa mia, a Torino”(...) Di un potenziale oppositore lei prima ha detto
che andava neutralizzato”. Che cosa intendeva? Noi volevamo fare una cosa
pulita, senza versare sangue, se si riferisce a questo. Da cui doveva nascere
una Repubblica presidenziale, non un sistema totalitario”.(...) Ho sempre
amato l'espressione ''golpe liberale''. Suona come un ossimoro, a cui attribuisco
una valenza paradossale, provocatoria, utopistica. Il golpe democratico,
accettato anche da chi resta tagliato fuori, fu un miracolo che riusci'
solo a De Gaulle. Ma il quadro internazionale degli Anni '70 offre altri
esempi di un colpo di forza da cui un Paese usci' piu' equilibrato: penso
alla caduta di Caetano in Portogallo, o, in un primo tempo, a quella dei
peronisti in Argentina”. (...) Lei mi ha detto chiaramente di aver preparato
un colpo di Stato, al quale non mancava che il segnale finale. E di fatto
da' ragione a Luciano Violante che la incrimino' e si adopero' per farla
condannare. La magistratura invece l'ha prosciolta perche' il fatto non
sussiste”. Come lo spiega? Se guardiamo soltanto all'aspetto giuridico-formale,
e' vero che il colpo di Stato non sussiste, perche' non e' mai avvenuto.
Certo, il codice contempla e punisce anche la preparazione di iniziative
eversive, ma il magistrato che la vuole reprimere deve provarla: non basta
raccogliere indizi o maturare una convinzione, smentita dal mio proscioglimento.
Violante falli' totalmente nel provare giudiziariamente la nostra organizzazione,
anche se la sua azione di demolizione della mia figura e della mia posizione
fu senza dubbio un successo per i comunisti, e mi escluse senza riserve
dalla vita politica. Per me le conseguenze negative non furono soltanto
politiche, ma anche economiche, di carriera, di relazioni sociali, con
perdite di occasioni di lavoro giornalistico e culturale, con umiliazioni
ed esclusioni, con danno irreparabile alla carriera diplomatica e a ogni
forma di relazione ufficiale con lo Stato. Lei teme che queste pagine vengano
liquidate come parole vane. Neppure io me me stupirei. Vede, tra noi, da
una parte, e Violante, il suo partito e i suoi alleati dall'altra, c'e'
tuttora uno scontro da guerra civile. E la guerra civile e' una prova non
soggetta ad altra legge che non sia quella della forza. Noi occidentali
abbiamo perso un round, ma la partita si sta ancora giocando”.
E’ evidente che le anticipazioni della Stampa
provocheranno una serie di polemiche. Va pero’ ricordato che le dichiarazioni
di Sogno erano gia’ in buona parte conosciute, compreso l’ elenco dei ministri
del governo golpista che si sarebbe dovuto insediare. Lo stesso Sogno aveva
parlato di questa lista in una trasmissione radiofonica nel 1997 e l'elenco
dei ministri” , informati o no di questo loro incarico, era stato pubblicato
nel libro Lo Stato parallelo” di Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannuli ed
anche nella contestata proposta di relazione dei Ds per la Commissione
stragi. Del golpe liberale” predisposto nel 1974 per contrastare un' eventuale
andata al potere delle sinistre, l' ex ambasciatore aveva parlato ripetutamente
in modo abbastanza ampio. Nel 1990, una sua intervista al settimanale Panorama”
aveva provocato diverse richieste di riaprire il caso. Nello stesso anno,
in una lettera al giudice veneziano Felice Casson, Sogno dice tra l' altro
che il giuramento degli ufficiali suoi seguaci e' depositato presso un
notaio milanese. Nel marzo 1997 Sogno rende noto l' elenco di quello che
avrebbe dovuto essere il governo da instaurare dopo il golpe: Presidente
del Consiglio Randolfo Pacciardi; sottosegretari alla presidenza del consiglio:
Antonio de Martini e Celso De Stefanis; ministro degli Esteri: Manlio Brosio;
Interni: Eugenio Reale; Difesa: Edgardo Sogno; Finanze: Ivan Matteo Lombardo;
Tesoro e Bilancio: Sergio Ricossa; Giustizia: Giovanni Colli; Pubblica
Istruzione: Giano Accame; Informazione: Mauro Mita; Industria: Giuseppe
Zamberletti; Lavoro: Bartolo Ciccardini; Sanita': Aldo Cucchi; Marina Mercantile:
Luigi Durand de la Penne. Tra questi, Ricossa, Accame, Mita, Ciccardini,
Zamberletti e Cucchi sarebbero stati inseriti nell’ elenco senza essere
stati preventivamente consultati. Sulla vicenda Sogno aveva gia' pubblicato
il libro Il golpe bianco” nel 1978, pubblicato dalle Edizioni dello Scorpione.
1 dicembre - Dopo le anticipazioni del
libro-intervista di Edgardo Sogno, Diego Novelli, esponente dei Ds ma anche
e a lungo sindaco di Torino, chiede al presidente del Consiglio dei ministri,
ai ministri della Difesa, dell' Interno e della Giustizia un' indagine
sul caso Sogno. In particolare, Novelli vuole conoscere, con un' interrogazione,
quali iniziative il Governo intenda assumere in sede giudiziaria nei confronti
dei generali e ufficiali felloni che parteciparono all' organizzazione
del tentativo di colpo di Stato nel nostro paese, ma soprattutto se i ministri
interessati non intendano avviare una urgente inchiesta per accertare se
si trovano ancora oggi in servizio persone coinvolte nell' organizzazione
criminale della cui esistenza non possono piu' sussistere dubbi dopo la
clamorosa 'confessione' del massimo responsabile’”.
2 dicembre – Il quotidiano La Repubblica”
pubblica un lungo editoriale di Eugenio Scalfari sul libro di Sogno:
“La rivelazione – scrive Scalfari - per certi
versi è ovvia, per altri del tutto inattesa: in un libro-intervista
di Aldo Cazzullo che sta per uscire nelle librerie e che fu approvato dall'intervistato
e anzi per le parti più importanti scritto direttamente da lui (Testamento
di un anti-comunista, Mondadori), Edgardo Sogno racconta con dovizia di
particolari che nel luglio-agosto del '74 stava per lanciare un vero e
proprio "golpe" che egli paradossalmente (l'avverbio è suo) definisce
liberale perché aveva come fine di "rovesciare il regime catto-comunista".
Quale fosse questo regime chiarisce con esattezza da quale livello di furore
ideologico fossero posseduti gli organizzatori di quell'operazione: il
governo in carica era infatti presieduto da Mariano Rumor, un democristiano
doroteo di centrodestra, al Quirinale c'era Leone, certo non sospetto di
simpatie comuniste e anti-atlantiche, alla Difesa Andreotti, agli Interni
Taviani. Eppure, nella distorta e ossessiva immaginazione dei golpisti,
questo era un regime liberticida di tale pericolosità da giustificare
un colpo di forza per insediare un governo con pieni poteri sospendendo
le garanzie costituzionali e mettendo la sinistra politica e sindacale
definitivamente fuori gioco. Non si trattava di una "intentona", come era
stato esattamente dieci anni prima il "tintinnio di sciabole" del generale
De Lorenzo. L'"intentona" è infatti una sorta di golpe virtuale,
un' esibizione muscolare capace però di divenire operativa ma soltanto
nel caso che il suo primo obiettivo sia mancato e il primo obiettivo è
quello
di realizzare uno spostamento a destra dell'asse politico nazionale. L'"intentona"
di De Lorenzo, voluta dall'allora capo dello Stato Antonio Segni e accettata
dal presidente del Consiglio Aldo Moro, ottenne gli sperati effetti politici
e non dové quindi passare alla fase esecutiva. Niente di simile
però per quanto riguarda la cospirazione rivelata ora da Edgardo
Sogno: i congiurati avevano di mira la presa del potere, era già
stato deciso l'organigramma del nuovo governo, le alleanze erano state
stipulate, i tempi e i modi dell'operazione decisi. Quando il piano è
ormai pronto per scattare siamo nell'agosto 1974, la strage di Brescia
è avvenuta appena tre mesi prima, le Br hanno da poco fatto la loro
comparsa, la grande stagione referendaria dei diritti civili è in
pieno corso, il Pci di Enrico Berlinguer sta guadagnando per la prima volta
il consenso di vasti settori di ceto medio e borghese. Ma Sogno (e Pacciardi
che è il vero capo dell'operazione) sono pronti e non si tratta
certo di un "golpe da operetta", come del resto non lo era stato quello
di Junio Borghese tentato quattro anni prima. Il gruppo dei congiurati
(non si può che chiamarli così) coinvolge gran parte dell'apparato
militare, si avvale del consenso attivo o "attendista" di importanti settori
politici ed economici, ha ottenuto il "via libera" dal responsabile in
Italia dei Servizi americani. Questo è il quadro, questo il contesto.
Sogno lo definisce così: "Occorreva uno "strappo", un fatto compiuto
al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale in una triplice
alleanza di laici occidentali come Pacciardi, di cattolici liberali come
Cossiga e di socialisti antimarxisti come Craxi". Per arrivare al risultato
occorreva in sostanza "sospendere" la democrazia e scatenare la guerra
civile. Pazienza, il fine giustifica i mezzi, avvenga quel che può
e non si guardi troppo al sottile. Il racconto della congiura fatto da
Sogno, con i nomi e i ruoli dei comandanti militari coinvolti nell'operazione,
è impressionante. Ne erano parte attiva: il comandante della Regione
militare Sud, generale di corpo d'armata Ugo Ricci che - dice Sogno - era
la vera mente militare dell'operazione; il vicecomandante della Regione
militare Centrale, generale Salatiello; il capo di Stato maggiore della
Regione Centrale, generale Barbasetti; il vicecomandante dei carabinieri,
generale Picchiotti, già capo di Stato maggiore dell'Arma all'epoca
di De Lorenzo e del "Piano Solo", iscritto alla Loggia P2; il comandante
della divisione dei carabinieri Pastrengo, generale Palumbo (Loggia P2);
il comandante della legione dei carabinieri di Roma; il comandante della
divisione Folgore, generale Santovito (poi capo del Sismi con Cossiga ministro
dell'Interno ai tempi del rapimento Moro) affiliato alla Loggia P2; il
capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Rosselli Lorenzini; l'
ammiraglio Gino De Giorgi, suo successore nella carica; il capo di Stato
maggiore dell'Aeronautica, generale Lucentini; il comandante della Seconda
Regione Aerea generale Graziani; il comandante della Guardia di Finanza
generale Borsi; il comandante della Scuola di Guerra, generale Zavattaro
Ardizzi; il generale dell'Esercito Alberto Li Gobbi. Erano invece considerati
avversari "da neutralizzare" il comandante generale dei carabinieri Enrico
Mino e il suo capo di Stato maggiore Arnaldo Ferrara. Altre adesioni militari
e politiche importanti erano quelle di Luigi de la Penne, medaglia d'oro
al valor militare; Aldo Cucchi, comunista titoista espulso dal Pci; Eugenio
Reale, ex comunista designato a ministro dell'Interno nel governo golpista
presieduto da Pacciardi. Manlio Brosio era stato designato ministro degli
Esteri ma si era riservato di accettare. Alla Difesa sarebbe andato lo
stesso Sogno, alle Finanze l' economista Ricossa. Anche il generale Liuzzi,
già capo di Stato maggiore della Difesa e il Procuratore generale
della Corte di Cassazione, Giovanni Colli, erano della partita. I lettori
troveranno in altre pagine del giornale le parti più significative
del racconto fatto da Sogno al suo intervistatore, il quale alla fine dell'intervista
gli pone due domande d'importanza capitale. La prima: queste rivelazioni,
una volta conosciute dal pubblico, saranno credute vere o verranno considerate
frutto d'una mente narcisistica e mitomane? La seconda: aveva dunque ragione
l'allora giudice istruttore Luciano Violante che mise Sogno sotto inchiesta
e lo fece arrestare ma poi dovette liberarlo perché la Corte lo
assolse con formula piena "perché il fatto non sussiste"? Alla seconda
domanda Sogno risponde: sì, Violante aveva ragione poiché
anche se il golpe non scattò i preparativi erano in una fase molto
avanzata e il Codice penale prevede che simili predisposizioni configurino
un reato di sovversione. L'errore di Violante fu di non aver raccolto prove
sufficienti a convincere la magistratura giudicante. Alla prima domanda
Sogno ammette che il suo raccontopossa esser giudicato fantasioso dall'opinione
pubblica, ma lui sa com'erano andati i fatti e ritiene che a questo punto
sia necessario rivelarli nella loro pienezza, se non altro per tenere accesa
la fiamma dell'anticomunismo contro un pericolo che egli giudica ancora
terribilmente attuale. Un fatto comunque è certo: le affermazioni
e il racconto di Sogno sono assistite da un'esauriente documentazione che
il capo della Franchi ha mostrato ad alcuni suoi amici ma di cui la magistratura
inquirente non riuscì a suo tempo a entrare in possesso. Comunque
la vera prova della pericolosità del "golpe liberale" è nelle
mani e nella memoria d'un uomo che non parlerà mai ma che ebbe il
merito d'averlo fatto fallire insieme ad altre due persone: quest'uomo
è Giulio Andreotti, gli altri due sono Paolo Emilio Taviani e, per
l'appunto, l'allora giudice istruttore di Torino Luciano Violante. Andreotti
era allora ministro della Difesa dopo essere stato per due anni presidente
del Consiglio. Il contesto internazionale era profondamente cambiato dopo
le dimissioni di Nixon per lo scandalo Watergate e il tramonto politico
di Henry Kissinger. Delle ripercussioni delle vicende americane sulla politica
interna di alcuni paesi della Nato parla diffusamente Giovanni Pellegrino,
presidente della Commissione Stragi, nel suo libro-intervista intitolato
"Segreto di Stato". Pellegrino sostiene che il '74 fu un anno di svolta
nella politica estera americana nel senso che - fermo restando il tradizionale
anticomunismo di una guerra fredda appena appena intiepidita, furono abbandonati
i metodi di sostegno alle trame, alla strategia della tensione e a regimi
conservatori o francamente reazionari in Europa. Caddero infatti, poco
dopo le dimissioni di Nixon e il ritorno dei democratici alla Casa Bianca,
il regime portoghese e quello dei colonnelli greci. In Italia - scrive
Pellegrino - fu spezzata la connivenza che fin lì era stata stretta
e continua, tra organismi istituzionali e apparati di forza italiani e
Nato da un lato e manovalanza neofascista dall'altro. In questo nuovo contesto
accaddero nei palazzi del Potere alcuni fatti di notevole rilievo.
1. Il ministro della Difesa, Andreotti, licenziò
il capo del servizio segreto militare, generale Miceli e mise al suo posto
il generale Maletti, già capo della sezione controspionaggio del
Sid. L'8 luglio del '74 Maletti inviò un rapporto ad Andreotti nel
quale parlava estesamente dei preparativi golpisti del gruppo Pacciardi-Sogno
e segnalava i nomi dei militari più compromessi in quell'operazione.
A seguito di quel rapporto Andreotti dispose immediatamente il trasferimento
ad altri incarichi dei generali Zavattaro Ardizzi (Scuola di Guerra), Santovito
(Folgore), Salatiello (Regione militare Centrale). Pochi giorni dopo anche
il comandante della Guardia di Finanza abbandonava l'incarico. Questi movimenti
repentini disarticolarono il piano della congiura e suscitarono grande
timore negli altri ufficiali più compromessi. Il comandante della
divisione Pastrengo, generale Palumbo, che fin lì era stato uno
dei punti di forza del piano poiché da lui dipendevano tutte le
legioni dei carabinieri dislocate nella Valle Padana, "tradì" (così
si esprime Sogno) e passò dalla parte del governo rivelando gran
parte delle intenzioni dei congiurati. (È fantastico assistere al
passaggio dalla parte del governo del comandante d'una divisione di carabinieri;
ma del resto non era la prima volta che ciò accadeva).
2. Taviani, all'epoca ministro dell'Interno,
portò a conclusione lo sganciamento tra gli apparati istituzionali
di forza e la manovalanza fascista. Fece arrestare il capo del Mar (Movimento
di azione rivoluzionaria) Carlo Fumagalli che era in stretto contatto con
Sogno e Pacciardi, e sciolse le organizzazioni neofasciste Ordine Nuovo
e Avanguardia Nazionale. In agosto (è Sogno ad affermarlo) Taviani
allertò su di lui l' attenzione del giudice istruttore Violante.
3. Violante mise Sogno sotto sorveglianza, aprì
un'inchiesta su di lui e sulla sua organizzazione e infine lo arrestò.
Così fallì il "golpe liberale" che segnò il culmine
delle tante trame che avevano avvelenato la politica italiana nei precedenti
dieci anni con radici ancora più remote risalenti alla Resistenza,
all'immediato dopoguerra, alla fondazione di Gladio e delle altre organizzazioni
segrete anticomuniste, all'organizzazione paramilitare del Pci poi denominata
Gladio Rossa. Continuarono ancora le bombe stragiste e prese sciaguratamente
quota il terrorismo delle Br. La tesi di Giangiacomo Feltrinelli, che fu
uno dei "proto-brigatisti" agli inizi degli anni Settanta, addossava alle
trame eversive della destra la responsabilità dell'appello ai vecchi
partigiani affinché riprendessero le armi in difesa della democrazia
in pericolo. La tesi di Sogno è simmetricamente opposta: appello
ai partigiani anticomunisti affinché difendessero la patria e la
libertà. Difficile stabilire quale parte attaccò per prima
producendo la reazione difensiva dell'altra. Dal punto di vista del calendario
un fatto è certo: la strage di piazza Fontana con le sue vittime
e i suoi loschi depistaggi avvenne il 12 dicembre del '69. Il sangue cominciò
a scorrere da quel momento in poi.
Ha scritto ieri sul "Foglio" Giuliano Ferrara
che l'"Eroe Sogno" forse si è lasciato andare a una "intenzione
testimoniata per i posteri, una follia idealistica che era tipica di un
grande visionario e ardente combattente". Comunque, prosegue Ferrara, "il
furibondo anticomunismo atlantico di Sogno doveva esser combattuto sul
piano politico non su quello giudiziario". Par di capire che, dopo le rivelazioni
di Sogno, tocchi a Luciano Violante di chiedere scusa dopo che il suo imputato
del '74 gli ha fornito prove e riscontri di quanto la Procura di Torino
avesse visto giusto. Evidentemente questi personaggi d' avventura considerano
che la legge, il codice, la giurisdizione, l'azione penale obbligatoria,
siano carta da cesso con la quale pulirsi i piedi quando scomoda. Quanto
a Edgardo Sogno e a tutta la variegata compagnia che, con assai minor follia
visionaria di lui, gli tenne bordone e rappresentò per trent'anni
il sistema delle istituzioni illegali, di lui si può dire soltanto
che visse per l'avventura perché soltanto in essa trovava realizzazione
e gratificazione. In nome della libertà la sua "follia visionaria"
lo portò a concepire e concretamente a tentare di strangolare la
libertà. Per fortuna fu fermato in tempo.
2 dicembre – Sul “Corriere della sera”,
Ernesto Galli della Loggia” pubblica un articolo intitolato “La verità
su Sogno: aveva ragione Violante - NON PUÒ ESSERCI GOLPE LIBERALE”.
“I liberali – scrive Galli della Loggia - non progettano «azioni»
volte ad abbattere un regime parlamentare; non mettono in piedi organizzazioni
militari con lo scopo di produrre uno «strappo» costituzionale
per introdurre nuove forme di governo al di fuori delle debite procedure
legali; i liberali non si lasciano tentare neppure per scherzo dall’idea
di procedere alla «esecuzione capitale degli esponenti politici di
partiti democratici» perché responsabili di collaborazionismo
con quelli che essi ritengono nemici della democrazia. I liberali, insomma,
non si dedicano a tramare alcun golpe perché sanno bene che non
esistono golpe liberali. L’ambasciatore Edgardo Sogno, medaglia d’oro della
Resistenza, invece, non la pensava così. Oggi, infatti, veniamo
a sapere dal lungo colloquio che poco prima di morire egli ebbe con Aldo
Cazzullo e che Mondadori ha appena pubblicato ( Testamento di un anticomunista),
veniamo a sapere dunque per sua stessa ammissione che Edgardo Sogno compì
tutte le azioni sopraddette. Correvano in Italia i tetri anni Settanta:
Sogno era innamorato del presidenzialismo di stampo gollista, era sempre
più ossessionato dall’immagine di un’Italia stretta nella «morsa
catto-comunista», vedeva dappertutto, anche tra i moderati, anche
tra i democristiani, solo cedimenti e collaborazionismo verso il Pci. E
così decise di non restare a guardare, di passare ai fatti. Certo:
il tono troppo spavaldo delle sue parole di oggi, la troppo conclamata
vastità e la troppo lucida coerenza che egli adesso attribuisce
al suo disegno di allora autorizzano in qualche modo a dubitare dell’effettiva
plausibilità di quei piani, della loro traducibilità operativa.
Ma ciò non toglie che in essi Sogno mise il suo impegno più
pieno, la sua vasta rete di amicizie, tutte le risorse del suo temperamento
singolare. Un temperamento ardente fino ai limiti dell’esaltazione, sul
quale il secolo in cui gli toccò vivere impresse la propria impronta
più autentica: quella dell’azione e del suo demone. Agire comunque,
a qualunque costo, senza mai darsi per vinti, fidare nella forza dell’azione,
affidare tutto alle sue virtù trasformatrici, all’improvvisazione,
all’audacia, al rischio, cui soltanto l’agire riesce a dare vita come dal
nulla. Unicamente alle prese con un nemico, Edgardo Sogno era se stesso.
Per esistere aveva bisogno, disperatamente bisogno, di una guerra: fino
al punto di allucinare che ancora alle soglie del Duemila in Italia ne
fosse in corso una - dice proprio così: «Uno scontro da guerra
civile» - tra comunisti e anticomunisti. Viene da sospettare che
per lui l’anticomunismo finisse per fare aggio sulla democrazia precisamente
perché l’anticomunismo, solo l’anticomunismo senza aggettivi, l’anticomunismo
senza la democrazia, era la più adeguata premessa di una guerra
civile. In quei terribili Settanta come l’antifascismo senza aggettivi
portò tanti a perdersi nella selva oscura del terrorismo, così,
allo stesso modo, l’anticomunismo senza democrazia spinse Edgardo Sogno
nelle melme del golpismo. Sicché oggi è giusto dare atto
a un giovane magistrato torinese di quegli anni - il suo nome, ricordate?,
era Luciano Violante, oggi, presidente della Camera - di aver allora visto
giusto indagando sul suo conto. Violante non riuscì a provare le
accuse; e oggi sappiamo che quell’indagine non fu un’azione persecutoria
di cui l’autore avrebbe dovuto un domani chiedere scusa: gli indizi evidentemente
c’erano, e quel giudice seppe valutarli in modo che oggi sappiamo corrispondere
alla verità. Quella verità che nella tumultuosa incertezza
della nostra vita pubblica deve essere sempre più l’unica guida
sicura per tutti.
2 dicembre - Che veramente Sogno volesse
fare un golpe io non solo non lo so, ma neppure ci credo”. Cosi' Giulio
Andreotti ha risposto ai cronisti a margine di un intervista pubblica a
Modena sulla vicenda di Edgardo Sogno. Non vorrei - ha continuato riferendosi
alle ultime dichiarazioni di Sogno in cui lui ammette un piano golpista
- che fosse una specie di millantato credito postumo che ha voluto rilasciare
per apparire di piu' di quello che in realta' e' stato”. Andreotti, che
secondo Eugenio Scalfari sarebbe stato uno degli uomini ai vertici delle
istituzioni che impedi' il golpe, ha aggiunto: Che Sogno avesse lavorato
a suo tempo per quel disegno di nuova repubblica, poi oggetto di molte
polemiche, questo certamente fu. Anche se successivamente al modello di
repubblica presidenziale si avvicinarono molti. Anzi reputando, anche nel
corso della bicamerale, che potesse essere un passo avanti”. Andreotti
ha precisato di non avere mai creduto alla possibilita' di golpe, perche'
la tradizione delle forze armate in Italia non ha niente a che fare con
queste cose. Ci sono state alcune teste calde, isolate, che hanno cercato
di fare la Rosa dei Venti o cose del genere, ma erano dei disegni in partenza
sterili”. Quindi Andreotti come ministro della difesa - hanno chiesto i
cronisti - non dispose una indagine attorno all' attivita' di Edgardo Sogno?
Nel periodo a cui ritengo si riferisca Sogno - ha risposto Andreotti -
io non ero ministro della difesa”. Il senatore ha comunque ricordato come
nello stesso periodo pero' ci furono fatti comici”. Per un giorno o due
il Quirinale fu in stato d' allerta perche' si era detto che uno dei cosiddetti
cospiratori era andato a noleggiare un sommergibile in Francia per catturare
il presidente Gronchi a San Rossore. Non voglio dire che Gronchi ci avesse
creduto, ma un po' di nervi tesi c' erano al Quirinale. Io - ha continuato
- mi misi a ridere quando me lo dissero: avrei capito il noleggio di un
motoscafo, ma un sommergibile...”. In realta' - ha raccontato ancora Andreotti
- era successo che erano stati raccolti dei fondi a sostegno del progetto
di repubblica presidenziale e li avevano affidati ad un giovane che avrebbe
dovuto utilizzarli per un giornale. Ma lui - ha aggiunto - se ne era andato
in Costa Azzurra e se l' era spassata con una signora americana, inventandosi
poi la storia”. Io non voglio minimizzare - ha ribadito - ma di golpe nei
primi 82 anni di vita non ho sentito rumore alle porte e credo che restera'
cosi”'. Sempre interpellato dai cronisti Andreotti ha bollato come disegno
piu' che velleitario”, quello del principe Borghese. Fu una velleita'.
Poteva essere l' innesco di una serie di manovre, se si fosse potuto fare
affidamento sulle forze armate. Ma questo non esisteva, erano veramente
dei suonati. 'Radio Fante' poi sostenne che a dare l' allarme alla polizia
fosse stato Almirante, che non voleva essere coinvolto come partito con
queste teste calde”.
2 dicembre - L'ex presidente della Repubblica
Francesco Cossiga commenta: Qualche scusa a Violante va fatta”, anche se
quelle persone non erano in grado di fare un Colpo di Stato”. In particolare
il senatore a vita, prendendo spunto dall' articolo pubblicato oggi sul
Corriere della Sera da Ernesto Galli della Loggia, ha affermato: Galli
della Loggia ha ragione: qualche scusa sul caso Sogno a Violante va fatta”,
ma le persone indicate non erano in grado di fare un Colpo di Stato”. Secondo
Cossiga, l' unico rischio che ha corso l' Italia e' stato nel 1974/1975
quando gli Usa hanno pensato seriamente di metterci fuori dal Patto Atlantico”.
Il rischio di una rivoluzione in Italia e' ormai superato - ha concluso
Cossiga - in ogni caso in Italia non c'e' mai stata una rivoluzione senza
il consenso del re”.
2 dicembre - Fabio Mussi capogruppo dei
Ds alla Camera chiede al centrodestra un atto di onesta’ intellettuale”
dopo aver definito Edgardo Sogno un grande italiano ingiustamente perseguitato”
e dopo aver chiesto per lui una solenne commemorazione a Montecitorio”.
L'errore - sottolinea Mussi - ha un'origine politica e culturale profonda:
la contraffazione della storia italiana, particolarmente degli ultimi 30
anni, e la riattualizzazione dell'anticomunismo, di qualunque tipo, quale
cemento ideologico ed asse di governo”. Ora - conclude - ci attendiamo
atti di onesta' intellettuale e dovuti riconoscimenti affinche' false memorie
e interessi politici contingenti non possano giustificare gli attentati
alla democrazia e alla liberta' che hanno minacciato l'Italia”.
3 novembre – In un’ intervista a “La Repubblica”
l’ ex ministro dell’ Interno Paolo Emilio Taviani ammette di essere stato
lui nel 1974 a scrivere l’ ordine o il consiglio o l'invito ad “indagare”
sul tentato golpe di Edgardo Sogno, spedito alla Procura della Repubblica
di Torino e finito poi sul tavolo del dottor Luciano Violante, giudice
istruttore. Sogno era vice presidente della FIVL, Federazione Italiana
Volontari della Libertà, i partigiani "bianchi", di cui il senatore
a vita Paolo Emilio Taviani era ed è presidente nazionale. "Lo scrissi
di mio pugno e la feci mandare a Torino " dice oggi Taviani, 88 anni, che
da poco ha subito un piccolo intervento chirurgico. "Parlerò solo
con le istituzioni" dice, confermando però quel particolare, che
non aveva mai reso pubblico, sulla preoccupazione che regnava ai vertici
del Viminale nella calda estate del 1974, quando i movimenti di Edgardo
Sogno erano diventati sempre più pericolosi per la democrazia. Fu
proprio Taviani ad allertare in agosto il giudice Violante. "Mi ero preoccupato
- racconta - perché Sogno, già indagato, non si era presentato
ad una convocazione dei magistrati. Pensavo che volessero arrestarlo".
"Sogno e le sue inquietanti manovre non erano la preoccupazione maggiore"
spiega Taviani, ricordando il clima nel quale maturarono le sue decisioni
di sciogliere Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Secondo Taviani, lo
Stato tremava di più davanti ai terroristi come Carlo Fumagalli,
capo dei Mar, fatto arrestare da lui e rischiava di più per l'intreccio
tra le trame di estrema destra e gli apparati dello Stato, come l'Ufficio
Affari Riservati di Umberto D'Amato e del questore Russomanno, che ancora
lui fece sciogliere, sempre nel 1974. Sogno inquietava Taviani, ma più
come un ex compagno nella Resistenza, che aveva smarrito la strada imboccata
insieme, che come un golpista. Il comandante Franchi era, quindi, un tormento
più per il capo della Fivl, che per il ministro, responsabile dell'ordine
pubblico, della sicurezza nazionale. Tanto è vero che nei diari
politici di Taviani, raccolti nella sua rivista Civitas, la cronaca di
quell'estate dedica grande spazio all'espulsione di Sogno dall'organizzazione
partigiana e nulla alle voci di golpe. Con 53 voti favorevoli, uno contrario
ed uno astenuto, il 27 ottobre del 1974 la Fivl caccia il comandante Sogno,
medaglia d'oro "che con i suoi atteggiamenti e con la sua proclamata linea
politica si era posto fuori dalla Federazione". Il caso Sogno ha, così,
nei diari di Taviani del 1974, solo una lettura partigiana: "La Resistenza
fu di tutto il popolo e non è monopolio di nessuno, per cui l'episodio
in cui era rimasto coinvolto un pur coraggioso e cospicuo esponente Edgardo
Sogno, Franchi, è deplorevole". "Sogno e il suo golpe non mi erano
sembrati una cosa seria, ero veramente molto più preoccupato per
Ordine Nuovo" spiega ancora Taviani. Di golpe, di putsch, di tentativi
eversivi, l'ex ministro era uno che se ne intendeva e che se ne intende
ancora, dopo essere stato l'uomo politico più a lungo seduto sulla
poltrona del Viminale nella storia repubblicana e per avere fronteggiato
anche allarmi gravi per le istituzioni democratiche e mai resi noti. Come
accadde , per esempio, alla fine di gennaio dello stesso maledetto 1974,
quando, tra il 29 e il 30 di quel mese, per una notte e un giorno, proprio
il ministro Taviani, insieme all'allora segretario nazionale della Dc,
Flaminio Piccoli, temette una vera e propria sollevazione militare. I due
leader Dc erano in Trentino per assistere alla "Marcialonga", quando l'allarme
raggiunse Taviani direttamente da Palazzo Chigi sul treno ministeriale,
che lo aveva trasportato da Roma. Un agitatissimo presidente Rumor era
stato informato dal generale dei carabinieri Arnaldo Ferrara, fedelissimo
del governo e vicino anche a Taviani, avversario dei presunti golpisti
di Sogno, che nei pressi di Roma era in corso un vertice segretissimo e
ingiustificato di alti gradi dell'esercito, cui i servizi della Polizia
avevano attribuito un intento eversivo. Furono prese misure eccezionali
di sicurezza. Sia Taviani che Piccoli dormirono in due diverse caserme
della polizia, protetti da scorte eccezionali e con le mitragliatrici piazzate
alla porta. La notte seguente a Roma la Rai e i principali ministeri furono
protetti da reparti della Polizia e dei Carabinieri. Quell'episodio inedito
è sempre rimasto segreto e inspiegabile, ma si inquadra bene nel
clima di quel 1974 sul quale Taviani continua ad aprire solo piccoli squarci,
mantenendo un riserbo istituzionale molto rigido. E rimandando ogni rivelazione
a un suo libro di memorie, che, come l'intervista a Sogno, sarà
pubblicato, per sua espressa volontà, solo dopo la morte. In un’
altra intervista al “Corriere della sera” Taviani invita ad andare a rileggersi
le cronache di quell’anno comparse sulla rivista Civitas da lui diretta.
Quelle note, ispirate dallo stesso direttore, mettono a nudo lo scontro
tra Sogno e Taviani. Consultandole, torna alla luce una sua intervista
all’ Espresso nel settembre 1974, subito sconfessata dal ministro, firmata
da Eugenio Scalfari. Commentò Civitas nel resoconto di fine anno:
“Dalla stessa smentita di Taviani si evinceva che, nella sostanza, alcuni
punti erano chiaramente riconducibili al pensiero del ministro. Così,
ad esempio, quando confermava l’esistenza di un disegno eversivo di destra...
Certo, c’era anche qualcosa di nuovo, come quando si affermava esplicitamente
il superamento della teoria degli opposti estremismi, ma a ben guardare
anche questo s’inquadrava nella naturale evoluzione dei suoi convincimenti
già espressi...”. Il punto del dissenso - e dello scontro, se è
vero come sostenuto da Sogno che fu Taviani a mettere sulle sue tracce
l’allora giudice istruttore Luciano Violante - è proprio quello
degli “opposti estremismi”. Per l’ex ambasciatore c’era in Italia il doppio
rischio di “un colpo di Stato militare” da un lato, e “della possibilità
di un governo comunista” dall’altro provocato da disordini di piazza “già
in atto”. Ecco invece l’analisi di Taviani, secondo l’”interpretazione
autentica” della sua rivista: “Non esistono oggi due opposti pericoli di
piani eversivi per lo Stato, l’uno dell’estrema destra e l’altro dell’estrema
sinistra. E’ stato detto che il terrorismo in Italia sarebbe un fantasma
senza volto, ma il 13 agosto, alla Camera, Taviani dichiarava: "Fatti,
e non soltanto indizi, contraddicono questa affermazione. Fatta eccezione
per il fenomeno delle Brigate rosse, costituito da un nucleo di associati
di chiara estrazione di sinistra, le modalità degli attentati, la
personalità degli arrestati e il retroterra ideologico delineano
il volto fascista dei gruppi che ho testè citato, in alcuni casi
il volto del nazismo"“. Per il ministro dell’Interno, insomma, il pericolo
concreto veniva solo da destra, nonostante gli opposti estremismi teorizzati
anche in casa democristiana. Una convinzione che Taviani rivendica ancora
oggi, e che in quel discorso alla Camera del 13 agosto 1973 (all’indomani
della strage del treno Italicus) espresse in maniera netta: “Dalla cosiddetta
"strategia della tensione", intesa per sua stessa definizione a destare
allarme, portare scompiglio, tenere sulla corda forze dell’ordine e governo,
si è passati a un più grave stadio, a una vera e propria
"strategia del terrore" che ha per fini immediati l’esasperazione della
sfiducia nei pubblici poteri, la paura, il caos e, per fini ultimi, il
sovvertimento delle istituzioni democratiche”. Il 27 ottobre si tenne il
congresso dei Volontari della Libertà, i “partigiani bianchi”, e
lì Taviani ribadì le sue tesi. Puntò ancora una volta
il dito contro il fascismo, in un discorso nel quale - riferì Civitas
- “definiva "deplorevole" l’episodio in cui era rimasto coinvolto "un pur
coraggioso e cospicuo esponente della Resistenza, Edgardo Sogno"“. Ricorda
la rivista che con 49 sì e 6 astensioni il congresso “dichiarò
di prendere "atto con vivo rammarico" che il comandante medaglia d’oro
Edgardo Sogno si era posto "con i suoi atteggiamenti e con la sua proclamata
linea politica fuori dalla federazione"“. A novembre l’esecutivo Rumor
lasciò il posto al quarto governo Moro, dal quale Taviani restò
fuori mentre Andreotti fu spostato dalla Difesa al Bilancio, e Civitas
annota: dietro l’esclusione “c’era chi intravvedeva contrasti di ordine
politico tra la segreteria del partito democristiano e i due ministri,
soprattutto in relazione alle loro recenti concrete iniziative contro il
rigurgito fascista”.
4 dicembre - In un' intervista al "Corriere
della sera", Francesco Cossiga sostiene che il centrosinistra userà
il caso Sogno contro Berlusconi. Secondo Cossiga, Edgardo Sogno "era un
uomo di grande fantasia" e dunque "non credo abbia detto materialmente
il falso, ma ritengo abbia dato a quella vicenda una ridondanza non corrispondente
al vero. Ho conosciuto molte delle persone che Sogno considerava protagonisti
del complotto e non erano persone che gli andavano dietro". "Certo - continua
Cossiga - se poi lui quelle cose le ha dette anche da vivo, nonostante
il complotto non ci fosse ce n’erano gli indizi. Capisco quindi sia l’allora
ministro Taviani, sia l’allora magistrato Violante. Capisco perché
Violante ha inquisito Sogno e capisco perché poi il giudice lo ha
assolto".
E per questo vanno fatte le scuse a Violante?
"Un po’ di scuse. Perché una cosa è
parlar di morte, altro è morire. Una cosa è parlar di golpe,
altro è farlo".
Secondo lei, quindi, Sogno ne parlava soltanto?
"Bisogna contestualizzare gli eventi. Per esempio,
è certo che Secchia, avendo l’accordo di una parte del Pci, si recò
da Stalin per dirgli che bisognava prendere la strada della conquista violenta
del potere. Per assurdo, dovremmo quindi incriminare l’intera dirigenza
del Pci, responsabile della visita di Secchia a Mosca. Ma sarebbe una sciocchezza.
Allora Stalin rispose di no a Secchia, e non perché fosse contrario
a queste operazioni, ma perché ha sempre tenuto fede agli accordi
di Yalta. Insomma, evitiamo di cambiare la storia, o Stalin si trasforma
in una specie di Tolstoj che dalla sua dacia guardava con terrore l’opera
del Kgb".
Però, il generale Li Gobbi riferisce di
aver partecipato al progetto di Sogno, che loro chiamavano "contraccolpo".
"Ma allora si trattava di un golpe o di un controgolpe?
Perché l’ipotesi poteva essere quella di contrastare l’avvento dei
comunisti al governo. In Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia e Ungheria,
i comunisti si erano impadroniti del potere con la forza dopo essere entrati
al governo. E, sulla base di quelle esperienze, l’avvento del Pci al governo
in Italia poteva essere considerato da alcuni come l’inizio della presa
di potere dei comunisti".
Insomma, considera quell’operazione legittima?
"Non la considero legittima e, tuttavia, dal
loro punto di vista i comunisti italiani non consideravano legittima la
Gladio rossa? Parlo di una struttura organizzata dal Kgb per far scappare
i dirigenti del Pci, qualora in Italia il Pci fosse stato messo fuorilegge.
Quei tempi erano quei tempi, erano i tempi in cui l’amministrazione americana
pensava di sospendere l’Italia dal Patto Atlantico se i comunisti avessero
solo appoggiato un governo dell’epoca. Quando divenni ministro dell’Interno,
fautore della politica di solidarietà nazionale e sostenuto chiaramente
da Botteghe Oscure, ogni mese si tenevano a Bruxelles le riunioni del Comitato
di sicurezza della Nato. Il primo punto all’ordine del giorno era: relazione
sulla politica e sull’efficienza dei rispettivi partiti comunisti nazionali.
Insomma, abbiamo vissuto tutti sul filo dell’ambiguità. Taviani,
per esempio, era l’uomo più vicino agli americani, assieme a Moro
fu padre di Stay Behind, eppure si preoccupava dei golpe di destra".
E per controllare Sogno si rivolse alla Procura
di Torino.
"Sì, ma l’azione giudiziaria intrapresa
da Violante fu un’azione forte. D’altronde, un giudice può essere
indipendente da tutti, tranne che dalle proprie idee. E Violante era un
magistrato comunista, la sua concezione della democrazia era molto sensibile
ai pericoli da destra, mentre non riteneva potessero esserci pericoli da
sinistra".
Ferrara ritiene, invece, che "il furibondo anticomunismo
di Sogno doveva essere combattuto sul piano politico e non su quello giudiziario".
"Sì, ma un personaggio come Sogno, che
girava vorticosamente facendo certi discorsi, non poteva non attirare l’attenzione
e l’azione di un magistrato inquirente".
Insomma, lei sposa la tesi di Galli della Loggia.
"È così. Anche quando lui sostiene
che l’antifascismo senza aggettivi portò tanti a perdersi nella
selva del terrorismo. La vulgata in Italia, fino a poche ore fa, era che
non si potesse essere antifascisti se si era contro il comunismo. E non
v’è dubbio che il parossismo antifascista e il parossismo resistenziale
sono stati la base ideologica e gli animatori morali delle Brigate rosse.
Io sto con Galli della Loggia, che ha riconosciuto a Violante ciò
che è di Violante. Scalfari non l’avrebbe mai fatto, perché
per lui vige una parola d’ordine: mai con il nemico, il nemico ha sempre
torto".
Andreotti, però, ha criticato Violante
"perché non solo indagò su Sogno ma lo arrestò. E
a me, che sono difensore dei diritti civili, non piace come sistema arrestare
una persona sulla base di prove inesistenti".
"Certamente. Anche se penso che Violante avrebbe
stroncato duramente anche un golpe comunista, se solo i comunisti ci avessero
provato".
D’ora in poi, dunque, non chiamerà più
Violante "il piccolo Vishinskij"?
"Ma Vishinskij, in molti casi, avrà anche
perseguito delle spie... E, comunque, ho sempre avuto rispetto per il Pci,
che è stato cosa diversa dai partiti comunisti cecoslovacco o ungherese.
Di quello polacco poco si può parlare perché Stalin, con
la connivenza di Togliatti, provvide a sterminarlo".
Lei ha detto: "In quegli anni abbiamo vissuto
tutti sul filo dell’ambiguità". Ora, tocchi pure ferro, ma visto
che Sogno ha voluto lasciare solo ai posteri la sua verità, e Taviani
ha deciso di affidare la sua a un memoriale che verrà reso noto
dopo il suo trapasso, non è che anche lei ci lascerà in eredità
qualcosa...
"Io le cose che ho da dire le dirò da
vivo, perché "dopo" uno non se ne assume più la responsabilità".
5 dicembre – Il quotidiano “La Repubblica
pubblica un’ intervista a Vincenzo Pochettino, il magistrato torinese che
nell'inchiesta sul "golpe bianco" di Edgardo Sogno affiancava come pm
l'allora giudice istruttore Violante. Oggi è procuratore aggiunto
e gravita nell'area di Unicost, la corrente moderata della magistratura.
"Sul caso Sogno – dice Pochettino - continuano a circolare bugie, falsità
e inesattezze. Luciano Violante, per la carica che ricopre, non può
parlare. Allora lo faccio io".
Qual è la bugia più grossa,
dottor Pochettino?
"Beh, questa storia dell'accanimento di
Violante contro Sogno per chissà quali ragioni ideologiche. Violante
non fece nulla che io non gli avessi chiesto: dalla perquisizione in casa
Sogno, all'arresto. I nostri capi erano costantemente informati e consultati.
Violante è sempre stato un tipo prudente, riflessivo: il contrario
dello stereotipo che gli hanno appiccicato addosso".
Andreotti dice: va bene indagare su Sogno,
ma arrestarlo fu una forzatura.
"Forse dimentica che allora, per il reato
che avevamo contestato a Sogno - "cospirazione politica mediante associazione"-
, l'arresto non solo era consentito: era obbligatorio. Naturalmente, in
caso di "sufficienti indizi di colpevolezza". E le assicuro che gli indizi
erano corposissimi. Non potevamo non catturare Sogno. Anche perché,
appena informato dell'indagine e dell'accusa, avrebbe fatto il diavolo
a quattro.I rischi di inquinamento delle prove erano lampanti. Infatti
l'arresto fu confermato dai colleghi romani, quando passammo loro il fascicolo
per competenza".
Come nacque l'inchiesta? Taviani dice di
averla attivata lui, con una denuncia alla Procura di Torino.
"Non mi risultano denunce di Taviani. A
Sogno e al suo gruppo arrivammo autonomamente, indagando su altri ambienti
golpisti".
Ma il golpe Sogno era una cosa seria?
"Direi di sì. Se poi Sogno sarebbe
riuscito o no a metterlo in atto, è un'altra questione. Per il suo
governo "di salute pubblica anticomunista" contava su appoggi politici,
a cominciare da quello del presidente Leone, che non arrivarono. Ma la
migliore conferma ai nostri indizi ci venne da Andreotti, quando lo interrogammo".
Avete interrogato Giulio Andreotti?
"Sì, come testimone. Almeno due
volte, a Roma. Violante e io. La prima volta, a fine 1974, era ministro
della Difesa. La seconda, a fine '75, era al Bilancio".
Che cosa gli avete chiesto?
"Tutto quello che sapeva sui movimenti
e i contatti di Sogno, come ministro della Difesa. A noi risultava che
ne sapesse parecchio. Scalfari ha visto giusto: era stato proprio Andreotti
a stroncare il golpe sul nascere. Nell'agosto "caldo" del 1974, aveva rimosso
in 24 ore una serie di alti ufficiali e capi dei servizi segreti in contatto
con Sogno. E il suo ministero aveva annullato tutte le licenze ai militari,
ordinando lo stato di allerta e attenzione in tutte le caserme".
E Andreotti che cosa vi rispose?
"Fu disponibilissimo. Rispose a tutte le
domande. Ci confermò che i servizi segreti lo avevano informato
di tutto. E che il tentato golpe era una cosa seria, tutt'altro che una
burla. Ma insisteva sul fatto che ormai era stato sventato. Acqua passata,
scampato pericolo, non era il caso di insistere.".
Minimizzava?
"Un po'. Anche sugli avvicendamenti dei
generali: ce li presentò come normale amministrazione. Cosa poco
credibile, visto che i generali erano stati spostati dalla sera alla mattina.
Lui avrebbe voluto che non la facessimo tanto grossa, visto che il golpe
non aveva avuto sbocchi. Ma noi eravamo obbligati a procedere".
Avete interrogato anche i capi dei servizi?
"Capi ed ex capi del Sid. Casardi, Maletti,
Miceli e La Bruna. Casardi era appena arrivato, e non sapeva nulla. Gli
altri invece sì: ci diedero qualche elemento utile. Ma avemmo la
certezza che tenessero d'occhio Sogno da un bel po'".
Ma non avevano avvertito l'autorità
giudiziaria.
"Quella di Torino, no di certo. E nemmeno,
credo, quella di Roma: quando Violante e io trasmettemmo il fascicolo Sogno
per competenza, a Roma non risultava aperta alcuna inchiesta. Il Sid aveva
avvertito soltanto Andreotti".
5 dicembre - Intervistato dal Gr Rai, Giulio
Andreotti sostiene che un golpe da parte di Sogno o di altri era
impraticabile perche' mancava l'adesione delle forze armate. Il senatore
a vita ritiene anche che non vi fossero prove per arrestare l'ex ambasciatore,
ma neanche "malafede" da parte dell'allora magistrato Luciano Violante.
"Che ci fossero comunque delle persone, compreso Sogno, che ritenevano
che noi non fossimo capaci con metodi democratici di resistere al pericolo
comunista - afferma Andreotti - questo e' vero. Pero' io sono convinto,
perche' lo conosco bene e ne ho seguito sempre l'attivita', che non c'era
nessuna risposta nell'esercito". Su Violante, Andreotti fa una doppia osservazione.
"Il fatto e' che e' vero che queste prove non c'erano, compresa una lettera
che veniva citata", ricorda il senatore a vita, che tuttavia aggiunge:
"Pero', quando ci fu la denuncia che Sogno fece nei confronti di Violante,
il processo si risolse a favore di Violante perche' il magistrato disse
che l'impegno di Violante nella difesa delle istituzioni era talmente forte
che si escludeva qualunque sua malafede nell'avere condotto un'iniziativa
contro di Sogno".
5 dicembre – Il vicepresidente della Commissione
Stragi Vincenzo Manca (FI), criticando Rosario Priore e Felice Casson,
afferma che "In Magistratura esistono personaggi che, per protagonismo
e per inseguire teoremi propri, accettano incarichi incompatibili, senza
considerare che si conducono istruttorie con metodi poi censurati dalla
Corte". Per il senatore di Forza Italia "il giudice istruttore Priore non
doveva accettare l' incarico perche' per due anni era stato in precedenza
consulente della Commissione Stragi; ha sbagliato anche chi glielo ha proposto".
Secondo Manca, Priore "non doveva considerare validi i risultati delle
perizie svolte dopo la chiusura dell' istruttoria". In questo senso il
vicepresidente della Commissione si e' riferito alla recente decisione
della III Corte d' Assise, davanti alla quale si sta celebrando il processo
per presunti depistaggi nell' inchiesta sulla strage di Ustica, che ha
rimandato gli atti ai pm per gli imputati di falsa testimonianza e giudicato
nulle le perizie compiute dopo il marzo 1999. "Lo ha fatto - ha spiegato
Manca - per sostenere il teorema della semicollisione, non ha mai voluto
considerare la tesi della bomba. Tutto questo - ha aggiunto - su prove
acquisite fuorilegge e su perizie di parte". "Io mi baso - ha proseguito
- su quanto sostenuto dai tre pm che, pur essendo di parte politica avversa,
sono piu' saggi e obiettivi e dicono che le prove sono a favore della bomba".
Priore sarebbe per il senatore "uno di quei magistrati che costruiscono
teoremi che poi si rivelano infondati, un altro caso e' quello del giudice
Casson sull' inchiesta della Gladio bianca la quale voleva dimostrare che
gente ha cospirato contro lo Stato mentre facevano il loro dovere per difendere
l' Italia. Sono inchieste - ha precisato - con obiettivi politici, magistrati
spinti involontariamente dalle loro ideologie". Manca ha anche criticato
il Presidente del Consiglio Giuliano Amato: "Dovrebbe essere piu' prudente
- ha affermato - in Commissione Esteri aveva detto che Priore aveva raggiunto
dei punti fermi nell' inchiesta, invece la III Corte di Assise ha dimostrato
che avevo ragione io, che sostenevo le incongruenze e le riserve della
Sentenza-Ordinanza del g.i. Priore". Per Manca la decisione della Corte
"impone alla Commissione Stragi di riprendere in esame il caso Ustica non
solo per ricercare la verita' storica su di esso, ma anche per mettere
bene a fuoco il comportamento della Magistratura, istituzione questa che
deve entrare, insieme alle altre, nell' ambito dei doveri di indagine di
un Organismo parlamentare super-partes e che agisce in nome del popolo
sovrano".
4 dicembre - Il quotidiano "La Stampa"
pubblica un' intervista ad Aldo Cazzullo, autore del libro-intervista ad
Edgardo Sogno. "Cominciammo a parlarne - spiega Cazzullo - nel dicembre
del '98, nella libreria di una persona molto vicina a Sogno, Angelo Pezzana
(e l'amicizia tra un eroe di guerra, in gioventu' grande amatore, e un
leader omosessuale nonviolento e' uno degli aspetti di questa storia che
sconcerterebbero Ionesco). Alla Luxemburg si discuteva di un mio libro
su Lotta continua, e a Sogno feci notare quanto sarebbe stato interessante
raccontare gli Anni 70 visti dal fronte opposto. <<Venga domani a
casa mia - disse -, e parleremo>>. La casa dove Sogno era nato e dove e'
morto racchiudeva altri particolari essenziali per penetrare il personaggio.
Costruita sulle rovine della Cittadella nel quartiere piu' torinese di
Torino, algidi palazzi umbertini, neanche una panetteria, era la casa di
un aristocratico sabaudo dell'800 - parquet scricchiolanti, ritratti degli
avi, trofei di caccia, una spada appartenuta a Carlo Alberto, dono di nozze
della marchesa Nichi Visconti -, in cui facevano irruzione i segni della
sua eccentricita'. La collezione di statue di Buddha, tra cui una rarissima
dai tratti negroidi, avuta in cambio di una penna d'oro quand'era ambasciatore
a Rangoon (invece che a Saigon, come avrebbe voluto). Le camicie scozzesi,
i foulard, il profumo di Guerlain. E i passaggi segreti: uno che portava
in strada, e un altro, mostratomi dopo lunghe insistenze, che conduceva
a una botola dissimulata nel soffitto, dove nell'agosto del '74 il conte
aveva atteso per ore che i poliziotti mandati da Violante finissero di
frugare tra le sue carte. Le carte di Sogno mi arrivarono a casa, dentro
un fascicolo rosso, perduto in fondo a uno scatolone pieno di appunti,
fotocopie, ritagli. Dentro c'era la trama del golpe bianco. Con Sogno ho
passato giornate a parlare, registrato una decina di cassette, scambiato
una telefonata o piu' al giorno per un anno e mezzo. Ma mi accorsi presto
che sul golpe - termine che usava solo nelle conversazioni informali -
preferiva esprimersi per iscritto. Cosi' gli mandavo le domande, per posta
o per fax, e ricevevo le risposte. Com'e' ovvio, una volta verificato che
Sogno non raccontava frottole (come confermano i testimoni viventi dei
fatti, Li Gobbi, Maletti, Taviani), mi posi l'interrogativo che molti si
ripetono in questi giorni: fino a che punto era credibile l'uomo che mi
andava rivelando di aver organizzato <<un'operazione politica e militare>>
per fare dell'Italia una Repubblica presidenziale? Quel progetto rappresentava
un pericolo per la democrazia, come sostengono ora Eugenio Scalfari, Maletti,
Pellegrino, o un bluff, come ritiene Andreotti? Con i generali che mi indicava
- eroi di guerra saliti ai vertici delle forze armate, non golpisti da
commedia - aveva preso contatti o stretto accordi? E perche' la medaglia
d'oro indicata quasi universalmente come un perseguitato raccontava una
storia che ne ribaltava il ruolo? Forse non si trattava tanto di interrogarsi
sul realismo del progetto, quanto sul giudizio storico sul personaggio;
anche perche' proprio su questo terreno si potevano trovare le vere ragioni
della sua scelta di verita'. Al Sogno vicino alla fine, la parte della
vittima non piaceva. Franchi non era un personaggio fragile: non ne aveva
ne' l'indole, ne' la biografia. Era stato un uomo d'azione, senza vocazione
per la politica, almeno nelle forme ordinarie della mediazione e della
rappresentanza popolare, che nei torbidi degli Anni 70 aveva visto la possibilita'
di tornare il soldato della Resistenza, e prima ancora il cospiratore non
privo di un tratto velleitario che nel '43 aveva mandato una petizione
a re Vittorio Emanuele III, perche' abbandonasse Mussolini. Aveva combattuto
duramente i comunisti, fidando su saldi rapporti con l'establishment politico
e militare, italiano e occidentale, e dai comunisti era stato duramente
combattuto. E ora decideva di affrontare la conseguenza delle sue rivelazioni
- riuscire a mettere d'accordo Scalfari, Galli della Loggia e, con qualche
distinguo, Cossiga, sulle <<buone ragioni>> di Violante -, pur di
lasciare una rappresentazione diversa da quella cui pareva legato; che
e' cosa diversa dal <<far parlare di se'>>, cui pensa Andreotti.
Per dire la verita' senza propiziare la vittoria postuma di quello che
non ha mai cessato di considerare il suo avversario, Sogno aveva cercato
di opporre preventivamente due argomenti, uno giudiziario, l'altro politico.
Sosteneva che <<Violante falli' nel trovare le prove sulla nostra
organizzazione>>, la quale, come aggiungeva quasi compiaciuto per un'ultima
beffa, <<aveva retto>>: nessuno dei generali fu indagato. E rivendicava
un progetto che avrebbe dovuto, dalla sua prospettiva, fermare la longa
manus del potere autoritario sovietico, il Pci, e salvare la democrazia.
Al riguardo, Sogno non soltanto si attendeva, ma sollecitava le obiezioni
che gli ponevo. Fin dall'inizio mi aveva scritto di voler instaurare un
dialogo <<tra l'intervistatore che rivolge le domande nell'ottica
di chi si riconosce nella legalita' repubblicana, e l'intervistato che
risponde quale fautore di una democrazia alternativa, in contrapposizione
alla Costituzione>>; che per Sogno era il frutto avvelenato del cedimento
dei moderati pavidi alla strategia egemonica dei comunisti. Un dialogo
tra due posizioni a tal punto inconciliabili sarebbe stato brevissimo o
noiosissimo. Cosi' del golpe trattavamo per posta. Nel salotto di casa
Sogno, tra il ritratto dipinto dalla signora Anna che lo raffigurava con
l'abito rosso dell'Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, i manifesti di
<<Pace e liberta'>>, quelli che denunciavano con decenni di anticipo
le responsabilita' di Togliatti nei crimini staliniani e quelli che riprendevano
voci sulla vita sessuale di Secchia, la foto di un ricevimento in Birmania,
lui in alta uniforme con le medaglie sul petto, lei avvolta in un sari
bianco e nero, i nastri registravano la conversazione - sulla Spagna, la
Resistenza, l'ultima notte della monarchia, i rapporti con Scelba e il
capo della Cia Dulles - tra due interlocutori allontanati dall'eta' e dalla
politica, ma avvicinati dalla consuetudine e a un certo momento anche dalla
simpatia (Sogno prese a darmi del tu, io proseguii con il lei, ma il libro
non registra - unica infedelta' - lo scarto linguistico). Spavaldo, generoso,
irruente, superomista, il personaggio andava rivelando la sua appartenenza
a una societa' (termine che per lui rinviava ai salotti patrizi) e a una
Torino morte forse con lui; all'aristocrazia liberale, elitaria, monarchica,
che con le destre italiane aveva in comune solo l'avversione a un altro
fenomeno dalla genesi torinese, l'azionismo, visto come una degenerazione
della borghesia intellettuale. Come l'avo decorato a San Martino, Sogno
inseguiva, per sua stessa ammissione, categorie ottocentesche, onore e
gloria. Cosi' - ma questo non l'avrebbe ammesso mai -, quel che in altri
tempi sarebbe stato un atout, nel suo tempo diventava una condanna: che
faceva, di progetti, velleita'. Alla fine, per ascoltarlo, non andavo piu'
nella casa umbertina, ma alle Molinette. I medici dosavano le domande come
un farmaco: in modica quantita' giovavano al paziente; in dosi eccessive
l'avrebbero affaticato (e, al momento dei saluti, la sua mano ardeva di
febbre). Anche perche' neppure in ospedale aveva rinunciato - oltre che
al tratto aristocratico, alle vestaglie di seta, ai bicchieri d'argento
- alla passione per la polemica. Se potesse intervenire in quella di oggi,
lo farebbe con il refrain di una canzone che amava: <<Non, je ne
regrette rien>>. E chiederebbe alla destra che nel '96 lo candido' al Senato
se intenda associarsi alla condanna, in nome del patto repubblicano, o
prendere le sue difese, in nome delle ragioni dell'anticomunismo".
6 dicembre – Il “Corriere della sera” scrive
che agli atti del processo di piazza Fontana e’ stata depositata la testimonianza
resa dal senatore a vira Paolo Emilio Taviani a due ufficiali dei carabinieri.
Il verbale ha la data del 7 settembre 2000. Taviani dice che “In sintesi
la chiave di lettura della storia italiana dalla primavera del 1947 al
1989 sta nella doppia politica estera. In uno scenario di tale gravita’
sono esplose tre drammatiche crisi: 1964, 1969-70, 1973-75”.
Sulla prima crisi, quella del 1964, Taviani racconta
che il presidente Antonio Segni torno’ da una visita in Francia, il 22
febbraio, “impressionato dall’ organizzazione antistalinista dei francesi:
Mi chiese piu’ volte cosa avessimo previsto in caso di insurrezione armata
comunista. Gli ho sempre risposto che, dopo la sconfitta interna dei secchiani,
ne’ io ne’ Vicari, capo della polizia, ne’ l’ arma avevamo preoccupazioni
di tal genere”. Da allora Segni “non ricevette piu’ Vicari, ma soltanto
De Lorenzo. Poi allontano’ da se’ a poco a poco anche Cossiga. Li riteneva
troppo di sinistra”. Taviani parla di alcune persone che alimentavano i
timori di Segni e fa i nomi di Merzagora, Bucciarelli Ducci, Martino, Pacciardi,
Eugenio Reale, Renato Angilillo, “un cospicuo mondo politico trasversale.
Parlamentari, alti funzionari, magistrati, alti ufficiali, che in buona
fede vedevano un pericolo nella nostra apertura a sinistra. C’ erano dei
democristiani, ma non tutti lo erano, dei massoni, ma non tutti. Erano
sobillati dalla Cia ? A dire il vero era accaduto il contrario: qualcuno
dei personaggi citati aveva espresso a personaggi di Paesi a noi alleati
le nostre preoccupazioni”.
Taviani colloca la strage di piazza Fontana,
“la madre delle stragi”, in un clima di debolezza e gelosie dei servizi
in cui “i gruppuscoli di estrema destra si gonfiarono fino a costituire
una galassia distaccata dal Msi”. Per taviani pero’ “c’ e’ un punto fondamentale
per capire la strage ed e’ che la bomba, nell’ intenzione degli attentatori,
non avrebbe dovuto procurare alcun morto”. Taviani aggiunge che “la sera
del 12 dicembre 1969 il dott. Fusco, un agente di tutto rispetto del Sid,
defunto negli anni ’80, stava per partire per Milano con l’ ordine di impedire
attentati. A Fiumicino seppe dalla radio che una bomba era scoppiata. Da
Padova a Milano si mosse, per depistare le colpe veso la sinistra, un ufficiale
del Sid, Del Gaudio. Questi due dati sono indizi, se non prove, di atteggiamenti
contrastanti nello stesso Sid. In alcuni settori del Sid e dell’ Arma di
Milano e di Padova vi furono deviazioni”. Taviani dice anche che la notizia
su Fusco gli fu “rivelata da un religioso” e “poi confermata da Miceli”.
Un’ atra fase viene individuata da Taviani dopo
lo scioglimento di Ordine Nuovo. “Nel periodo dello sfascio del Sifar e
della confusione del Sid erano stati assunti come agenti di complemento
parecchi confidenti, veri e propri ‘servizi paralleli’, spesso equivocati
con Gladio, mentre con essa non avevano nulla a che vedere. Quando, dopo
lo scioglimento di Ordine Nuovo, le questure e alcuni settori dell’ arma
rettificarono la loro azione, alcuni di questi agenti si trovarono diffidati
e respinti. A mio sommesso parere stanno qui le schegge impazzite che imperversarono
soprattutto in Toscana. Mario Tuti, che quando fu scoperto uccise due poliziotti,
era un tipico esponente di queste schegge, di estrema destra, impazzite”.
6 dicembre - Le schede che i servizi informativi
americani stilavano sugli esponenti politici di spicco tra il 1967 e il
1973, ora disponibili grazie alla ricerca effettuata negli Stati Uniti
da Gianni Cipriani, consulente della Commissione parlamentare d' inchiesta
sulle stragi e il terrorismo, sono ancora segrete, ma alcuni passaggi si
possono desumere nella relazione elaborata da Cipriani e arrivata in commissione
Stragi. I servizi segreti americani, cioè la Cia e i suoi satelliti,
la chiamavano "Potential Leader Biographic Reporting List" e per redigerla
e tenerla aggiornata avevano mobilitato tutte le strutture presenti in
Italia. Gli americani, nel 1967, avevano individuato tra i "potential leader"
un giovane parlamentare milanese che pochi in Italia conoscevano, Bettino
Craxi, e s'interessavano a un dirigente comunista in ascesa, Achille Occhetto,
segretario del Pci a Palermo. Si occupavano di un leader democristiano
noto per il suo rigore, Oscar Luigi Scalfaro, e dell'erede d'una delle
dinastie industriali più potenti d'Europa, Giovanni Agnelli. Gettavano
un occhio nel 1968 sul movimento studentesco di Torino (Luigi Bobbio, Guido
Viale e Carlo Donat Cattin) e sulle vicende del Manifesto (tra gli schedati
c'è Massimo Caprara). C' e' un elemento di fondo: i servizi segreti
americani avevano una particolare sensibilita', frutto di un lavoro di
intelligence e di analisi, nel prevedere quali potevano essere i "cavalli
vincenti" dei diversi settori. Infatti molti dei politici citati hanno
ricoperto, dopo il '73, incarichi rilevanti come ministri, come presidenti
del Consiglio o della Repubblica. Su Scalfaro si afferma che e' "considerato
un uomo di destra della linea dura, membro della corrente di Scelba nel
Partito Democristiano e molto amato e rispettato nei ranghi del partito,
in non piccola parte, per il suo senso dell' humor". Tra l' altro si sottolinea
il suo sostegno all' America e anche il suo "fidato anticomunismo". Su
Ciampi non vi e' una vera e propria scheda, ma soltanto un accenno quando
si parla della Banca d'Italia e si ricorda che era stato funzionario dell'
istituto prima di divenirne governatore. Molti sono gli esempi di schede
che riguardano politici che sono diventati segretari di partito: Bettino
Craxi, Renato Altissimo, Ciriaco De Mita, Giovanni Spadolini, Pietro Longo,
Achille Occhetto ed Enrico Berlinguer, Antonio Cariglia e Arnaldo Forlani.
A mo' di esempio nella relazione si riporta una scheda di Antonio Gava
che elenca cronologicamente le cariche ricoperte, gli elementi biografici
e un duro ritratto: "Ha la reputazione di non avere molti scrupoli e la
sua efficacia come politico e' vista con timore reverenziale sia da amici
che da avversari. Egli e' considerato il piu' potente politico della provincia
di Napoli. Si pensa anche che gli controlli una vasta, ma in gran parte
nascosta, rete di interessi affaristici nel campo bancario, assicurativo
ed edile. Sembra essere molto ben disposto verso gli Usa". Tra l' altro
si afferma che gia' dal 1969 gli Usa avevano chiesto al consolato di Milano
informazioni per stilare un profilo su Bettino Craxi e nel '71 maggiori
notizie su Claudio Signorile, poi ministro dei Trasporti e vicesegretario
del Psi. Nota Cipriani nella relazione: "La raccolta di dati rientra nella
normale attivita' di ogni ambasciata. Tuttavia, in alcuni casi le note
ritrovate sembrano contenere notizie tipiche da dossier spionistici o,
comunque, dettagli riservati riguardanti la sfera privata del soggetto
monitorato, come dimostra la scheda su Gianni Agnelli, la richiesta di
informazioni aggiuntive su Achille Occhetto e i chiari riferimenti alla
'natura personale di alcune note"'. Di Giovanni Agnelli, il Servizio americano
fa un ritratto da cui emerge una lettura attenta dei settimanali rosa dell'epoca
integrata da una frequentazione assidua dei salotti più pettegoli.
Ne ricorda il passato da play boy, la conoscenza personale con John Fitzgerald
Kennedy e signora, l'amicizia coi Rockefeller: "In breve - scrive il console
- Agnelli è un bell'uomo, timido, piuttosto freddo, molto intelligente,
un play boy misurato che esercita una notevolissima influenza sulla vita
economica italiana, che ammira gli Stati Uniti, ma non ci ama". Più
avanti una descrizione fisica dettagliatissima: "Ha un'altezza di cinque
piedi e undici pollici e mezzo. E pesa tra 165 e 170 libbre. E' piacente
in modo classico con capelli brizzolati e naturalmente ondulati con un
taglio non particolarmente corto, e caratteristiche somatiche abbastanza
affilate. Il suo sorriso non è caldo e la sua personalità
è tutto meno che calda". Non manca una ricostruzione meticolosa
delle abitudini, con un'attenzione ai mezzi di trasporto che apparirebbe
innocente se qualche anno prima di quelle note non ci fosse stato la tragedia
di Enrico Mattei: "Agnelli possiede un aereo personale, un Grumman turboprop
da 25 posti (abbiamo sentito che presto lo cambierà con un Grumman
jet) e usa raramente linee aeree commerciali". Ci sono altri imprenditori,
come Gian Giacomo Feltrinelli (ma la scheda su di lui non è stata
trovata) e il dirigente della Fiat Nicola Gioia. Ci sono diplomatici (Felice
Catalano di Melilli, Emilio Bettini, Roberto Caracciolo duca di San Vito,
Carlo Maria Rossi Arnaud). Ma l'attenzione più forte era sui politici.
A conferma del fiuto, tra i nomi degli schedati negli anni '60 ci
sono tutti quelli che negli anni successivi sarebbero diventati segretari
di partito. A Craxi e Occhetto, vanno infatti aggiunti Antonio Cariglia,
Arnaldo Forlani, Pietro Longo, Enrico Berlinguer, Francesco De Martino,
Renato Altissimo, Ciriaco de Mita, Giorgio Benvenuto, Giovanni Spadolini.
Ma tra i sorvegliati c' erano dei sorvegliati speciali, ed erano i socialisti.
E' interessante notare come i piani americani per l'Italia coincidessero
in buona parte con quelli del cosiddetto "noto servizio", l'organizzazione
di spionaggio individuata da un altro consulente della commissione stragi,
Aldo Giannuli: si trattava di "staccare" il Psi dal Pci. Ed ecco l'accurata
schedatura dell' attività di Antonio Giolitti, di Claudio Signorile
e anche di personaggi meno noti, come il parlamentare Antonio Caldoro:
"E' alto circa cinque piedi e nove pollici, con capelli che battono in
ritirata... uomo amichevole e gioviale... beve whisky e soda". Ecco la
sconcertante presenza tra gli schedati di Bruno Di Pol, il segretario della
Camera del Lavoro milanese deceduto in un incidente stradale che in realtà,
secondo un aderente al "noto servizio", nascondeva un omicidio. Il Psi,
durante la delicata fase dell' apertura al centrosinistra, fu un vero e
proprio "campo di battaglia" per i servizi informativi americani, come
l' Usis. Infatti, la relazione stilata dal consulente Gianni Cipriani al
termine del viaggio negli Stati Uniti presso alcuni archivi dimostra come
tra i principali obiettivi del servizio americano vi fossero i contatti
e l' interessamento verso il Psi per appoggiare e/o influenzare questo
partito in vista della delicata fase della "apertura a sinistra" da parte
della Dc. Nel piano Usis il ruolo dei socialisti "era considerato fondamentale.
A cominciare dalle operazioni di persuasione dell' opinione pubblica sull'
opportunita' di aderire alla Nato e di allinearsi completamente sulle posizioni
di politica estera degli americani". In questo quadro l' Usis programmo'
contatti con giornalisti e dirigenti Rai, leaders politici, esponenti del
Psi e dei gruppi giovanili. Altro importante "campo di battaglia" era,
sempre nel contesto del centrosinistra, il mondo dell' informazione e in
particolare i giornalisti e i dirigenti della Rai, che in quegli anni era
"decisiva per orientare l' opinione pubblica" grazie alla sua posizione
di incontrastato monopolio. Tutta l' azione che venne dispiegata mirava
a facilitare l' apertura a sinistra e contestualmente il distacco dei socialisti
dai comunisti. "L' onere di questa operazione - affermano i documenti rintracciati
presso gli archivi Usa - deve naturalmente essere assunto dagli italiani.
Comunque noi possiamo fornire una importante assistenza intensificando
i nostri contatti con il Psi per quanto riguarda la loro informazione sulle
moderne idee sociali ed economiche americane e pertanto contribuire alla
loro lenta evoluzione dall' isolamento del marxismo". Per Occhetto si richiedono
"informazioni concernenti la sua educazione e le sue abitudini personali".
C' e' un' attenzione particolare su Ugo Pecchioli e si chiedono informazioni
sul suo orientamento specifico dentro il Pci e una generale valutazione
della personalita'. Il dossier si dilunga anche sul monitoraggio dei diplomatici
italiani che mirava ad avere il maggior numero di informazioni sul personale
diplomatico con il quale avrebbe dovuto confrontarsi. Le informazioni raccolte
dal lavoro dell' ambasciata Usa a Roma e dei diversi consolati dimostrano
anche attenzione alle personalita' emergenti in Vaticano. Dopo il 1971
il lavoro di intelligence, oltre che sulle personalita' politiche emergenti,
fu integrato con i nominativi di quei prelati che erano ritenuti in grado
di esercitare la loro influenza sulle vicende politico-sociali proprie
dello Stato italiano. In un messaggio del segretario di Stato Rogers all'
ambasciata americana, dell' 8 settembre 1971, e' scritto infatti: "Nel
passato personalita' vaticane sono state incluse come per esempio in pubblicazioni
italiane. Percio' sarebbe auspicabile nelle future riviste e revisioni
del Blbrl (Biographic Reporting List) includere nella lista in questione
alcuni individui vaticani e altri leader religiosi italiani che potrebbero
esercitare una potenziale leadership sulla vita politica, economica e sociale
italiana. Pertanto, per quanto riguarda gli obiettivi delle future rassegne
e revisioni, puo' essere consigliabile includere nelle liste un certo numero
di persone del Vaticano. Inoltre risulta che il 7 agosto 1970 l'ambasciatore
americano a Roma, Martin, informa Washington che in Italia il principe
Junio Valerio Borghese ha intenzione di attuare un golpe. Rogers, il segretario
di Stato, è scettico sulla possibilità che il golpe venga
attuato ma, nel rispondere a Martin, chiede se sia opportuno o meno informare
gli italiani, e in particolare il presidente del Consiglio, Emilio Colombo,
e il capo dello Stato, Giuseppe Saragat. Non si sa cosa abbia risposto
l'ambasciatore, ma non risulta che le autorità italiane furono informate.
Purtroppo quasi tutti gli altri documenti su quella vicenda sono ancora
coperti da segreto.
6 dicembre - L'ex presidente della Commissione
Difesa della Camera Falco Accame, che ha inviato su questa materia un esposto
al al procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, rende noto che
la procura militare di Roma ha aperto un fascicolo su una presunta "altra
Gladio", diversa dalla Stay Behind finora conosciuta; una struttura composta
da alcune centinaia di militari "che operava all'estero con compiti interventistici".
L'esposto - afferma Accame - e' centrato sul volontario della Marina Antonino
Arconte, un ex militare che sulla sua presunta attivita' di "gladiatore",
esercitata negli anni '70, ha anche rilasciato nel tempo diverse interviste.
"Dal suo libretto personale - afferma Accame - risulta che Arconte e' stato
destinato ai 'reparti speciali S/B', cioe' a reparti militari, presumibilmente
alle dipendenze dello Stato maggiore della Difesa". Arconte, che venne
congedato il 14 dicembre 1973 con il grado di "comune di seconda classe",
ha operato - afferma Accame - "fuori dal territorio nazionale; in compiti
di intervento attivo e su ordini nazionali. Tale e' il suo impiego, ad
esempio, nell'operazione Maghreb per la destabilizzazione del regime tunisino
operata dall'Italia". "Dunque - sottolinea l'ex presidente della Commisisone
Difesa della Camera - si tratta di una faccia 'militare' della Stay Behind
ad oggi non conosciuta, poiche' la Gladio, cosi' come e' stata ufficialmente
descritta, era composta da 622 civili, operava all'interno del territorio
nazionale, svolgeva compiti esclusivamente difensivi e dipendeva dalla
Nato". "Si tratta ora di conoscere in che cosa consisteva quest'altra faccia
della Stay Behind", afferma Accame, che della presunta esistenza di questa
struttura ha informato, con delle comunicazioni, il Governo, il presidente
della Commissione Stragi e quello del Comitato parlamentare di controllo
sui Servizi segreti.
7 dicembre - Alfredo Mantica, vicepresidente
del gruppo di An al Senato e componente della commissione Stragi, afferma
che la sinistra usa "due pesi e due misure" nei confronti dei giudici,
che in passato hanno indagato sulle stragi e sul terrorismo, premiando
quelli che hanno orientato le indagini verso destra e ignorando, invece,
quelli che le hanno svolte verso sinistra. "E' di moda in questi giorni
- dice il parlamentare - chiedere scusa a Violante per avere egli intuito,
come procuratore a Torino, che il comandante Sogno stava progettando un
golpe. Peccato che da buon comunista abbia impiegato energie e risorse
per coinvolgere i 'fascisti' in un golpe tutto partigiano, in odore di
Gladio". Mantica osserva che nessuno chiede, invece, scusa ad Arcai, il
giudice istruttore di Brescia che indago' sul Mar di Fumagalli, "noto partigiano
con agganci presso il comando di Milano dell' Arma dei carabinieri". L'
esponente di An fa poi notare che Arcai fu sottoposto a una lunga serie
di persecuzioni, fino a quando la sua azione verso il terrorismo di sinistra
fu "stroncata nel piu' vile dei modi perche' accusarono suo figlio per
la strage di Brescia e gli fu tolto il processo". Mantica polemizza, infine,
con l' on.Walter Bielli, capogruppo diessino in commissione Stragi, accusandolo
di essere uno dei fautori della tesi golpista di matrice american-fascista:
"Bielli dovrebbe essere informato che e' caduto il muro di Berlino e che
la figura dell' agit-prop da sezione Pci non garantisce il collegio per
la rielezione".
8 dicembre - "La Repubblica" pubblica un
lungo articolo su un capitolo del recente romanzo di Giampaolo Pansa, "Romanzo
di un ingenuo", edito da Sperling & Kupfer. Nel capitolo Pansa rievoca
il golpe Borghese. Scrive Pansa:"Era stato uno dei miti della guerra civile
italiana, il comandante Borghese; anzi Junio Valerio Scipione Alfredo Ghezzo
Marcantonio Maria dei principi Borghese. I fascisti lo amavano, gli antifascisti
lo odiavano. E con lui odiavano, e temevano, il suo piccolo esercito personale:
la X Flottiglia Mas, detta per brevità Decima Mas. In casa nostra,
anche dopo la guerra, quelle due parole evocavano ricordi terribili. Un'estate
piena di spari e d'incendi. Il Piemonte canavesano rastrellato dai marò
del principe. I partigiani impiccati ai lampioni, sotto un cartello che
diceva: "Aveva tentato di colpire la Decima con le armi". Il bambino che
io ero, invece, si sentiva attratto da quell'insolito guerriero che non
vestiva la camicia nera, bensì la divisa del marinaio di terra,
rimasto senza navi. Mi colpiva specialmente la rivoltella, una P 38 tedesca,
portata alla cintola in una curiosa fondina fatta di tre cinghie incrociate.
E non conoscevo ancora la leggenda che circondava il principe: la sua indipendenza
dai gerarchi di Salò, l'autonomia dai tedeschi, i contatti, veri
o presunti, con i servizi segreti alleati. Quelli che poi lo sottrassero
al caos sanguinoso del 25 aprile, e lo portarono da Milano a Roma, su una
camionetta americana e rivestito con la divisa dei vincitori. Acqua passata
e nemmeno in malo modo. Quattro anni scarsi di carcere a Forte Boccea,
la prigione militare romana. Poi un piccolo cabotaggio politico dentro
e fuori il Msi di Giorgio Almirante. Quindi un darsi da fare reducistico:
anniversari, convegni, raduni camerateschi con chi gli era rimasto vicino
tra i marò della Decima. Giovani che, via via, ingrigivano. E alla
ricerca di una strada per la vita, in una società dove a loro era
toccata la parte scomoda degli sconfitti. Sembrava finita la leggenda del
principe. Anche a destra Borghese non poteva contare su molti amici. Lo
giudicavano un disadattato politico, con un carattere pieno di spigoli,
troppo riottoso nei confronti delle burocrazie partitiche. E prigioniero
di una pericolosa voglia di fare da solo, contando su se stesso e sul proprio
passato. Ma il principe, come gli era già capitato l'8 settembre
1943, sorprese tutti. Quando aveva già sessantadue anni, in un altro
settembre, quello del 1968, fondò un suo partitino, o movimento,
come preferì chiamarlo: il Fronte nazionale. Era una pianta gracile.
Pareva destinata a seccare presto o a morire soffocata nella boscaglia
dei gruppi estremisti sorti attorno al Msi. E invece il principe riuscì
a tenerla in vita, con un viaggio dopo l'altro, di città in città,
da Genova a Reggio Calabria. Per rintracciare vecchi compagni d'arme e
nuovi amici, disposti a credere nei suoi sogni e a finanziarli. Nell'estate
1969 si cominciò a parlare molto di Borghese. E a dipingere il Fronte
come un gruppo in crescita, diffuso dappertutto. A gonfiarne l'immagine
provvedevano gli avversari più ancora che la propaganda del movimento.
Così nacque e crebbe la seconda leggenda del Principe Nero. Era
lui a tenere le fila della sovversione di destra. Era lui lo spettrale
istigatore di piazza Fontana. Era lui il cervello della rivolta di Reggio
Calabria, dove sul corso principale della città era stata aperta
una sede del Fronte, con un'insegna nera dominata dalla X della Decima.
Infine era lui, in Italia, l'uomo della Cia, il servizio segreto americano,
colpevole di ogni nefandezza. Si alzò una nuvolaglia così
grande che Borghese, a un certo punto, cominciò a esserne impensierito.
Si difese con quattro querele: una al libro La strage di Stato, due all'Espresso,
la quarta alla Domenica del Corriere. Poi cominciò a spiegare di
essere soltanto un fascista-fascista. E di avere un sogno: abolire tutti
i partiti, compreso il Msi, risuscitare le corporazioni mussoliniane, dare
vita a uno stato forte, rifiutare il sistema democratico e, per dessert,
affidarsi all'Ordine e alla Disciplina. Del resto, il principe conosceva
la verità sul suo movimento. Molti dei gruppi che si dicevano nati
in ventidue città esistevano appena sulla carta. Gli aderenti, poi,
non superavano il migliaio: un plotoncino di illusi, che Borghese incontrava
in raduni malinconici e armonizzava con lunghe concioni contro la partitocrazia
e il comunismo dilagante. Niente giornali. Poca propaganda. Rarissime apparizioni
in pubblico. A farla corta, il Fronte era soltanto lui. Ma lui, per l'appunto,
era l'antico comandante della Decima, un mito vivente, e anche un arcano
riproposto di continuo dai misteri di quel tempo disgraziato. Un boccone
niente male, per noi pistaioli; i cronisti addetti a dipanare l'intreccio
delle piste rosse e nere. Però un boccone difficile da addentare.
Il comandante fuggiva i giornalisti. E non si lasciava intervistare né
fotografare. Dunque urgeva mettergli il sale sulla coda e incontrarlo.
Fu quello che mi chiese Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa. Era
l'inizio del dicembre 1969, prima di piazza Fontana, e stavo preparando
un'inchiesta sulla destra extraparlamentare. Casalegno m'inzigò:
"Vorrei leggere un tuo bel Borghese. Non può mancare in questa serie".
Sbuffai: "È impossibile scovarlo". Carlo mi replicò: "Provaci".
La fortuna aiuta sempre gli audaci, anche quelli riottosi. Qualcuno mi
spiegò come contattare un cortese signore triestino: Antonio Leva,
l'addetto stampa del Fronte. Leva mi diede il telefono di un ufficio di
Roma, in via Giovanni Lanza, al 130: "È quello di Borghese. Ma il
comandante è carico di impegni: non sarà facile parlargli".
Invece risultò facilissimo. All'apparecchio venne il principe e
disse subito che non poteva ricevermi perché stava per partire.
Parlammo del Fronte, una decina di minuti, non di più. Ho conservato
gli appunti del colloquio. E ricordo la voce di Borghese: imperiosa, le
parole ben scandite. Mi disse: "Il Fronte non è un movimento fascista:
siamo dei patrioti, dei combattenti, degli avversari di questa democrazia
parlamentare. Vogliamo un governo di libertà. E non c'è libertà
dove le leggi non sono rispettate. Ha qualche altra domanda?". Ci riprovai
l'anno dopo. E senza rendermene conto m'infilai in un'avventura tragicomica.
Tutto cominciò la mattina di giovedì 3 dicembre 1970, con
una telefonata all'uomo di fiducia del comandante: Carlo Benito Guadagni,
46 anni, un apuano massiccio, figlio di un fascista ucciso dai partigiani
e lui stesso giovanissimo marò nella Decima. Il venerdì 4
dicembre, con il fotoreporter Mimmo Frassineti, fui condotto al cospetto
di Borghese. Non me lo scorderò più, il Principe Nero. Invece
della famosa divisa, un prosaico pullover scurastro. Il corpo fatalmente
appesantito, la schiena un po' curva, le guance cascanti. L'aspetto più
vecchio dei suoi sessantaquattro anni. Sulle pareti, i ricordi della vita
passata. Il gagliardetto della Decima: un X in campo azzurro e il teschio
con la rosa rossa in bocca. Accanto, lo scudetto della flottiglia. Splendide
stampe dell'isola di Malta, luogo cruciale della battaglia contro la Marina
inglese. Infine uno dei manifesti del Fronte, affisso nei giorni caldi
dell'affare Lavorini, un ragazzino di dodici anni, Ermanno, rapito a Viareggio
nel febbraio 1969 e ucciso sulla spiaggia pisana di Marina di Vecchiano.
Stampato su carta rossa, presentava un bambino in lacrime sotto una mano
con le dita ad artiglio. Su ogni dito cinque parole-chiave per la propaganda
del Fronte: corruzione, droga, pornografia, omosessualità, prostituzione.
Il bambino strillava: "Mamma, papà, che cosa aspettate a difendermi?"
E lo slogan scandiva: "Italia drogata e democratica". Cominciammo a parlare
di un mio libro sull'esercito di Salò, uscito quell'anno. Borghese
me lo rimproverò blandamente: "Non m'è piaciuto. Ma mi aspettavo
di peggio da un militante antifascista come lei". Si lasciò fotografare,
paziente. Mi ricordò che da molto tempo non dava più interviste
a giornali italiani: "Troppo faziosi, non mi fido. Anche la sua Stampa
non mi va a genio per niente". Aveva fatto due ore alla tivù francese
sui mezzi d'assalto della Marina, ma neanche un minuto a quella italiana,
respinta perché succube dei dicì e dei comunisti. Mi domandò:
"Lei scriverà su di me un articolo obiettivo?" Risposi di no: "Non
ne sarei capace. E poi non credo al mito dell'obiettività". Borghese
annuì soddisfatto: "Ero certo che mi avrebbe risposto da uomo schietto.
Sta bene: le darò l'intervista. Ma domani pomeriggio. Immagino che
sarà un affare lungo. E adesso mi manca il tempo". L'indomani era
il sabato 5 dicembre. Cominciammo a parlare verso le 16 e finimmo alle
19. Sempre con Frassineti che fotografava e con Guadagni che dava del voi
a Borghese e lo chiamava "comandante". Il succo del colloquio è
facile da immaginare: il Fronte, le sue idee, la sua azione, i progetti,
gli alleati, gli avversari. Il principe sopportò decine di domande
e rispose a tutte, parlando a torrente. Aveva una bella voce robusta, pur
con infiacchimenti improvvisi. Spesso serrava il pugno in un gesto duro
di comando, che doveva essergli abituale. Al centro del pugno, l'anello
della sua casata. Mi lasciò registrare tutto. Alla fine gli chiesi
se voleva rivedere l'intervista: era un suo diritto. Rifiutò, sorridendo:
"Mi attendo il peggio, ma non m'importa". Poi, quando il buio era già
sceso su Roma, mi congedò con una stretta di mano. E con un sogghigno
m'invitò a iscrivermi al Fronte: "Venga con noi. Si sentirà
un uomo libero". Scrissi l'articolo la sera di lunedì 7 dicembre,
nell'ufficio romano della Stampa, che allora stava in via del Corso, all'incrocio
con piazza del Parlamento. Proprio in quelle ore, così poi si disse,
gli armati raccolti dal Fronte si preparavano ad assaltare la Rai e qualche
ministero: le prime mosse del golpe Borghese. E il mio pezzo, intitolato
Deliri del Principe Nero, apparve mercoledì 9 dicembre, ossia ventiquattr'ore
dopo il fallimento del colpo di Stato. Lo illustrava una delle foto di
Frassineti. Quando la vide, Lietta Tornabuoni si fece una risata: "Sembra
Gambadilegno, il tuo principe!" In quei giorni, nessun giornale, nessuna
radio, nessuna tivù si rese conto che Borghese aveva tentato un
golpe. E tutta la truppa mediatica, come milioni di altri italiani, visse
nella propria beata ignoranza per più di tre mesi, sino al 17 marzo
1971, il giorno fatale che vide emergere la verità. O quella che
ci venne spacciata per la verità".
Il tentativo di colpo di Stato da parte di Junio
Valerio Borghese fu messo in atto nella notte fra il 7 e l'8 dicembre 1970.
Il piano prevedeva l'occupazione del Ministero degli Interni e di quello
della Difesa, della Rai e di altri impianti di telecomunicazione. Molti
esponenti di partiti e sindacati avrebbero dovuto essere arrestati e deportati.
Il principe Borghese aveva in programma di leggere un proclama in tv e
successivamente sarebbero intervenuti reparti dell'esercito. L'iniziativa
durò solo alcune ore. Fu direttamente il principe Borghese a impartire
il contrordine. Ancora, nel marzo del 1971, il ministro degli Interni Franco
Restivo smentì in Parlamento le voci sul golpe. La prima istruttoria
giudiziaria venne messa in moto nel settembre del 1974 dall'allora presidente
del Consiglio Giulio Andreotti. Nel maggio del 1977 iniziò il processo
davanti al Tribunale di Roma: si concluse con l'assoluzione di tutti gli
imputati dall'accusa di insurrezione armata e con 48 condanne per cospirazione
politica. La Corte d'Appello di Roma cancellò anche queste condanne,
infliggendo solo pene per detenzione di armi. La Cassazione ratificò
questo verdetto: per la giustizia italiana quel tentativo di golpe non
si è mai verificato.
9 dicembre - Il senatore Giovanni Russo
Spena, insoddisfatto delle risposte del ministero della Difesa sulla Gladio
militare, ha presentato una nuova interrogazione, fondati anche su nuovi
documenti. Dopo le rivelazioni di Nino Arconte, Russo Spena aveva presentato
lo scorso 15 novembre un'interrogazione parlamentare al ministro Sergio
Mattarella. La risposta del ministero della Difesa, pur se tempestiva,
è stata oggettivamente deludente. Una scarna premessa burocratica
(«agli atti non sono emerse evidenze in ordine a...») per poi
dire che non ci sono risposte da dare. «Non si ritiene che i dati
forniti - scrive nella nuova interrogazione Russo Spena - possano essere
frutto di trascuratezza da parte dell'amministrazione nell'effettuare le
verifiche richieste dallo scrivente?». E subito dopo Russo Spena
rincara la dose: «Comportamento che ricorda da vicino quello tenuto
dall'amministrazione militare nei riguardi di molte informazioni relative
alla vicenda di Ustica». Il parlamentare di Rifondazione legittima
i suoi dubbi e la sua richiesta di chiarezza con alcuni documenti che si
riferiscono all'agente di Gladio Nino Arconte. Scrive infatti Russo Spena:
«Nel libretto personale si legge che Arconte è stato destinato
ai reparti speciali S/B, cioé Stay Behind, e che per copertura fu
arruolato nella 'gente di mare'». Nell'interrogazione si fa quindi
esplicito riferimento al foglio del ministero della Difesa, datato 8 novembre
1973, diretto alla nave Aviere e firmato dal capo della seconda sezione
della Direzione generale per il personale del ministero della Difesa, e
firmato dal capitano di corvetta Giuseppe Parenti. E questo nonostante
ufficialmente Arconte fosse stato congedato dalla Marina il 14 ottobre
1973. Congedo ratificato dal Comune di Oristano il 18 dicembre 1973. Russo
Spena chiede quindi al presidente del Consiglio e al ministro della Difesa
«perché non vengano fornite precisazioni sulle operazioni
svolte in Maghreb, che trovano conferma nel libro dell'ammiraglio Fulvio
Martini (ex capo del Sismi) 'Nome in codice Ulisse' e nelle deposizioni
dello stesso ammiraglio presso la commissione Stragi e che infine trovano
un'eco nel libro del senatore Pellegrino 'Segreto di Stato', là
dove si parla dell'intervento italiano nell'area del Mediterraneo».
«Non si ritiene - si legge infatti nell'interrogazione di Russo Spena
- che la risposta secondo cui si afferma che 'agli atti non sono emerse
evidenze in ordine a...', non dipenda dal fatto che la documentazione è
stata distrutta senza ordini, come è accaduto per il resto delle
carte di Gladio?». E qui è importante ricordare che quasi
nulla è stato ritrovato della documentazione su Gladio. Come se
una mano invisibile avesse cancellato diligentemente ogni traccia dell'esistenza
della struttura supersegreta. Dei suoi uomini, dei suoi compiti e della
sua strategia all'interno di uno scenario controllato dalla Nato. O meglio,
è stato cancellato quasi tutto. Perché è rimasto l'imbarazzante
dossier sull'operazione Delfino: un attacco contro le sedi del Partito
comunista a Trieste. Carte che probabilmente sono sfuggite alla 'bonifica'
dei documenti su Gladio perché il fascicolo non era stato classificato.
Si trattava cioè di una operazione talmente segreta che non era
stata catalogata e per questo è sfuggita a chi stava cancellando
tutte le tracce su Gladio. Continua l'interrogazione di Russo Spena: «Corrisponde
al vero che in un documento del ministero della Difesa si ordina 'd'autorità'
l'iscrizione del gladiatore Nino Arconte G 71 VO 155 M nella lista della
gente di mare al numero 16.200 di Cagliari (si veda il documento di congedo
avvenuto dopo i fatti di Argo 16 del 23 novembre 1973)? Nel foglio peraltro
si dichiara che Arconte veniva congedato con la classe di leva primo scaglione
1952, mentre la classe di leva dell'Arconte era il secondo scaglione del
1954 e all'epoca la classe di leva non era ancora partita per le armi».
«Inoltre - prosegue l'interrogazione al presidente del Consiglio
e al ministro della Difesa - nella documentazione si dichiara che Arconte
è giunto alle armi il primo gennaio 1972, mentre invece è
giunto alla scuola Sas di Viterbo nel maggio del 1970». Poi Russo
Spena pone un quesito che porta al cuore di tenebra della storia italiana
del dopoguerra: il caso Moro. Arconte ha infatti raccontato di avere consegnato
nel 1978, a Beirut, un messaggio a un ufficiale del servizio segreto militare,
nel quale si ordinava di attivare tutti i contatti con i gruppi del terrorismo
mediorientale per trovare un canale di trattative con le Brigate Rosse,
finalizzato alla liberazione del presidente della Democrazia cristiana
Aldo Moro. Due gli elementi inquietanti contenuti in questa dichiarazione.
Il primo è che l'incontro di Beirut avvenne tre giorni prima del
sequestro del leader della Dc. Cioè, dai vertici di Gladio era partito
l'ordine di attivare una rete di contatti in Medioriente per liberare Moro
prima ancora dell'agguato di via Fani. Il secondo, è che il contatto
di Arconte era il colonnello Mario Ferraro, trovato morto in circostanze
misteriose nella sua casa di Roma nel 1995. C'è di più. Il
giornalista del quotidiano Il Tempo Stefano Mannucci a novembre ha ripreso
un passaggio di un'intervista rilasciata nei mesi scorsi dal superterrorista
venezuelano Carlos, uomo chiave della cupa stagione di sangue degli anni
Settanta. Queste le parole di Carlos a proposito del caso Moro: «All'aeroporto
di Beirut un jet 'Executive' dei servizi di sicurezza italiani rimase a
lungo in attesa, aspettando un contatto con le Br attraverso gente estranea
alla resistenza palestinese. Non c'erano uomini di Al-Fatah. C'erano patrioti
anti Nato, inclusi alcuni generali, che erano partiti per aspettare il
rilascio dei prigionieri e per salvare la vita a Moro e l'indipendenza
dell'Italia. Invece questi patrioti, inclusi alcuni generali, sono stati
dimessi e costretti ad andare in pensione». Per questo motivo, il
parlamentare di Rifondazione chiede al presidente del Consiglio e al ministro
della Difesa «se esista la documentazione che certifica la partenza
per Beirut dell'Arconte». Russo Spena chiede, nel dettaglio, se esistono
atti che possono precisare la data di partenza dell'agente G 71, dove sono
indicati i numeri di ruolo. Oppure se esista il giornale di bordo che possa
consentire di verificare la data di partenza, la data di arrivo e quella
di ripartenza del gladiatore di Cabras. Ultimo quesito di Russo Spena:
«Risulta se agli appartenenti alla Gladio dei 'lupi', delle 'aquile'
e delle 'colombe' venisse assegnato uno stipendio mensile di circa un milione
di lire, come ha affermato in un'intervista uno dei gladiatori facenti
parte del gruppo 'colombe', e se i reparti speciali della Stay Behind operassero
all'esterno e non Italia, come è stato finora ufficialmente sostenuto?».
9 dicembre - Il presidente dell'associazione
familiari delle vittime della strage di piazza della Loggia, Manlio Milani
invita Paolo Emilio Taviani "a contribuire al disvelamento della verita'
sulle stragi" e ad aiutare "a sconfiggere il vero segreto di Stato di oggi:
quello del silenzio". In una lettera aperta a Taviani, Milani afferma
che "cio' di cui si sta discutendo in questi giorni (il testamento di Edgardo
Sogno e il suo tentativo di golpe nel '74), riguarda l' insieme della nazione
e non solo i familiari delle vittime delle stragi di quel "terribile 1974":
quella di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus, 20 morti
e 146 feriti. "Lei puo' contribuire in modo determinante - dice Milani
- a ricostruire cio' che accadde in quei giorni, a rompere finalmente quel
muro di omerta' che ha impedito (e tuttora impedisce) l'affermarsi della
verita' storico-politica e quella giudiziaria". Di verita' - afferma il
presidente dell' associazione dei familiari delle vittime di piazza della
Loggia - c'e' bisogno oggi per capire effettivamente quanto accaduto "in
quel terribile 1974", "le ragioni (i protagonisti) che hanno ispirato il
silenzio". Tutto questo - si dice nella lettera aperta di Milani - anche
per rendere possibile una memoria condivisa al di fuori di strumentali
revisionismi imperanti, esclusivamente funzionali al presente". "I silenzi
di oggi - conclude Milani - ci appaiono incomprensibili e se persistenti
finiscono oggettivamente per trasformarsi in complicita'. Non solo. Quei
silenzi minano alle radici delle nostre istituzioni e le sottopongono a
continui ricatti politici. E gia' questo dovrebbe essere piu' che sufficiente
per 'dire cio' che si sa'".
10 dicembre – “La Stampa” pubblica un articolo
di Enzo Bettiza su Edgardo Sogno. Bettiza racconta come ha conosciuto Sogno
e commenta il libro appena uscito.
12 dicembre – Il settimanale “Diario” pubblica
l’ articolo “DIARIO DI UN GOLPE CONFESSATO - Doppio Sogno? Strana attualità
di uno soldato giapponese” di Gianni Barbacetto:
“Dunque, ha confessato. Edgardo Sogno Rata del
Vallino ha rivendicato con orgoglio di aver costituito un'organizzazione
militare segreta; di aver progettato un'"azione" volta ad abbattere il
regime parlamentare; di aver messo in conto le esecuzioni capitali di esponenti
politici dei partiti democratici. Insomma: di aver preparato un golpe.
Lo ha ammesso in un libro-intervista appena uscito (Testamento di un anticomunista,
raccolto da Aldo Cazzullo, Mondadori). Sogno ha confessato e altri - politici
e militari - hanno confermato: nel 1974 era pronto il piano per attuare
uno "strappo" costituzionale, un colpo di Stato. Pronte le armi, pronti
i generali, pronti i ministri della "nuova repubblica presidenziale". Solo
un anno prima, il generale Augusto Pinochet Ugarte aveva realizzato il
suo golpe in Cile: il contesto era certamente diverso, ma anche nella situazione
italiana, vista la forte conflittualità di quegli anni e il vasto
radicamento di movimenti, gruppi e organizzazioni politiche, un colpo eversivo
era destinato a trasformarsi quasi sicuramente in un bagno di sangue.
Sogno golpista. Sogno come Pinochet. Eppure solo pochi mesi fa il conte-diplomatico
aveva ricevuto, durante l'ultima malattia e poi subito dopo la morte, innumerevoli
attestazioni di stima e di sostegno, che finivano per arrivare sempre lì:
all'attacco sguaiato contro i suoi "persecutori" - complottologi, comunisti
e toghe rosse - colpevoli di aver vessato e tormentato un liberale, un
coraggioso combattente per la libertà. Sogno era stato infine onorato
con solenni funerali di Stato, la sua bara posta su un affusto di cannone,
coperta dalla bandiera tricolore. E Paolo Guzzanti, Valerio Riva, Vittorio
Sgarbi, Giuliano Ferrara, Francesco Gironda (il pr di Gladio), e tanti
altri, tutti a elogiare Sogno, ma soprattutto ad attaccare Luciano Violante,
il giudice istruttore che nel 1974 lo aveva fatto arrestare. Quanto ai
pochi che avevano ricordato la storia eversiva di Sogno, erano stati respinti
come visionari, complottisti, inguaribili sostenitori della teoria del
"doppio Stato". Si era mosso addirittura Silvio Berlusconi in persona,
con un commento pubblicato in prima pagina sul Giornale di famiglia: "Per
aver combattuto il comunismo in tempo di pace e con le armi della parola
e degli scritti egli è stato incarcerato, accusato di crimini inesistenti
da parte di una magistratura più ligia ai principi dell'ideologia
comunista che non a quelli dello Stato di diritto. Le vicende giudiziarie
di Sogno sono state una delle pagine più tristi dell'Italia repubblicana,
e continua ad essere un vulnus della nostra storia civile il fatto che
coloro che ne furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio personale
e la saggezza politica di riconoscere che non si trattò di un umanissimo
errore giudiziario, ma di una persecuzione frutto, forse anche inconsapevole,
dell'odio ideologico". Ma di che persecuzione vanno parlando? - avrebbe
detto Eddy, che delle sue azioni si è sempre vantato. E ora Sogno
ha inequivocabilmente rivendicato il suo "strappo", il suo colpo di Stato,
il suo "golpe liberale". Ma un liberale organizza colpi di Stato? No, ha
risposto oggi, dopo la rivendicazione, anche Ernesto Galli Della Loggia,
rompendo così il fronte dei neo-revisionisti italiani. No, "aveva
ragione Violante". No, un liberale non attenta alla democrazia, non progetta
"strappi" costituzionali, non pianifica le esecuzioni degli avversari.
"RIVELAZIONI" CONOSCIUTE. Ma è veramente
strano, il caso della rivendicazione postuma di Edgardo Sogno Rata del
Vallino. Certo, il libro di Cazzullo fa impressione, perché enumera
fatti e persone e progetti eversivi con ordine e cura meticolosa; perché
fa nomi e cognomi; perché è la rivendicazione in presa diretta
di una vita che è stata tutt'uno con l'ossessione anticomunista,
dalla guerra di Spagna dalla parte dei fascisti all'organizzazione dei
gruppi semilegali di Pace e Libertà, dal golpe degli anni Settanta
fino agli ultimi appelli contro i "comunisti" prima della morte. Ma davvero
i suoi amici e sostenitori non sapevano, già prima, la verità?
Difficile crederlo, perché non c'è una sola delle "rivelazioni"
contenute nel libro di Cazzullo che non fosse stata almeno anticipata da
dichiarazioni dello stesso Sogno o scritta in libri, articoli, documenti
giudiziari, ricerche. Difficile crederlo, dal momento che il conte non
aveva perso occasione, in vita, per ribadire con puntiglio la sua ossessione
e rivendicare i suoi "meriti". Edgardo Sogno, "uomo dalla voce femminea,
dal coraggio grandissimo e dalla debole intelligenza politica", come ha
scritto Giorgio Bocca, ha sempre fatto di tutto per non passare per vittima.
Non gli è mai piaciuto essere dipinto come un perseguitato. Non
è doppio, Sogno: la rivendicazione aperta e orgogliosa delle sue
scelte è stata una costante della sua vita. Non avrebbe dunque amato,
Eddy, le difese che i suoi amici gli hanno dedicato in morte. Nel 1990
- dieci anni fa! - dichiarò apertamente: "Avevamo assunto l'impegno
di sparare contro i traditori pronti a fare il governo con i comunisti",
di "impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso
libere elezioni". (Attenzione: Sogno disse qualcosa di più che di
essere stato pronto, con i suoi, a sparare contro i comunisti; disse di
essersi preparato a "sparare contro i traditori pronti a fare il governo
con i comunisti"). E svelò - dieci anni fa! - i nomi dei componenti
del suo governo golpista. Ma aveva cominciato ancor prima a parlar chiaro,
a esprimere apertamente la sua concezione della lotta politica: una energetica
voglia di menare le mani. Nel dopoguerra, appena smessi i panni del comandante
partigiano, cominciò col dire che era necessario che gli anticomunisti
attivassero "uno squadrismo risoluto e attaccabrighe, capace di prendere
l'iniziativa e non di servire da semplice reazione". Sostenne che "il primo
squadrismo fascista del '19 e del '20" fosse "degno di encomio, in quanto
fu capace di rintuzzare la tracotanza rossa". Nel settembre 1973, all'indomani
del golpe di Pinochet, commentò: "Nel caso del Cile è ingiusto
e disonesto accusare i militari di aver ucciso la democrazia". Nel 1995
ribadì sul Giornale (in risposta a chi scrive) che la sinistra postcomunista
continua a essere animata da "ripugnante cinismo e intollerabile aggressività
totalitaria che continuano a imporci una risposta di totale rottura". Non
risparmiò critiche neppure alla destra, colpevole (scrisse sul Foglio
nel novembre 1998) di non opporsi con sufficiente energia al comunismo,
di non lavorare per quella "paralisi totale del sistema" auspicabile per
"approdare, dopo trent'anni, a un chiarimento se non col mitra, almeno
britannicamente coi guantoni". Perfino il nazismo non lo inorridiva
troppo, tanto che nel 1999 Sogno si presentò come testimone della
difesa nel processo di Torino contro Theo Saevecke, l'ufficiale tedesco
responsabile dell'eccidio dei martiri di piazzale Loreto a Milano e di
tanti altri crimini contro partigiani, civili, ebrei. E nella sua ultima
lettera, estremo messaggio inviato a un gruppo di amici e sostenitori il
13 luglio 2000 (morirà poco dopo, il 5 agosto), scrisse: "La difesa
sul piano del pensiero e della logica non esiste al di fuori della distruzione
fisica, ossia della guerra civile. Per cinquant'anni mi sono battuto per
la distruzione dello Stato. Non c'è soluzione al di fuori della
distruzione totale di questa realtà". Questo era Eddy Sogno, e i
suoi sostenitori ben lo sapevano. Lo sapeva certamente Sergio Ricossa,
a cui Sogno chiese di fare il ministro dell'Economia del governo golpista.
Ricossa lo ha ammesso in un recente articolo sul Giornale: "Era un gioco
di società o parlava sul serio? Dissi di sì, assai divertito".
Chissà se si sarebbero divertiti altrettanto gli arrestati, i censurati,
i feriti, i giustiziati. E chissà che fine avrebbero fatto, nel
1974, alcuni comunisti diventati poi grandi sostenitori di Sogno, quel
Giuliano Ferrara che lo ha ospitato e glorificato sul Foglio, quel Ferdinando
Adornato che ha pubblicato un suo libretto nelle edizioni di Liberal, quel
Valerio Riva che oggi lo candida al Nobel. Ma ora si può dire, per
stessa ammissione di Sogno, che Violante aveva ragione. Aveva ragione Giuseppe
De Lutiis, che nelle sua Storia dei servizi segreti (Editori Riuniti) la
vicenda del "golpe bianco" la racconta tutta. Avevano ragione i "visionari",
i complottisti, i teorici del doppio Stato. E aveva ragione perfino il
supervituperato (ricordate le polemiche?) documento dei Ds sulle stragi
che, confrontato con la "confessione" di Sogno, ne esce confermato.
L'ITALIA DEI RICATTI. Proprio perché
non fascista, Sogno è il personaggio-tipo della "guerra non ortodossa"
combattuta in Italia: volonteroso funzionario del doppio Stato, egli non
è un cavaliere solitario, fa parte di quella nutrita schiera di
soldati dell'armata segreta che si era posta il compito d'impedire la vittoria
del mostro comunista - a ogni costo, anche andando oltre e contro le leggi
dello Stato costituzionale. Nella guerra sotterranea che insieme a tanti
altri ha combattuto, le vittime alla fine sono state, per una sorta di
eterogenesi dei fini, non comunisti mostruosi ma ignari cittadini in banca,
in piazza, sui treni, nelle stazioni. E le stragi, di cui Sogno non è
personalmente responsabile, non sono però altro dalla sua guerra.
Sono il frutto più drammatico del suo stesso anticomunismo ossessivo,
che identificava il nemico con la "distensione" e riteneva ogni arma legittima.
Così, per esempio, durante la rivolta d'Ungheria del 1956, il piano
di Sogno (bloccato per fortuna dal ministro Paolo Emilio Taviani e dalla
Dc) era di alimentare in ogni modo la resistenza ungherese, con il risultato
di moltiplicare i morti: a Sogno non interessava la sorte degli ungheresi,
importava dimostrare, sulla loro pelle, che il comunismo è cattivo.
Il "liberale" Sogno era insomma molto più simile ai comunisti di
quanto non sospettasse: le leggi, le istituzioni, la Costituzione, la democrazia
- ma anche l'umanità e la verità - erano per lui solo strumenti,
mezzi e non fini. Come per i comunisti suoi nemici giurati. Alla fine,
Sogno è (finora) l'unico combattente del doppio Stato che si è
compiutamente svelato; gli altri, militari o civili, uomini dei servizi
di sicurezza o politici, continuano a negare, o a distinguere, o a minimizzare.
Tace anche l'altra ala del doppio Stato, quella meno oltranzista, non golpista,
che ha ambiguamente utilizzato Sogno e tanti altri "soldati politici" buoni
per fare i lavori sporchi, da scaricare dopo l'uso ma da salvare, ieri,
dalle curiosità di qualche giudice; e da coprire, oggi, con il silenzio.
È l'Italia dei ricatti. Ma oggi, dieci anni dopo la fine del blocco
comunista, la morte di Sogno sarebbe stata archiviata, in un Paese normale,
come una faccenda del secolo scorso, la fine di un soldato giapponese a
cui non avevano detto che la guerra era finita. Invece, in questo strano
Paese che è l'Italia, la partita è ancora aperta. Neppure
le ammissioni di Sogno sono sufficienti. Giuliano Ferrara, possibile sopravvissuto
al suo golpe, dopo aver riabilitato perfino Pinochet, afferma (sul Foglio
del 4 dicembre 2000) che comunque Violante aveva torto, perché lo
aveva arrestato senza prove (falso: il giudice istruttore Luciano Violante
fece arrestare Sogno su richiesta del pubblico ministero di Torino Vincenzo
Pochettino, di Unicost, la corrente più a destra della magistratura,
il quale valutò che gli indizi di colpevolezza e i pericoli d'inquinamento
delle prove erano tali da rendere l'arresto obbligatorio per legge). Gli
amici di Sogno continuano a fargli torto: gli danno del sognatore, del
dandy, del progettista di "golpe virtuali" (mentre gli altri, i comunisti,
erano un mostro vero). I più spregiudicati si spingono fino ad ammettere
che sì, la voglia di golpe c'era, ma era un controgolpe preventivo
per salvare la libertà... In nome di quella strana libertà,
troppe cose sono permesse: andare oltre la Costituzione; utilizzare i bombaroli
neonazisti; stringere patti con bande criminali; diventare il banchiere
della mafia (a Michele Sindona, fratello di loggia P2, Sogno inviò
negli Usa uno degli affidavit che il finanziere usò per tentare
di difendersi). Tutto ciò oggi in Italia è non passato, ma
presente. Mentre gli uomini della P2 si apprestano a diventare governo,
è saltato l'orizzonte politico-culturale comune, la cultura antifascista
(che restò invece saldo, senza alcuna tentazione revisionista, nella
Francia di quel De Gaulle tanto ammirato, a parole, da Sogno). Il liberalismo
è ridotto a slogan, e un anticomunismo senza comunismo continua
a essere sbandierato per far dimenticare vecchie colpe eversive e nuovi
interessi di potere e d'azienda spacciati per libertà”.
15 dicembre - Processo per la strage di
piazza Fontana: il capitano dei Ros Massimo Giraudo, che ha svolto le indagini
sulla strage di piazza Fontana dice che "Digilio ci ha indicato persone
che operavano in clandestinita' per i servizi segreti americani, che non
erano note neppure al nostro servizio". Giraudo ha ricostruito le fasi
delle indagini e, in particolare, la rete dei servizi segreti americani
che operavano in Veneto. "Nella prima fase delle indagini - ha spiegato
Giraudo - pensavamo alla Cia, poi ci siamo resi conto che molti personaggi
erano collegati al Cic (Counter intelligence corps), il servizio segreto
militare". Un servizio particolarmente attivo in Veneto perche', ha spiegato
l'ufficiale, "all'epoca si temeva un conflitto mondiale con l'Urss per
cui l'Italia e il Nordest erano considerati strategici; non a caso proprio
inVeneto c'erano le basi Nato e a Verona il comando del reparto guerra
psicologica". Giraudo ha quindi spiegato per quale motivo gli americani
arruolavano come agenti e informatori cittadini italiani: "In caso di invasione
comunista volevano avere la possibilita' di organizzare la resistenza che,
pero', non doveva essere spontanea come quella che ci fu contro i nazisti.
In pratica avevano costituito una specie di Gladio". Nella sua lunga deposizione
Giraudo ha parlato anche di alcune persone legate ai servizi statunitensi.
Tra queste Joseph Luongo, allontanato dal Sifar di De Lorenzo come indesiderabile
e attivo nel Cic. "Era - ha ricordato Giraudo - in collegamento con Karl
Hass, l'ufficiale nazista coinvolto nella strage delle Fosse Ardeatine.
Aveva preparato due liste di comunisti altoatesini considerati pericolosi.
L'anticomunismo era l'attivita' principale di quel servizio". L'ufficiale
ha quindi ricordato le agende sequestrate a tale Leo Pagnotta: "Erano tutte
scritte in inglese e testimoniavano un certo interesse ad armamenti: navi,
motovedette, aerei, elicotteri e mine. In particolare erano evidenti anche
contatti con paesi del blocco comunista come l'Albania e la Jugoslavia".
Giraudo ha anche ricordato che nel corso di una perquisizione rinvenne
un appunto del maresciallo dei carabinieri Prisco Palmiero, secondo il
quale Delfo Zorzi, uno dei principali imputati al processo in corso, si
era allontanato dall'Italia per evitare di essere coinvolto nell'inchiesta
sulla strage di Piazza Fontana.
15 dicembre – “L’Espresso” pubblica un
articolo intitolato “Grande Fratello Golpe” di Franco Giustolisi:
“Gli Stati Uniti avevano pianificato un intervento
armato in Italia anche se i comunisti fossero arrivati al governo attraverso
libere elezioni. La rivelazione (si sapeva della possibilità di
reazioni atlantiche nell'ipotesi che la sinistra avesse conquistato il
potere con la forza) è contenuta nella documentazione trovata in
America dal giornalista Gianni Cipriani, consulente della Commissione Stragi.
Commenta Walter Bielli, che della stessa commissione è membro per
conto dei Ds: «Checché ne dicano Berlusconi e i suoi alleati,
alla nostra democrazia i pericoli di eversione sono venuti esclusivamente
dalla destra interna e dalle forze più oltranziste della Nato. Tutto
ciò risulta dalle carte provenienti dagli archivi americani».
Tra i 4 mila fogli scovati a Washington e nelle biblioteche presidenziali
(Johnson, Nixon e Ford), spiccano due direttive del National Security Council,
una del 1955 e l'altra del '57. Da questa documentazione risultano alcuni
imperativi categorici: eliminare ogni presenza comunista nelle Forze Armate,
finanziare i gruppi anticomunisti, ricercare i modi per sostenere ogni
azione anticomunista di gruppi governativi o privati. Questo spiega il
perché gli americani, benché al corrente del golpe Borghese,
come risulta dalle carte americane, non avvertirono del pericolo le autorità
del nostro paese. Nella direttiva del '57 si legge: «Nel caso che
i comunisti o i loro alleati arrivino a partecipare al governo o ad avere
il controllo sul governo con modi apparentemente legali, gli Stati Uniti
possono sostenere o ispirare iniziative, comprese politiche speciali ovvero
operazioni militari...». E più avanti: «In concerto
con gli altri paesi della Nato si potranno intraprendere azioni estendendo
l'uso militare per assistere quegli italiani che si oppongono al regime
comunista».
Ancora, dal piano "US S" del 1963, denominato
"piano territoriale per l'Italia", anch'esso acquisito dalla Commissione
Stragi, emerge la strategia di mettere in crisi i rapporti tra socialisti
e comunisti attraverso la propaganda. E un un ruolo fondamentale viene
svolto da giornali e tv, e dai contatti personali. «Cinque importanti
membri socialisti», è scritto nel piano, «sono stati
selezionati per la partecipazione a un "leader program" durante il 1962.
Alcuni di loro, compreso il direttore del quotidiano socialista "Avanti",
sono già tornati e noi consideriamo i risultati del viaggio molto
gratificanti. Questo programma sarà ulteriormente ampliato, sviluppando
le strette relazioni già esistenti con la stampa socialista a livello
nazionale e provinciale».
Non mancava l'attività spionistica. Negli
archivi Usa sono state reperite quattro liste compilate tra il 1967 e il
'73: contengono circa 500 nominativi. Ci sono economisti (Ciampi, allora
governatore della Banca d'Italia), politici (Scalfaro, De Mita, Craxi,
Berlinguer), industriali (Agnelli, Pirelli, Bassetti), alti ufficiali delle
Forze Armate, diplomatici, giornalisti, persino leader studenteschi (Mario
Capanna). Una rete da vero Grande Fratello”.
16 dicembre – Il “Corriere della sera”
ricorda che in un’ audizione del 16 novembre 1992 in commissione antimafia,
Tommaso Buscetta parlo’ del «golpe bianco» di Edgardo Sogno.
Buscetta era tornato dagli Usa e l’Antimafia lo aveva convocato. Il pentito
parla di Sindona, del tentato colpo di Stato di Valerio Borghese (anche
lì coprotagonista Cosa Nostra), poi nasce una sorta di equivoco
e Violante crede che Buscetta parli della storia del golpe separatista,
del 1979, di Michele Sindona. Buscetta, quasi riluttante, dice: «Stiamo
parlando di un altro. Però non se ne fece niente». «Come
di un altro», insiste Violante. E Buscetta: «Lei vuole sapere
quello di mezzo, del 1974»?
A quel punto, nasce il seguente dialogo:
Presidente: «Qual è quello di mezzo?».
Buscetta: «Nel 1974 ce n’era un altro preparato».
Presidente: «Vuole spiegarsi?».
Buscetta : «Ho ricevuto dal mio direttore
del carcere, dott. De Cesare, la notizia che dopo pochi giorni sarebbe
successo un colpo di Stato e io sarei passato, attraverso un brigadiere
della matricola, per un cunicolo, sarei entrato in casa sua e sarei stato
liberato. Sapevo che c’erano anche dei militari. Ma non vorrei dire queste
cose, sennò diventa uno scandalo, per l’amor di Dio».
Presidente: «Credo lo sia già stato.
Nel 1974 qualcuno le disse che ci sarebbe potuto essere un tentativo di
colpo di Stato - in cui lei sarebbe stato liberato - in cui c’entravano
i militari. Questo le dissero?»
Buscetta: «Sì».
Presidente: «Lo disse il dottor Di Cesare,
direttore dell’Ucciardone?»
Buscetta: «Di massoni e militari».
Presidente: «Quanto ai rapporti tra uomini
d’onore e massoni, abbiamo parlato delle vicende del 1970. Successivamente,
nel 1974, la mafia aveva un ruolo?».
Buscetta: «Sì, è logico.
Come faceva a conoscermi Di Cesare per dirmi che mi avrebbe portato a casa
sua?»
Presidente: «Di Cesare era uomo d’onore?
Buscetta: «No, perciò dico che era
stata la mafia a dirglielo».
Dal clima di quel faccia a faccia traspare tutta
la sorpresa di Luciano Violante che casualmente si imbatte in una indiretta
conferma alle convinzioni che si era fatto quando indagava su Edgardo Sogno.
L’ambasciatore - tuttavia - nella ricostruzione affidata a Cazzullo, non
parla di mafia. Ammette i contatti con la «P2», ammette di
aver ricevuto soldi da Michele Sindona, ma inquadra quelle frequentazioni
nell’ambito della mai rinnegata «attività anticomunista».
E precisa di essere stato indirizzato in quegli ambienti da McCoffery,
capo della «Special Forces» britannica. Secondo un altro collaboratore
di giustizia, invece, Sogno sarebbe stato al corrente dei collegamenti
golpisti tra Cosa Nostra e la massoneria. Anzi dà per certa la partecipazione
dell’ambasciatore al «golpe» caldeggiato anche da Sindona.
Ne ha parlato Angelo Siino, conosciuto come l’ex ministro dei lavori pubblici
di Cosa Nostra, poi diventato pentito alquanto controverso. Testimoniando
al processo Andreotti, nelle udienze del 18 e 19 dicembre del 1997, racconta
di aver saputo da Michele Sindona che «una nave era pronta, incrociava
al largo di Palermo una portaerei americana e c’era una nave carica di
uomini che dovevano intervenire per aiutare militarmente questo golpe.
Questi uomini erano al comando di Sogno, mi disse di quel grande massone,
grande fratello che è Sogno. Questo disse e questo so».
16 dicembre – “La Repubblica” scrive:
“C’ era Valdo Spini, allora presidente dell’unione
goliardica italiana. E c’era Carlo Azeglio Ciampi nella sua qualifica di
responsabile del servizio della banca centrale d’Italia. Nomi illustri,
tutti schedati dalla Cia che teneva sotto osservazione i leader del presente
(erano gli anni '60) e quelli del futuro. Gli agenti della Cia la chiamavano
Potential Leader Biographic Reporting List e per redigerla e tenerla aggiornata
avevano mobilitato tutte le strutture presenti in Italia. Un libro segreto
di nomi e informazioni diviso in distretti: uno era quello di "Florence",
in cui erano contenuti i personaggi della Toscana e dell’Emilia Romagna.
La lista è stata scovata negli archivi di Washington dai consulenti
della commissione stragi. Insieme a Spini e Ciampi, compiano nel dossier
dedicato alla Toscana, anche Giovanni Spadolini, Giorgio Sozzi, giornalista
e dc empolese, Lelio Lagorio, allora presidente della Regione, Raniero
La Valle, giornalista dell’Avvenire d’Italia, Nicola Matteucci del Mulino,
e Marcello Taddei, vicedirettore della Nazione di quegli anni”.
28 dicembre – “Il Corriere della sera”
pubblica un’ intervista in carcere a Mario Tuti, ex terrorista di destra:
“LIVORNO - Fascista era fascista, e pure assassino.
Bombarolo invece no, dice lui, e alla fine l’ha spuntata con l’assoluzione
per la strage dell’Italicus. Oggi è un’altra persona, anche se gli
occhiali a goccia e i baffi sottili rimandano al tempo andato di venti
o venticinque anni fa, quando Mario Tuti era Mario Tuti, il «camerata»
che sfidava i giudici entrando in tribunale col braccio teso nel saluto
romano: un mito per i ragazzi come Andrea Insabato, cresciuti nei ghetti
dell’estrema destra. E adesso? «Adesso mi dispiace davvero, perché
quello lì mi sembra un povero disgraziato. Ho visto le sue immagini
in tv, con il cappello peruviano e le bandiere con le croci: pareva un
disadattato, bisognoso d’aiuto. Come si può pensare ancora di fare
politica con la violenza e con le bombe? Al manifesto poi, che è
l’unico giornale che dà un po’ di voce ai detenuti, compresi quelli
politici...». Scuote la testa, il Tuti di oggi, pensando a quell’uomo
agli arresti in un letto d’ospedale, con le gambe maciullate. «Ormai
sono dieci o quindici anni - continua - che non ha più senso la
contrapposizione violenta tra destra e sinistra. Io sono amico di tanti
ex brigatisti... Quella della lotta armata è stata un’esperienza
tragica che ha provocato soltanto lutti, da tutte le parti; vorrei dirlo
a questo Insabato, se davvero è stato lui a portare la bomba: è
del tutto inutile, così non si va da nessuna parte». A vederlo
e sentirlo parlare, nella sala colloqui del carcere di Livorno, del Mario
Tuti che fu restano soltanto gli ergastoli per gli omicidi dei due poliziotti
che bussarono alla sua casa di Empoli, nel gennaio del ’75, e del fascista
«traditore» Ermanno Buzzi, nel 1981. Delitti commessi in nome
di un’ideologia e di uno schieramento mai rinnegati, ma guardati con distacco
dal cinquantaquattrenne che oggi si occupa di musica, teatro e cd rom multimediali.
«A un certo punto - dice -, io considerai la lotta armata una scelta
obbligata, anche se sbagliata, per via d’un clima che non esiste più.
Questo qui parla in latino e chiede di incontrare Irene Pivetti: che cosa
c’entra coi nostri discorsi di allora?». Pausa. Cambio di scena:
dal fascista Insabato al «compagno» Giorgio Panizzari, vecchia
conoscenza del galeotto Tuti, accusato di aver partecipato all’omicidio
D’Antona firmato dalle nuove Brigate rosse: «Quella poi mi sembra
una follia anche sul piano logico. Chi può credere che uno che rapina
le mazzette da mille lire insieme a delinquenti comuni possa nel frattempo
ricostituire un partito armato per fare la rivoluzione? Ma via, quello
è soltanto un modo per tirare avanti, sbagliato quanto si vuole,
ma niente di più. Però basta scrivere sul giornale che Panizzari
s’è rimesso a fare il terrorista per creare un caso, che resiste
fino a quello successivo: la bomba al manifesto . E prima ancora un’altra
bomba, al Duomo di Milano». Quella sarebbe anarchica; un altro
ritorno al passato, agli anni del Tuti terrorista nero che commenta: «Ho
letto il volantino di rivendicazione, i riferimenti alle lotte politiche
dei detenuti. Ma quali lotte? Lo sanno, questi qui, che l’unico movimento
di protesta nelle carceri s’è innescato quest’estate con le parole
del Papa e s’è spento subito dopo? Ma dove vivono, di che cosa parlano?».
Parlano di un mondo che secondo Tuti non c’è più, anche se
lui sta ancora in galera, dopo 25 anni filati senza nemmeno un giorno di
permesso, protagonista di una stagione che resta densa di misteri. Un ex
ministro dell’Interno, il senatore Taviani, ha rivelato solo ora che certi
fascisti degli anni Settanta altro non erano che «schegge impazzite»
dei servizi paralleli. A cominciare da Tuti, il quale insorge: «Come
si permette? Se ha delle prove dica quali sono, altrimenti taccia: io sono
disposto ad andare davanti a un giurì d’onore, mettendo sul piatto
della bilancia la rinuncia a uscire di galera, se mai un giorno mi sarà
concesso. Lo sfido a trovare un solo elemento per dire che io avevo contatti
coi servizi segreti, le questure o i carabinieri». Quella di Tuti
è una difesa non solo personale, ma di tutto l’ambiente: «Alla
fine del 1980, nel carcere di Novara, ci incontrammo con altri fascisti,
di Milano e Roma, e mettemmo le cose in chiaro fra noi: non risultò
che ci fossero infiltrazioni degli apparati, né responsabilità
dirette nelle stragi. Solo su una persona vennero fuori dei sospetti, Buzzi,
e li ha pagati cari». Lo strangolarono in carcere, Tuti e Concutelli,
il 13 aprile del 1981. Un omicidio che vent’anni dopo l’assassino ricorda
con poche, agghiaccianti parole: «Per noi era un infiltrato, una
persona schifosa, e quando ci capitò vicino non gli abbiamo dato
scampo. Io e Concutelli ci guardammo in faccia e cinque minuti dopo Buzzi
era morto. Ci avessimo parlato un po’, forse, sarebbe ancora vivo; uccidere
una persona dopo averci discusso è più difficile».
Anche su quel delitto pesa il sospetto che non fosse solo una vendetta
tra «camerati», che qualcuno avesse ordinato l’eliminazione
di un testimone scomodo della strategia della tensione. «Questo è
un problema di chi l’ha fatto arrivare vicino a me e Concutelli – ribatte
Tuti -, io ho solo fatto quello che avevo in testa, senza preoccuparmi
se interessava anche qualcun altro; a me nessuno ha ordinato niente».
E i progetti golpisti che si scoprono di tanto in tanto, ultimo quello
«liberale» di Edgardo Sogno? «L’unico di cui sentimmo
parlare fu quello dell’estate del ’74, un "golpe bianco" del quale noi
saremmo stati fra le vittime, dunque anche in quel caso non c’entravamo.
Quanto al golpe Borghese o a Gladio, sono tutte cose che ho saputo dopo,
in carcere. E che il "gruppo Tuti" fosse estraneo a quelle trame non sono
solo io a dirlo; l’hanno dichiarato tanti pentiti. Vorrei anche far notare
che tra tutti i terroristi rossi e neri sono uno degli ultimi rimasti in
galera. Dei neri, poi, sono proprio l’ultimo, visto che è uscito
pure Concutelli. Vi pare la moneta con cui ripagare chi avrebbe agito per
conto di qualcuno?»”.
28 dicembre – Sul quotidiano “La Repubblica”
Giovanni Maria Bellu analizza la parte napoletana delle carte dei servizi
segreti americani portate in Italia da Gianni Cipriani, consulente della
commissione stragi:
“All'origine di tutto c'è, naturalmente,
la Guerra Fredda. Ma nella sua applicazione più sofisticata: non
solo controllare il nemico, spiarlo, raccogliere informazioni utili a condizionarlo
e alle brutte ricattarlo, se necessario, ma anche vigilare sull'amico,
osservandone la crescita, tentando di prevederne il futuro. L'attività
di elaborazione della «Potential Leader Biographic Reporting list»,
a partire dagli anni Sessanta impegnò l'intero apparato statunitense
in Italia e alcuni importanti uffici a Washington: le informazioni raccolte
dall'ambasciata, dai consolati, venivano inviate negli Usa, riordinate,
filtrate, aggiornate periodicamente, ed entravano poi nel patrimonio di
conoscenze della Cia e delle altre agenzie di intelligence. L'obiettivo
era nientemeno che individuare la futura classe dirigente del nostro Paese
per seguirne i percorsi, indirizzarli, agevolarli. Il nemico comunista
non veniva combattuto solo coi metodi violenti e spietati che avrebbero
raggiunto il loro acme nei colpi di Stato in Grecia e in Cile, ma anche
con un'attività di propaganda e di pubbliche relazioni che in taluni
casi si traduceva nell'organizzazione di viaggi negli Stati Uniti offerti
ai giovani italiani più promettenti e più "dubbiosi": i socialisti
di sinistra, per esempio, osservati con particolare cura per il loro trovarsi
in una zona politica e ideale di confine tra la fedeltà atlantica
e l'attenzione per l'evoluzione democratica del Pci, considerata, da una
parte rilevante dell'apparato americano, nient'altro che un bluff. Questi
103 nomi di giovani napoletani sono contenuti nella «Potential Leader
Biographic Reporting List» del 1967, l'unica tra quelle rinvenute
nel corso di una ricerca negli archivi di Washington dal consulente della
Commissione parlamentare stragi Gianni Cipriani a essere suddivisa per
città. Esistono infatti analoghi elenchi per Roma, Milano, Torino,
Genova e Firenze. Ma la lista dei napoletani presenta qualche differenza,
come se le autorità consolari qua avessero preso più alla
lettera la richiesta di individuare la futura classe dirigente. Quella
napoletana è infatti la lista anagraficamente più giovane
e più attenta agli ambienti dell'università e dell'associazionismo.
Anche l'assenza di nomi appartenenti all'area del Pci (che invece, in altri
elenchi, sono presenti) conferma che gli informatori napoletani tentarono
veramente di individuare la futura classe dirigente e perciò esclusero
in partenza giovani personalità che, pur promettenti, appartenevano
a un'area politica destinata per molti anni a restare lontana dai luoghi
del potere. Per ognuno dei nomi presenti nell'elenco era stata elaborata
una scheda biografica: risulta in modo inequivocabile dalle note segrete
che accompagnano questo materiale. Ma, purtroppo, solo pochissime schede
sono state ritrovate. Nessuna, per il momento, delle persone presenti in
questo elenco su Napoli. Sulla base delle poche che sono state per ora
scoperte, è comunque possibile ricostruire lo schema generale di
quelle che mancano: all'inizio una biografia sintetica, quasi un curriculum
vitae, alla fine, sotto il titolo, confidential, le informazioni più
riservate sulle abitudini, le amicizie, le relazioni familiari, il carattere.
Ma il solo elenco di nomi basterà a rivelare, a chi ha memoria di
quegli anni, che gli americani avevano la vista lunga e riuscivano ad applicare,
nell'analisi dell'Italia, un fiuto da talent scout non dissimile da quello
che ha fatto la fortuna di Hollywood.
29 dicembre – “La Repubblica”, edizione
napoletana, torna sulle schedature Cia degli anni ’60 e pubblica una serie
di servizi. La lista era in realta' gia' conosciuta:
Scrive "La Repubblica":
“E’ il 14 gennaio del 1965 quando nasce ufficialmente
lo Youth Leader Club, sintetizzabile nella sigla Ylc. Fra i «motivi
di fondo» della nascita del club, riportati in una elegante brochure
che ne illustra ragioni e scopi, il fatto che i giovani «sono profondamente
interessati ad una conoscenza «scientifica» dei più
attuali problemi di politica internazionale nelle loro prospettive storiche,
giuridiche, economiche e politiche». Due anni dopo, i nomi dei soci
del Club finiranno a Washington. Lo Youth Leader Club aveva un suo giornale:
L’Incontro. Direttore responsabile era Marino Marin; il comitato di redazione
era composto da Franco De Ciuceis, Vincenzo Mattina e Rosario Rusciano.
Quattro pagine formato tabloid con diverse fotografie delle tavole rotonde
organizzate dal Club. In uno dei primissimi numeri, del marzo 1965, in
una inchiesta di Sergio Bartoli sugli interessi culturali dei giovani,
ci sono interviste a Domenico Rea, Orazio Mazzoni, Mario Stefanile, Lanfranco
Orsini”.
“Soci fondatori e ordinari - cento nomi di successo.
La lista era pubblica poi fu trasmessa a Washington”.
FONDATORI
Liliana Baculo Assistente di Economia Politica.
Sergio Bartoli Avvocato, assessore Provincia
Napoli.
Marco Bevilacqua Studente Universitario
Luigi Buccico Redazione de l'Avanti!
Vincenzo Carbonelli Segretario Provinciale della
FGSI, Benevento .
Sandro Castronuovo Redattore del Roma.
Raffaele Catalano Segretario dei Gruppi Universitari
della SIOI, Napoli
Guido Cataldo Consigliere della Fuci Benevento.
Alfonso Cecere Segretario Provinciale della FGS,
Napoli.
Mario Cesarano Segretario Provinciale della GLI,
Napoli.
Alberto Cilento Consigliere comunale del Pli.
Franco De Ciuceis Responsabile del CUDIE per
la Provincia di Napoli.
Edoardo Del Gado Presidente dell'ORUN, Napoli.
Lucio De Luca Componente del Consiglio Cittadino
del Movimento Giovanile Dc.
Antonio De Pasquale Presidente della CEI, Napoli.
Angelo Di Martino Delegato del Movimento Giovanile
DC.
Mario Falciatore Presidente della FUCI, Napoli.
Lucio Fiore Assistente di Tecnica Bancaria e
Professionale.
Riccardo Fiorentino Presidente della Commissione
PR della CEI, Napoli.
Giuseppe Gargani Consigliere Nazionale della
DC
Luigi Giannuzzi Savelli Componente del Consiglio
Direttivo della CEI.
Antonio Graziano Movimento Giovanile DC.
Giuseppe Greco Consigliere Nazionale della FUCI.
Diego Grieco Redattore del Corriere di Napoli.
Francesco Guglielmotti Responsabile della FGSI,
Salerno.
Luigi (Mimmo) Liguoro Segretario Provinciale
della FGSI, Napoli.
Marino Marin Redattore del Mattino.
Vincenzo Mattina Consigliere Nazionale della
UIL Finanziari.
Andrea Monda Direzione Provinciale DC.
Luigi Moretti Esecutivo Provinciale della GLI,
Benevento.
Massimo Panebianco Assistente di Diritto Internazionale.
Roberto Pepe Comitato Nazionale DC.
Giuseppe Pisani Corrispondente UPI e NCWC.
Giovanni Quadri Assistente di Istituzioni di
Diritto Pubblico.
Giuseppe Riccio Assistente di Diritto Penale.
Elisabetta Rodinò Studentessa Universitaria.
Claudio Rossano Assistente di Diritto Costituzionale.
Benedetto Rozzera Commissario Provinciale GLI,
Caserta.
Rosario Rusciano Direttivo Cittadino PLI.
Antonio Russo Segretario Provinciale FGSI, Caserta.
Vittorio Salemme Consigliere Provinciale DC.
Roberto Schisano Consigliere Nazionale dell'AFS.
Gaetano Tavassi la Greca Studente Universitario.
Pierantonio Toma Regista.
Alessandro Vesci Delegazione Regionale GLI.
ORDINARI
Carlo Amirante Assistente di Diritto Pubblico
Achille Bilotti Movimento Giovanile Dc, Benevento.
Fernando Bocchini Direttivo SIOI, Napoli.
Eugenio BuontempoPresidente Giovani industriali
Napoli.
Giovanna Calise Comitato Studentesco Isef.
Giuseppe Caraci Segretario del CRUEI, Istituto
Orientale.
Guido Compagna FGS, Napoli.
Franco Compasso Consigliere Nazionale del PLI.
Claudio Corduas Vicesegretario sezione Chiaia
del PSI.
Ermanno Corsi Redattore del Tempo.
Carlo De Angelis Membro della SIOI, Napoli
Pasquale De Cristofaro Pri Benevento.
Mario De Dominicis Assistente di Diritto Internazionale.
Francesco de Goyzueta Pli, Napoli.
Nicola Del Basso GLI, Benevento.
Cesare de Seta Collaboratore di Nord e Sud.
Alfredo Di Donato Studente Universitario.
Pio Di Silvio Direttivo FUCI.
Luigi Ferrari Bravo Incaricato di Diritto Internazionale
all'Università di Bari.
Donato Figurelli Assistente di Istituzioni di
Diritto Pubblico,
Massimo Garzilli Studente Universitario.
Vito Garzilli Incaricato Esteri dell'ORUN.
Gaetano Giordano Il MattinoSalerno.
Vincenzo Latorraca Movimento Giovanile DC, Potenza.
Maria Federica Liguori Direttivo SIOI.
Luciano Lombardi Giornalista
Carlo Merola Presidente Movimento Universitario.
Flavia Montenovi Comitato AFSAI.
Marco Nespoli Presidente del CUDIE Napoli.
Alessandro Parrella FUCI Napoli Centro.
Fabrizio Perrone Capano FGS, Napoli.
Raffaele Perrone Capano Direttivo PLI, Napoli.
Gabriello Piazza Assistente di Diritto Privato.
Massimo Profili Assistente del Diritto del Lavoro.
Francesco Reale Assistente di Fisica Tecnica.
Maria Luisa Reale Segretaria del Consiglio Studentesco
della Facoltà di Economia e Commercio.
Giovanni Rizza Assistente di Diritto Pubblico,
Università di Napoli.
Angelo Rosciano Assistente di Diritto Pubblico.
Mario Rusciano Assistente di Diritto del Lavoro
Università di Napoli.
Giuseppe Sacco Assistente di Geografia Economica
e Politica, Università di NapoliRedattore di Nord e Sud.
Roberto Sanseverino Assistente Universitario,
Facoltà di Economia e Commercio.
Antonio Savio Direttore del CRUEI, Napoli Componente
del Direttivo dell'Associazione Insegnanti Lingue Straniere.
Lucio Scandizzo Assistente di Economia Agraria,
Università di Napoli Membro della Giunta ORUN.
Michele Schiavone Incaricato della Sezione Teatro
del Circolo Universitario «G. Mameli», S. Maria C.V.
Vincenzo Tallarino Segretario Provinciale della
Federazione Giovanile Repubblicana, Napoli.
Diego Tesorone Componente Esecutivo Cittadino
del Movimento Giovanile DC, Napoli Componente Intesa Universitaria Napoletana.
Claudio Tiso Segretario Provinciale FGS, Benevento
Assessore Comunale, Sant'Angelo a Cupolo (Benevento).
Antonio Tizzano Assistente di Diritto Internazionale,
Università di Napoli.
Flavio Triggiani Componente del Direttivo Cittadino
del PLI e della Direzione Cittadina della GLI, Napoli.
Guglielmo Trioia Vice Segretario Provinciale
della GLI, Napoli.
Corrado Verzillo Esponente della Federazione
Giovanile Repubblicana, Caserta.
Edoardo Zampella Interno dell'Istituto di Psicologia,
Università di Napoli, Collaboratore del Popolo.
Giovanni Zarro Delegato Provinciale Movimento
Giovanile DC, Benevento.
“A Napoli gli americani marcavano a uomo la potenziale
futura classe dirigente. Che avevano organizzato in un circolo riservato
ai soli soci, congeniale allo scopo, assolutamente legittimo, che gli Usa
si prefiggevano: conoscere e seguire quei promettenti giovani. Si chiamava
Youth Leader Club e radunava, nel 1967, 103 promesse dell’università,
della politica e delle professioni. Centotré nomi, centotré
schede, poi finite con il timbro secret negli archivi di Washington e tirate
fuori adesso dalla nostra Commissione parlamentare Stragi, dal suo consulente
Gianni Cipriani.
In una curata ed elegante brochure dell’epoca,
lo Ylc, che aveva anche un giornale, si presenta e spiega fra l’altro che
la formula del club ha consentito di realizzare le condizioni per un sistematico,
cordiale contatto tra giovani impegnati nello studio scientifico dei problemi
politici, giuridici, economici, sociali e giovani che esercitano attivamente
una funzione di guida nei partiti, nei sindacati e negli ambienti culturali
e professionali. Il Club aveva sede in via Filangieri 36, era finanziato
dagli americani i soci pagavano una quota minima ed aveva un regolare statuto
con tanto di elenco dei soci. Nacque il 14 gennaio del ’65 ed era, naturalmente,
un Club vietato ai comunisti e ai missini. Dei quali non vi era traccia
nel testo che ne illustrava la costituzione: lo Youth Leader Club è
sorto ad iniziativa di un gruppo di giovani giornalisti, professori, assistenti
universitari, esponenti di organizzazioni culturali e dei movimenti giovanili
dei partiti: Dc, Pli, Pri, Psdi, Psi. «Il sistema adottato dagli
Usa in quegli anni spiega il professor Giuseppe De Lutiis, esperto di intelligence
e di servizi segreti era un parente stretto delle meno evidenti tecniche
di spionaggio, un attento e capillare monitoraggio della futura classe
dirigente. Erano gli anni Sessanta, bisogna rammentarlo. E se così
si comportavano gli americani, alla stessa maniera facevano i russi. Se
c’erano viaggi premio organizzati dagli Usa, sappiamo che anche i giovani
comunisti erano ospitati in Urss per corsi di indottrinamento. Funzionava
così, allora». Il Club di via Filangieri 36 si proponeva testuale
di promuovere lo studio dei più attuali problemi di politica internazionale
e particolarmente quelli riguardanti lo sviluppo dell’unione europea e
della sua funzione atlantica sia attraverso rigorosi esami scientifici
delle fonti, sia attraverso ampi e sereni dibattiti costruttivi e sia facilitando
diretti contatti umani che tra giovani di paesi diversi possono risultare
di particolare interesse. Un’ampia rassegna stampa ha accompagnato in quegli
anni le sue intense attività. Sotto la regia americana dell’Usis,
United States information service e naturalmente anche del consolato Usa
si susseguivano iniziative ed incontri di alto livello. «Naturalmente
aggiunge il professor De Lutiis gli Usa avevano ben presente l’interesse
strategico che rivestiva la collocazione geografica del nostro Paese in
quegli anni ed anche queste attività, il seguire giovani promettenti
fin dall’università, era una forma per orientare culturalmente le
nuove leve ed avere il polso costante della situazione non solo attuale
ma anche futura».
In un altro articolo dello stesso giornale:
“I ragazzi del ’67. Le ricordano tutti quelle
riunioni all’Usis (United States information service) di via Filangieri.
Quell’auditorium in cui i giovani soci, fondatori e ordinari, dello Youth
Leader Club parlavano di Patto Atlantico, dei futuri rapporti tra l’Italia
e la Nato. Segretari dei movimenti politici giovanili, assistenti universitari,
giornalisti. Tutti ventenni e trentenni selezionati e calamitati nella
struttura americana da Luigi Giarrusso, addetto stampa dell’Usis e grande
animatore del circolo. Riunioni, dibattiti, anche qualche convegno. E un
comitato di redazione per la fattura del periodico L’incontro, firmato
dall’ex giornalista del Mattino Marino Marin, in cui erano raccolti contributi
e interventi dei soci e anche di esterni. Tra questi Domenico Rea e Orazio
Mazzoni. Un’attività intensa negli anni Sessanta, poi ridimensionata
e smantellata dagli Usa per ragioni di bilancio. «Un’esperienza unica
per quei tempi ricorda il professore Antonio Tizzano, oggi avvocato generale
alla Corte di giustizia di Lussemburgo perché, rispetto al chiuso
dei circoli politici, era quella l’unica occasione di confronto tra esperienze
e professioni differenti. Ricordo che fui sorteggiato per rappresentare
nel comitato di presidenza gli assistenti universitari. In un periodo fui
anche presidente. C’erano persone di valore e ognuno manifestava le proprie
idee con rispetto reciproco. Era un continuo confronto, un’osmosi produttiva
di grande importanza». Confronto che agli americani, che inviarono
negli archivi Usa un elenco di 103 nomi e una scheda per ogni iscritto
allo Youth Leader Club, serviva soprattutto a capire le tendenze dei giovani
emergenti napoletani. Dei giovani moderati e socialisti. Di quell’area
che, insomma, era destinata a governare ancora per molti anni l’Italia.
«Sicuramente gli americani commenta Giuseppe Gargani, tra i fondatori
del club e oggi eurodeputato di Forza Italia erano preoccupati in quegli
anni per la posizione neutralista di Nenni rispetto a Nato e Patto di Varsavia.
Ecco, in quel club c’erano diversi socialisti perché gli Stati Uniti
volevano capire in anticipo le future scelte del Psi. All’epoca ero assistente
volontario di diritto pubblico, poi sono stato assorbito dall’attività
di avvocato e dalla politica. Ricordo che a quelle riunioni c’erano altri
assistenti tra cui Francesco D’Onofrio. In quel circolo, c’erano democristiani,
socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali. Eravamo gli antesignani
del pentapartito». Tra loro anche Roberto Pepe, futuro capogruppo
comunale della Dc e oggi nell’area D’Antoni, che alle elezioni comunali
del ’75 utilizzò lo slogan young power forse proprio sull’onda delle
riunioni in via Filangieri. Assistenti universitari, politici, giornalisti
in erba. Tra questi Luciano Lombardi e Mimmo Liguoro, a quei tempi segretario
dei giovani socialisti napoletani e oggi noto conduttore Rai. «Pensavamo
spiega Liguoro di essere ospiti. Giarrusso era molto interessato a creare
un centro culturale, aveva un tono molto cordiale. Dispiace sapere ora
che fossimo schedati. A Napoli a quei tempi c’era un deserto di iniziative.
Il mio rapporto, comunque, finì quando partecipai ad una manifestazione
sul Vietnam contro gli americani capeggiata da Massimo Caprara, allora
segretario provinciale del Pci. Sfilammo anche in via Filangieri davanti
alla sede Usis». Tra i giornalisti c’era Sandro Castronuovo, nel
’67 editorialista del Roma per la politica estera: «Si parlava soprattutto
di politica, ovviamente. E si parlava con grande libertà. Non eravamo
una setta segreta, pubblicavamo un giornale e si organizzavano anche dibattiti
all’esterno del club su temi nazionali e internazionali». Nel circolo
anche Pierantonio Toma, oggi titolare della Alex comunicazioni, cooptato
dall’Usis per essersi laureato con una tesi sulla Cina comunista: «Era
la prima tesi sulla Cina e probabilmente Giarrusso mi chiamò per
quella ragione. All’epoca ero un socialista demartiniano. Ricordo che avrei
dovuto realizzare una piece teatrale, ma non se ne fece nulla». Ermanno
Corsi, presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti, ricorda di aver
partecipato «volentieri ai lavori del club perché i dibattiti
vertevano spesso sullo sviluppo di Napoli e riscontravo grande attenzione,
da parte del consolato Usa, verso la possibilità di investimenti
nel Mezzogiorno. Non so immaginare perché i nostri nomi siano poi
finiti a Washington». «Ma sì, probabilmente gli americani
volevano tenerci dalla loro parte, era un altro mondo, non si dimentichi
ricorda il marchese Francesco de Goyzueta che si era appena usciti dalla
Guerra Fredda. Noi visitavamo portaerei, partecipavamo a dibattiti, il
consolato Usa ci agevolava in questo e ci invitava ad altre attività
o manifestazioni americane. Per loro eravamo una parte della società
civile anticomunista da seguire nel suo sviluppo. Rammento che andavamo
all’Usis con Massimo e Vito Garzilli, fu un periodo interessante ed anche
divertente». Il professore Mario Rusciano, ordinario di Diritto del
lavoro, ha un ricordo indelebile: «Un giorno ci misero in un aereo
militare, per la verità un po’ scomodo, e ci portarono a Bruxelles,
dove c’era un centro Nato. Organizzammo interessanti dibattiti, di certo
non era una Gladio». Conserva ancora foto, ritagli di giornale e
documenti di quell’esperienza Rosario Rusciano, fratello di Mario ed ex
assessore comunale del Pli: «Allora l’Usis aveva una biblioteca eccezionale,
in via Medina, dove si formarono anche molti esponenti della sinistra.
Il Club si deve poi a Gino Giarrusso, che lavorava per l’Usis e ci mise
assieme. C’erano anche i socialisti, l’unico steccato era per i comunisti.
Un periodo molto intenso. Non capisco perché di tutto ciò,
che avveniva alla luce del sole, gli americani abbiano fatto una sorta
di dossier riservato». Ha ricordi piuttosto sbiaditi, invece, il
professore Giuseppe Riccio, membro laico del Csm: «Rammento l’attività
dell’Usis, la sua attenzione per giovani di area liberale e cattolica.
Parlavamo di politica, diritto e religione. Di certo, però, nessuno
di noi aveva sentore di poter finire negli archivi di Washington in carte
timbrate secret»”.
E ancora:
“«BEN altri Servizi si occupavano di noi
comunisti». L’ex sindaco Maurizio Valenzi non è stupito della
schedatura fatta dagli Usa sui giovani emergenti napoletani dei partiti
di centro e socialisti e sottolinea il «ben diverso controllo a cui
erano sottoposti gli uomini del Pci». «Alcuni di noi ricorda
Valenzi erano nel mirino delle organizzazioni denunciate da Cossiga, a
cominciare da Gladio. Immaginavamo, certo, di essere spiati ma non sapevamo
che alcuni di noi rischiassero addirittura di essere eliminati, come nel
caso del compianto Carlo Fermariello, condannato a morte, come si è
saputo solo in seguito, per aver guidato le lotte contadine». Scorre
la lista Maurizio Valenzi e sgombera il campo da possibili equivoci: «Tenderei
ad escludere che i centotré della lista stilata dagli Usa abbiano
poi avuto dei vantaggi diretti nelle rispettive professioni. Penso a Cesare
De Seta, ad esempio, che avrebbe meritato anche più di quanto ha
raccolto. Mi stupisce, piuttosto, il fatto che manchino personaggi come
Mario Forte e Paolo Cirino Pomicino. Mi sorprende anche che, tra tanti
liberali, manchi Francesco De Lorenzo, l’uomo che ha poi sfasciato il Pli
di Napoli». E non dimentica, Valenzi, il rapporto con Luigi Buccico,
l’ex deputato del Psi ucciso il 29 settembre del ’79. Un delitto passionale:
«Buccico fu un grande assessore nella mia prima giunta comunale.
Ricordo che lui, assieme a me , si batté con vigore per ottenere
i fondi nazionali e aprire i primi cantieri della metropolitana collinare.
A quei tempi ci chiamarono la "banda del buco", appena aprimmo il primo
cantiere, ma è grazie a quei finanziamenti se oggi la metropolitana
funziona e se sono stati aperti altri cantieri negli ultimi anni. Una parte
del merito va anche a Luigi Buccico che aveva una grande visione strategica
sullo sviluppo della città»”.
29 dicembre – Il quotidiano “Il Mattino”
scrive:
“Una lista di 103 nomi napoletani: i potenziali
«dirigenti» degli anni '70-'80. Catalogata, classificata e
rinchiusa in uno dei tanti files degli archivi di Langly, nell'heardquartier
della Cia, la Central intellicence agency, il controspionaggio degli Usa.
Un documento, che risale alla fine degli anni ’60 - pubblicato ieri nell'edizione
locale di un quotidiano nazionale - che, nella sua morfologia, riporta
d'un colpo all'era dell'operazione Stay-Behind, «l'attesa»
durante la guerra fredda. Un'operazione di spionaggio nella quale sarebbe
stata coinvolta la struttura consolare dell'epoca. Alla rappresentanza
diplomatica degli Usa a Napoli, ieri bocche cucite, il console generale
degli Usa a Napoli ufficialmente è in vacanza. Una portavoce comunque
afferma che sulla vicenda mister Clyde Bishop, il console, non «ha
alcun commento ufficiale da fare». La stessa fonte aggiunge poi che,
a loro memoria, nessun membro del corpo consolare rappresentante statunitense
è andato al di là del proprio compito di rappresentante diplomatico
degli Stati Uniti d'America, soprattutto «per mantenere ottimi rapporti
ed intensificare scambi culturali attraverso i quali apportare benefici
sia ai cittadini italiani che a quelli statunitensi». Il portavoce
del consolato generale Usa a Napoli afferma inoltre di non aver mai sentito
parlare di una «Potential leader biographic reporting list»,
ma «non è una sorpresa che negli archivi del nostro Governo
- ha aggiunto la stessa portavoce - siano conservati documenti di questo
tipo che poi vengono messi a disposizione del pubblico, anche straniero,
per le consultazioni». Una delle norme che prevede l'accesso ai documenti
di Stato è la «Freedom Informaction act», uno dei presìdi
della democrazia degli Stati Uniti: i documenti classificati, e che non
investono le norme per la tutela della «sicurezza nazionale»
vengono declassificati e messi a disposizione del pubblico, che vi può
accedere come e quando vuole, senza che giudici, procuratori, poliziotti
o pastoie burocratiche possano permettersi di vietarne la conoscenza e
la divulgazione. E così il consulente della commissione parlamentare
sulle stragi, Gianni Cipriani, ha potuto accedere a questo e ad altri documenti.
Silenzio dal consolato e risatine da parte dei napoletani «schedati»
dagli 007 americani della fine anni '60. In ogni caso c'è da dire
che gli americani avevano saputo scegliere: non un nome tra quelli contenuti
nella lista, è rimasto un «oscuro napoletano»”.
30 dicembre - "La Repubblica" pubblica
il commento di Gloria Berbena, californiana di Sacramento, console Usa
responsabile per cultura, media e relazioni esterne, alla pubblicazione
delle liste di napoletani schedati dai servizi segreti americani:
"Ci interessa ancora quella che sarà la
futura classe dirigente e questo non deve sembrare né strano né
segreto. E' normale, secondo i nostri criteri, intrattenere buoni rapporti
con quelle persone, giovani, di qualità, che si stanno facendo strada
nei vari settori. Ed anzi, per alcuni di questi, oggi, studiamo viaggi
negli States". Dal consolato Usa una conferma: la grande attenzione con
cui la diplomazia americana segue le nuove leve, i possibili nuovi leader.
Oggi come nel '67, anno a cui si riferisce la Potential leader biographic
reporting list spedita dagli uffici americani di Napoli a quelli di Washington
e finiti negli archivi Usa con il timbro secret. Un elenco di 103 napoletani,
selezionati con attenzione, visto che quasi tutti hanno poi sfondato. Chi
in politica, chi all'università o nelle professioni. Una lista resa
nota da Repubblica e scovata, assieme ad altre di diverse città,
dal consulente della Commissione parlamentare stragi, Gianni Cipriani.
Un caso che agita la diplomazia statunitense. Che sino a ieri era rimasta
in silenzio. Irrintracciabile l'ambasciatore Foglietta, in vacanza sino
alla prossima settimana. Ora una voce autorevole, dal consolato Usa di
Napoli, affronta la questione. Parla Gloria Berbena, californiana di Sacramento,
console responsabile per cultura, media e relazioni esterne. Gentile e
disponibile, risponde alle domande di Repubblica.
Console, allora, quella lista, quel Club di giovani
leader organizzato dagli americani con su stampigliato segreto, cos'era,
una sottile forma di controllo e spionaggio?
"Quei documenti parlano per loro stessi, sono
lì, ormai pubblici. E dunque senza misteri. E dico questo dopo aver
letto i vostri articoli perché, personalmente, non sapevo di queste
liste. Mi sembra comunque acclarato che riguardassero un Club di giovani
leader".
Appunto, tenevate sott'occhio i futuri leader,
perché?
"Perché da sempre, nel lavoro dei nostri
diplomatici c'è anche quello di alimentare scambi culturali fra
noi e voi, per sempre migliorare la conoscenza reciproca e i buoni rapporti
già esistenti".
A qualcuno sembra anomalo che i soci di un Club
debbano poi ritrovarsi in dossier segreti negli archivi di Washington.
"Ripeto, di ciò non so nulla. Sono passati
molti anni e non so dire".
Ma anche oggi avete un occhio attento per la
classe dirigente del Duemila...
"Sì, e non c'è nessun problema
a dirlo. Seguiamo con interesse i dirigenti del futuro, anzi, abbiamo anche
un programma per far loro conoscere meglio il nostro Paese".
Sarebbe?
"L'International visitor program e non c'è
assolutamente nulla di segreto. Il programma, molto selettivo, mette in
condizione questi giovani di conoscere molto da vicino gli Usa".
Come si può far parte del programma?
"Ci sono due livelli. L'ambasciata ed un ufficio
a Washington. Noi decidiamo quali persone possano trarre beneficio e avere
interesse a visitare gli Stati Uniti. L'ambasciata fa quelle che noi chiamiamo
nomine e l'ufficio di Washington, l'International visitor office, si occupa
del resto".
Quali sono i criteri che adottate?
"Scegliamo i giovani dirigenti che in ogni campo,
politica, arte, affari, mostrano capacità e interesse per l'America".
Console, esiste ancora l'Usis?
"No, come entità separata non esiste più
dal primo ottobre".
Che fine ha fatto?
"E' stato inglobato nel Dipartimento di Stato"".