ALMANACCO DEI "MISTERI D'ITALIA"

Le notizie del 2000

 


 
 
 
 

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P2
14 gennaio - Nel suo intervento al congresso Ds, a Torino, Fabio Mussi, riferendosi a Silvio Berlusconi, dice:"Ieri ha avuto uno dei suoi colpi di fantasia dandoci dei comunisti e definendo Veltroni Vysinskij: ho l 'impressione che del libro nero del comunismo abbia letto solo la copertina e la prima pagina. Continua a chiamarci Pci-Pds-Ds: e' corretto genealogicamente, ma altrettanto potremmo noi chiamarliP2-Fininvest-Fi. Ma non voglio andare avanti altrimenti mi da' del persecutore". 

17 gennaio - Il giornalista Massimo Donelli e' stato nominato Chief Content Officer (responsabile dei contenuti) di Ciaoweb, il portale internet che fa capo a Ciaoholding (50% Fiat, 50% Ifil). Donelli, 46 anni, entrera' in carica il primo febbraio lasciando la condirezione di Panorama. Il nome di Donelli era presente nel presunto elenco degli iscritti alla P2 trovato negli uffici della Gio.Le a Castiglion Fibocchi. Donelli era registrato nel fascicolo 0921, numero di tessera 2207, in regola con le quote associative. All'epoca Donelli, che era caporedattore del "Mattino" di Napoli, dichiaro':"Trovo sui quotidiani il mio nome nella lista Gelli. Chissa' come c'e' finito: io davvero non lo so. So soltanto che, superati la sorpresa e il fastidio nel leggerla, ora mi ritrovo a dover smentire una notizia che, se non fosse collocata nel clima di sospetto e diffamazione creatosi nelle ultime settimane, non meriterebbe neppure di essere presa in considerazione". Il 13 dicembre 1982, il consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia infligge a Donelli la sanzione dell' "avvertimento" con questa motivazione:"per avere egli agito con superficialita' e leggerezza dettata da ambizione e carrierismo". Quando, nel 1990, Donelli fu nominato direttore del mensile "Fortune", presentandosi alla redazione ammise di aver fatto parte della loggia per quattro mesi, tra il 1980 e il 1981, assumendosi la responsabilita' dell'"errore" compiuto. Questo non gli impedi', nella votazione sul gradimento, di avere solo tre voti a favore, otto astensioni e quattro voti contrari.
 

18 gennaio - In un articolo pubblicato dal "Giornale" il leader del Polo Silvio Berlusconi (il cui nome era nelle liste della P2) risponde ad Edgardo Sogno (il cui nome era nelle liste della P2) che aveva rivolto un appello a Forza Italia e al suo leader affinche' perseguano un progetto forte di riforma costituzionale liberaldemocratica. "Noi raccogliamo l' appello di Sogno - scrive il leader del polo - della medaglia d' oro alla Resistenza". "Sogno ci chiede di scegliere a favore del cambiamento e non della conservazione dell' esistente. La nostra risposta e' che Forza Italia e' nata come forza di cambiamento e che non puo' che essere forza di riforma radicale della societa' e delle istituzioni". "Edgardo Sogno - prosegue Berlusconi - e' uno degli uomini che in Italia merita maggior rispetto e considerazione. Le vicende giudiziarie di Sogno sono state una delle pagine piu' tristi dell' Italia repubblicana, e continua a essere un vulnus della nostra storia civile il fatto che coloro che ne furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio personale e la saggezza politica di riconoscere che non si tratto' di un umanissimo errore giudiziario, ma di una persecuzione frutto, forse anche inconsapevole, dell' odio ideologico". Per Berlusconi, Sogno merita rispetto "innanzitutto sul piano morale", ma anche per la sua "dimensione di pensatore politico". "La crisi morale - continua ancora - istituzionale, politica, giudiziaria, nella quale si trova il nostro Paese, unico caso in occidente e nel mondo civile, e' la conferma che Sogno aveva ragione". 

19 gennaio - L'agenzia di stampa svizzera Ats, confermando un'informazione del quotidiano ticinese La Regione, scrive che i beni di Maurizio Gelli nel Canton Ticino (diversi milioni di franchi) sono stati sbloccati. Il blocco di tre conti bancari a nome del figlio di Licio Gelli e di suo genero era stato deciso nel 1998 dalla Procura pubblica ticinese in seguito ad una rogatoria della procura di Roma. L' Italia voleva tagliare i viveri a Licio Gelli, allora in fuga. 

24 gennaio - Licio Gelli e' ricoverato all' ospedale Santa Maria Nuova di Firenze per una serie di accertamenti sul suo stato di salute. Si tratterebbe di un check up in seguito a forti dolori alla schiena e ad una gamba. Gelli e' seguito dall' equipe medica del prof. Lagi. "I controlli medici riguardano anche lo stato del suo aneurisma al cuore - ha dichiarato Maurizio Gelli -. Mio padre gia' una settimana fa era stato ricoverato d' urgenza all' ospedale di Arezzo per gli stessi problemi". 

24 gennaio - Il governo italiano ha presentato un ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel 'caso Licio Gelli': lo ha detto oggi a Strasburgo il presidente della Corte Luzius Wildhaber. In una sentenza adottata il 19 ottobre scorso i giudici di Strasburgo avevano accolto il ricorso presentato da Gelli contro l'Italia per la durata eccessiva del processo a suo carico (dal 13 settembre 1982 al 24 dicembre 1996). La Corte aveva condannato l'Italia per violazione dell'articolo 61 della convenzione europea dei diritti umani (diritto ad un processo equo in tempi ragionevoli) a pagare 22 milioni di lire, per i danni e le spese, all'ex-capo della Loggia P2. Il ricorso presentato dall'Italia contro la sentenza Gelli e' il primo introdotto in base al regolamento della 'nuova' Corte di Strasburgo, rifondata nel novembre 1998, che prevede appunto la possibilita' di fare ricorso contro le sentenze dei giudici di Strasburgo. 

25 gennaio - Secondo un bollettino dell' equipe medica guidata dal professor Alfonso Lagi "Sono stazionarie" le condizioni cliniche di Licio Gelli. Nel bollettino viene specificato che Gelli "e' ricoverato per controlli clinici programmati relativi alle patologie vascolari e metaboliche di cui soffre". 

26 gennaio - Processo per il crack del gruppo Di Nepi :"Non credo che l'esposizione del gruppo Di Nepi con la Banca di Roma sia di mille miliardi, penso che sia molto meno e comunque erano considerati buoni clienti, un gruppo destinato a crescere" dice Cesare Geronzi, presidente della Banca di Roma e direttore generale della Cassa di Risparmio di Roma tra l'88 e il '92 , cioe' il periodo in cui Settimio e Pacifico Di Nepi ottennero ingenti finanziamenti dall'istituto di credito. Geronzi ha cosi' risposto, in qualita' di testimone, alla domanda del Pm Lina Cusano sull'esposizione del gruppo con la sua banca. Nel corso dell'udienza sono stati sentiti altri testimoni, tra cui un ispettore della Banca d'Italia, Nicola Stabile, che nel '91 chiese un'ispezione in relazione ai finanziamenti chiesti dal gruppo. Il processo, in cui sono imputate 20 persone, riguarda alcune bancarotte fraudolente di societa' che facevano capo ai fratelli Di Nepi e che avvennero proprio dopo l' ottenimento di finanziamenti da parte della banca e il cui regista - secondo l'accusa - sarebbe stato Licio Gelli. 

27 gennaio - Il capitano dei servizi segreti Antonio La Bruna, 72 anni, muore nell' ospedale di Bracciano. Ufficiale dei carabinieri, all' inizio degli anni ottanta fu coinvolto tra l' altro nella vicenda della Loggia P2 (il suo nome era nelle liste) e nel processo per la strage di Piazza Fontana. 

28 gennaio - Una sentenza della Corte di Cassazione (massimata 747, III civile, relatore Francesco Di Nanni) afferma che il diritto di critica non e' sempre vietato nel caso in cui offenda la reputazione individuale di qualcuno, perche' altrimenti si finirebbe col far prevalere l'interesse del singolo al suo onore sull'interesse generale a che non siano introdotte limitazioni alla libera formazione del pensiero, garantita dalla Costituzione. Alla pronuncia si e' arrivati alla fine di una causa aperta nel 1985 e che vedeva sul banco degli imputati la direttrice di 'Linus', Fulvia Serra, e il giornalista Saverio Tutino citati dal banchiere Umberto Ortolani (il suo nome era nelle liste della P2), sodale di Licio Gelli nel crack Ambrosiano, per un articolo che accennava alle "imprese truffaldine" compiute dai due. Ortolani si ritenne diffamato: in primo e secondo grado vinse il processo, ma la Cassazione annullo' il verdetto. In seguito la Corte d' Appello di Milano cancello' la condanna al risarcimento. Allora Ortolani si e' rivolto alla Cassazione. Ma stavolta i supremi giudici hanno messo la parola fine rilevando che il diritto di critica ha maglie di valutazione piu' larghe del diritto di cronaca, sebbene possano essere esercitati insieme. 

19 febbraio - il procuratore della repubblica Rocco Bisonte chiede il rinvio a giudizio nei confronti di due figli di Gelli, delle loro e dell' amica rumena di Licio Gelli, Gabriela Vasile, per rispondere del reato di procurata inosservanza della pena. Secondo l' accusa avrebbero favorito la fuga di Licio Gelli dall' aprile al settembre 1998. L' udienza preliminare si terra' il 21 marzo 

23 febbraio - Audizione in commissione stragi del prof. Vincenzo Cappelletti, ex presidente dell'Enciclopedia Treccani ed ex presidente del Comitato scientifico costitito da Francesco Cossiga dopo il sequestro Moro. Il sen. Athos De Luca (Verdi) ha chiesto che il verbale dell'audizione venga subito trasmesso al magistrato competente "per le gravi affermazioni contenute nelle sue dichiarazioni". Vincenzo Cappelletti, osserva De Luca, ha infatti detto non solo di non essere mai stato ascoltato da alcun magistrato, ma ha riferito che nel comitato scientifico "costituito da Francesco Cossiga", e composto da esperti scelti dallo stesso Cappelletti, "vi erano personaggi aderenti alla P2 e vicini alla Cia". 

6 marzo - Silvio Berlusconi, nel corso della trasmissione “Iceberg” di TeleLombardia, rispondendo alle domande di Daniele Vimercati, afferma che “essere piduista non e' un titolo di demerito” e aggiunge che “La P2 fu piu' che altro uno scoop giornalistico. La magistratura per altro non ha accertato mai mie responsabilita' di alcun tipo”. “Quando alla mia iscrizione alla P2- ha spiegato Berlusconi - io ricevetti quella tessera dove si diceva che ero 'apprendista muratore' ed io, che allora ero il piu' grande costruttore di case, non potei fare a meno di farmi una grande risata. Dopodiche' la tessera fu immediatamente rispedita al mittente”.

7 marzo - “Sicuramente stava scherzando”. E’ questo il commento del presidente di An Gianfranco Fini alle dichiarazioni di Berlusconi sulla sua appartenenza alla P2. “E' una vicenda - ha osservato Fini - che appartiene al passato, lasciamola li' e andiamo avanti”. Massimo D' Alema, parlando a “Radio anch'io”, commenta:“Ma essere stato piduista vuol dire aver partecipato a un' organizzazione, a una setta segreta che tramava contro lo Stato, e questo e' stato sancito dal Parlamento. E condivido questa opinione che si e' formata dopo l'inchiesta della Commissione Anselmi”. “Vedo che il Cavaliere ha riabilitato anche la P2. Come direbbe uno psichiatra di rango, e' il grande ritorno del rimosso” commenta il capogruppo Ds alla Camera dei Ds, Fabio Mussi. Il capogruppo dei senatori dei Ds, Gavino Angius, ricorda che la P2 “e' stata una centrale di trame oscure e inquietanti che hanno segnato la vita democratica” dell' Italia. Angius, quindi, commentando le dichiarazioni di Berlusconi, dice che “c' e' da vergognarsi ed e' impudente che, dopo le univoche conclusioni della commissione parlamentare d' inchiesta, che ha definito la P2 una setta segreta che ha tramato contro l' ordinamento dello Stato, ci sia chi cerca di riabilitarne l' esistenza e la partecipazione ad essa”. Angius ricorda anche come l' ex presidente della Repubblica Sandro Pertini defini' la P2 “un' associazione a delinquere”, sostenendo che questa e' “probabilmente la definizione piu' precisa”. “Mi chiedo perche' - conclude Angius - proprio ora il capo di Forza Italia abbia difeso, o dovuto difendere, la sua iscrizione ad essa. Al mio paese, quando accade qualcosa del genere, si usa dire 'Sei venuto o ti hanno mandato'?”. Marco Rizzo, coordinatore nazionale dei comunisti italiani commenta invece:“Altro che scoop giornalistici! Vada a rileggersi le carte della commissione Anselmi, cavaliere!” e invita Berlusconi, “se non l'ha fatto”, a “rileggersi il piano di rinascita democratica”. In tal modo “ scoprira' che quelli che per lei sono dei galantuomini tramavano per la sospensione delle garanzie costituzionali e per l'instaurazione di un regime autoritario”. “Da una parte Berlusconi ci racconta che la tessera (n.1816) della P2 a lui graziosamente inviata dal gran maestro del complotto Licio Gelli, dopo un giro di tavolo e tante risate dei presenti - ha affermato Rizzo - e' stata prontamente rispedita al mittente; dall'altra sostiene che alla loggia segreta erano iscritti importanti personaggi della politica e delle istituzioni. L'appartenenza alla P2 rappresentava, tra le altre cose, un importante passaporto per essere accolti in quella zona grigia dove affari e politica si fondevano e confondevano. Ma forse la risata di cui il cavaliere parla non c'e' stata. Forse Berlusconi non ricorda bene. In ogni caso riabilitare una organizzazione la cui lunga mano e' visibile nelle vicende piu' buie e torbide della nostra storia, dallo stragismo agli attentati, all'omicidio politico, all'economia della corruzione, da' il senso dell'inaffidabilita' del leader del Polo”. 
 

7 marzo - La procura della Repubblica di Palermo decide l' archiviazione dell' inchiesta denominata “sistemi criminali”. I magistrati stanno ultimando la motivazione degli atti da inviare al gip. Si chiude in questo modo uno dei piu' discussi procedimenti aperti a Palermo che vedeva indagati, tra gli altri, l' ex capo della P2 Licio Gelli, l' estremista nero Stefano Delle Chiaie, il capo di Cosa nostra Toto' Riina, i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio, il commercialista massone Giuseppe Mandalari, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ed i boss catanesi Eugenio Galea e Giuseppe Ercolano. L' inchiesta avviata quattro anni fa ruotava sull' ipotesi di un piano eversivo finalizzato alla divisione dello Stato condotto dai vertici di Cosa Nostra con la complicita' di un Sistema Criminale, composto dalla massoneria deviata, da elementi dell' eversione nera e da spezzoni deviati di servizi segreti. Agli atti dell' indagine sarebbero stati raccolti numerosi indizi sull' esistenza di un progetto politico separatista riconducibile a Gelli, ideato nel 1991 e condotto anche attraverso le stragi del 1993. Cosa Nostra avrebbe agito in “partnership” criminale con un soggetto gia' collaudato in passato, sostengono i magistrati, negli anni bui della democrazia italiana. Un rapporto della Dia acquisito agli atti dell' indagine sostiene che la stagione delle stragi del '92 e del '93 ricalca il modello operativo della strategia della tensione degli anni '70. Secondo indiscrezioni che hanno trovato conferma in ambienti giudiziari, le indagini che il sen. Francesco Cossiga aveva denunciato di avere subito, sarebbero state compiute nell' ambito di questa inchiesta. Il nome del sen. Cossiga, tuttavia, non e' mai stato iscritto sul registro degli indagati. L' input dell' avvio dell' inchiesta era stato fornito dalle dichiarazioni di pentiti, secondo i quali, le basi di questa strategia sarebbero state poste in alcuni incontri: ad Enna, dove si riuni' la commissione di Cosa Nostra;nel santuario di Polsi, in Calabria, con i vertici della 'ndrangheta; in Jugoslavia, un incontro del quale ha parlato il confidente dei 'servizi', Elio Ciolini, che nel marzo del '92, in una lettera al giudice bolognese Grassi, preannuncio' la stagione delle stragi. Dal '96 in poi, i pm hanno raccolto una mole enorme di documenti: atti processuali, parlamentari, relazioni di servizi segreti, interviste. Eventi politici ed economici, episodi criminali, sono stati elencati e comparati, alla ricerca di un' unica chiave di lettura. A partire dall' omicidio Lima fino alle stragi del '93, sono state analizzate le possibili causali “occulte” dei delitti mafiosi, patrimonio di conoscenza di un ristrettissimo gruppo di vertice. 

12 marzo - Licio Gelli e' ricoverato nell' ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, in anticipo rispetto alla prevista programmazione dei check-up (ogni due mesi) cui deve sottoporsi per verificare le sue condizioni di salute. Gelli si trova nel reparto di prima medicina generale diretto dal primario Alfonso Lagi e vi dovrebbe restare fino a mercoledi' 15. Il motivo del ricovero anticipato, secondo il figlio Maurizio, e' dovuto all' osteoporosi che provoca al padre forti dolori alla colonna vertebrale. Gelli ha anche problemi di deambulazione per mancanza di mobilita' alla gamba destra. L' ex-venerabile e' costretto a portare un busto ed a camminare con un bastone.”Proprio l' aggravarsi delle condizioni complessive della colonna dorsale e delle ossa - ha spiegato Maurizio Gelli - ci ha fatto anticipare il suo ricovero”.

20 marzo - Il giudice bolognese Maurizio Atzori va in trasferta a Firenze per sentire Gelli, ricoverato, in regime di arresti domiciliari, all' ospedale di Santa Maria Nuova, per chiarire la posizione di Ivano Bongiovanni, che e' stata stralciata nell' ambito del processo ter per la strage dell' Italicus del 1974, ma anche per sentirlo come parte lesa per calunnie da parte di esponenti dei servizi segreti in merito al suo presunto ruolo di mandante della strage di Bologna dell' agosto 1980 e dell' omicidio del giornalista Mino Pecorelli, ma Licio Gelli si avvale della facolta' di non rispondere essendo gia' stato condannato in un procedimento connesso.

22 marzo – Il settimanale “Diario” pubblica un’inchiesta di Gianni Barbacetto, sull’"uomo più potente d'Italia", Giancarlo Elia Valori, presidente della Società Autostrade e neo eletto presidente dell'Unione industriali di Roma.

13 aprile - Francesco Cossiga, parlando a Cagliari, dice:"Massimo D'Alema ha detto con molta schiettezza che da quando e' a Palazo Chigi si e' accorto che il Governo e' debole e che abbiamo un sistema in cui il Parlamento vuole fare tutto e non fa niente. Ha detto una grande verita'. Scherzando gli ho ricordato che questo era il secondo punto del programma di governo di Licio Gelli. Se queste cose le avesse dette Berlusconi chissa' cosa gli sarebbe successo".

14 aprile - Giancarlo Elia Valori e' il nuovo presidente di Autovie Venete, societa' concessionaria dell' autostrada A4 Venezia-Trieste con diramazioni per Udine e Pordenone. Valori, che e' anche presidente della societa' Autostrade, e' stato eletto dall' assemblea dei soci, che si e' riunita a Trieste. Valori, che e' anche presidente della Societa' Autostrade, del consorzio per la telefonia mobile Blutel, e dell' Unione industriali di Roma, e' stato insignito oggi anche del titolo di 'visiting professor' della facolta' di Economia e Scienze Politiche dell' Universita' di Sydney. Nel corso di una cerimonia nell' aula magna dell' ateneo, presente anche l' ambasciatore a Canberra Giovanni Castellaneta, Valori ha ricevuto il titolo dal rettore dell' Universita' Gavin Brown. L'universita' di Sydney, fondata nel 1850, e' la piu' antica e una delle piu' prestigiose in Australia. Valori era giunto ieri a Melbourne e lo stesso giorno ha ricevuto dalla Global Foundation il 'Global Achievement Award', come riconoscimento della sua attivita' a favore dello sviluppo delle relazioni Italia-Australia. La Global Foundation, di cui e' presidente il governatore del Victoria Sir James Gobbo, e' la piu' autorevole istituzione privata australiana per le relazioni internazionali.

20 aprile - Giancarlo Elia Valori e' confermato presidente della nuova societa' Autostrade "privatizzate" dal consiglio di amministrazione eletto ieri. A Valori, eletto presidente per il triennio 2000-2002, sono stati estesi i poteri gia' attribuitigli negli ultimi cinque anni. Il consiglio ha quindi nominato Gamberale amministratore delegato, conferendogli i poteri di gestione, e direttore generale Pierluigi Ceseri. 

7 maggio - Licio Gelli e' di nuovo ricoverato all' ospedale Santa Maria Nuova a Firenze. Il figlio Maurizio Gelli spiega che il padre deve sottoporsi a coronografia, un esame specifico per il cuore dopo un malore che lo aveva colto una ventina di giorni fa, sempre mentre era ricoverato nell' ospedale fiorentino per il periodico check-up. Secondo quanto riferito da Maurizio Gelli, domani i medici che lo seguono gli comunicheranno se, considerata l' eta' e le condizioni di salute piuttosto precarie, l' ex venerabile potra' sottoporsi ad un intervento chirurgico di angioplastica. 

9 maggio – Fonti dell' ospedale Santa Maria Nuova di Firenze fanno sapere che il nuovo ricovero di Gelli e’ dovuto ad “accertamenti periodici e programmati” e che la dimissione di Gelli dovrebbe avvenire entro la settimana in corso. 

12 maggio - La Corte di Cassazione conferma nei confronti di Licio Gelli la sanzione di 13 miliardi e 970 milioni di lire emessa a suo carico dal Ministero del Tesoro nel luglio 1996 e confermata dal Pretore di Arezzo nel 1997. In particolare Gelli e' stato multato per aver effettuato il trasferimento di contanti e titoli al portatore per 25 miliardi e 762 milioni tramite intermediari non abilitati; per aver acquisito da intermediari non abilitati 17 miliardi e 206 milioni in titoli al portatore; per aver trasferito e successivamente acquisito un miliardo e 800 milioni senza il tramite di intermediari abilitati. Questi illeciti furono accertati - ricorda la Cassazione nella sentenza n. 6109, da indagini della Digos di Arezzo il 17 luglio del 1992 e della Guardia di Finanza di Roma il 24 agosto dello stesso anno. Invano la difesa di Gelli ha tentato di sostenere che non erano stati rispettati i termini di 30 giorni per la contestazione dei reati all'amministrazione del Tesoro. Per la Cassazione, visto che le inchieste su Gelli riguardavano anche aspetti penali, finche' il giudice penale non comunica gli illeciti amministrativi al Ministero del Tesoro quest'ultimo non e' tenuto a promuovere alcuna contestazione. Dunque il termine dei 30 giorni inizia a decorrere a partire da quando il ministero riceve gli atti dall'autorita' giudiziaria e in questo caso la scandenza e' stata rispettata.

12 maggio - Nell'aula della sesta sezione del tribunale di Roma, dove i giudici stanno valutando una richiesta della Questura di Roma relativa alla confisca dei beni del venerabile maestro e dei suoi familiari, nonche' immediate misure di prevenzione, emerge che per l'ufficio dei carichi pendenti di Roma Licio Gelli e' un cittadino incensurato. Il certificato penale di Gelli risulterebbe pulito poiche' fino ad oggi a causa dei grossi ritardi accumulati dall'ufficio nessuno ha avuto il tempo di annotare le condanne definitive inflitte al venerabile. E' stata intanto fissata al 7 luglio l'udienza per la produzione documentale (di cui si occuperanno l'ufficio del pubblico ministero e l'avvocato difensore Michele Gentiloni) sulla reale posizione penale di Gelli. La sesta sezione comunque si sta occupando di una voluminosa relazione, 120 pagine, firmata dal questore Arnaldo La Barbera in cui viene delineata la posizione del venerabile e tutti i suoi coinvolgimenti in vicende giudiziarie - a partire dal Banco Ambrosiano, alla bancarotta di numerose societa' del gruppo Di Nepi, fino ad un presunto coinvolgimento nella morte del politico svedese Olof Palme - dopo che il 9 marzo scorso gli stessi giudici avevano respinto la richiesta di sequestro immediato dei beni rinviando tutto all'esame delle carte nelle udienze successive.

12 maggio - Licio Gelli e' dimesso dall' ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova dove era stato ricoverato per sottoporsi ad alcuni esami.

9 giugno - Il processo per i depistaggi e i controdepistaggi della indagini sulla strage alla stazione di Bologna si conclude con la condanna a nove anni di reclusione per Massimo Carminati, a 4 anni e mezzo ciascuno per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del centro Sismi di Firenze, e per Ivano Bongiovanni, delinquente comune con simpatie di destra. Assoluzione invece per il maggiore del Sios dell' aeronautica Umberto Nobili. La sentenza e' emessa dopo cinque giorni di camera di consiglio dalla Corte di Assise di Bologna (presidente Maurizio Millo). Mannucci Benincasa e Carminati sono stati condannati anche al risarcimento dei danni alle parti civili da liquidarsi in separata sede. I due dovranno anche rifondere in solido le spese di costituzione difesa delle parti civili fissate in 125.000.000. In aula al momento della lettura della sentenza c' erano Mannucci Benincasa e Nobili. Il primo ha lasciato il Palazzo di Giustizia di Bologna senza fare commenti:"E' troppo presto per parlare", ha detto. Nobili, invece, e' scoppiato in un pianto liberatorio ed ha abbracciato i suoi avvocati difensori. "E' stato un atto di autentica giustizia - ha detto ai giornalisti - Questa' e' un' assoluzione piena (la formula usata dalla Corte d' Assise e' 'il fatto non costituisce reato') che rende giustizia ad una sofferenza durata 20 anni". "Sono stato colpevole - ha aggiunto Nobili - di aver fatto il mio dovere: io non ho mai sporcato la mia uniforme, altri pero' - e purtroppo del mio ambiente - hanno gettato fango sulla mia divisa. Comunque sapere che ci sono giudici come questi e' un fatto che conforta: vuol dire che la magistratura e' sana. Mi spiace per la condanna di Mannucci Benincasa: lui e' un galantuomo come me". Il Pm Paolo Giovagnoli nella sua requisitoria aveva chiesto 12 anni per Carminati, 8 per Mannucci Benincasa, quattro per Nobili e due per Bongiovanni. Il processo, prima di ricominciare nell' ottobre scorso e durare 32 udienze, aveva avuto un iter travagliato: si era aperto a Bologna, poi era stato trasferito a Roma, quindi era tornato a Bologna dopo che lo aveva deciso la Cassazione. Alla prima udienza Licio Gelli aveva tentato di costituirsi parte civile come vittima del reato di calunnia al centro del processo. Gelli infatti e' stato considerato vittima a sua volta di depistaggi, in quanto diventato - secondo la costruzione dell' accusa - inviso a settori della massoneria deviata e dei servizi segreti infedeli.

13 giugno - Processo in Corte d'Assise a Roma contro sette militari accusati della sparizione e della morte in Argentina di otto civili di origine italiana durante la dittatura militare. Il giornalista Italo Moretti, all' epoca inviato speciale della Rai in Argentina, ha ricostruito il contesto storico del colpo di stato militare e i collegamenti  con la loggia massonica P2 e il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Parlando del “piu' lucido e scientifico” dei pianificatori dei massacri, l' ammiraglio Emilio Masera, Moretti ha sottolineato come il salto di quest' ultimo ai vertici del governo militare sia stato appoggiato da Licio Gelli. Per il giornalista, Masera in 48 ore fece ottenere al Banco Ambrosiano una autorizzazione per la quale occorrevano mesi: l' apertura di sportelli a Buenos Aires. In cambio avrebbe ricevuto appoggio finanziario e strategico dal Banco e da Gelli. Proprio il legame Masera-Gelli avrebbe pilotato l' attenzione del quotidiano finito nella P2, il Corriere della Sera, che “per anni non utilizzo' il termine 'desaparecidos”'. In Italia erano al corrente dei massacri ai danni dei cittadini italiani Amintore Fanfani e Giulio Andreotti che “Masera incontro' all' albergo Excelsior di Roma e che si interessarono alla vicenda”, come confermato in una intervista videoregistrata da Moretti per la Rai a Masera, trasmessa durante l' udienza.

23 giugno - La Giunta comunale di Milano, con una delibera firmata dall'assessore agli Affari Legali, Pierfrancesco Gamba, intende costituirsi parte civile all'udienza preliminare del 28 giugno prossimo contro l'ex presidente del Consiglio comunale Massimo De Carolis, per il quale i pubblici ministeri Gherardo Colombo e Ilda Boccassini hanno chiesto il 20 aprile scorso il rinvio a giudizio per concorso in corruzione e rivelazione di atti segreti nell' ambito delle indagini sull'appalto per la costruzione del depuratore Milano Sud. “La vicenda dedotta nei capi di imputazione - si legge nel documento - riguarda principalmente la promessa di 200 milioni e la corresponsione di 25 milioni da parte di Alain Maetz a De Carolis” che li avrebbe ricevuti in qualita' di presidente del Consiglio comunale “per porre in essere comportamenti contrari ai doveri d'ufficio, consistenti nel favorire le societa' rappresentate da Maetz nelle prequalifiche dell'appalto”.

26 giugno - Muore per una  crisi cardiaca all'ospedale Oglio Po di Casalmaggiore, dove era ricoverato da qualche tempo, Pier Carpi, scrittore, sceneggiatore e regista cinematografico nato a Scandiano (Reggio Emilia) il 16 gennaio 1940. Da tempo viveva e lavorava a Viadana, in provincia di Mantova. Pier Carpi aveva vinto il premio Bancarella. Scrisse anche un libro, "Il venerabile" dedicato a Licio Gelli. Il nome di Pier Carpi era nelle liste dei presunti iscritti alla P2 trovate a Castiglion Fibocchi.

28 giugno - Si svolgono a Viadana (Mantova), nella chiesa di San Pietro, i funerali di Pier Carpi.Tra i messaggi di cordoglio, quello di Licio Gelli.

20 luglio - Il deputato torinese della Lega Nord Mario Borghezio, in una lettera al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, propone la nomina di Edgardo Sogno a senatore a vita. Sogno, 85 anni, da Natale e' sofferente per gravi disturbi cardiaci ed e' attualmente ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale Molinette; le sue condizioni non sono pero' particolarmente preoccupanti. "Mi pare incredibile - scrive Borghezio nella lettera - che un uomo di questa levatura rischi di morire dimenticato e abbandonato dall' Italia ufficiale. I meriti storici e politici di questo coraggioso combattente per la liberta' di tutti non vanno dimenticati". Anche Stefania Craxi, figlia di Bettino Craxi, dichiara:"Vorrei testimoniare solidarieta' ad Edgardo Sogno perche' la sua sofferenza e la sua solitudine mi ricordano quella di mio padre, Bettino Craxi, al quale la vicenda Sogno arrecava profonda indignazione". "Vorrei dire al patriota Sogno - aggiunge Stefania Craxi - che ha il dovere di continuare a lottare e quello di curarsi, perche' la sua salute e la sua battaglia per la verita' e la giustizia stanno a cuore di tutti i patrioti, ai garibaldini braccati e agli incalliti libertari che ancora ci sono in questo Paese".

25 luglio - Il ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale insedia il Forum permanente per le comunicazioni con il compito di monitorare il settore, previsto dalla legge istitutiva dell' autorita' per le comunicazioni. A presiederlo Cardinale ha delegato Enrico Manca, presidente dell' Isimm (Istituto per lo studio dell' innovazione nei media e per la multimedialita') ed ex presidente Rai. Il Forum e' composto da dieci rappresentanti del ministero, dieci esperti e dieci rappresentanti delle imprese, e ha il compito di esprimere pareri, formulare proposte per iniziative anche legislative e studiare lo sviluppo del settore. Manca, intervenendo all'insediamento del Forum, ha proposto l'utilizzo di "scuole guida disseminate nel Paese come tanti multimedia-point, nel quadro di un grande piano di alfabetizzazione multimediale". Combattere il nuovo analfabetismo significa, ha detto Manca, "contrastare il rischio di nuove fratture sociali fra i nuovi 'inforicchi' e i nuovi 'infopoveri'. Penso - ha aggiunto - ad un ricco e capillare sistema in grado di assicurare, dopo un corso breve, un alfabetismo multimediale di massa, un uso elementare e primario del computer e della rete". Il nome di Enrico Manca era nei presunti elenchi di iscritti alla P2 trovati a Castiglion Fibocchi, ma l' ex presidente della Rai ha smentito di essersi iscritto e ha detto di aver solo ricevuto da Maurizio Costanzo un invito ad entrare nella loggia di Gelli, ma di aver rifiutato. La sua versione e' stata confermata dallo stesso Maurizio Costanzo e da una sentenza della magistratura.

26 luglio – Muore a Milano Adolfo Beria D'Argentine, magistrato, 79 anni. Beria D' Argentine era stato procuratore generale di Milano tra febbraio 1987 e dicembre 1990, quando lascio’ l' incarico e la magistratura per raggiunti limiti di eta'. Nato a Torino il 5 dicembre 1920. Laureato in giurisprudenza e filosofia, comincio' il tirocinio come uditore a Biella e passo' poi attraverso vari incarichi fino ad assumere, nel 1978, quello di presidente del tribunale dei minori di Milano. E' stato anche segretario generale del Centro di prevenzione e difesa sociale, capo di gabinetto del Ministero della Giustizia, componente del Csm e piu' volte presidente dell' Associazione Nazionale Magistrati. Beria D’Argentine, durante la resistenza, e’ stato uno dei componenti dell’organizzazione Franchi, un avventuroso gruppo di partigiani bianchi, guidato da Edgardo Sogno, in contatto con i servizi segreti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Con Sogno, Beria d’ Argentine e’ rimasto legato anche in seguito. Ecco un brano di un’ audizione del marzo 1999 di Alberto Franceschini in commissione stragi:
PRESIDENTE - ...A questo proposito c’è un episodio che la riguarda. Quando foste arrestati, nel 1974, è vero che avevate un carteggio intercorso tra Edgardo Sogno e il giudice Adolfo Beria d’Argentine che però non risulta fra il materiale sequestrato ?
FRANCESCHINI - E’ stata un’altra delle cose emerse al processo di Torino del 1978. Durante il sequestro Sossi compimmo due azioni: una alla sede del CRD (Comitato di resistenza democratica) a Milano e un’altra al Centro Sturzo (mi sembra che si chiamasse così) a Torino. In queste due "perquisizioni", soprattutto in quella a Milano presso il CRD, portammo via una documentazione, consistente in un elenco di persone che avevano partecipato ad un convegno sulla riforma dello Stato in senso gollista che si era tenuto a Firenze credo nel 1973-1974.
PRESIDENTE - Capisco a cosa si riferisce.
FRANCESCHINI - Vi era una serie di relazioni fatte a questo convegno. A una di tali relazioni (riguardava le modifiche alla Costituzione eccetera) era allegato questo documento anonimo, una lettera che ricordo ancora cominciava con: "Caro Eddy". Diceva: "Ti ho mandato le cose che mi chiedevi, ti prego, leggile tu al convegno: sai, per la mia posizione non posso venire, non posso espormi". Era Beria d’Argentine che all’epoca credo fosse procuratore di Milano o una roba del genere. Quando fummo arrestati io e Curcio, questi documenti li avevamo in macchina, anche perché volevamo renderli noti pubblicandoli in una specie di libretto. Questi documenti sono scomparsi. Al processo, nel 1978, parlo di questi documenti e chiedo alla corte di far venire Edgardo Sogno e Beria d’Argentine in aula e di svolgere un confronto per vedere se erano vere queste cose che dicevo io. Vennero in aula e confermarono: Beria d’Argentine disse che era vero, era amico di Sogno dai tempi della "Franchi", un’organizzazione in cui erano stati insieme durante la Resistenza, c’era un rapporto di amicizia, lui aveva scritto questa lettera .
PRESIDENTE - Il punto che mi interessa è che questa documentazione è scomparsa.
FRANCESCHINI - Sì, scompare. La ricordo ancora perché l’ho guardata, c’era circa un migliaio di nomi. L’elemento più interessante era un tabulato con moltissimi nomi (ufficiali, certamente alte personalità dello Stato). Poi, quando è uscita la storia della Loggia P2 ho pensato che forse c’entrava qualcosa.
Nella richiesta di autorizzazione a procedere contro il sen. Giulio Andreotti per l' uccisione di Mino Pecorelli, c' e' una dichiarazione del gen. Nicolo' Bozzo, stretto collaboratore del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, raccolta l' 11 maggio 1993. Bozzo dice:
"Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a Savona nel 1974/75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalita' comune organizzata, massoneria e settori dei servizi deviati. Successivamente al 1° settembre 1978 e cioe' quando il rapporto di dipendenza divenne diretto, il generale mi invito', in piu' occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo parere, si fondava sull'esistenza di una struttura segreta paramilitare, con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro intemo. A suo parere questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza, attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza. In particolare il generale mi segnalo' l'Organizzazione Franchi. Un'occasione di discussione a tale proposito fu l'indicazione da parte di Viglione del nome del Magistrato Beria D'argentine, come partecipe delle riunioni delle Br il generale, infatti, la defini' un'azione di depistaggio ma si interrogava sulla funzione di questa operazione di depistaggio e se essa potesse essere ricondotta agli organismi di cui ho parlato. In questo contesto, su indicazione del generale, mi recai anche a contattare un confidente del quale non intendo fare il nome, avvalendomi del diritto di non rivelare la fonte - che mi forni' qualche notizia generica, che confermava il senso dell'ipotesi operativa manifestatami dal generale. Il confidente apparve pero' terrorizzato e temeva per la propria vita. Egli mi disse che temeva di essere assassinato da questa síruttura, che pero' non volle indicare specificamente. In sostanza egli disse che alcune formazioni comuniste erano state infiltrate durante la Resistenza al fine di portarle all'annientamento. Si trattava delle formazioni comuniste, socialiste e azioniste. Non volle pero' parlarne oltre. L'incontro avvenne nell'autunno 1978. Il generale ed io fummo poi presi da ben altri impegni immediati, anche per il ritmo incalzante delle operazioni antiterrorismo. Dai primi mesi del 1979, o meglio da quando vi fu a Roma il processo Viglione, l'interesse del generale scemo', anche perche' vi era ormai una pubblicita' sul tema e non era piu' opportuno svolgere indagini di carattere riservato. Ne' si poteva pensare ad aprire un'indagine vera e propria con quegli elementi, o meglio con le sole ipotesi di cui si disponeva."

5 agosto - Edgardo Sogno Rata del Vallino, 84 anni, muore nella sua casa di Torino, stroncato da una crisi cardiaca. Secondo alcuni e' stato un golpista e un agente dei servizi segreti occidentali, secondo altri un eroe della liberta' e un precursore della seconda repubblica e del bipartitismo. Edgardo Sogno Rata del Vallino, di famiglia nobile piemontese, nasce nel 1915 a Torino. Nel 1938 si arruola come volontario franchista nella guerra civile spagnola. Partecipa alla seconda guerra mondiale come ufficiale del "Nizza cavalleria" ed entra poi nella resistenza come fondatore dell' Organizzazione Franchi, da lui comandato con il nome di battaglia di Franco Franchi, un gruppo di partigiani bianchi (ne fa parte anche Adolfo Beria D'Argentine, morto pochi giorni fa) collegato con i servizi segreti inglesi e con quelli americani che gli conferiranno la "Bronze star". L'avventurosa banda di Sogno mette a segno alcune imprese come la liberazione di Ferruccio Parri. Lo stesso Sogno e' arrestato quattro volte dai nazisti e quattro volte liberato. Monarchico convinto, nel dopoguerra entra nel Partito liberale. Nel 1948 comincia la carriera diplomatica. Nell' agosto 1950, mentre e' segretario d' ambasciata a Parigi, riceve l' invito dal ministro dell' Interno Scelba di organizzare elementi civili di appoggio alle forze dell' ordine e elabora il progetto degli "atlantici d' Italia", primo abbozzo della futura Gladio. Nel 1953, con Luigi Cavallo, fonda il movimento "Pace e liberta", un centro di attivita' anticomunista. Nel 1971 forma i "comitati di resistenza democratica", che hanno l'obiettivo, come dira' lui stesso, di "impedire con ogni mezzo" che il PCI vada "al potere, anche attraverso libere elezioni". La sede dei Comitati viene "perquisita" nel 1974 dalle Brigate rosse che portano via alcuni elenchi. Queste liste di nomi erano in mano a Renato Curcio e Alberto Franceschini quando, poco dopo, saranno arrestati. I due brigatisti denunceranno la sparizione dei documenti. Il 1974 e' anche l'anno in cui, per l'agosto, Sogno avrebbe organizzato il cosiddetto "golpe bianco", secondo l'accusa un piano per rapire il presidente Leone, costringerlo a sciogliere il Parlamento e nominare un governo di tecnici e militari presieduto da Pacciardi. Sempre secondo l'accusa il piano prevedeva anche campi di concentramento, un tribunale speciale, la sospensione dell'immunita' parlamentare e lo scioglimenti del Msi e dei gruppi extraparlamentari di destra e di sinistra. Sul presunto golpe apre un'inchiesta l'allora giudice istruttore torinese Luciano Violante che chiede al Sid i documenti su Sogno, che pero' saranno quasi tutti coperti da segreto di Stato. Il 5 maggio 1976 Violante ordina l' arresto di Sogno e Cavallo per cospirazione contro le istituzioni dello Stato. Sogno, in un primo momento, sfugge all'arresto, ma poi si costituisce. La Cassazione trasferisce pero' l' inchiesta a Roma, ai giudici che si occupano del golpe Borghese. Dopo un mese e mezzo Sogno ottiene la liberta' provvisoria. Il 12 settembre 1978 Sogno, con Cavallo, Randolfo Pacciardi, Remo Orlandini e altri e' prosciolto perche' il fatto non sussiste. Nel febbraio 1975 intanto, in un comizio a Roma con Pacciardi, propone una seconda repubblica, presidenziale, come unica soluzione alla crisi del regime parlamentare giudicato in stato agonico. Per Pacciardi e Sogno "l'Italia e' un baccanale orgiastico di delitti e rapine".Tra il 1975 e il 1976 Sogno, con Licio Gelli, Carmelo Spagnuolo, Anna Bonomi Bolchini e altri, e' uno dei firmatari degli ''affidavit'' a favore di Michele Sindona, dichiarazioni giurate rilasciate all' ambasciata Usa e rivolte alla magistratura americana che sostenevano che Sindona era perseguitato dalla giustizia italiana perche' anticomunista e prendevano posizione contro la sua estradizione in Italia per il crack della "Banca privata italiana". Nel 1981 il suo nome compare negli elenchi dei presunti iscritti alla P2 trovati negli uffici della Gio.Le. di Gelli a Castiglion Fibocchi. Sogno riprende l'attivita' politica nel 1986, intervenendo al congresso del Pli, che nel 1988 esorta a "favorire in ogni modo il successo del progetto politico di Craxi" verso un "sistema bipolare in cui dialogano e si avvicendano al governo due schieramenti, uno riformista-innovatore, l'altro tradizionalista e moderato". Alle elezioni politiche del 1996 e' nelle liste di An, candidato del Polo al seggio senatoriale di Cuneo, ma non viene eletto. Nel 1997, in un' intervista dichiara che se la secessione di cui parla Bossi divenisse realta' chiamerebbe a raccolta "gli uomini della Resistenza, tutti, senza distinzione alcuna in una situazione del genere. Sono vecchio ma se necessario riprenderei le armi". Nel marzo del 1999 interrompe la sua collaborazione al quotidiano "Il Giornale" perche' troppo tiepido nei confronti del "clerico-marxismo". A gennaio di quest'anno Berlusconi dichiara che "Edgardo Sogno e' uno degli uomini che in Italia merita maggior rispetto e onsiderazione". Il 20 luglio il deputato leghista Mario Borghezio chiede al presidente Ciampi la nomina di Sogno a senatore a vita e lo stesso giorno Stefania Craxi, figlia dell' ex segretario socialista, dice che "la sua sofferenza e la sua solitudine mi ricordano quella di mio padre, Bettino Craxi, al quale la vicenda Sogno arrecava profonda indignazione". Sogno, da Natale del 1999, era sofferente per gravi disturbi cardiaci ed era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale Molinette.

5 agosto - Per Francesco Cossiga "Con Edgardo Sogno scompare una figura di grande patriota, un liberale che ha onorato le tradizioni risorgimentali, un combattente eroico della Resistenza, un democratico che mai e' venuto meno agli ideali civili e morali dell'antifascismo" e "una vittima della cultura dietrologica e di una concezione illiberale della giustizia". Per Silvio Berlusconi "Con Edgardo Sogno scompare un grande italiano, un vero patriota, un testimone esemplare coraggioso della liberta' e della democrazia". "Sogno - dice ancora Berlusconi - ha subito nel corso della sua vita un' atroce ingiustizia ed una vergognosa persecuzione politica, con l' unica colpa di essere un servitore della patria ed un combattente della liberta'. La sua vicenda ha dimostrato di quali infamie e di quali bassezze si e' nutrita anche in Italia l' ideologia comunista. Il suo ultimo trepidante messaggio per l'affermazione della verita', ancora calpestata e irrisa dagli epigoni dei comunisti, rappresenta per noi un lascito morale e politico di cui sapremo essere degni. La battaglia per la liberta' oggi e' piu' forte e piu' consapevole perche' puo' contare sull' esempio e sulla testimonianza di uomini come Edgardo Sogno. Spero - conclude Berlusconi - che l' Italia sappia rendergli oggi il dovuto onore".

6 agosto - In un'intervista al "Corriere della sera" Giulio Andreotti dice che "Edgardo Sogno tutto era tranne che un golpista. L'accusa non stava in piedi. Perche' fondata su un carteggio che e' poi risultato inesistente. Essere stati anticomunisti non significa aver celato disegni eversivi". "Un uomo che ha dato molto alla Resistenza - ricorda il senatore a vita - per poi finire al centro delle polemiche su un pregetto di riforma della Repubblica che andava in senso opposto al modello che fu poi adottato. Un uomo insomma che aveva conosciuto la politica senza tuttavia mai rimanerne coinvolto fino in fondo". Andreotti smentisce ogni rapporto tra Sogno e Gladio: "Conosco la vicenda - sottolinea - anzi, qualcuno non mi ha mai perdonato per aver rivelato quegli elenchi. E comunque il nome di Sogno non e' mai comparso". 

6 agosto - Il generale Gianalfonso d'Avossa, dimessosi quattro anni fa dall'Esercito e ora responsabile di una fondazione culturale a San Pietroburgo chiede "Perche' l'ex presidente della Repubblica Cossiga, invece di dichiarare oggi con fare gesuitico che Edgardo Sogno e' stato una vittima della cultura dietrologica, non lo ha nominato a suo tempo senatore a vita?". "L'ex capo dello Stato - prosegue d'Avossa - sempre pronto a sottolineare la mancanza di coraggio negli altri, come ha fatto anche in relazione alle ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio a proposito della strage di Bologna, avrebbe potuto, lui si', fare un gesto coraggioso, rendendo un omaggio alla Resistenza nel senso piu' ampio del termine. Un gesto che sarebbe servito anche da riparazione morale nei confronti dell'uomo Sogno, perseguitato per le sue idee piu' durante la Repubblica che nell'epoca fascista".

6 agosto - Edgardo Sogno, in uno scritto dell' 11 luglio scorso, probabilmente l' ultimo, inviato ad amici e ad intellettuali, nel segnalare numerosi articoli usciti "contro" di lui, afferma di "essersi battuto per 50 anni per la distruzione dello Stato" che i comunisti "con i loro amici e alleati sono riusciti a creare". "Non c'e' soluzione - scrive Sogno riferendosi in modo particolare ai "comunisti" - al di fuori della distruzione totale di questa realta' perche' le alternative sono soltanto la nostra sottomissione o il loro annientamento. Il Pc e' riuscito a rendere ovvia all' opinione comune delle Sinistre la nozione storica che io sono un mostro antidemocratico e totalitario". In una altro passo, Sogno sostiene che "sarebbe ridicolo pensare che i comunisti usino qualche obiettivita' per me che sono un loro nemico, ma e' ugualmente ridicolo ed assurdo continuare come voi fate ad illudersi che i comunisti accettino un qualche compromesso di ragionamento obiettivo quando non serva ad una loro poltica". Tra i destinatari della lettera vi sono Gianni Baget Bozzo, Marcello Dell' Utri, Mario Cervi, Giorgio Forattini, Paolo Guzzanti, Marcello Pera, Maurizio Belpietro, il "Foglio", Radio Radicale.

6 agosto - In una lettera alla famiglia Sogno, Amedeo di Savoia duca d' Aosta scrive:"Nel momento in cui gli italiani rivolgono l' estremo saluto ad Edgardo Sogno desidero ricordare il legame antico della sua famiglia con la mia Casa, il suo rapporto di collaborazione e amicizia con Sua Maesta' il Re Umberto II. Dalla guerra di Spagna alla Resistenza - ha aggiunto il duca di Aosta - dal referendum istituzionale a tutta la sua attivita' di intellettuale, di scrittore, di uomo politico, la stella polare della sua vita sono stati il bene inseparabile del Re e della patria e la difesa della liberta'. Il suo esempio ed il suo insegnamento sono patrimonio della storia d' Italia, monito e guida per noi e per le future generazioni".

7 agosto - Il presidente del Consiglio Giuliano Amato annuncia che "Salvo ratifica del Consiglio dei Ministri, ho deciso di far celebrare funerali di Stato per l'ambasciatore Edgardo Sogno". "Al di la' delle posizioni controverse che Edgardo Sogno ha adottato in anni successivi - spiega Amato - davanti alla morte prevale il ruolo dell' eroico combattente contro il nazi-fascismo. Lo straordinario contributo da lui dato alla lotta partigiana e alla Resistenza di cui era medaglia d'oro costituisce un indelebile servizio reso alla Repubblica. Mi confortano nella mia decisione e nella motivazione che la ispira le opinioni che ho potuto raccogliere in queste ore fra gli esponenti delle organizzazioni partigiane". 

7 agosto - Per la vedova Anna Sogno e le figlie Laura e Sofia, i funerali di Stato per Edgardo Sogno "sono un primo, giusto, segno riparatore". La famiglia "ringrazia il Presidente del Consiglio per avere voluto ascoltare quanti hanno richiesto i funerali di Stato come segno di riconoscimento del passato di Edgardo Sogno al servizio dell' Italia, della liberta', della democrazia. E' un primo segno riparatore - affermano i familiari di Sogno - che riconosce il valore delle battaglie del nostro congiunto". Nettamente contrario il leader del Pdci Armando Cossutta:"Esprimo le mie riserve, anzi la mia contrarieta' ai funerali di Stato per Edgardo Sogno". "Egli - aggiunge Cossutta riferendosi a Sogno - e' stato meritatamente medaglia d'oro della Resistenza, ma non a tutte le medaglie d'oro della Resistenza sono stati concessi i funerali di Stato. Peraltro, se grandi sono stati i suoi meriti nella guerra di Liberazione, gravi sono state successivamente le sue responsabilita' nel promuovere ed organizzare movimenti antidemocratici ed anticostituzionali". "Non condivido pertanto - conclude il presidente dei Comunisti italiani - l'intenzione del presidente Amato ed i nostri ministri esprimeranno questa medesima contrarieta'. Per Marcello Pera, responsabile giustizia di Forza Italia, "Stupisce che ci si meravigli del silenzio della sinistra sulla morte e la figura di Edgardo Sogno. E' solo la prova di un dogma che il ministro Berlinguer intese persino introdurre nelle scuole e cioe' che l'antifascismo e' un valore, l'anticomunismo un oltraggio alla liberta' e l'atlantismo una schiavitu"'. commenta cosi' la reazione che la sinistra ha avuto alla morte di Edgardo Sogno. "Contro questa mistificazione - aggiunge Pera - Sogno combatte' tutta la vita. Fa solo onore a lui che coloro che ieri lo perseguitarono oggi continuino muti, imbarazzati e codardi a sgattaiolare dalla propria storia". 

7 agosto - A soli tre giorni dalla sua morte e ad un giorno dai funerali, nasce a Torino la Fondazione Edgardo Sogno "affinche' - ha detto Anna Sogno, moglie dell' ambasciatore e presidente della Fondazione - gli ideali e i valori di mio marito che ha dedicato l' intera sua vita a liberare l' Italia da suoi fardelli, vengano sviluppati, soprattutto per i giovani". Ed e' infatti ai giovani che Anna Sogno, le figlie Laura e Sofia e gli amici che hanno accompagnato l' ambasciatore nelle sue ultime battaglie, guardano con particolare attenzione. "Le poche speranze che abbiamo - ha detto Anna Sogno, che nonostante il dolore per la morte del marito, non ha perso lo spirito battagliero - sono nei giovani perche' i vecchi di questo paese e di questo governo sono corrotti. Ai giovani mio marito ha voluto dare un messaggio molto semplice: vivere con senso di giustizia e di dignita' e credere nei valori occidentali della nostra societa' di stampo cristiano che sono l' onesta', la rettitudine e l' amore per la verita'. Una cosa che mi addolora molto - ha aggiunto la vedova, incontrata dai giornalisti nella sua casa di via Donati, piena di cimeli, ricordi ma anche di tanti quadri da lei dipinti - e' che a tradire mio marito non e' stata solo la sinistra bugiarda, ma anche la destra italiana, cosi' attaccata ai suoi beni materiali, con ben pochi ideali e sempre pronta a fare affari con la sinistra. Tra chi ha reso omaggio alla salma, anche l' europarlamentare di Forza Italia, Raffaele Costa che ha definito Sogno "un liberale appassionato e' un combattente per la liberta" e che ha annunciato il progetto di intitolargli alcune borse di studio. Hanno espresso il loro cordoglio anche i familiari di Ferruccio Parri (che Sogno tento' di liberare durante la Resistenza) e Gad Lerner. "Non mi aspettavo certo un saluto da Violante - ha detto Anna Sogno - che l' ha perseguitato".In casa Sogno e' giunta anche la telefonata del giornalista Paolo Guzzanti, che ha gia' aderito alla Fondazione, promossa da Marco Grandi, Gian Nicola Amoretti, Luigi Sanseverino e Francesco Gironda, tutti collaboratori di Sogno. Il coordinatore sara' Francesco Perfetti, direttore di "Nuova Storia Contemporanea". Domani ai funerali ci sara' anche il Duca d' Aosta. Sulla bara, che verra' posata su un affusto di cannone, secondo il cerimoniale previsto per gli onori militari alle Medaglie d' Oro, verra' posta una corona inviata da Vittorio Emanuele e Maria Gabriella di Savoia.  I funerali si terranno nella chiesa Gran Madre di Dio (dopo un corteo funebre che partita' da casa). La salma verra' tumulata nella tomba di famiglia a Camandona, nel biellese.

8 agosto - Centinaia di persone partecipano ai funerali di Stato di Edgardo Sogno, ambasciatore, medaglia d' oro della resistenza, morto il 5 agosto. In rappresentanza del governo partecipano il ministro delle Comunicazioni, Salvatore Cardinale, e il sottosegretario alla Difesa, Gianni Rivera. Il corteo funebre si e' mosso a piedi poco dopo le 11 dalla casa della famiglia Sogno, in via Donati, per raggiungere la chiesa della Gran Madre. Ad aprirlo il picchetto d' onore del Nizza Cavalleria, reggimento di cui l' ambasciatore fu ufficiale. Dietro, un' autoblindo della Brigata alpina Taurinense con attaccato l' affusto di cannone sul quale sono state poste la bara, ricoperta dal tricolore, le medaglie, la sciabola e l' elmo. Quindi una grande corona di rose rosse e bianche del Duca Amedeo d' Aosta portata dalle guardie d' onore del Pantheon, come omaggio alla fede monarchica di Sogno. Tra la folla che seguiva il feretro, la figlia Sofia (la vedova, Anna, e l' altra figlia, Laura, l' hanno atteso nella chiesa della Gran Madre, cosi' come molte altre personalita'), i parlamentari Costa, Pera, Sgarbi, Taradash, i vicepresidenti di Camera e Senato, Biondi e Contestabile, autorita' militari, locali, amici ed ex partigiani. La chiesa e’ stata scelta dallo stesso Sogno perche' eretta quando i Savoia rientrarono a Torino (1815) dopo la dominazione napoleonica che li aveva costretti alla fuga in Sardegna. Il ministro Cardinale ha spiegato che i funerali di Stato sono stati "il riconoscimento formale e solenne" dell' impegno di Sogno nella lotta di liberazione. La bara era coperta dal tricolore, senza pero' lo stemma sabaudo come avrebbe voluto Sogno. Il funerale di Stato non lo consentiva. Uno stendardo di quel genere e' stato dispiegato da quattro Guardie del Pantheon che avevano a loro volta scortato il feretro. Tra la folla un altro paio di bandiere sabaude. 

8 agosto - L' ex sindaco di Torino Diego Novelli dichiara:"Trovo penoso e semplicemente miserevole che il Governo, per captatio benevolentiae, abbia deciso di concedere gli onori di un funerale di Stato ad Edgardo Sogno". "Sogno era un paranoico - continua Novelli - un esaltato che di notte sognava i comunisti che mangiano i bambini. Non nego che avesse idee legittime, come lo e' lo stesso anticomunismo, ma per difenderle ricorse a mezzi illeggitimi". "Lasciamo da parte la Resistenza - continua Novelli - ma dopo la guerra Edgardo Sogno fu un mascalzone: con Luigi Cavallo allesti' un' organizzazione terroristica che perseguitava gli operai e terrorizzava le loro famiglie, se soltanto mostravano di avere simpatie di sinistra o se appoggiavano le idee dei sindacati. Progetto' anche un golpe, nel '74, che avrebbe portato l' Italia nella guerra civile". "Per il personaggio che 'e stato Sogno, quindi - conclude Diego Novelli - trovo un po' strano che uno stato democratico gli abbia concesso l' onore di un funerale di Stato". Raffaele Costa (Forza Italia) replica:"Credo che Diego Novelli, persona equilibrata e civile anche se fortemente di parte, abbia reagito, in modo emotivo se non isterico, ai consensi che la figura di Sogno ha raccolto sia pure intorno alla sua bara". "Come si puo' definire con epiteti ingiuriosi - chiede Costa - la figura di un combattente aspro ma limpido, romantico e temerario, ma onesto, che ha combattuto il totalitarismo nelle sue forme acute, con le armi da guerra quando fu necessario, con quelle della politica dopo il conflitto?". Secondo Costa, "Novelli si crogiola nuovamente con il falso golpe annullato da sentenze inoppugnabili di piena assoluzione. Sogno ha perseguitato i comunisti? Ma ad essere incarcerato, per errore, e' stato proprio Sogno". "La realta' - conclude Costa - e' che Novelli e' uomo troppo perbene per cambiare casacca in modo disinvolto come hanno fatto tanti altri: e' stato ed e' coerente con il suo passato di comunista". 

8 agosto - Arrestato con Edgardo Sogno per attentato all' integrita' dello Stato e attentato al Presidente della Repubblica e successivamente assolto, Giancarlo Cartocci, membro del comitato centrale del movimento Fiamma Tricolore, afferma che Luciano Violante, allora giudice istruttore, dovrebbe chiedere scusa a tutte le persone coinvolte nell'inchiesta. "L' attuale presidente della Camera dei deputati on. Luciano Violante - scrive Cartocci in una nota - non dovrebbe chiedere scusa solo ad Edgardo Sogno ma a tutti coloro che ingiustamente accusati sono stati poi assolti nel procedimento da lui iniziato quando era giudice istruttore a Torino". 

8 agosto – Jean Rodocanachi, 81 anni, ex manager industriale di origine greca, compagno di Edgardo Sogno nei Comitati di resistenza democratica, fra le circa 2 mila persone che hanno partecipato ai funerali di Sogno, dice:“Non siamo mai stati dei golpisti, e' stato uno dei piu' clamorosi falsi storici italiani”. Anche lui comandante partigiano, Rodocanichi, che si professa “repubblicano”, fu, come Sogno, coinvolto (ma mai indagato) nell' inchiesta del 1976 sul “golpe bianco”. “La sentenza di assoluzione - ricorda - appuro' senza ombra di dubbio che il fatto non sussisteva. Sottoscrissi, insieme ad altre persone di sicura fede democratica, come Edoardo Visconti, fratello del regista Luchino, l' atto costitutivo dei Crd. Non volevamo certo rovesciare lo Stato, ma cercavamo dei minimi comuni denominatori fra tutti i democratici dell' arco costituzionale per aiutare l' Italia a combattere i pericoli di diventare uno Stato totalitario comunista”. “Sogno era un uomo profondamente democratico – conclude Rodocanachi - ed e' morto ancora con la disperazione della persecuzione, come dimostra la lettera che ha inviato a me e ad altri 31 amici fidati pochi giorni prima di morire”.

26 agosto – In un articolo, il quotidiano “La Nazione” scrive che le temperature elevate di questi giorni hanno messo a dura prova anche la capacita' di resistenza degli agenti di polizia in servizio di vigilanza davanti a Villa Wanda, dove Licio Gelli sta scontando per motivi di salute la condanna per il crack del Banco Ambrosiano e cosi' il sindacato di polizia Consap ha chiesto di poter varcare i cancelli della villa per trovare piu' fresco e l' ex venerabile della loggia P2 ha fatto sapere che li accontentera'. Anzi mettera' a loro disposizione anche un casottino del giardino, costruito sotto gli alberi. La richiesta, secondo il quotidiano, sarebbe stata rivolta dal Consap dopo che la situazione di servizio davanti a Villa Wanda era stata fatta presente alla questura aretina, ma senza risultati positivi. A far sapere che Gelli aveva invece accolto "con piacere e affetto la legittima richiesta dei poliziotti" e' stato l' avvocato Guido Dieci, uno dei legali di fiducia dell' ex venerabile. Il casotto nel fresco giardino della villa, gia' attrezzato con un fornello, potrebbe ospitare anche un piccolo frigorifero. 

27 agosto - "Noi operatori dell' VIII reparto mobile di Firenze – si precisa in una nota - ci dissociamo da quanto dichiarato dal signor segretario del Consap di Arezzo in quanto offende la dignita' e l' operativita' dei colleghi i quali mai e poi mai hanno richiesto nessun aiuto per sopperire alla calura e tantomeno tale richiesta puo' essere avanzata ad una persona che di fatto e' stata condannata con sentenza definitiva e sottoposta alla misura restrittiva della propria liberta' personale". "I poliziotti - prosegue la nota – sono persone serie che hanno sempre espletato le proprie funzioni a dispetto di qualsiasi condizione climatica avversa e le temperature elevate di questi ultimi giorni non incidono minimamente sull' operativita' dei colleghi del reparto mobile di Firenze". 

1 settembre - Il sottosegretario all' Interno Massimo Brutti, parlando di mafia e P2 ad un dibattito alla Festa nazionale dell' Unita', ha detto di ritenere "una vergogna per l' Italia" che Silvio Berlusconi, il cui nome "risultava nelle liste di quella Loggia", non l' abbia mai condannata. "Penso - ha affermato - che sia anche una vergogna per l' Italia di oggi che il capo dell' opposizione, il cui nome risultava nelle liste di quella Loggia, non abbia mai sentito in questi anni il bisogno di affermare pubblicamente la sua condanna per quella associazione segreta e per tutte le associazioni che in modo occulto cerchino di interferire nella vita democratica del Paese".

28 settembre - Mirko Tremaglia e' stato prosciolto dall'accusa di diffamazione mossagli dall' amm. Gino Birindelli, ex segretario di Democrazia Nazionale (il cui nome era nelle liste dei presunti iscritti alla P2 trovate a Castiglion Fibocchi) perche' il fatto non sussiste. La vicenda giudiziaria era iniziata dopo il congresso di Fiuggi, dove Tremaglia aveva denunciato "il ruolo nefasto dei massoni e di Gelli in particolare nella scissione di Democrazia nazionale, nel 1976-1977 dall'Msi-Dn, ipotizzando rapporti di collaborazione tra gli appartenenti al movimento scissionista e le Logge Massoniche". Il deputato di An ha voluto dedicare la "vittoria giudiziaria al figlio Marzio (morto recentemente) vero protagonista della battaglia anti-massonica di Fiuggi". Proprio quel congresso infatti voto' quasi all'unanimita' un emendamento proposto da Marzio Tremaglia che sanciva "l'incompatibilita' tra An e massoneria".

3 ottobre - Gavino Angius, capogruppo dei Ds al Senato, commentando, in una conferenza stampa alla Camera la relazione della Corte dei Conti sui rimborsi elettorali dice che "In Italia c'e' una grave anomalia democratica che e' quella del partito dell'ex piduista Silvio Berlusconi". "Quando noi abbiamo il partito dell'ex piduista Silvio Berlusconi - dice ancora Angius - che e' in grado di spendere circa trenta miliardi soltanto per l'affissione dei manifesti con il suo volto e con slogan del tutto vacui e generici, noi abbiamo una grave anomalia perche' nessun cittadino italiano e' in grado di sostenere una spesa simile. Anzi, nessuna forza politica. Questa e' un'alterazione senza precedenti della competizione elettorale. Un'alterazione non formale, ma sostanziale, perche' si determina una disparita' evidente fra i candidati alla guida del governo. Una disparita' prodotta solo, non dalla capacita', ma dalla ricchezza di uno di essi. E' una questione enorme, persino piu' grave del conflitto d' interessi perche' attiene alle regole della stessa competizione elettorale". "Siamo in presenza -  conclude Angius - di un ritorno all' Ottocento, quando per potersi candidare si dovevano possedere terreni, palazzi e godere di redditi elevati". Enrico La Loggia, presidente dei senatori di Forza Italia ribatte: "Come ben sa Angius, il presidente Berlusconi non e' mai stato 'piduista'. Angius in mancanza di argomenti continua ad insultare, come fanno i suoi compagni, il leader della Casa delle liberta', riciclando accuse dimostrate false piu' volte". Angius replica a sua volta:"Vorrei ricordare al sen. La Loggia che proprio Berlusconi ha affermato che 'essere piduista non e' un titolo di demerito' e inoltre 'la P2 non fu altro che uno scoop giornalistico', in data 6 marzo 2000. Berlusconi, inoltre, ammise - aggiunge il presidente dei senatori Ds - la sua iscrizione alla P2 e defini' Gelli 'persona stimata'. Quindi Berlusconi per sua stessa ammissione e' un ex piduista. Perche' il sen.La Loggia si scalda tanto? Tengo a precisare che la P2 non fu affatto uno scoop giornalistico su cui indago' una commissione bicamerale e che l' allora presidente Pertini la defini' una 'associazione a delinquere'"

3 ottobre - I figli di Licio Gelli, le rispettive mogli e la compagna rumena dell' ex maestro venerabile della P2 sono stati rinviati a giudizio per aver favorito l' allontanamento e la latitanza dell' ex venerabile dopo la sentenza della Cassazione sul crack del Banco Ambrosiano. Secondo l' accusa i due figli, Maurizio e Raffaello Gelli, le loro mogli e l' amica rumena Gabriela Vasile, avrebbero favorito non solo l' allontanamento dalla residenza, ma anche il periodo della latitanza, conclusosi il 10 settembre 1998 con l' arresto a Cannes nel residence dove Gelli, sotto altro nome, stava soggiornando. I familiari di Gelli non erano presenti all' udienza nel corso della quale i legali, gli avvocati Giuseppe Fanfani e Guido Dieci del foro aretino, Eriberto Rossi e Luca Saldarelli del foro di Firenze, hanno sollevato la questione dell' inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche fatte dagli investigatori nel periodo della latitanza. Il Gip ha accolto la richiesta, ma ha ritenuto che vi fossero elementi sufficienti per giustificare il dibattimento. Il processo a febbraio 2001. 

10 ottobre - “L'ex piduista e' nelle mani di Bossi, l'Italia e' nelle mani di Bossi” e’ il commento del capogruppo dei Ds Gavino Angius (alludendo a Silvio Berlusconi) sulla nuova chiusura sulla legge elettorale arrivata dal centrodestra.

12 ottobre - L' avvocato Lidia De Gori Trombetta, difensore di Francesco Pazienza, auspica la concessione della grazia per il suo assistito. In una nota il legale ha espresso il proprio accordo perche' questo atto venga promulgato nei confronti ''dei condannati per l'omicidio del commissario Calabresi'', sottolineando pero' che ''langue in galera anche Francesco Pazienza''. L'affarista e' chiuso nel carcere di Parma perche' condannato, come ha precisato il legale, a dieci anni di reclusione per il reato di calunnia nell' ambito del processo sulla strage di Bologna e ad otto anni per il ''crack'' del Banco Ambrosiano. ''Per quanto attiene Bologna - ha scritto - Pazienza si e' sempre dichiarato innocente ed e' innocente come del resto lo sono anche la signora Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Pazienza – ha proseguito - si e' costituito ai carabinieri aspettandoli a casa del padre quando la sentenza felsinea e' diventata irrevocabile''. Auspicando che non ci sia una clemenza ''a senso unico'', De Gori Trombetta ha sottolineato che Pazienza ''non ha mai ucciso ne' fatto uccidere nessuno'', che ha gia' trascorso in carcere ''a rate, circa 9/10 anni di galera'' e che ''non ha chiesto mai nulla ne' mai chiedera' nulla''. ''La grazia – ha concluso l' avvocato - e' un motu proprio del presidente della Repubblica, puo' essere concessa senza sollecitazioni o senza formale richiesta''.

20 ottobre - In un'inchiesta condotta dalla procura di Napoli e guidata dal procuratore Agostino Cordova su "gruppi massonici occulti internazionali in grado di condizionare la politica italiana" e' emessa un' ordinanza di custodia agli arresti domiciliari nei confronti di Nicola e Salvatore Spinello. Oltre a notificare i due provvedimenti restrittivi con l'accusa di "costituzione, promozione e organizzazione di logge massoniche occulte e deviate", la Dia ha eseguito perquisizioni in tutta Italia e in particolare, oltre che a Napoli, a Roma, Bari, Reggio Calabria, Firenze e Catania. I due arrestati sarebbero stati "al vertice di gruppi massonici occulti e deviati operanti a livello nazionale e internazionale", collegati "con settori della camorra e Cosa Nostra". Tra le cose di cui l' organizzazione si sarebbe occupata "un progetto finalizzato alla rimozione del giudice Falcone dall' incarico alla procura di Palermo", la "conoscenza della dinamica della strage di Ustica", i collegamenti con camorra, mafia, politica e finanza "per condizionare la vita politica italiana" e infine "un piano criminoso, rimasto nella fase puramente ideativa", per un attentato a Umberto Bossi. Il loro obiettivo, secondo l'accusa, era quello di "condizionare e influenzare la vita politica italiana, con pressioni su singoli esponenti politici, talvolta consapevoli, talaltra inconsapevoli - precisa l'accusa - nel contesto di un programma secondo cui per arrivare al grande gioco politico non sarebbe necessario diventare parlamentare ma pilotare i parlamentari". Tuttavia, grazie "al grande credito - scrive l'accusa - di cui godevano in ambienti politici nazionali, nei gruppi finanziari e nella pubblica amministrazione, gli Spinello erano in grado di orientarne le attivita' nel senso da loro voluto". Da intercettazioni telefoniche eseguite, e riscontrate dalle ammissioni di un pentito di mafia che secondo indiscrezioni sarebbe Angelo Siino, sarebbe emerso che Salvatore e Nicola Spinello "operando in stretto collegamento con esponenti della camorra si sono adoperati per far eleggere in Parlamento un esponente politico a loro collegato con vincolo massonico occulto". Si tratterebbe di un senatore eletto a Napoli nelle liste della Dc nel 1987, la cui campagna elettorale sarebbe stata "finanziata con somme a lui direttamente consegnate da un esponente apicale della mafia siciliana oggi collaboratore di giustizia". Inoltre, sottolinea sempre l'accusa "gli indagati facevano frequente riferimento a costrizioni provenienti da oltre oceano per incidere sugli equilibri della politica italiana". Al momento, secondo quanto risulta, nessuno dei singoli episodi ricostruiti dall'accusa - oltre la presunta appartenenza degli Spinello a logge massoniche deviate - e' oggetto di contestazione. Neppure il presunto progetto di attentato al senatore Umberto Bossi, che risalirebbe al 1994, in quanto - come specificato dalla stessa procura - "e' rimasto nella fase puramente ideativa".

24 ottobre - Il coordinatore della Segreteria dei Ds Pietro Folena afferma che “Colpisce molto il fatto che i presidenti delle regioni Polo-Lega del Veneto e del Friuli alcuni giorni fa abbiano indicato Giancarlo Elia Valori alla guida del Consorzio Autovie Venete”. “Le Regioni in questione hanno la maggioranza in quel Consorzio, quindi la nomina deve essere solo ratificata” ha spiegato Folena, che ha poi ironizzato: “Sono certo che in nome del federalismo la Lega avra' indicato Valori, presidente dell'Unione industriali di Roma nonche' di Autostrade e dunque anche di Blu. Valori avra' avuto questa onorificenza da Polo e Lega dopo che quest'ultimo gruppo si e' sfilato dall'asta Umts... E' piuttosto forte il sospetto di un dolo politico”.

16 novembre - Sara' il Tribunale a giudicare il 18 gennaio Massimo De Carolis, ex presidente del Consiglio comunale di Milano e attuale presidente della Commissione stranieri, per corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio nella vicenda dell'appalto del depuratore Milano Sud. Il Gup di Milano gli ha concesso il giudizio immediato e ha rinviato a giudizio altri cinque imputati. De Carolis e' accusato di aver ricevuto 25 milioni di lire (di 200 che gli sarebbero stati promessi) per favorire la societa' francese Compagnie General des Eaux, e altre ad essa collegate, nelle "prequalifiche dell'appalto per il depuratore". Secondo il Pm Gherardo Colombo, a dare quei soldi a De Carolis sarebbe stato il rappresentante della societa', Alain Maetz, il quale in cambio avrebbe ottenuto, nel settembre 1998, la lista delle imprese che avevano fatto domanda per partecipare all'appalto e "continua assistenza". Una lista che doveva restare segreta. L'accusa di corruzione riguarda anche Luigi Franconi, Ezio Cartotto e Luigi Sirna: avrebbero messo in contatto De Carolis e Maetz e facilitato i loro rapporti. Nicola Colicchi (la cui posizione e' stata stralciata) e Agostino Schiavio, rappresentanti rispettivamente di Aerimpianti e di Passavant Italiana, sono accusati di concorso con De Carolis in violazione di segreto d' ufficio in relazione alla lista, come detto, doveva restare segrete.  Le accuse riguardano fatti fino al marzo 1999. De Carolis si e' sempre difeso sostenendo la sua estraneita' a qualsiasi irregolarita' e questo perche' non ebbe alcun ruolo nelle procedure d' appalto. Quando l' inchiesta fini' sulla stampa, De Carolis si dimise dalla carica di Presidente del Consiglio comunale per assumere, dopo un po', quella di presidente della commissione stranieri. L' udienza preliminare si e' svolta nel pomeriggio ed e' cominciata con lo stralcio della posizione di De Carolis che aveva chiesto il giudizio immediato. Quindi, sara' giudicato senza che la sua posizione sia passata al vaglio del Gup Tranfa. Non e' una novita': accadde lo stesso qualche mese fa quando comincio' un' udienza preliminare che, pero', termino' subito perche' il Gup Enrico Tranfa accolse la l'istanza dei legali degli altri imputati di annullare la richiesta di rinvio a giudizio, facendo ricominciare tutto dal deposito degli atti e dalla richiesta di rinvio a giudizio. Il giudice ha quindi fissato il processo per De Carolis e per gli altri imputati per lo stesso giorno e davanti alla stessa sezione, la quarta, del Tribunale penale. Per quanto riguarda il settimo imputato, Nicola Colicchi, lo stralcio della sua posizione e' dipeso da un legittimo impedimento. Per lui l' udienza preliminare dovra' proseguire.

29 novembre – Il quotidiano La Stampa” pubblica un lungo articolo in cui presenta il libro che uscira’ il 5 dicembre, pubblicato da Mondadori, Dalla Resistenza al golpe bianco. Testamento di un anti-comunista”, libro di colloqui tra Edgardo Sogno e Aldo Cazzullo. Le conversazioni sono avvenute lungo l'arco di un anno e mezzo, dalla primavera del 1999 fino alla morte di Sogno, avvenuta il 5 agosto scorso. La parte sul Golpe bianco fu messa per iscritto dallo stesso Sogno. La Stampa pubblica numerosi brani tratti dal libro:
 Aldo Cazzullo NEL '76 lei pubblico' un pamphlet, Il golpe bianco, nel quale da una parte denunciava una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti, dall'altra teorizzava la necessita' di soluzioni che non rientrano nel calcolo e nel dosaggio politico ordinario”. Credo che una delle ragioni di questo libro sia chiarire se questo intento sia rimasto a livello di enunciazione verbale, o sia stato invece accompagnato da preparativi concreti. Anch'io credo sia arrivato il momento di non tacere piu' nulla. Quando, come ha previsto Giorgio Galli, la storia d'Italia del secolo appena concluso sara' riscritta al di fuori della contingenza politica, mi sara' riconosciuto il merito di aver contribuito alla lotta per sottrarre lo Stato alla morsa mortale del clerico-marxismo. Un obiettivo per il quale ritenevo fosse necessario uno strappo da operare non nella coscienza degli italiani, che in maggioranza l'avrebbero approvato, ma contro la coalizione moderata, gli intellettuali, le maggiori forze economico-finanziarie e la Chiesa di sinistra”. Cosa intende per strappo”? Occorreva in sostanza un fatto compiuto al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale, in una triplice alleanza di laici occidentali, come Pacciardi, di cattolici liberali, come Cossiga, e di socialisti antimarxisti, come Craxi. (...) Occorreva in sostanza ottenere dal presidente Leone lo strappo che De Gaulle era riuscito a ottenere da Coty. (...) Randolfo Pacciardi, che era su questa linea da tempo, e che nel tentativo di realizzarla aveva gia' preso contatto con gruppi politici assai piu' a destra di me, come gli agrari di Ruspoli e i nazionalisti di Borghese, mi propose di unire al suo progetto di rottura le iniziative parallele che svolgevo in quel momento”. (...) Qual e' il momento in cui lei passa dai convegni agli incontri riservati? All'apparire sulla scena delle Brigate rosse, ebbi la sensazione di un precipitare degli eventi. Nella primavera del '74 le Br catturano il giudice Sossi e fanno irruzione nel mio ufficio di Milano, con lo scopo di catturare anche me (...) Iniziando l'organizzazione militare per lo strappo al vertice sul modello gollista, io non avevo dubbi, come non ne aveva Pacciardi, di compiere un atto dovuto, nella difesa della liberta' democratica”.(...) Sta dicendo di aver intrapreso un'azione con l'appoggio dei militari? Certamente, ma non solo. Si trattava di un'operazione politica e militare, largamente rappresentativa sul piano politico, e della massima efficienza sul piano militare. Nell'esecutivo, che avrebbe dovuto essere guidato da Pacciardi, erano autorevolmente rappresentate tutte le forze politiche, ad eccezione dei comunisti, con personalita' liberali, repubblicane, cattoliche, socialista, ex fasciste ed ex comuniste. Tra loro c'erano cinque medaglie d'oro al valor militare: due della guerra 1940-43, Luigi de la Penne e Giulio Cesare Graziani, e tre della guerra di Liberazione: Alberto Li Gobbi, Aldo Cucchi e io”. Lei parla di organizzazione militare. Su quali forze riteneva di contare? Le diro' i principali reparti pronti a operare, con i loro comandanti, che avevo tutti contattati personalmente. La Regione Militare Sud, il comandante; la Regione Militare centrale, il vicecomandante e il capo di Stato maggiore; l'Arma dei carabinieri, il vicecomandante; la Divisione carabinieri Pastrengo, il comandante; la Legione carabinieri di Roma, il comandante; la Brigata paracadutisti a Livorno, il comandante; la Divisione Folgore, il comandante; la Marina, il capo di Stato maggiore generale; l'Aeronautica, il capo di Stato maggiore generale; la guardia di Finanza, il generale comandante; la Scuola di Guerra, il generale comandante.” (...) . Ci sara' pure stato qualche alto ufficiale che si sarebbe decisamente opposto. Sapevate anche di questi? Si', ma non erano molti. Sapevamo ad esempio che il comandante e il capo di Stato maggiore dell'Arma dei carabinieri dovevano essere neutralizzati. Ma sapevamo anche che il piu' alto magistrato della Repubblica era con noi”. A chi si riferisce? Intendo semplicemente dire che Giovanni Colli, per noi Nino, mio amico personale fin dalla gioventu', che ricopriva negli Anni Settanta la massima carica della magistratura italiana - era il procuratore generale presso la Corte di Cassazione - era totalmente d'accordo con me sulla necessita' di rovesciare il regime cattocomunista con qualsiasi mezzo.(...) Fu nello studio romano di Pacciardi, nell'ufficio che usava personalmente, in fondo al corridoio a sinistra, che stendemmo insieme la lista del governo. (...) ''E per te cosa vuoi?'', mi chiese a un certo punto. Non ebbi esitazioni e risposi: ''Il ministero della difesa''. Ricordavo le parole di Colli: ''Ma le forze? Le forze?''. E le forze erano li'.Chi le disse si', chi no, chi ne' si' ne' no. Cominciamo con Eugenio Reale, che avrebbe dovuto essere il ministro degli Interni (...)lo avvicinai io, e mi disse che avrebbe acconsentito a prendere parte a qualsiasi azione per abbattere il regime. Trovai in lui il comunista libero dalle finte remore democratiche, quando la politica lo esige. Accetto' di essere incluso nel progettato governo Pacciardi, purche' non ci fossero tra di noi dei tiepidi e degli indecisi (...) Pensai che fosse importante la sua presenza, come quella di Aldo Cucchi, per il suo passato e forse per il suo presente comunista, che, mi auguravo, la democrazia raggiunta avrebbe contribuito a temperare. (...) Con lui ero in contatto nel Gruppo Medaglie d'oro, e in sintonia politica da tempo. Il discorso sulla sua adesione era scontato. Quanto a Manlio Brosio, che sarebbe andato agli Esteri... In sostanza Brosio mi lascio' intendere che, pur non volendo esporsi nell'azione, a cose fatte avrebbe aderito. Ricordo una sua frase: ''I colpi di Stato si fanno, non se ne parla''. Brosio ebbe un suo scambio di idee anche con Pacciardi, organizzato da me. Non ho pero' notizie sui contenuti”. (...) E i militari? Tra le alte cariche c'era in primo luogo il generale Liuzzi, gia' capo di Stato maggiore generale quando Pacciardi era ministro della Difesa. Pacciardi mi incoraggio' ad andarlo a trovare nella sua casa di Milano. Lo trovai disponibile (...) Un altro generale che collaboro' con me ai preparativi e' Alberto Li Gobbi, medaglia d'oro della Resistenza, al mio fianco nella Franchi, un uomo straordinario. Attraverso di lui ottenemmo l'adesione ai piani del colonnello Gambarotta, che comandava il reparto paracadutisti di Livorno. (...) Tra gli ufficiali di Marina era gia' stata avviata un'organizzazione: quella degli ammiragli Rosselli Lorenzini e Pighini, entrambi miei amici personali, visto che eravamo stati insieme all'ambasciata a Parigi. Un settore in cui avevo trovato degli amici pronti a collaborare era l'ambiente degli ufficiali di cavalleria. Il piu' alto ufficiale che avvicinai in questo settore e' il mio amico Giorgio Barbasetti, allora a Roma allo Stato maggiore generale. Il maggior tessitore del piano militare, pero', era il generale Ricci, che era al comando della Regione militare Sud a Caserta, e aveva una rete sua di alti ufficiali consenzienti. Lo incontrai piu' volte a Roma e al casello di Caserta dell'autostrada. Ma era Pacciardi a tenere il rapporto con lui, e non entrai mai nel dettaglio del piano preparato e organizzato da Ricci. Dopo aver assunto opportune informazioni, feci anche qualche reclutamento isolato. Vidi il generale Santovito, che comandava la divisione Ariete in Veneto, e l'incontro fu totalmente positivo. Un altro incontro importante, per suggerimento del vice capo dell'Arma dei carabinieri, generale Picchiotti, lo ebbi a Milano con il comandante della divisione Pastrengo, generale Palumbo. Questi ando' al di la' del segno, chiedendomi di ottenere dalla Marina il lancio di missili contro il carcere di Alessandria dove, a suo dire, erano detenuti molti comunisti pericolosi”. Un moderato... Palumbo assicurava il concorso di tutti i carabinieri dell'Italia settentrionale, ma, quando le cose volsero in senso a noi contrario, si butto' dall'altra parte, e, invece di tacere, per proteggere se stesso se ne usci' rinnegandomi e insultandomi. Contattai anche qualche alto ufficiale su cui avevo informazioni positive, come Borsi di Parma, generale della guardia di finanza, tramite Augusto De Angelis, il finanziere che aveva accompagnato Cadorna nel lancio con il paracadute. La sua risposta fu sostanzialmente positiva. Contattai inoltre il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, generale di squadra aerea Giulio Cesare Graziani, medaglia d'oro, che aderi' entusiasticamente. E' interessante notare che nell'inchiesta di Violante non e' affiorato neppure uno di questi contatti, tanto che si puo' dire che l'apparato militare abbia tenuto un comportamento irreprensibile”. Qualcuno le avra' pur risposto di no. Nessuno tra gli uomini che contattai mi disse di no, anche perche' ero molto cauto nel selezionare gli interlocutori. C'e' piuttosto un'altra categoria di cui occorre parlare: coloro di cui tutto mi faceva ritenere che, di fronte al fatto compiuto, non avrebbero avuto esitazioni, ma che sarebbe stato difficile inserire nell'operazione fin dagli inizi. Rientrano in questa categoria i democristiani gollisti del gruppo di Ciccardini e Zamberletti, che avevano elaborato progetti analoghi e che non dubitavo avrebbero aderito a cose fatte. Una posizione particolare era quella del mio amico Sergio Ricossa, che ci accompagno' in tutta la fase preparatoria dei Comitati, chiedendomi talvolta lumi sulla strada da prendere, ma che negli ultimi tempi aveva dichiarato di voler rimanere fuori da ogni trama. Ricossa presentava sempre, nell'indipendenza della sua genialita', una buona dose di imprevedibilita' (...) Il cerchio dei preparativi si chiuse con il mio contatto con il generale Liuzzi a Milano e con il generale Ricci nei pressi di Caserta. Il 2 maggio ci fu l'irruzione delle Br in via Guicciardini. Come ultimo atto, il 2 agosto tenemmo al Grand Hotel di Roma una riunione politica dei maggiori esponenti non militari”. E i suoi amici americani, non li avverti'? Nel luglio del '74 chiesi all'ambasciata americana un colloquio riservato per importanti comunicazioni. Un funzionario dell'ambasciata venne con un autista al Grand Hotel e mi accompagno' in una palazzina, all'interno di una vasta proprieta' recintata appartenente a una comunita' religiosa, sulla via Aurelia, quasi di fronte all'hotel Holiday Inn. Era la residenza del capo dei servizi americani per l'Italia, mister Brown. Mi introdusse nel suo studio e dopo qualche preliminare alzo' al massimo il volume della radio: a quei tempi era una precauzione contro i microfoni spia. Gli esposi nel dettaglio le nostre intenzioni e il nostro piano d'azione. Precisai che facevo questa comunicazione esclusivamente come alleato nella lotta per la liberta' dell'Occidente, e chiesi quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo americano. Mi rispose quel che gia' sapevo: gli Stati Uniti avrebbero appoggiato qualsiasi iniziativa tendente a tenere lontani o ad allontanare i comunisti dal governo. E aggiunse che se, come sembrava, la situazione italiana avesse preso nei mesi successivi una piega cilena - accenno' ai cortei di protesta delle donne di Santiago, che l'anno prima battevano le pentole per strada per protestare contro Allende - il suo governo avrebbe approvato l'attuazione del nostro progetto”. Nell'estate del '74 a Washington avevano anche altre preoccupazioni: si consumavano gli ultimi atti della tragedia vietnamita e del Watergate. Nixon cadde nell'agosto, proprio nel momento critico. Lo scenario politico cambio' radicalmente. E il 27 agosto 1974 Violante apri' le ostilita' pubbliche contro di me, ordinando una perquisizione in casa mia, a Torino”(...) Di un potenziale oppositore lei prima ha detto che andava neutralizzato”. Che cosa intendeva? Noi volevamo fare una cosa pulita, senza versare sangue, se si riferisce a questo. Da cui doveva nascere una Repubblica presidenziale, non un sistema totalitario”.(...) Ho sempre amato l'espressione ''golpe liberale''. Suona come un ossimoro, a cui attribuisco una valenza paradossale, provocatoria, utopistica. Il golpe democratico, accettato anche da chi resta tagliato fuori, fu un miracolo che riusci' solo a De Gaulle. Ma il quadro internazionale degli Anni '70 offre altri esempi di un colpo di forza da cui un Paese usci' piu' equilibrato: penso alla caduta di Caetano in Portogallo, o, in un primo tempo, a quella dei peronisti in Argentina”. (...) Lei mi ha detto chiaramente di aver preparato un colpo di Stato, al quale non mancava che il segnale finale. E di fatto da' ragione a Luciano Violante che la incrimino' e si adopero' per farla condannare. La magistratura invece l'ha prosciolta perche' il fatto non sussiste”. Come lo spiega? Se guardiamo soltanto all'aspetto giuridico-formale, e' vero che il colpo di Stato non sussiste, perche' non e' mai avvenuto. Certo, il codice contempla e punisce anche la preparazione di iniziative eversive, ma il magistrato che la vuole reprimere deve provarla: non basta raccogliere indizi o maturare una convinzione, smentita dal mio proscioglimento. Violante falli' totalmente nel provare giudiziariamente la nostra organizzazione, anche se la sua azione di demolizione della mia figura e della mia posizione fu senza dubbio un successo per i comunisti, e mi escluse senza riserve dalla vita politica. Per me le conseguenze negative non furono soltanto politiche, ma anche economiche, di carriera, di relazioni sociali, con perdite di occasioni di lavoro giornalistico e culturale, con umiliazioni ed esclusioni, con danno irreparabile alla carriera diplomatica e a ogni forma di relazione ufficiale con lo Stato. Lei teme che queste pagine vengano liquidate come parole vane. Neppure io me me stupirei. Vede, tra noi, da una parte, e Violante, il suo partito e i suoi alleati dall'altra, c'e' tuttora uno scontro da guerra civile. E la guerra civile e' una prova non soggetta ad altra legge che non sia quella della forza. Noi occidentali abbiamo perso un round, ma la partita si sta ancora giocando”.

E’ evidente che le anticipazioni della Stampa provocheranno una serie di polemiche. Va pero’ ricordato che le dichiarazioni di Sogno erano gia’ in buona parte conosciute, compreso l’ elenco dei ministri del governo golpista che si sarebbe dovuto insediare. Lo stesso Sogno aveva parlato di questa lista in una trasmissione radiofonica nel 1997 e l'elenco dei ministri” , informati o no di questo loro incarico, era stato pubblicato nel libro Lo Stato parallelo” di Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannuli ed anche nella contestata proposta di relazione dei Ds per la Commissione stragi. Del golpe liberale” predisposto nel 1974 per contrastare un' eventuale andata al potere delle sinistre, l' ex ambasciatore aveva parlato ripetutamente in modo abbastanza ampio. Nel 1990, una sua intervista al settimanale Panorama” aveva provocato diverse richieste di riaprire il caso. Nello stesso anno, in una lettera al giudice veneziano Felice Casson, Sogno dice tra l' altro che il giuramento degli ufficiali suoi seguaci e' depositato presso un notaio milanese. Nel marzo 1997 Sogno rende noto l' elenco di quello che avrebbe dovuto essere il governo da instaurare dopo il golpe: Presidente del Consiglio Randolfo Pacciardi; sottosegretari alla presidenza del consiglio: Antonio de Martini e Celso De Stefanis; ministro degli Esteri: Manlio Brosio; Interni: Eugenio Reale; Difesa: Edgardo Sogno; Finanze: Ivan Matteo Lombardo; Tesoro e Bilancio: Sergio Ricossa; Giustizia: Giovanni Colli; Pubblica Istruzione: Giano Accame; Informazione: Mauro Mita; Industria: Giuseppe Zamberletti; Lavoro: Bartolo Ciccardini; Sanita': Aldo Cucchi; Marina Mercantile: Luigi Durand de la Penne. Tra questi, Ricossa, Accame, Mita, Ciccardini, Zamberletti e Cucchi sarebbero stati inseriti nell’ elenco senza essere stati preventivamente consultati. Sulla vicenda Sogno aveva gia' pubblicato il libro Il golpe bianco” nel 1978, pubblicato dalle Edizioni dello Scorpione.

1 dicembre - Massimo Donelli e’ designato direttore responsabile di “24 Ore.tv”, la nuova televisione satellitare del Sole 24 Ore, che dovrebbe cominciare le trasmissioni in aprile del 2001. Donelli lascia CiaoWeb, il portale Internet di cui e' stato responsabile dei contenuti dal primo febbraio.

1 dicembre – Il settimanale L’ Espresso” pubblica un articolo, firmato Peter Gomez e intitolato E il cavaliere giocava con la Palina”, su un rapporto del centro operativo Dia di Palermo, consegnato il 15 novembre ai pm del processo per concorso esterno in associazione mafiosa contro Marcello Dell'Utri.
Gli uomini della Direzione investigativa antimafia – scrive L’ Espresso - non sembrano avere dubbi. Anche per loro, così come avevano già evidenziato gli esperti di Bankitalia in una relazione del marzo del 1999, alla base dell'impero multimediale di Silvio Berlusconi ci sono capitali «provenienti da canali non ufficiali del credito». Circa 100 miliardi transitati nelle casse delle 22 Holding Italiana, le società che tenevano in mano l'azionariato Fininvest, dei quali non è possibile conoscere l'origine. È questa la conclusione di un rapporto del centro operativo Dia di Palermo, consegnato il 15 novembre ai pm del processo per concorso esterno in associazione mafiosa contro il deputato di Forza Italia Marcello Dell'Utri. Poco meno di 600 pagine nelle quali si ricostruiscono i passi salienti di un'indagine durata quasi tre anni. Un'inchiesta che, in gran segreto, ha portato gli investigatori ad ascoltare come testimoni decine e decine di persone. Dai vertici della Banca Rasini, l'istituto presso il quale lavorava Luigi Berlusconi, il padre del Cavaliere, a quelli della Bnl. Dai commercialisti di fiducia della Fininvest ai prestanome che, negli ultimi anni Settanta, misero in piedi il reticolo societario attraverso il quale i miliardi misteriosi confluirono nelle casse del Biscione. Le sorprese maggiori arrivano dalla documentazione ritrovata alla Saf, una fiduciaria della Bnl che per conto di Silvio Berlusconi controllava buona parte del capitale delle 22 Holding e di altre società del gruppo. Tra il 1977 e il 1980 è la Saf, insieme alla "gemella" Servizi Italia, a occuparsi degli aumenti di capitale del gruppo Fininvest. Quasi tutte le operazioni avvengono "franco valuta", ovvero sono concluse dai fiducianti (Berlusconi e famiglia) senza che le fiduciarie pretendano copia dei bonifici e degli assegni utilizzati per gli aumenti di capitale. Si tratta di una pratica considerata anomala soprattutto alla luce degli appunti di lavoro ritrovati alla Saf. Almeno in un caso - l'aumento di capitale dell'Immobiliare Coriasco da 200 milioni a due miliardi e 200 milioni - la Saf riceve dagli uomini del Biscione denaro in contante (due miliardi) e poi provvede essa stessa a trasformare le banconote in assegni circolari. A trasportare materialmente le borse con i soldi fino agli uffici della fiduciaria è, nel marzo del 1979, Giovanni Dal Santo, un commercialista prestanome di Berlusconi. L'operazione viene però falsamente classificata come «franco valuta» in virtù di una lettera inviata da Luigi Foscale, lo zio di Berlusconi, alla Saf, nella quale si sostiene che i fiducianti avrebbero provveduto a versare direttamente l'aumento di capitale nelle casse della Coriasco. Sempre negli uffici delle due fiduciarie Bnl, è stato ritrovato uno schema nel quale sono riassunti tutti i flussi finanziari fatti pervenire alla Fininvest tra il 1977 e il 1978 per un totale di circa 17 miliardi. La cosa sorprendente è che i versamenti avvengono spesso a un giorno di distanza l'uno dall'altro, anche per importi molto piccoli. Così a metà maggio del '77 nelle casse Fininvest arrivano ogni 24 ore versamenti da 700 milioni, 740 milioni, 116 milioni, 383 milioni, 913 mila lire. E lo stesso accade nei mesi successivi. Da qui il sospetto della Dia che almeno parte di questo denaro fosse in contanti. Del resto, come ha raccontato agli investigatori Francesco Bignardi, il direttore generale della Bnl che nel 1981 dovette ripulire la banca dai dirigenti iscritti alla P2, a quell'epoca circolava con insistenza una voce: il denaro utilizzato dal Cavaliere per costruire il suo impero era probabilmente costituito da capitali italiani esportati illegalmente all'estero durante il terrorismo e poi fatti rientrare nel nostro paese. A questo punto solo Berlusconi, quando sarà interrogato, potrà spiegare come sono andate realmente le cose. È però un fatto che la Bnl era allora profondamente contaminata dagli uomini della loggia di Gelli. E che, come Berlusconi, era iscritto alla P2 anche Gianfranco Graziadei, il numero uno di Servizi Italia. Una circostanza sottolineata nei loro interrogatori sia da Bignardi che dall'attuale ministro dei Lavori pubblici Nerio Nesi, dal '78 all'89 presidente della Banca Nazionale del Lavoro. Ma se in questi casi ci si trova davanti a denaro d'ignota provenienza, in altri casi gli investigatori si sono trovati davanti a soldi apparentemente virtuali. Giampietro Peveraro, direttore negli anni Settanta della filiale di Segrate della Banca popolare di Abbiategrasso, ha spiegato agli uomini della Dia di aver avallato operazioni di girofondi «che partendo da società del gruppo transi-tavano per altre società e poi tornavano alla società iniziale». L'episodio più clamoroso è quello della Palina srl, una società utilizzata da Berlusconi il 19 dicembre del 1979 per aumentare (attraverso le Holding) il capitale Fininvest di ben 27,68 miliardi. Nel giro di un giorno Palina versa i soldi alla Saf che a sua volta li gira alle Holding, che li versano alla Fininvest, la quale bonifica il tutto alla Milano 3 srl. Il malloppo però non resta apparentemente fermo neanche un minuto. Milano 3 srl, infatti, stando alla documentazione bancaria pare restituire i soldi a Palina. Ma Peveraro fornisce alla Dia un'altra spiegazione: «Ritengo», dice in burocratese stretto, «che non si sia trattato di un effettivo movimento di denaro, bensì di operazioni che riflettendo la contabilità delle società menzionate, rappresentavano la giustificazione contabile di operazioni di aumento di capitale. Operazioni che non comportavano costi né alle società né alla banca». Ovvero: il movimento di denaro non c'è mai stato, le operazioni erano solo contabili”.

2 dicembre - La procura della Repubblica di Perugia presenta appello contro la sentenza con la quale Giulio Andreotti ed altri cinque imputati sono stati assolti dall' accusa di avere fatto uccidere Mino Pecorelli. Le motivazioni dell' appello sono state depositate nella cancelleria del tribunale di Perugia pochi minuti prima che questa chiudesse al pubblico. Era l' ultimo giorno utile per la formalizzazione del ricorso. Il provvedimento riguarda Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calo', i presunti mandanti dell' omicidio; Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati, ritenuti dall' accusa i killer del giornalista. Tutti, il 24 settembre 1999, sono stati assolti dalla Corte d' assise di Perugia con la formula perche' il fatto non sussiste”. I pm ne avevano invece chiesto la condanna all' ergastolo. L' appello e' stato firmato dal procuratore capo di Perugia, Nicola Miriano, dall' aggiunto Silvia Della Monica, e dai sostituti Alessandro Cannevale, Sergio Sottani e Mario Palazzi. E vabbe' Giulia, vorra' dire che sara' un' occasione per rivederci”: e' stato ironico come al suo solito il senatore a vita Giulio Andreotti quando ha ricevuto la notizia dell' appello dei pm di Perugia da uno dei suoi difensori, l' avvocato Giulia Bongiorno. Ma non era l' ultimo giorno utile?” ha poi chiesto l' ex presidente del Consiglio al suo legale che gli aveva annunciato una brutta notizia”. Si - e' stata la risposta dell' avvocato Bongiorno - l' ultima ora dell' ultimo giorno...”. Fisiologicamente - ha sottolineato Bongiorno - Andreotti e' quello che soffre piu' di tutti di questa situazione, ma non vuole farlo pesare. Ora ci si pone un duplice problema: i tempi che si allungano e dovremo combattere su due fronti”. I difensori di Andreotti visto il prolungarsi dei tempi per il deposito dell' appello perugino erano ormai quasi convinti che non ci sarebbe stato un processo di secondo grado. A Palermo si era subito diffusa la voce che ci sarebbe stata un' impugnazione - ha detto il legale - a Perugia credevamo invece in un esito diverso”. Bongiorno ha quindi svelato un retroscena della giornata. Verso mezzogiorno e mezzo - ha spiegato - visto che non si sapeva nulla, stavo per chiamare il presidente Andreotti per annunciargli che non ci sarebbe stato appello. Per fortuna la prudenza mi ha bloccato”. E' un' iniziativa, pur legittima, traboccante di protervia antistorica - e' il primo commento dell' avvocato Giovanni Bellini, componente del collegio difensivo di Giulio Andreotti - La storia non solo ha assolto il senatore Andreotti, ma ne sta onorando i meriti. Credo, purtroppo, condannera' senza appello quanti lo stanno invece perseguitando”. Anche nella difesa di Claudio Vitalone sembra esserci soddisfazione per la decisione della procura di Perugia. Se non avessero impugnato i pm - ha detto l' avvocato Carlo Taormina - eravamo pronti noi a ricorrere in Cassazione. A parte le ultime 30 pagine della motivazione, le uniche che si interessano della vicenda omicidiaria, tutto il resto e' una serie di incredibili alterazioni dei fatti processuali attraverso i quali, per utilizzare la formula dell' estensore, solo schizzi di fango potevano essere gettati in faccia a Claudio Vitalone”. Il legale ha detto che accoglie di buon grado l' iniziativa della procura di Perugia perche' sara' la Corte d' assise di appello a fare giustizia anche di insinuazioni spesso tradotte in vere falsificazioni delle risultanza processuali”.

2 dicembre – Il quotidiano La Repubblica” pubblica un lungo editoriale di Eugenio Scalfari sul libro di Sogno:
“La rivelazione – scrive Scalfari - per certi versi è ovvia, per altri del tutto inattesa: in un libro-intervista di Aldo Cazzullo che sta per uscire nelle librerie e che fu approvato dall'intervistato e anzi per le parti più importanti scritto direttamente da lui (Testamento di un anti-comunista, Mondadori), Edgardo Sogno racconta con dovizia di particolari che nel luglio-agosto del '74 stava per lanciare un vero e proprio "golpe" che egli paradossalmente (l'avverbio è suo) definisce liberale perché aveva come fine di "rovesciare il regime catto-comunista". Quale fosse questo regime chiarisce con esattezza da quale livello di furore ideologico fossero posseduti gli organizzatori di quell'operazione: il governo in carica era infatti presieduto da Mariano Rumor, un democristiano doroteo di centrodestra, al Quirinale c'era Leone, certo non sospetto di simpatie comuniste e anti-atlantiche, alla Difesa Andreotti, agli Interni Taviani. Eppure, nella distorta e ossessiva immaginazione dei golpisti, questo era un regime liberticida di tale pericolosità da giustificare un colpo di forza per insediare un governo con pieni poteri sospendendo le garanzie costituzionali e mettendo la sinistra politica e sindacale definitivamente fuori gioco. Non si trattava di una "intentona", come era stato esattamente dieci anni prima il "tintinnio di sciabole" del generale De Lorenzo. L'"intentona" è infatti una sorta di golpe virtuale, un' esibizione muscolare capace però di divenire operativa ma soltanto nel caso che il suo primo obiettivo sia mancato e il primo obiettivo è quello di realizzare uno spostamento a destra dell'asse politico nazionale. L'"intentona" di De Lorenzo, voluta dall'allora capo dello Stato Antonio Segni e accettata dal presidente del Consiglio Aldo Moro, ottenne gli sperati effetti politici e non dové quindi passare alla fase esecutiva. Niente di simile però per quanto riguarda la cospirazione rivelata ora da Edgardo Sogno: i congiurati avevano di mira la presa del potere, era già stato deciso l'organigramma del nuovo governo, le alleanze erano state stipulate, i tempi e i modi dell'operazione decisi. Quando il piano è ormai pronto per scattare siamo nell'agosto 1974, la strage di Brescia è avvenuta appena tre mesi prima, le Br hanno da poco fatto la loro comparsa, la grande stagione referendaria dei diritti civili è in pieno corso, il Pci di Enrico Berlinguer sta guadagnando per la prima volta il consenso di vasti settori di ceto medio e borghese. Ma Sogno (e Pacciardi che è il vero capo dell'operazione) sono pronti e non si tratta certo di un "golpe da operetta", come del resto non lo era stato quello di Junio Borghese tentato quattro anni prima. Il gruppo dei congiurati (non si può che chiamarli così) coinvolge gran parte dell'apparato militare, si avvale del consenso attivo o "attendista" di importanti settori politici ed economici, ha ottenuto il "via libera" dal responsabile in Italia dei Servizi americani. Questo è il quadro, questo il contesto. Sogno lo definisce così: "Occorreva uno "strappo", un fatto compiuto al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale in una triplice alleanza di laici occidentali come Pacciardi, di cattolici liberali come Cossiga e di socialisti antimarxisti come Craxi". Per arrivare al risultato occorreva in sostanza "sospendere" la democrazia e scatenare la guerra civile. Pazienza, il fine giustifica i mezzi, avvenga quel che può e non si guardi troppo al sottile. Il racconto della congiura fatto da Sogno, con i nomi e i ruoli dei comandanti militari coinvolti nell'operazione, è impressionante. Ne erano parte attiva: il comandante della Regione militare Sud, generale di corpo d'armata Ugo Ricci che - dice Sogno - era la vera mente militare dell'operazione; il vicecomandante della Regione militare Centrale, generale Salatiello; il capo di Stato maggiore della Regione Centrale, generale Barbasetti; il vicecomandante dei carabinieri, generale Picchiotti, già capo di Stato maggiore dell'Arma all'epoca di De Lorenzo e del "Piano Solo", iscritto alla Loggia P2; il comandante della divisione dei carabinieri Pastrengo, generale Palumbo (Loggia P2); il comandante della legione dei carabinieri di Roma; il comandante della divisione Folgore, generale Santovito (poi capo del Sismi con Cossiga ministro dell'Interno ai tempi del rapimento Moro) affiliato alla Loggia P2; il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Rosselli Lorenzini; l' ammiraglio Gino De Giorgi, suo successore nella carica; il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, generale Lucentini; il comandante della Seconda Regione Aerea generale Graziani; il comandante della Guardia di Finanza generale Borsi; il comandante della Scuola di Guerra, generale Zavattaro Ardizzi; il generale dell'Esercito Alberto Li Gobbi. Erano invece considerati avversari "da neutralizzare" il comandante generale dei carabinieri Enrico Mino e il suo capo di Stato maggiore Arnaldo Ferrara. Altre adesioni militari e politiche importanti erano quelle di Luigi de la Penne, medaglia d'oro al valor militare; Aldo Cucchi, comunista titoista espulso dal Pci; Eugenio Reale, ex comunista designato a ministro dell'Interno nel governo golpista presieduto da Pacciardi. Manlio Brosio era stato designato ministro degli Esteri ma si era riservato di accettare. Alla Difesa sarebbe andato lo stesso Sogno, alle Finanze l' economista Ricossa. Anche il generale Liuzzi, già capo di Stato maggiore della Difesa e il Procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Colli, erano della partita. I lettori troveranno in altre pagine del giornale le parti più significative del racconto fatto da Sogno al suo intervistatore, il quale alla fine dell'intervista gli pone due domande d'importanza capitale. La prima: queste rivelazioni, una volta conosciute dal pubblico, saranno credute vere o verranno considerate frutto d'una mente narcisistica e mitomane? La seconda: aveva dunque ragione l'allora giudice istruttore Luciano Violante che mise Sogno sotto inchiesta e lo fece arrestare ma poi dovette liberarlo perché la Corte lo assolse con formula piena "perché il fatto non sussiste"? Alla seconda domanda Sogno risponde: sì, Violante aveva ragione poiché anche se il golpe non scattò i preparativi erano in una fase molto avanzata e il Codice penale prevede che simili predisposizioni configurino un reato di sovversione. L'errore di Violante fu di non aver raccolto prove sufficienti a convincere la magistratura giudicante. Alla prima domanda Sogno ammette che il suo raccontopossa esser giudicato fantasioso dall'opinione pubblica, ma lui sa com'erano andati i fatti e ritiene che a questo punto sia necessario rivelarli nella loro pienezza, se non altro per tenere accesa la fiamma dell'anticomunismo contro un pericolo che egli giudica ancora terribilmente attuale. Un fatto comunque è certo: le affermazioni e il racconto di Sogno sono assistite da un'esauriente documentazione che il capo della Franchi ha mostrato ad alcuni suoi amici ma di cui la magistratura inquirente non riuscì a suo tempo a entrare in possesso. Comunque la vera prova della pericolosità del "golpe liberale" è nelle mani e nella memoria d'un uomo che non parlerà mai ma che ebbe il merito d'averlo fatto fallire insieme ad altre due persone: quest'uomo è Giulio Andreotti, gli altri due sono Paolo Emilio Taviani e, per l'appunto, l'allora giudice istruttore di Torino Luciano Violante. Andreotti era allora ministro della Difesa dopo essere stato per due anni presidente del Consiglio. Il contesto internazionale era profondamente cambiato dopo le dimissioni di Nixon per lo scandalo Watergate e il tramonto politico di Henry Kissinger. Delle ripercussioni delle vicende americane sulla politica interna di alcuni paesi della Nato parla diffusamente Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, nel suo libro-intervista intitolato "Segreto di Stato". Pellegrino sostiene che il '74 fu un anno di svolta nella politica estera americana nel senso che - fermo restando il tradizionale anticomunismo di una guerra fredda appena appena intiepidita, furono abbandonati i metodi di sostegno alle trame, alla strategia della tensione e a regimi conservatori o francamente reazionari in Europa. Caddero infatti, poco dopo le dimissioni di Nixon e il ritorno dei democratici alla Casa Bianca, il regime portoghese e quello dei colonnelli greci. In Italia - scrive Pellegrino - fu spezzata la connivenza che fin lì era stata stretta e continua, tra organismi istituzionali e apparati di forza italiani e Nato da un lato e manovalanza neofascista dall'altro. In questo nuovo contesto accaddero nei palazzi del Potere alcuni fatti di notevole rilievo.
1. Il ministro della Difesa, Andreotti, licenziò il capo del servizio segreto militare, generale Miceli e mise al suo posto il generale Maletti, già capo della sezione controspionaggio del Sid. L'8 luglio del '74 Maletti inviò un rapporto ad Andreotti nel quale parlava estesamente dei preparativi golpisti del gruppo Pacciardi-Sogno e segnalava i nomi dei militari più compromessi in quell'operazione. A seguito di quel rapporto Andreotti dispose immediatamente il trasferimento ad altri incarichi dei generali Zavattaro Ardizzi (Scuola di Guerra), Santovito (Folgore), Salatiello (Regione militare Centrale). Pochi giorni dopo anche il comandante della Guardia di Finanza abbandonava l'incarico. Questi movimenti repentini disarticolarono il piano della congiura e suscitarono grande timore negli altri ufficiali più compromessi. Il comandante della divisione Pastrengo, generale Palumbo, che fin lì era stato uno dei punti di forza del piano poiché da lui dipendevano tutte le legioni dei carabinieri dislocate nella Valle Padana, "tradì" (così si esprime Sogno) e passò dalla parte del governo rivelando gran parte delle intenzioni dei congiurati. (È fantastico assistere al passaggio dalla parte del governo del comandante d'una divisione di carabinieri; ma del resto non era la prima volta che ciò accadeva).
2. Taviani, all'epoca ministro dell'Interno, portò a conclusione lo sganciamento tra gli apparati istituzionali di forza e la manovalanza fascista. Fece arrestare il capo del Mar (Movimento di azione rivoluzionaria) Carlo Fumagalli che era in stretto contatto con Sogno e Pacciardi, e sciolse le organizzazioni neofasciste Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. In agosto (è Sogno ad affermarlo) Taviani allertò su di lui l' attenzione del giudice istruttore Violante.
3. Violante mise Sogno sotto sorveglianza, aprì un'inchiesta su di lui e sulla sua organizzazione e infine lo arrestò. Così fallì il "golpe liberale" che segnò il culmine delle tante trame che avevano avvelenato la politica italiana nei precedenti dieci anni con radici ancora più remote risalenti alla Resistenza, all'immediato dopoguerra, alla fondazione di Gladio e delle altre organizzazioni segrete anticomuniste, all'organizzazione paramilitare del Pci poi denominata Gladio Rossa. Continuarono ancora le bombe stragiste e prese sciaguratamente quota il terrorismo delle Br. La tesi di Giangiacomo Feltrinelli, che fu uno dei "proto-brigatisti" agli inizi degli anni Settanta, addossava alle trame eversive della destra la responsabilità dell'appello ai vecchi partigiani affinché riprendessero le armi in difesa della democrazia in pericolo. La tesi di Sogno è simmetricamente opposta: appello ai partigiani anticomunisti affinché difendessero la patria e la libertà. Difficile stabilire quale parte attaccò per prima producendo la reazione difensiva dell'altra. Dal punto di vista del calendario un fatto è certo: la strage di piazza Fontana con le sue vittime e i suoi loschi depistaggi avvenne il 12 dicembre del '69. Il sangue cominciò a scorrere da quel momento in poi.
Ha scritto ieri sul "Foglio" Giuliano Ferrara che l'"Eroe Sogno" forse si è lasciato andare a una "intenzione testimoniata per i posteri, una follia idealistica che era tipica di un grande visionario e ardente combattente". Comunque, prosegue Ferrara, "il furibondo anticomunismo atlantico di Sogno doveva esser combattuto sul piano politico non su quello giudiziario". Par di capire che, dopo le rivelazioni di Sogno, tocchi a Luciano Violante di chiedere scusa dopo che il suo imputato del '74 gli ha fornito prove e riscontri di quanto la Procura di Torino avesse visto giusto. Evidentemente questi personaggi d' avventura considerano che la legge, il codice, la giurisdizione, l'azione penale obbligatoria, siano carta da cesso con la quale pulirsi i piedi quando scomoda. Quanto a Edgardo Sogno e a tutta la variegata compagnia che, con assai minor follia visionaria di lui, gli tenne bordone e rappresentò per trent'anni il sistema delle istituzioni illegali, di lui si può dire soltanto che visse per l'avventura perché soltanto in essa trovava realizzazione e gratificazione. In nome della libertà la sua "follia visionaria" lo portò a concepire e concretamente a tentare di strangolare la libertà. Per fortuna fu fermato in tempo.

5 dicembre – L’Ansa scrive che resteranno ancora in custodia alla Banca d' Italia, anche se non hanno a che fare con presunte attivita' usurarie attribuite a Licio Gelli, i 168 chili d' oro in lingotti trovati nei vasi di gerani di Villa Wanda e sequestrati nel 1998. Lo si e' appreso da ambienti vicini alla procura di Arezzo, che proprio nell' ambito di un procedimento penale ha disposto il dissequestro dei lingotti in quanto non ritenuti connessi a presunte attivita' usuraria da parte dell' ex venerabile della P2. Dagli stessi ambienti e' stato tuttavia precisato che i lingotti non saranno restituiti a Gelli fintanto che non sara' esclusa l' esistenza di altri vincoli che impedirebbero la riconsegna dell' oro all' ex capo della loggia P2. L' ex Venerabile si trova ancora agli arresti domiciliare nella sua villa di Castiglion Fibocchi per la sentenza definitiva relativa al crack del banco Ambrosiano.

6 dicembre - Presentazione del libro "Valdesi e massoneria, due minoranze a confronto" di Augusto Comba (ed. Claudiana): sono presenti l'autore, storico valdese e massone, il pastore Paolo Ricca e il gran maestro della Massoneria Gustavo Raffi. Il libro ricostruisce anche come il carattere massonico della loggia P2 di Gelli "fosse in gran parte fasullo". "Si trattava in realta' - scrive l'autore - del mascheramento massonico di un progetto spionistico concepito dai servizi segreti". "Credo che gran parte della cattiva stampa che perseguita ancora oggi la massoneria - ha detto Comba - sia indubbiamente dovuta a Licio Gelli, che aveva creato un organismo che non aveva nulla a che vedere con la massoneria.

6 dicembre - Licio Gelli sarebbe stato operato d' urgenza all' ospedale Santa Maria Annunziata a Firenze per una grave forma di ulcera allo stomaco. L' intervento chirurgico, durato oltre cinque ore, e' stato eseguito dall' equipe medica del professor Fabbrucci. "Si e' trattato di un intervento a rischio - ha spiegato Maurizio Gelli - per le precarie condizioni di salute in cui versa da tempo mio padre, in particolare per lo stato del suo cuore. Un cardiologo infatti ha seguito tutte le fasi dell' operazione tenendo sotto controllo l' andamento del cuore". "L' intervento e' riuscito - ha aggiunto Maurizio Gelli -, ma i medici scioglieranno la prognosi solo tra 48 ore". Sempre secondo quanto riferito dai familiari di Gelli, l' intervento chirurgico si e' reso necessario per la grave forma di ulcera che i sanitari fiorentini hanno riscontrato durante gli accertamenti clinici ai quali l' ex Venerabile della P2 si sottopone periodicamente.

7 dicembre - Per Angela "Lita" Boitano, la responsabile dell' associazione dei desaparecidos italo-argentini, la "P2" avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella scarcerazione dell' ex maggiore argentino Jorge Olivera, arrestato a Roma nell' agosto scorso. "Questa vicenda di Olivera - ha detto la donna - e' un debito che la giustizia italiana ha nei nostri confronti. La sua scarcerazione - ha proseguito - sono sicura che e' opera della P2 italiana, argentina e francese, perche' la P2 ha ancora tanto potere". Piu' volte nel corso del processo si e' parlato di un importante ruolo di sostegno della loggia massonica alla dittatura militare.

8 dicembre - Il capogruppo Ds al Senato Gavino Angius dice che "se l'on.Berlusconi parlasse davanti ai giudici per un centesimo di quanto parla con stampa e televisioni, forse gli italiani si sentirebbero piu' tranquilli". "Poiche' davanti ai giudici tace - sottolinea il presidente dei senatori Ds, - si puo' tranquillamente affermare che se c'e' uno che sta prendendo in giro gli italiani, senza alcun pudore, e' l'ex piduista alleato con i fascisti di Rauti che gli hanno dato l'appoggio determinante per vincere le elezioni regionali in Abruzzo e in Calabria. Per non parlare poi dell'alleanza con la Lega, forza xenofoba e razzista".

9 dicembre - La Procura di Roma ha detto di non  essere a conoscenza di indagini in Gran Bretagna che avrebbero  portato alla conclusione che il banchiere Roberto Calvi fu assassinato. “Non si e' a conoscenza di indagini condotte da autorita' britanniche”, ha precisato la Procura in relazione a un articolo che sara' pubblicato domani dal quotidiano britannico 'Sunday Time', del quale sono state date anticipazioni a alcuni organi di stampa. “Pertanto - sottolinea la Procura - si ritiene che la notizia sia destituita di fondamento. Per quanto concerne gli accertamenti condotti in Italia, occorrera' attendere l'esito della perizia disposta dal gip il cui deposito e' previsto nei prossimi mesi”. Gli accertamenti di natura medico legale per stabilire le cause della morte del banchiere trovato impiccato nel giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra, erano stati disposti dal gip Otello Lupacchini nell'ambito di un incidente probatorio sollevato dai legali degli indagati. Il “sunday Times” scrive che tre periti, che hanno eseguiti modernissimi esami sul cadavere di Calvi, esumato dal cimitero di Drezzo, sono arrivati alla conclusione che Calvi fu assassinato. Il rapporto dovrebbe essere consegnato in gennaio alla magistratura di Roma.

12 dicembre – Il settimanale “Diario”, per la rubrica “L'Inchiesta Vecchio Stile”, pubblica l’ articolo “Castello con vista (su stragi)” del direttore Enrico Deaglio:
“Nel Dizionario dei sinonimi del Gabrielli, "anacronistico" risulta strettamente legato, anche se non identico, a "inopportuno". Ma i due aggettivi, nella storia che stiamo per raccontarvi, si rafforzano. Perché, davvero, le vicende del Castello Utveggio e dei suoi servizi segreti sono di altri tempi (oggi, una storia sull'onda del tempo dovrebbe occuparsi piuttosto dell'emergenza pedofilia, dell'emergenza discoteche) e risultano disturbanti, nel bel mezzo del rito che tutti aspettavamo da tempo: la celebrazione della fine della mafia. Con stato d'animo, dunque, perplesso, vi propongo ugualmente questa storia. Di un castello color rosa bon bon costruito sul monte Pellegrino, che ha sulla città di Palermo una vista simile all'occhio di Dio. Di un castellano che aveva il vezzo di farsi cambiare i numeri telefonici, perché ne voleva sempre uno che contenesse il 333; o perlomeno il 33. E poi di altri telefoni e telefonini, piccoli aggeggi che non muoiono mai, ma che lasciano imperitura memoria - bave elettroniche, date, orari - anche quando sono stati ormai buttati o sostituiti con modelli più moderni. I telefonini sono oggi la cosa più simile al Dna: come questo, attraverso catene di aminoacidi, racconta la biografia del genere umano, i telefonini lasciano sempre scritta la loro autobiografia. La storia ha uno spunto dieci giorni fa, quando il TG3 Rai siciliano e il Giornale di Sicilia (il quotidiano di Palermo) diffondono una breve notizia dal titolo: "Quando i boss telefonavano ai Servizi". Vi si parla di tabulati agli atti di due inchieste - quella della procura di Caltanissetta sui "mandanti occulti" degli attentati contro i giudici Falcone e Borsellino e quella della procura di Palermo nota come "sistemi criminali" e relativa ai presunti intrecci tra Cosa Nostra, uomini delle istituzioni e massoneria deviata. Lì, nella monumentale massa di documenti, sono custodite le tracce delle telefonate di due importanti mafiosi, Giovanni Scaduto e Gaetano Scotto. Chi avevano chiamato, tra i numerosissimi contatti conservati nell'Empireo dalla sovrana Sip ora Telecom? Avevano chiamato, il primo alla fine del 1991 e il secondo nell'estate del 1992, due utenze mobili intestate al Cerisdi, un Ente regionale (Centro ricerche e studi direzionali). Le utenze mobili, però - scrive il quotidiano - "erano in effetti estranee al Cerisdi e sarebbero state relative a un nucleo dei servizi segreti, operante in quegli anni presso il Centro e successivamente disciolto". La notizia, benché breve, era di quelle succose. Ma, stranamente, nessuno l'ha ripresa: né altri giornali per saperne di più, né i magistrati per confermarla o per smentirla. Ci sono molte e solide ragioni per questo disinteresse: la prima è che le due inchieste, in anni di indagini non hanno portato a nulla, se non a vaghe indicazioni non provate; la seconda è che il tempo dei sospetti - dei Mandanti, dei Grandi Vecchi, dei Terzi Livelli, dei Pupi e dei Pupari, della Piovra - sembra davvero essere passato. In questi giorni Palermo ospita la conferenza mondiale dell'Onu sulla criminalità, alla presenza di Kofi Annan, di decine di capi stato e di ministri della giustizia da tutto il mondo e gigantografie affisse dal Comune dichiarano perentorie: "Il mondo ha un sogno: imitare Palermo". Può apparire bizzarro, ma in fin dei conti, anche questa tesi è sostenibile. La città che si era trasformata in mattatoio; la città "irredimibile", secondo la sentenza di Leonardo Sciascia, la matrigna che aveva ucciso uno dopo l'altro i vertici della polizia, della politica, dei carabinieri, della magistratura, oggi ha cambiato volto. Si uccide molto poco, sicuramente meno che in molte altre città italiane; lo spettrale centro storico distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale e mai ricostruito - il brodo di cultura in cui la miseria creava delinquenza e la delinquenza creava mafia - oggi comincia a vedere alcune strade ingentilite. Persino piazza Magione - la lugubre piazza d'armi simbolo dell'indicibile abbandono - oggi è coperta da un (provvisorio) manto d'erba tagliata all'inglese. Per cui, i funzionari che da tutto il mondo sono venuti qui per parlare di strategie globali antimafia, possono ben sognare di imitare Palermo e paragonarla, per esempio alle sempre più infernali Medellin o Bogotá in Colombia. Sette anni fa, qui a Palermo ancora si decideva chi uccidere e dove fare stragi; oggi tutti i colpevoli stanno all'ergastolo: la loro intima bestialità e ignoranza li aveva portati a uccidere e a poter pensare di dare l'attacco allo Stato, ma lo Stato li ha fermati e puniti. Restava il dubbio che quegli uomini di così basso livello culturale avessero potuto farla franca per così tanto tempo. Ma la procura di Caltanissetta oggi, e quella di Palermo domani, hanno messo il loro sigillo: hanno fatto tutto da soli. È la stessa storia di cinquant'anni fa: migliaia di persone si sono rotte le corna per cercare i mandanti di quel Salvatore Giuliano che, armato di fucili e della seconda elementare aveva pensato di poter trattare addirittura con gli Stati Uniti d'America. E non hanno trovato niente: Turiddu evidentemente aveva fatto tutto da solo. Per questi motivi - "anacronismo" e "inopportunità" - nessuno ha dato importanza a quei tabulati telefonici. Avranno sbagliato numero: a chi non capita?
 ILGESUITAROSSO. Ma mi restavano alcune curiosità. La prima era: che cos'è il Cerisdi? Questa è stata facile da appagare: basta andare sul sito www.cerisdi.it. Qui mi appare il volto di padre Ennio Pintacuda, il suo nuovo presidente. Siciliano originario di Prizzi, gesuita, professore con formazione americana, Ennio Pintacuda è uno degli uomini che hanno fatto la storia recente di Palermo a partire dagli anni Ottanta, quando insieme a padre Bartolomeo Sorge animava il centro "Pedro Arrupe" della Compagnia di Gesù, il cui Generale aveva scelto di intervenire a Palermo allo scopo dichiarato di formare una nuova classe dirigente, ma soprattutto di combattere la mafia. Pintacuda divenne un bersaglio e gli venne assegnata un'agguerritissima scorta: fu il primo uomo in clergyman in Italia a salire in macchina e a camminare per la strada scansando i mitra dei suoi angeli custodi. Decisamente votato alla politica, Pintacuda ha sempre avuto ruoli importanti di consigliere, e anche litigi con i suoi consigliati. Un tempo "prete rosso", oggi "in quota Polo", Pintacuda dirige il Cerisdi, "scuola di eccellenza" votata alla formazione di competenti amministratori e a coltivare rapporti tra la Sicilia e il Mediterraneo: corsi di specializzazione, borse di studio (una è intitolata a Giuseppe Bonsignore, il funzionario della Regione ucciso dalla mafia), conferenze e dibattiti costituiscono l'attività del Centro. Detta così, il centro non sembra discostarsi troppo dalle decine di enti e istituzioni regionali che si prefiggono gli stessi fini e che alimentano i mastodontici bilanci della Regione Sicilia. Ma quello che fa la differenza, o meglio l'eccellenza, del Cerisdi, è la sua sede: uno dei luoghi più belli di Palermo, il castello Utveggio in cima al monte Pellegrino. Erano gli anni Venti e Palermo assaporava ancora qualcosa del suo periodo di splendore; il cavalier Michele Utveggio, grande costruttore nativo di Calatafimi si innamorò dell'idea di costruire un grande albergo ristorante nel punto più panoramico della città, il Primo Pizzo del monte Pellegrino, a 346 metri a strapiombo sul mare, poco distante dal santuario di santa Rosalia. Era un'impresa abbastanza temeraria, ma l'uomo, che aveva anche costruito un cinema teatro in piazza Politeama e lo stadio della Favorita, mise sul tavolo i propri soldi e lo fece, in soli cinque anni: utilizzò il moderno calcestruzzo per una costruzione di tre piani di improbabile color rosa confetto, chiamò i migliori architetti per un sontuoso arredamento liberty, dotò il castello di propri serbatoi d'acqua e di una strada privata d'accesso e inagurò i locali a metà degli anni Trenta. Ma tutto andò a ramengo allo scoppio della guerra: il castello, requisito dalle autorità militari, divenne la sede della contraerea prima fascista, poi tedesca (dopo lo sbarco del 1943) e uno degli obiettivi prediletti dei devastanti bombardamenti alleati. Caduto e abbandonato, Castello Utveggio venne saccheggiato dai palermitani che vi portarono via tutto quello che poterono. Povero scheletro, così rimase per trent'anni dopo, quando se lo comprò la Regione Sicilia. Se lo prese per primo, alla fine degli anni Ottanta, il prefetto Riccardo Boccia, uno degli ultimi Alti Commissari, a mezzadria con il ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno. Poi venne nominato presidente il prefetto Vincenzo Verga, anche lui ex Alto Commissario e poi seguirono altri notabili siciliani, tra cui l'ex segretario della Camera del Lavoro Luciano Piccolo. Nel 1987 Bettino Craxi, in occasione del congresso socialista, vi fece illuminare un enorme garofano visibile da tutta la città; nel 1995 vi dormì Giovanni Paolo II, e da allora la sua suite non venne più toccata. Il Cerisdi organizzava ricerche sulla buona amministrazione, ospitava convegni, vagheggiava l'informatizzazione della pubblica amministrazione. Ma fin dall'inizio si installò anche qualcun altro. Un piccolo nucleo del Sisde, il servizio segreto civile, assolutamente riservato e dotato delle migliori attrezzature per osservare e ascoltare, dall'alto del monte, la città che sotto, intanto, si stava scannando. Erano uomini di fiducia degli ex Alti Commissari, un misto di civili, carabinieri e poliziotti. Avevano ponti radio, apparecchiature molto sofisticate di controllo delle comunicazioni e un sistema telefonico predisposto per centinaia di circuiti fissi, una specie di mega centralino in grado di smistare le chiamate di una piccola città. La riservatezza del luogo, i controlli effettuati sull'unica strada di accesso, la eccezionale panoramica fecero di Castello Utveggio un posto tanto sconosciuto quanto importante nella vita della città. Poi successero le stragi del 1992, il questore di Palermo Arnaldo La Barbera provò a vederci chiaro e in una notte i tecnici della ditta Ericsson, che avevano montato il tutto, smontarono altrettanto velocemente il tutto. (Sembra un film, vero? I tre giorni del Condor. E come nel film, anche qua ci sono un po' di omicidi sparsi, che però non fanno l'oggetto di questa storia).
 PIACERE, PROFESSOR MUSCO. Ma non avete ancora conosciuto il vicepresidente del Cerisdi, dal 1988 al 1992. E vi siete persi molto. Il professor Alessandro Musco, cinquantenne di Siracusa, cattedratico di storia medievale presso l'Università di Palermo, animatore di vari centri studi dai nomi esoterici, ha diverse caratteristiche. Molto intelligente, a detta di tutti. Gran massone, a detta di tutti. Uomo di snodo tra il mondo degli affari, la mafia e la politica secondo altri. Come capo di gabinetto dell'ex presidente della Regione Sicilia, Rino Nicolosi, messo sotto accusa nelle indagini sugli appalti, la mafia e le spartizioni tra i partiti al tempo delle grandi torte di dieci anni fa (allora non si diceva: il mondo ha un sogno: imitare Palermo, ma molti lo praticavano), il professor Musco ha aperto le chiuse di fronte ai diversi giudici che l'hanno interrogato. Ha spiegato che, come il Cerisdi, c'erano decine di enti inutili, dai bilanci inesistenti, da cui lucravano tutte le forze politiche. Ha raccontato come gli ambientalisti siano stati tacitati con consulenze, i sindacati con benefici, tutte le varie correnti e sottocorrenti dei partiti abbiano avuto il proprio tornaconto, presentando se stesso come un vero mediatore tra diversi equilibri. In centinaia di pagine di verbali, tutto il mondo politico viene sapientemente vivisezionato, dal professor Alessandro Musco, che manda messaggi a tutti. È probabile che ne sentiremo ancora parlare, perché è oggi ancora attivissimo in politica, la politica nuova: Ccd, con occhio all'Udeur e comunque porta sempre aperta a tutti. Di lui si può raccontare un vezzo: ci tiene molto a che le sue utenze telefoniche comprendano le cifre 333 o 33, numeri importanti per la massoneria. E riesce a smuovere mezzo mondo perché il suo desiderio sia esaudito. Finora c'è riuscito. 
 I DUE MAFIOSI TELEFONISTI. E Giovanni Scaduto, chi è? Citato dal Giornale di Sicilia come uno dei due boss mafiosi che telefonarono al Cerisdi, sta in questo momento scontando una condanna all'ergastolo. Membro fin da ragazzo del Gotha di Cosa Nostra, rispettabile bancario di Bagheria, è stato arrestato sette anni fa per una strage di mafia nel suo paese e condannato per l'omicidio di Ignazio Salvo. Faceva parte, secondo la sentenza di un gruppetto che si appostò nel giardino della sua villa e lo freddò mentre si apprestava a uscire a bordo della sua Mercedes 190. Era il 17 settembre 1992. Prima di lui, quell'anno a Palermo erano caduti Salvo Lima, il proconsole di Andreotti in Sicilia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: Cosa Nostra, sotto la direzione di Salvatore Riina, si era così vendicata dei giudici che la avevano messa alle corde e dei politici che, secondo loro, l'avevano tradita. Appena finita l'estate venne il turno di Ignazio Salvo, che dei quattro era il meno conosciuto, ma sicuramente il più ricco e potente. Grande supporter della corrente andreottiana, governava da decenni le riscossioni delle tasse in tutta la Sicilia, funzione che aveva fatto di lui una specie di ministro del Tesoro e delle Finanze della Regione. Era un mafioso, naturalmente, e di lombi mafiosi, proveniente dal piccolo paese di Salemi, ma talmente potente che nel 1982, quando il governo di Roma si permise di mettere in discussione il meccanismo di riscossione delle tasse nell'isola, provocò una crisi di governo. La sua azione fu efficace: in 48 ore ebbe soddisfazione. Si scoprì (una buona parte dei membri della banda spifferò tutto) che le chiavi per entrare in giardino le aveva fornite il genero, uno stimato medico di Palermo, Tani Sangiorgi, che così contava di prendersi un po' di eredità e che gli altri erano componenti della migliore squadra di killer agli ordini dello zio Totò. Una buona parte del lavoro investigativo venne fatta sui loro telefonini; ne avevano parecchi e diversi erano "clonati", cioè più difficili da intercettare. Giovanni Scaduto, poi, dal suo 0337.891773 chiamava anche dei telefonini supersegreti forniti a sconosciuti direttamente dalla Sip di Roma e si scoprì che un giorno, più o meno un anno prima dell'omicidio, aveva chiamato il Castello. Una sbadataggine, probabilmente, ma che messa insieme al "traffico telefonico" del ricevente portava ad altri numeri, ad altre persone, ad altre date. E il ricevente era uno di quelli che, per conto del Sisde, dal Castello teneva occhi e orecchie aperte sulla città. L'altro telefonino che chiamò al Castello, questa volta nell'estate del 1992, apparteneva invece a Gaetano Scotto, mafioso pure lui, ma poco conosciuto. Si occupava molto degli affari di Cosa Nostra in Emilia Romagna e nella sua veste di emissario era venuto in contatto, oltre che con i numerosi referenti dell'organizzazione in Regione, anche con personaggi dell'eversione nera. Più conosciuto di lui, alle cronache, suo fratello Pietro. Era un operaio della Elte, una ditta degli appalti Sip. Venne accusato, per la strage in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta, di aver fornito agli attentatori la notizia che aspettavano: il magistrato stava arrivando, quel 19 luglio 1992, dalla sua villetta di Villagrazia di Carini in via D'Amelio, a trovare l'anziana madre. Come aveva fatto a scoprirlo? Secondo l'accusa, in virtù delle sue competenze professionali, era riuscito a deviare le comunicazioni della casa palermitana dei Borsellino a un'altra utenza, in un appartamento del palazzo di fronte. I giudici non ritennero però sufficienti le prove a suo carico e lo condannarono solo per associazione mafiosa. Il fratello Gaetano, invece, per la strage di via D'Amelio venne condannato all'ergastolo. Ma da quell'estate aveva fatto perdere traccia di sé.
 K. NON C'ENTRA. Dovrei ora citare Franz Kafka: "Era sera quando K. arrivò. Il villaggio era sommerso dalla neve. Non si vedeva nulla della collina del Castello". Ma non ne vale la pena, perché il Castello di Kafka era luogo e non luogo insieme, aspirazione del viandante e scoperta, sempre più dolorosa, della sua inesistenza. Sopra, dove non c'era la neve, c'era lo stesso villaggio, il castello si scopriva non essere un castello, ma una cittadina, senza monumenti e senza importanza. Il Castello Utveggio, col suo riposante colore rosa, non si presta alla filosofia. Era un luogo di affari riservati non differente dai luoghi che stavano al livello della terra palermitana, dove ogni carabiniere aveva il suo confidente mafioso e ogni mafioso sapeva in anticipo se sarebbero venuti i carabinieri a casa sua. E in quell'andirivieni di notizie, di cacciatori cacciati, di dissimulazioni ognuno portava a casa i piccioli. Ogni tanto qualcuno restava sul terreno... Ma mi sono rimasti dei dubbi: perché due capimafia telefonarono al Castello? Allora, da detective dilettante, ho fatto delle supposizioni, partendo dalla strage di Capaci. C'era una montagnola, vi ricordate? su cui stavano i killer. Furono avvertiti che passava Giovanni Falcone e azionarono il telecomando per far esplodere i cento chili di tritolo depositati sotto l'autostrada. Il telecomando agisce con impulsi radio e viaggia alla velocità della luce, la deflagrazione è immediata, l'onda d'urto si propaga in basso. Chi sta in alto non viene colpito. La montagnola era a molte centinaia di distanza dall'autostrada. Poi ho guardato le carte giudiziarie della strage di via D'Amelio, per cui quel Gaetano Scotto è stato condannato all'ergastolo ed è latitante. Nessuno ha saputo spiegare da dove potesse essere stato azionato il telecomando. Poi ho guardato il Castello a strapiombo su Palermo e in particolare la sua torretta posta nel giardino, una sorta di belvedere. Di qui a via D'Amelio, circa cinquecento metri sotto, non ci sono ostacoli alla vista. E un buon binocolo può vedere il momento in cui Paolo Borsellino scende dalla macchina e va a suonare il citofono della madre. Se un telecomando avesse agito dal Castello, non un'onda d'urto, ma neppure una brezza sarebbe arrivata fin lassù. Fantasie, naturalmente: anacronistiche e inopportune”.

12 dicembre – Il settimanale “Diario” pubblica l’ articolo “DIARIO DI UN GOLPE CONFESSATO - Doppio Sogno? Strana attualità di uno soldato giapponese” di Gianni Barbacetto:
“Dunque, ha confessato. Edgardo Sogno Rata del Vallino ha rivendicato con orgoglio di aver costituito un'organizzazione militare segreta; di aver progettato un'"azione" volta ad abbattere il regime parlamentare; di aver messo in conto le esecuzioni capitali di esponenti politici dei partiti democratici. Insomma: di aver preparato un golpe. Lo ha ammesso in un libro-intervista appena uscito (Testamento di un anticomunista, raccolto da Aldo Cazzullo, Mondadori). Sogno ha confessato e altri - politici e militari - hanno confermato: nel 1974 era pronto il piano per attuare uno "strappo" costituzionale, un colpo di Stato. Pronte le armi, pronti i generali, pronti i ministri della "nuova repubblica presidenziale". Solo un anno prima, il generale Augusto Pinochet Ugarte aveva realizzato il suo golpe in Cile: il contesto era certamente diverso, ma anche nella situazione italiana, vista la forte conflittualità di quegli anni e il vasto radicamento di movimenti, gruppi e organizzazioni politiche, un colpo eversivo era destinato a trasformarsi quasi sicuramente in un bagno di sangue.  Sogno golpista. Sogno come Pinochet. Eppure solo pochi mesi fa il conte-diplomatico aveva ricevuto, durante l'ultima malattia e poi subito dopo la morte, innumerevoli attestazioni di stima e di sostegno, che finivano per arrivare sempre lì: all'attacco sguaiato contro i suoi "persecutori" - complottologi, comunisti e toghe rosse - colpevoli di aver vessato e tormentato un liberale, un coraggioso combattente per la libertà. Sogno era stato infine onorato con solenni funerali di Stato, la sua bara posta su un affusto di cannone, coperta dalla bandiera tricolore. E Paolo Guzzanti, Valerio Riva, Vittorio Sgarbi, Giuliano Ferrara, Francesco Gironda (il pr di Gladio), e tanti altri, tutti a elogiare Sogno, ma soprattutto ad attaccare Luciano Violante, il giudice istruttore che nel 1974 lo aveva fatto arrestare. Quanto ai pochi che avevano ricordato la storia eversiva di Sogno, erano stati respinti come visionari, complottisti, inguaribili sostenitori della teoria del "doppio Stato". Si era mosso addirittura Silvio Berlusconi in persona, con un commento pubblicato in prima pagina sul Giornale di famiglia: "Per aver combattuto il comunismo in tempo di pace e con le armi della parola e degli scritti egli è stato incarcerato, accusato di crimini inesistenti da parte di una magistratura più ligia ai principi dell'ideologia comunista che non a quelli dello Stato di diritto. Le vicende giudiziarie di Sogno sono state una delle pagine più tristi dell'Italia repubblicana, e continua ad essere un vulnus della nostra storia civile il fatto che coloro che ne furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio personale e la saggezza politica di riconoscere che non si trattò di un umanissimo errore giudiziario, ma di una persecuzione frutto, forse anche inconsapevole, dell'odio ideologico".  Ma di che persecuzione vanno parlando? - avrebbe detto Eddy, che delle sue azioni si è sempre vantato. E ora Sogno ha inequivocabilmente rivendicato il suo "strappo", il suo colpo di Stato, il suo "golpe liberale". Ma un liberale organizza colpi di Stato? No, ha risposto oggi, dopo la rivendicazione, anche Ernesto Galli Della Loggia, rompendo così il fronte dei neo-revisionisti italiani. No, "aveva ragione Violante". No, un liberale non attenta alla democrazia, non progetta "strappi" costituzionali, non pianifica le esecuzioni degli avversari.
 "RIVELAZIONI" CONOSCIUTE. Ma è veramente strano, il caso della rivendicazione postuma di Edgardo Sogno Rata del Vallino. Certo, il libro di Cazzullo fa impressione, perché enumera fatti e persone e progetti eversivi con ordine e cura meticolosa; perché fa nomi e cognomi; perché è la rivendicazione in presa diretta di una vita che è stata tutt'uno con l'ossessione anticomunista, dalla guerra di Spagna dalla parte dei fascisti all'organizzazione dei gruppi semilegali di Pace e Libertà, dal golpe degli anni Settanta fino agli ultimi appelli contro i "comunisti" prima della morte. Ma davvero i suoi amici e sostenitori non sapevano, già prima, la verità? Difficile crederlo, perché non c'è una sola delle "rivelazioni" contenute nel libro di Cazzullo che non fosse stata almeno anticipata da dichiarazioni dello stesso Sogno o scritta in libri, articoli, documenti giudiziari, ricerche. Difficile crederlo, dal momento che il conte non aveva perso occasione, in vita, per ribadire con puntiglio la sua ossessione e rivendicare i suoi "meriti". Edgardo Sogno, "uomo dalla voce femminea, dal coraggio grandissimo e dalla debole intelligenza politica", come ha scritto Giorgio Bocca, ha sempre fatto di tutto per non passare per vittima. Non gli è mai piaciuto essere dipinto come un perseguitato. Non è doppio, Sogno: la rivendicazione aperta e orgogliosa delle sue scelte è stata una costante della sua vita. Non avrebbe dunque amato, Eddy, le difese che i suoi amici gli hanno dedicato in morte. Nel 1990 - dieci anni fa! - dichiarò apertamente: "Avevamo assunto l'impegno di sparare contro i traditori pronti a fare il governo con i comunisti", di "impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso libere elezioni". (Attenzione: Sogno disse qualcosa di più che di essere stato pronto, con i suoi, a sparare contro i comunisti; disse di essersi preparato a "sparare contro i traditori pronti a fare il governo con i comunisti"). E svelò - dieci anni fa! - i nomi dei componenti del suo governo golpista. Ma aveva cominciato ancor prima a parlar chiaro, a esprimere apertamente la sua concezione della lotta politica: una energetica voglia di menare le mani. Nel dopoguerra, appena smessi i panni del comandante partigiano, cominciò col dire che era necessario che gli anticomunisti attivassero "uno squadrismo risoluto e attaccabrighe, capace di prendere l'iniziativa e non di servire da semplice reazione". Sostenne che "il primo squadrismo fascista del '19 e del '20" fosse "degno di encomio, in quanto fu capace di rintuzzare la tracotanza rossa". Nel settembre 1973, all'indomani del golpe di Pinochet, commentò: "Nel caso del Cile è ingiusto e disonesto accusare i militari di aver ucciso la democrazia". Nel 1995 ribadì sul Giornale (in risposta a chi scrive) che la sinistra postcomunista continua a essere animata da "ripugnante cinismo e intollerabile aggressività totalitaria che continuano a imporci una risposta di totale rottura". Non risparmiò critiche neppure alla destra, colpevole (scrisse sul Foglio nel novembre 1998) di non opporsi con sufficiente energia al comunismo, di non lavorare per quella "paralisi totale del sistema" auspicabile per "approdare, dopo trent'anni, a un chiarimento se non col mitra, almeno britannicamente coi guantoni".  Perfino il nazismo non lo inorridiva troppo, tanto che nel 1999 Sogno si presentò come testimone della difesa nel processo di Torino contro Theo Saevecke, l'ufficiale tedesco responsabile dell'eccidio dei martiri di piazzale Loreto a Milano e di tanti altri crimini contro partigiani, civili, ebrei. E nella sua ultima lettera, estremo messaggio inviato a un gruppo di amici e sostenitori il 13 luglio 2000 (morirà poco dopo, il 5 agosto), scrisse: "La difesa sul piano del pensiero e della logica non esiste al di fuori della distruzione fisica, ossia della guerra civile. Per cinquant'anni mi sono battuto per la distruzione dello Stato. Non c'è soluzione al di fuori della distruzione totale di questa realtà". Questo era Eddy Sogno, e i suoi sostenitori ben lo sapevano. Lo sapeva certamente Sergio Ricossa, a cui Sogno chiese di fare il ministro dell'Economia del governo golpista. Ricossa lo ha ammesso in un recente articolo sul Giornale: "Era un gioco di società o parlava sul serio? Dissi di sì, assai divertito". Chissà se si sarebbero divertiti altrettanto gli arrestati, i censurati, i feriti, i giustiziati. E chissà che fine avrebbero fatto, nel 1974, alcuni comunisti diventati poi grandi sostenitori di Sogno, quel Giuliano Ferrara che lo ha ospitato e glorificato sul Foglio, quel Ferdinando Adornato che ha pubblicato un suo libretto nelle edizioni di Liberal, quel Valerio Riva che oggi lo candida al Nobel. Ma ora si può dire, per stessa ammissione di Sogno, che Violante aveva ragione. Aveva ragione Giuseppe De Lutiis, che nelle sua Storia dei servizi segreti (Editori Riuniti) la vicenda del "golpe bianco" la racconta tutta. Avevano ragione i "visionari", i complottisti, i teorici del doppio Stato. E aveva ragione perfino il supervituperato (ricordate le polemiche?) documento dei Ds sulle stragi che, confrontato con la "confessione" di Sogno, ne esce confermato.
 L'ITALIA DEI RICATTI. Proprio perché non fascista, Sogno è il personaggio-tipo della "guerra non ortodossa" combattuta in Italia: volonteroso funzionario del doppio Stato, egli non è un cavaliere solitario, fa parte di quella nutrita schiera di soldati dell'armata segreta che si era posta il compito d'impedire la vittoria del mostro comunista - a ogni costo, anche andando oltre e contro le leggi dello Stato costituzionale. Nella guerra sotterranea che insieme a tanti altri ha combattuto, le vittime alla fine sono state, per una sorta di eterogenesi dei fini, non comunisti mostruosi ma ignari cittadini in banca, in piazza, sui treni, nelle stazioni. E le stragi, di cui Sogno non è personalmente responsabile, non sono però altro dalla sua guerra. Sono il frutto più drammatico del suo stesso anticomunismo ossessivo, che identificava il nemico con la "distensione" e riteneva ogni arma legittima. Così, per esempio, durante la rivolta d'Ungheria del 1956, il piano di Sogno (bloccato per fortuna dal ministro Paolo Emilio Taviani e dalla Dc) era di alimentare in ogni modo la resistenza ungherese, con il risultato di moltiplicare i morti: a Sogno non interessava la sorte degli ungheresi, importava dimostrare, sulla loro pelle, che il comunismo è cattivo. Il "liberale" Sogno era insomma molto più simile ai comunisti di quanto non sospettasse: le leggi, le istituzioni, la Costituzione, la democrazia - ma anche l'umanità e la verità - erano per lui solo strumenti, mezzi e non fini. Come per i comunisti suoi nemici giurati. Alla fine, Sogno è (finora) l'unico combattente del doppio Stato che si è compiutamente svelato; gli altri, militari o civili, uomini dei servizi di sicurezza o politici, continuano a negare, o a distinguere, o a minimizzare. Tace anche l'altra ala del doppio Stato, quella meno oltranzista, non golpista, che ha ambiguamente utilizzato Sogno e tanti altri "soldati politici" buoni per fare i lavori sporchi, da scaricare dopo l'uso ma da salvare, ieri, dalle curiosità di qualche giudice; e da coprire, oggi, con il silenzio. È l'Italia dei ricatti. Ma oggi, dieci anni dopo la fine del blocco comunista, la morte di Sogno sarebbe stata archiviata, in un Paese normale, come una faccenda del secolo scorso, la fine di un soldato giapponese a cui non avevano detto che la guerra era finita. Invece, in questo strano Paese che è l'Italia, la partita è ancora aperta. Neppure le ammissioni di Sogno sono sufficienti. Giuliano Ferrara, possibile sopravvissuto al suo golpe, dopo aver riabilitato perfino Pinochet, afferma (sul Foglio del 4 dicembre 2000) che comunque Violante aveva torto, perché lo aveva arrestato senza prove (falso: il giudice istruttore Luciano Violante fece arrestare Sogno su richiesta del pubblico ministero di Torino Vincenzo Pochettino, di Unicost, la corrente più a destra della magistratura, il quale valutò che gli indizi di colpevolezza e i pericoli d'inquinamento delle prove erano tali da rendere l'arresto obbligatorio per legge). Gli amici di Sogno continuano a fargli torto: gli danno del sognatore, del dandy, del progettista di "golpe virtuali" (mentre gli altri, i comunisti, erano un mostro vero). I più spregiudicati si spingono fino ad ammettere che sì, la voglia di golpe c'era, ma era un controgolpe preventivo per salvare la libertà... In nome di quella strana libertà, troppe cose sono permesse: andare oltre la Costituzione; utilizzare i bombaroli neonazisti; stringere patti con bande criminali; diventare il banchiere della mafia (a Michele Sindona, fratello di loggia P2, Sogno inviò negli Usa uno degli affidavit che il finanziere usò per tentare di difendersi). Tutto ciò oggi in Italia è non passato, ma presente. Mentre gli uomini della P2 si apprestano a diventare governo, è saltato l'orizzonte politico-culturale comune, la cultura antifascista (che restò invece saldo, senza alcuna tentazione revisionista, nella Francia di quel De Gaulle tanto ammirato, a parole, da Sogno). Il liberalismo è ridotto a slogan, e un anticomunismo senza comunismo continua a essere sbandierato per far dimenticare vecchie colpe eversive e nuovi interessi di potere e d'azienda spacciati per libertà”.

12 dicembre - Davanti alla sezione civile del tribunale di Arezzo viene discussa una richiesta di pignoramento presentata dal ministero delle Finaze nei confronti di Licio Gelli per sei miliardi di lire in contropartita di presunti illeciti valutari. Secondo il quotidiano “La Nazione” si è trattato di un'udienza interlocutoria. Sulla sostanza i giudici decideranno fra qualche settimana, più probabilmente fra qualche mese. “Ma partiamo dal principio – scrive “La Nazione” - da quando nell'estate del 1998 i sei miliardi furono sequestrati in un appartamento di lusso di via XXV Aprile, in una delle zone residenziali più «in» di Arezzo. L'alloggio risultava allora nella disponibilità del figlio di Gelli, Maurizio, e secondo la Digos la grossa cifra doveva servire alla latitanza del «Venerabile», che era scappato da qualche settimana per sfuggire alla sentenza di condanna definitiva sul crack Ambrosiano. Una fuga clamorosa, quasi sotto gli occhi della polizia, che aveva da poco interrotto la sorveglianza sulla collina di Santa Maria delle Grazie dove sorge la villa di Gelli. E quando gli agenti entrarono a Villa Wanda muniti del mandato di cattura della magistratura milanese, trovarono soltanto i domestici. L'ex capo massonico, che si era nascosto in Francia dopo un'ultima cena con parenti e amici nel noto ristorante »Acquamatta» di Capolona, fu rintracciato e arrestato a Nizza soltanto nell'autunno del '98. Da allora, mentre il «Venerabile» veniva rimesso in libertà per motivi di salute, i sei miliardi sono rimasti in una sorta di limbo, in attesa che i giudici decidessero se restituirli o meno alla famiglia Gelli. Senonchè adesso si fa avanti lo Stato che sostiene: il tesoro spetta a noi, a copertura degli illeciti valutari commessi nel frattempo dall'ex capo della P2. Una tesi che in tribunale è stata duramente contestata dall'avvocato di Licio Gelli, Raffaello Giorgetti, e dal legale del figlio, Roberto Alboni. In primo luogo, sostengono, gli illeciti non sono mai avvenuti, ma se anche irregolarità ci fossero state, le leggi di sanatoria intervenute negli ultimi tempi le hanno rese nulle. E poi, dicono ancora gli avvocati, Gelli non c'entra niente, i sei miliardi appartengono al figlio Maurizio. Insomma, un altro guazzabuglio, uno dei tanti nei quali è coinvolto il «venerabile». Miliardi come noccioline che passano dalle casse dello stato a quelle di Gelli e viceversa. Ma, dicono ad Arezzo i più maligni, comunque decidano i giudici, l'ex capo della P2 non andrà in rovina, visto che i tesori di Villa Wanda sembrano inestinguibili. Ben sorvegliati, perdipiù, dalla polizia, che di fronte alla splendida abitazione del «Venerabile» mantiere una sorta di presidio permanente, contestato da una parte degli stessi agenti. Alcuni sindacati di polizia ritengono infatti che il personale utilizzato a Villa Wanda sia sottratto a più efficaci controlli di ordine pubblico ad Arezzo. Ma, si sa, quando c'è di mezzo Gelli, le polemiche sono sempre garantite”.

13 dicembre - Il ministro delle finanze Ottaviano Del Turco annuncia, con una nota, che a Gelli sono stati pignorati 126 chilogrammi di lingotti d'oro grezzo depositati presso la sede di Roma della Banca d'Italia. Cinque miliardi e mezzo, inoltre, sono stati recuperati alla Banca nazionale del lavoro tra valuta estera e lire italiane. Il pignoramento e' stato eseguito dal concessionario per la riscossione della Provincia di Roma, Monte dei Paschi di Siena, e dal concessionario della Provincia di Arezzo, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio. Licio Gelli paga il conto con lo Stato per infrazioni in materia di antiriciclaggio e illeciti valutari valutabili in oltre 30 miliardi di lire. Secondo l' avvocato Raffaello Giorgetti, legale storico di Gelli, i conti “sono tutti da rifare” e non e' chiuso con il pignoramento dei lingotti d' oro il rapporto di Licio Gelli con il fisco. L' oro potrebbe non essere suo e all' ex venerabile della loggia P2 sono state pignorate anche somme in denaro intestate a suoi familiari. L' udienza della causa civile che oppone Gelli allo Stato per illeciti valutari per circa 30 miliardi di lire e' fissata per il 27 febbraio prossimo. “Dimostreremo che gran parte del denaro sequestrato non e' di Gelli e anche l' oro potrebbe non essere suo”, afferma Giorgetti, secondo il quale dei 30 miliardi contestati a Gelli almeno 16 sono non dovuti, poiche' riguardano violazioni valutarie non piu' sanzionabili, spiega il legale, dopo l' entrata in vigore della cosiddetta amnistia valutaria del 26 novembre scorso. A Gelli, oltre ai lingotti d' oro trovati nelle fioriere di Villa Wanda due anni fa, sono stati anche sequestrati cinque miliardi e mezzo in diverse valute trovati nel 1998 in un appartamento nella disponibilita' del figlio, Maurizio Gelli, il quale ha sempre detto che si trattava di denaro suo, ma anche, ha aggiunto Giorgetti, libretti di deposito intestati ai nipoti di Gelli e alla sua compagna, Gabriela Vasile. Anche Maurizio Gelli, figlio dell' ex Maestro venerabile della loggia P2 reagisce alle iniziative di pignoramento di 30 miliardi da parte dello Stato. “E' un errore madornale. – dice il figlio di Gelli – Quei soldi sono miei non di mio padre”, riferendosi ai cinque miliardi e mezzo trovati due anni fa in un appartamento ad Arezzo. “Ho dimostrato che non hanno provenienza illecita e per questo - ha spiegato - recentemente la procura aveva revocato il sequestro penale”.

15 dicembre – “La Repubblica” scrive che nell’ inchiesta per le tangenti milamesi che hanno portato all’ arresto dell’ assessore Milena Bertani, comparirebbe un personaggio della P2:
“Gli facevano la guerra in Regione. Volevano soffiargli il posto, tanto che avevano già pronto il suo sostituto. Per questo Mario Giovanni Sfondrini, direttore del settore opere Pubbliche del Pirellone - arrestato insieme con l'assessore Milena Bertani - avrebbe suggerito alle ditte di Guarischi i ribassi con cui vincere le gare. Sarebbe questa una delle prime ammissioni fatte da Sfondrini ieri sera, durante il suo secondo interrogatorio in due giorni davanti al pm Fabio Napoleone, titolare dell'inchiesta sugli appalti per la ristrutturazione idrogeologica della Lombardia dopo l'alluvione del '97. A proposito di alcuni lavori di pronto intervento nel Lodigiano, per un totale di circa 120 milioni, Sfondrini avrebbe anche ammesso di aver suggerito a un funzionario del Genio civile di Milano di rivolgersi alla ditta di Cogni (del gruppo Guarischi) aggiungendo: "Ne sarebbe contenta l'assessore". Un capitolo a parte, le perquisizioni. Per tutta la giornata di ieri, il pm Claudio Gittardi, cointestatario del fascicolo, ha continuato a studiare la montagna di documenti sequestrata dagli uomini del nucleo provinciale della Guardia di Finanza che hanno setacciato in particolare due uffici: quello di un funzionario molto vicino alla Bertani, e quello di un avvocato milanese, dipinto come "notabile della vecchia Dc" già noto per essere stato iscritto alla P2. Continua intanto la polemica intorno agli arresti di mercoledì. Ieri sera, al grido di "è tutta una congiura", Aldo Brandirali uno dei consiglieri comunali più vicini a Formigoni, ha chiesto che il Consiglio venisse sospeso per solidarizzare con la giunta regionale. La richiesta, che è stata respinta, ha comunque contribuito a mantenere molto caldi i toni del dibattito. Da registrare, intanto, la prima spaccatura di rilievo nel muro compatto della destra contro l'operato dei magistrati. Protagonista Carlo Borsani, assessore di An alla Sanità: "Sono sicuro che l'assessore Bertani uscirà pulita da questa storia. Ma i magistrati debbono fare il proprio lavoro e la Bertani dovrà dimostrare davanti ai giudici la propria estraneità ai fatti che le vengono contestati"”.

16 dicembre – Il “Corriere della sera” ricorda che in un’ audizione del 16 novembre 1992 in commissione antimafia, Tommaso Buscetta parlo’ del «golpe bianco» di Edgardo Sogno. Buscetta era tornato dagli Usa e l’Antimafia lo aveva convocato. Il pentito parla di Sindona, del tentato colpo di Stato di Valerio Borghese (anche lì coprotagonista Cosa Nostra), poi nasce una sorta di equivoco e Violante crede che Buscetta parli della storia del golpe separatista, del 1979, di Michele Sindona. Buscetta, quasi riluttante, dice: «Stiamo parlando di un altro. Però non se ne fece niente». «Come di un altro», insiste Violante. E Buscetta: «Lei vuole sapere quello di mezzo, del 1974»? 
A quel punto, nasce il seguente dialogo: 
Presidente: «Qual è quello di mezzo?». 
Buscetta: «Nel 1974 ce n’era un altro preparato». 
Presidente: «Vuole spiegarsi?». 
Buscetta : «Ho ricevuto dal mio direttore del carcere, dott. De Cesare, la notizia che dopo pochi giorni sarebbe successo un colpo di Stato e io sarei passato, attraverso un brigadiere della matricola, per un cunicolo, sarei entrato in casa sua e sarei stato liberato. Sapevo che c’erano anche dei militari. Ma non vorrei dire queste cose, sennò diventa uno scandalo, per l’amor di Dio». 
Presidente: «Credo lo sia già stato. Nel 1974 qualcuno le disse che ci sarebbe potuto essere un tentativo di colpo di Stato - in cui lei sarebbe stato liberato - in cui c’entravano i militari. Questo le dissero?» 
Buscetta: «Sì». 
Presidente: «Lo disse il dottor Di Cesare, direttore dell’Ucciardone?» 
Buscetta: «Di massoni e militari». 
Presidente: «Quanto ai rapporti tra uomini d’onore e massoni, abbiamo parlato delle vicende del 1970. Successivamente, nel 1974, la mafia aveva un ruolo?». 
Buscetta: «Sì, è logico. Come faceva a conoscermi Di Cesare per dirmi che mi avrebbe portato a casa sua?» 
Presidente: «Di Cesare era uomo d’onore? 
Buscetta: «No, perciò dico che era stata la mafia a dirglielo». 
Dal clima di quel faccia a faccia traspare tutta la sorpresa di Luciano Violante che casualmente si imbatte in una indiretta conferma alle convinzioni che si era fatto quando indagava su Edgardo Sogno. L’ambasciatore - tuttavia - nella ricostruzione affidata a Cazzullo, non parla di mafia. Ammette i contatti con la «P2», ammette di aver ricevuto soldi da Michele Sindona, ma inquadra quelle frequentazioni nell’ambito della mai rinnegata «attività anticomunista». E precisa di essere stato indirizzato in quegli ambienti da McCoffery, capo della «Special Forces» britannica. Secondo un altro collaboratore di giustizia, invece, Sogno sarebbe stato al corrente dei collegamenti golpisti tra Cosa Nostra e la massoneria. Anzi dà per certa la partecipazione dell’ambasciatore al «golpe» caldeggiato anche da Sindona. Ne ha parlato Angelo Siino, conosciuto come l’ex ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, poi diventato pentito alquanto controverso. Testimoniando al processo Andreotti, nelle udienze del 18 e 19 dicembre del 1997, racconta di aver saputo da Michele Sindona che «una nave era pronta, incrociava al largo di Palermo una portaerei americana e c’era una nave carica di uomini che dovevano intervenire per aiutare militarmente questo golpe. Questi uomini erano al comando di Sogno, mi disse di quel grande massone, grande fratello che è Sogno. Questo disse e questo so».

24 dicembre – “La Repubblica”, in un articolo intitolato “Così la Cia spiava i futuri leader - In un elenco del '67 i 26 torinesi destinati a fare carriera Politici, giornalisti, sindacalisti, uomini di affari e della cultura nel mirino dei servizi Usa:’Saranno potenti’", di Paolo Griseri, scrive:
“Tutto sommato ci avevano azzeccato. Gli uomini della Cia che nel '67 segnalavano al governo statunitense i personaggi emergenti della politica e della cultura italiane avevano un fiuto da talent scout, almeno a giudicare, oltre trent'anni dopo, dalle carriere dei loro sorvegliati speciali. La "Potential leader biografic reporting list" è stata redatta nel maggio del '67 dall'ambasciata statunitense di Roma sulla base delle segnalazioni che giungevano dai consolati e dalle altre rappresentanze di Washington sparse sul territorio nazionale. Un lungo elenco di nomi, solo in alcuni casi corredato da schede, che segnalava oltreoceano coloro che promettevano di fare faville negli anni successivi. Solo nei mesi scorsi Gianni Cipriani, un consulente della Commissione stragi, ha potuto ottenere dal governo americano le liste redatte 33 anni fa. Non era necessario avere particolari informazioni riservate per sapere che Gianni Agnelli aveva buone probabilità di diventare uno dei personaggi emergenti del panorama italiano. Ma era più difficile prevedere i destini degli altri 25 torinesi finiti nella lista. Il lavoro meticoloso degli uomini dell'intelligence americana aveva diviso l'elenco dei "saranno famosi" in cinque diversi capitoli: gli uomini politici, i leader nel campo della cultura, i giornalisti, gli uomini d'affari e i sindacalisti. In politica venivano segnalati Carlo Donat Cattin, futuro ministro del lavoro e leader della sinistra democristiana. Anche in questo caso non si trattava di una previsione molto difficile. Meno semplice era affermare, nel 1967, che avrebbe fatto carriera un giovane come Franco Froio, allora segretario regionale del Partito socialista unitario della Valle d'Aosta. Anche se nemmeno la Cia poteva prevedere che Froio sarebbe diventato negli anni '80 uno dei capicorrente più influenti nel Psi di Bettino Craxi e che avrebbe attraversato non poche disavventure giudiziarie. Nella Torino di 33 anni fa appartenevano al Psu anche Terenzio Magliano, Salvatore Paonni e Pier Luigi Romita. Romita, che poi divenne ministro, e Magliano, che sarebbe rientrato in consiglio comunale dopo una legislatura da senatore, confluirono successivamente nel Psdi. Paonni invece approdò al Pri. Nessun agente della Cia avrebbe invece previsto che la promettente carriera di Giuseppe Gatti, nel '67 segretario dei giovani democristiani torinesi, sarebbe stata stroncata, sedici anni dopo, dalle accuse di un faccendiere di nome Adriano Zampini. Alla politica si sarebbero dati, negli anni successivi, anche alcuni dei personaggi segnalati tra i potenziali "cultural leaders": il futuro ministro socialista Francesco Forte e l'allora ventiquattrenne Guido Brosio, allora ventiquattrenne. Brosio sarebbe diventato, ventisei anni dopo, assessore nella prima giunta Castellani. Se, tra i giornalisti, era facile prevedere un radioso futuro per Piero Ostellino e don Giuseppe Zilli (direttore di "Famiglia cristiana"), meno scontato era il successo del "giovane reporter" della Gazzetta del Popolo Vito Napoli. Napoli però non avrebbe fatto carriera nel giornalismo preferendo diventare uno dei personaggi di spicco della Dc. Iscritto alla P2 oggi è confluito nelle file del Polo. Tra gli uomini d'affari segnalati nell'elenco, il manager della Fiat Nicolò Goia, Enrico Salza (erroneamente indicato con il cognome di Salsa) e il futuro direttore della Fiat Allis Ferdinando Palazzo. Nell'elenco dei sindacalisti compare solo il segretario provinciale della Fim Cisl Alberto Tridente. Certo, con il senno di poi è facile indicare le previsioni azzeccate e quelle clamorosamente sbagliate. Non hanno fatto particolare carriera, ad esempio, il sindaco di Alessandria, Emanuele Abbiati e il segretario cittadino del Pli, Velio Farci. Non tutte le previsioni riescono col buco.

26 dicembre – Muore a Parigi Bruno Tassan Tin, amministratore  delegato e direttore generale della Rizzoli-Corriere della Sera  negli anni '70-80. Tassan Din fu uno dei protagonisti delle vicende della Rizzoli-Corriere della Sera di Angelo Rizzoli negli anni della P2, e del crack che ne segui', Tassan Din era stato fra l'altro condannato nel 1993 a 6 anni e 4 mesi di reclusione per la bancarotta della casa editrice, e nel 1996 aveva patteggiato in appello una condanna a 8 anni e due mesi (14 anni in primo grado) per il crack Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Il suo nome era nella lista dei presunti iscritti alla P2 trovata a Castiglion Fibocchi. La morte e' avvenuta per emorragia cerebrale nella casa della figlia Micole a Parigi. Da giugno Tassan Din era malato di sclerosi multipla. Il nome di Bruno Tassan Din rievoca gli anni del Corriere della sera della gestione Angelo Rizzoli jr. e della loggia P2 di Licio Gelli. Magrissimo, lunghi capelli d'argento e occhiali da miope, Tassan Din a via Solferino aveva fama di gran lavoratore, uno dei pochi esperti di finanza del gruppo a quell' epoca. Laureato alla Bocconi e con un'esperienza in grandi societa' alle spalle, la sua ascesa comincia nel '77, portandolo in poco tempo a diventare direttore generale e amministratore delegato. Sono passati pochi anni da quando Andrea Rizzoli, e' il '74, ha comprato il gruppo Corriere della sera dalla famiglia Crespi. Andrea Rizzoli ne assume la presidenza, ma fin dall'inizio appare chiaro che a tenerne le redini e' il figlio Angelo. La prima decisione dei Rizzoli e' quella di confermare Piero Ottone alla direzione del quotidiano di via Solferino. Nel '77, con l'aiuto del finanziere Umberto Ortolani e del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, viene varato un cospicuo aumento di capitale per fronteggiare la grave situazione di deficit del gruppo. Ed e' a questo punto che Tassan Din comincia a ricoprire incarichi sempre piu' importanti nella gestione dell'azienda. Ottone, anticipando le voci che parlano di un suo siluramento, si dimette il 22 ottobre 1977. Lo sostituisce Franco Di Bella, cresciuto al Corriere e da pochi mesi direttore del Resto del Carlino. I conti del gruppo peggiorano, anche in seguito a operazioni non riuscite, come quella tentata nel '79 con l'Occhio, esperimento di tabloid popolare a basso prezzo. La situazione precipita con l'arresto di Calvi, accusato di esportazione di capitali, il 20 maggio 1981. La sera stessa Arnaldo Forlani, allora presidente del Consiglio, decide di rendere pubblico l'elenco degli iscritti alla P2 trovato nell'archivio di Licio Gelli e sul quale gia' circolavano numerose indiscrezioni. Tra gli iscritti, oltre a quello di Tassan Din, i nomi di Angelo Rizzoli e di Franco Di Bella. A sostituire quest'ultimo, costretto a lasciare il giornale, viene chiamato Alberto Cavallari. Lo scandalo e' enorme, e le vendite vanno in caduta libera. Chiudono L'Occhio e il Corriere d'Informazione, e vengono ceduti Il Piccolo, l'Alto Adige e Il Lavoro, ma non basta. Per il salvataggio e' necessaria l'amministrazione controllata, accordata nel 1982 per due anni dal Tribunale di Milano. Tassan Din e Rizzoli conoscono anche il carcere. Nel 1993 Tassan Din viene condannato a 6 anni e 4 mesi di reclusione per la bancarotta della casa editrice. Nel 1996 patteggia in appello una condanna a 8 anni e due mesi (14 anni in primo grado) per il crack Banco Ambrosiano di Calvi. Per quella bancarotta era stato condannato a 14 anni in primo grado nel 1994, assieme a molti esponenti del mondo economico-finanziario milanese.

29 dicembre - "La Repubblica" pubblica un articolo di Giuseppe Turani sulla morte di Tassan Din, dal titolo "Quel 'manager-diavolo' finito nell'orbita di Gelli. Fu chiamato da Angelo Rizzoli al capezzale della casa editrice. Inutilmente". Turani scrive: "Bruno Tassan Din, che è morto a Parigi per una grave malattia di cui soffriva da tempo, era magrissimo, alto, con una testa piena di capelli bianchi nonostante l'età relativamente giovane. L'insieme gli dava un'aria spiritata, che lo faceva sembrare un po' un diavolo. Laureato alla Bocconi, gran lavoratore, dicono che a parlargli fosse un uomo simpatico e pieno di buone intenzioni. Manager di professione, anche se non certo fra i primi e i più sperimentati, fu chiamato da Angelo Rizzoli negli anni Settanta per cercare di sistemare la casa editrice omonima, che aveva rilevato il "Corriere della Sera" (vecchio sogno della dinastia), e che per questo era finita nei guai. Per alcuni anni Bruno Tassan Din e Angelo Rizzoli hanno remato contro la crisi che attanagliava il quotidiano di via Solferino cercando una via d'uscita che invece non c'era già più. Dei due, il più attivo era ovviamente il manager che sembrava un diavolo. Se Angelo Rizzoli era infatti il presidente, Bruno Tassan Din era l'amministratore delegato e il direttore generale del gruppo editoriale. In realtà, nessuno dei due aveva una grande esperienza in campo editoriale. Più che altro improvvisavano, in un mestiere che si andava facendo sempre più difficile. Soprattutto nel loro caso, afflitti com'erano dai debiti da una parte e dalla mancanza di soldi freschi dall'altra. Nel disperato tentativo di trovare una scialuppa di salvataggio su cui imbarcare la Rizzoli, tutti e due finirono in giri non proprio trasparenti. Finirono, insomma, nella P2 di Licio Gelli e di Umberto Ortolani, e da lì finirono nell'anticamera di Roberto Calvi, il padrone-presidente del Banco Ambrosiano, potentissimo allora a Milano, e finito poi morto appeso al ponte dei Frati Neri a Londra. Grazie ai soldi dell'Ambrosiano (che servirono nel 1977 a finanziare un forte aumento di capitale della casa editrice, e che erano arrivati grazie all'interessamento di Umberto Ortolani e di Calvi), Tassan Din e Rizzoli si convinsero di averla scampata e il direttore generale della Rizzoli per alcuni anni fu uno degli uomini più potenti di Milano. Fu l'uomo a cui telefonavano politici di prima e di seconda categoria per avere uno spazio sulle colonne del "Corriere della sera" o degli altri giornali del gruppo. Fu anche l'uomo che accettò le dimissioni di Piero Ottone dalla direzione del "Corriere della Sera" e che lo sostituì con Franco Di Bella (costretto qualche tempo dopo a dimettersi perché iscritto anche lui alla P2). E fu anche l'uomo che tentò di allargare la casa editrice lanciando, nel 1979 un quotidiano popolare, l'Occhio, diretto da Maurizio Costanzo (altro iscritto P2), e che sparì dalle edicole nel giro di pochi mesi, portandosi via un bel po' di miliardi e di speranze dei due manager sempre più con l'acqua alla gola. Naturalmente, il peso delle nuove amicizie e della P2 si sentiva e nemmeno la lunga tradizione di via Solferino riusciva a mascherare il fatto che il giornale stava in piedi grazie a denari di origine non proprio limpidissima. La Rizzoli, come forse si poteva immaginare, non riuscirono mai a salvarla. Dopo qualche periodo di relativa tranquillità, fu inevitabile gettare la spugna. E questo nonostante nel frattempo avessero venduto molti dei beni del gruppo, fra cui i giornali Il Lavoro, l'Alto Adige e il Piccolo. E i due, pur non essendo cattive persone, finirono entrambi in guai molto grossi per i finanziamenti avuti da Roberto Calvi e riportarono danni quasi irrimediabili alla propria immagine perché avevano di fatto messo la Rizzoli nelle mani della P2 di Gelli e Ortolani. Al tramonto della sua carriera di manager, Tassan Din fu chiamato a pagare per due crack: quello della Rizzoli (che aveva tentato con tutti i mezzi di salvare, non essendone capace) e quello del Banco Ambrosiano. Per il primo fallimento riportò una condanna di sei anni, per il secondo patteggiò una condanna a otto anni. Da allora, dall'inizio degli anni Novanta, di Tassan Din non si è più sentito parlare, se non in occasione di qualche scadenza giudiziaria. Rotto il sodalizio con Angelo Rizzoli, venduta la bella casa di via Cervia a Milano, si era ritirato dalla scena pubblica. Ieri l'annuncio della sua morte avvenuta a Parigi".

30 dicembre - Si svolgono alla presenza di pochi intimi, nella chiesa San Lorenzo di Marsure di Aviano (Pordenone), i funerali di Bruno Tassan Din. Il feretro di Tassan Din e' stato accompagnato dalla moglie Marisa, dai figli Daniele e Tommaso, dalla sorella Augusta e dagli zii Angelo e Giovanni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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