14 gennaio - Nel suo intervento
al congresso Ds, a Torino, Fabio Mussi, riferendosi a Silvio
Berlusconi, dice:"Ieri ha avuto uno dei suoi colpi di fantasia dandoci
dei comunisti e definendo Veltroni Vysinskij: ho l 'impressione che del
libro nero del comunismo abbia letto solo la copertina e la prima pagina.
Continua a chiamarci Pci-Pds-Ds: e' corretto genealogicamente, ma altrettanto
potremmo noi chiamarliP2-Fininvest-Fi. Ma non voglio andare avanti
altrimenti mi da' del persecutore".
17 gennaio - Il giornalista Massimo
Donelli e' stato nominato Chief Content Officer (responsabile dei contenuti)
di Ciaoweb, il portale internet che fa capo a Ciaoholding (50% Fiat,
50% Ifil). Donelli, 46 anni, entrera' in carica il primo febbraio lasciando
la condirezione di Panorama. Il nome di Donelli era presente nel
presunto elenco degli iscritti alla
P2 trovato negli uffici della
Gio.Le a Castiglion Fibocchi. Donelli era registrato nel fascicolo 0921,
numero di tessera 2207, in regola con le quote associative. All'epoca Donelli,
che era caporedattore del "Mattino" di Napoli, dichiaro':"Trovo sui quotidiani
il mio nome nella lista Gelli. Chissa' come c'e' finito: io davvero non
lo so. So soltanto che, superati la sorpresa e il fastidio nel leggerla,
ora mi ritrovo a dover smentire una notizia che, se non fosse collocata
nel clima di sospetto e diffamazione creatosi nelle ultime settimane, non
meriterebbe neppure di essere presa in considerazione". Il 13 dicembre
1982, il consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia
infligge a Donelli la sanzione dell' "avvertimento" con questa motivazione:"per
avere egli agito con superficialita' e leggerezza dettata da ambizione
e carrierismo". Quando, nel 1990, Donelli fu nominato direttore del mensile
"Fortune", presentandosi alla redazione ammise di aver fatto parte della
loggia per quattro mesi, tra il 1980 e il 1981, assumendosi la responsabilita'
dell'"errore" compiuto. Questo non gli impedi', nella votazione sul gradimento,
di avere solo tre voti a favore, otto astensioni e quattro voti contrari.
18 gennaio - In un articolo pubblicato
dal "Giornale" il leader del Polo Silvio Berlusconi (il cui nome era nelle
liste della P2) risponde ad Edgardo Sogno (il cui nome era nelle liste
della P2) che aveva rivolto un appello a Forza Italia e al suo leader affinche'
perseguano un progetto forte di riforma costituzionale liberaldemocratica.
"Noi raccogliamo l' appello di Sogno - scrive il leader del polo - della
medaglia d' oro alla Resistenza". "Sogno ci chiede di scegliere a favore
del cambiamento e non della conservazione dell' esistente. La nostra risposta
e' che Forza Italia e' nata come forza di cambiamento e che non puo' che
essere forza di riforma radicale della societa' e delle istituzioni". "Edgardo
Sogno - prosegue Berlusconi - e' uno degli uomini che in Italia merita
maggior rispetto e considerazione. Le vicende giudiziarie di Sogno sono
state una delle pagine piu' tristi dell' Italia repubblicana, e continua
a essere un vulnus della nostra storia civile il fatto che coloro che ne
furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio personale e la saggezza
politica di riconoscere che non si tratto' di un umanissimo errore giudiziario,
ma di una persecuzione frutto, forse anche inconsapevole, dell' odio ideologico".
Per Berlusconi, Sogno merita rispetto "innanzitutto sul piano morale",
ma anche per la sua "dimensione di pensatore politico". "La crisi morale
- continua ancora - istituzionale, politica, giudiziaria, nella quale si
trova il nostro Paese, unico caso in occidente e nel mondo civile, e' la
conferma che Sogno aveva ragione".
19 gennaio - L'agenzia di stampa svizzera
Ats, confermando un'informazione del quotidiano ticinese La Regione, scrive
che i beni di Maurizio Gelli nel Canton Ticino (diversi milioni di franchi)
sono stati sbloccati. Il blocco di tre conti bancari a nome del figlio
di Licio Gelli e di suo genero era stato deciso nel 1998 dalla Procura
pubblica ticinese in seguito ad una rogatoria della procura di Roma. L'
Italia voleva tagliare i viveri a Licio Gelli, allora in fuga.
24 gennaio - Licio Gelli e' ricoverato
all' ospedale Santa Maria Nuova di Firenze per una serie di accertamenti
sul suo stato di salute. Si tratterebbe di un check up in seguito a forti
dolori alla schiena e ad una gamba. Gelli e' seguito dall' equipe medica
del prof. Lagi. "I controlli medici riguardano anche lo stato del suo aneurisma
al cuore - ha dichiarato Maurizio Gelli -. Mio padre gia' una settimana
fa era stato ricoverato d' urgenza all' ospedale di Arezzo per gli stessi
problemi".
24 gennaio - Il governo italiano ha presentato
un ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel
'caso Licio Gelli': lo ha detto oggi a Strasburgo il presidente della Corte
Luzius Wildhaber. In una sentenza adottata il 19 ottobre scorso i giudici
di Strasburgo avevano accolto il ricorso presentato da Gelli contro l'Italia
per la durata eccessiva del processo a suo carico (dal 13 settembre 1982
al 24 dicembre 1996). La Corte aveva condannato l'Italia per violazione
dell'articolo 61 della convenzione europea dei diritti umani (diritto ad
un processo equo in tempi ragionevoli) a pagare 22 milioni di lire, per
i danni e le spese, all'ex-capo della Loggia P2. Il ricorso presentato
dall'Italia contro la sentenza Gelli e' il primo introdotto in base al
regolamento della 'nuova' Corte di Strasburgo, rifondata nel novembre 1998,
che prevede appunto la possibilita' di fare ricorso contro le sentenze
dei giudici di Strasburgo.
25 gennaio - Secondo un bollettino dell'
equipe medica guidata dal professor Alfonso Lagi "Sono stazionarie" le
condizioni cliniche di Licio Gelli. Nel bollettino viene specificato che
Gelli "e' ricoverato per controlli clinici programmati relativi alle patologie
vascolari e metaboliche di cui soffre".
26 gennaio - Processo per il crack del
gruppo Di Nepi :"Non credo che l'esposizione del gruppo Di Nepi con la
Banca di Roma sia di mille miliardi, penso che sia molto meno e comunque
erano considerati buoni clienti, un gruppo destinato a crescere" dice Cesare
Geronzi, presidente della Banca di Roma e direttore generale della Cassa
di Risparmio di Roma tra l'88 e il '92 , cioe' il periodo in cui Settimio
e Pacifico Di Nepi ottennero ingenti finanziamenti dall'istituto di credito.
Geronzi ha cosi' risposto, in qualita' di testimone, alla domanda del Pm
Lina Cusano sull'esposizione del gruppo con la sua banca. Nel corso dell'udienza
sono stati sentiti altri testimoni, tra cui un ispettore della Banca d'Italia,
Nicola Stabile, che nel '91 chiese un'ispezione in relazione ai finanziamenti
chiesti dal gruppo. Il processo, in cui sono imputate 20 persone, riguarda
alcune bancarotte fraudolente di societa' che facevano capo ai fratelli
Di Nepi e che avvennero proprio dopo l' ottenimento di finanziamenti da
parte della banca e il cui regista - secondo l'accusa - sarebbe stato Licio
Gelli.
27 gennaio - Il capitano dei servizi segreti
Antonio La Bruna, 72 anni, muore nell' ospedale di Bracciano. Ufficiale
dei carabinieri, all' inizio degli anni ottanta fu coinvolto tra l' altro
nella vicenda della Loggia P2 (il suo nome era nelle liste) e nel processo
per la strage di Piazza Fontana.
28 gennaio - Una sentenza della Corte di
Cassazione (massimata 747, III civile, relatore Francesco Di Nanni) afferma
che il diritto di critica non e' sempre vietato nel caso in cui offenda
la reputazione individuale di qualcuno, perche' altrimenti si finirebbe
col far prevalere l'interesse del singolo al suo onore sull'interesse generale
a che non siano introdotte limitazioni alla libera formazione del pensiero,
garantita dalla Costituzione. Alla pronuncia si e' arrivati alla fine di
una causa aperta nel 1985 e che vedeva sul banco degli imputati la direttrice
di 'Linus', Fulvia Serra, e il giornalista Saverio Tutino citati dal banchiere
Umberto Ortolani (il suo nome era nelle liste della P2), sodale di Licio
Gelli nel crack Ambrosiano, per un articolo che accennava alle "imprese
truffaldine" compiute dai due. Ortolani si ritenne diffamato: in primo
e secondo grado vinse il processo, ma la Cassazione annullo' il verdetto.
In seguito la Corte d' Appello di Milano cancello' la condanna al risarcimento.
Allora Ortolani si e' rivolto alla Cassazione. Ma stavolta i supremi giudici
hanno messo la parola fine rilevando che il diritto di critica ha maglie
di valutazione piu' larghe del diritto di cronaca, sebbene possano essere
esercitati insieme.
19 febbraio - il procuratore della repubblica
Rocco Bisonte chiede il rinvio a giudizio nei confronti di due figli di
Gelli, delle loro e dell' amica rumena di Licio Gelli, Gabriela Vasile,
per rispondere del reato di procurata inosservanza della pena. Secondo
l' accusa avrebbero favorito la fuga di Licio Gelli dall' aprile al settembre
1998. L' udienza preliminare si terra' il 21 marzo
23 febbraio - Audizione in commissione
stragi del prof. Vincenzo Cappelletti, ex presidente dell'Enciclopedia
Treccani ed ex presidente del Comitato scientifico costitito da Francesco
Cossiga dopo il sequestro Moro. Il sen. Athos De Luca (Verdi) ha chiesto
che il verbale dell'audizione venga subito trasmesso al magistrato competente
"per le gravi affermazioni contenute nelle sue dichiarazioni". Vincenzo
Cappelletti, osserva De Luca, ha infatti detto non solo di non essere mai
stato ascoltato da alcun magistrato, ma ha riferito che nel comitato scientifico
"costituito da Francesco Cossiga", e composto da esperti scelti dallo stesso
Cappelletti, "vi erano personaggi aderenti alla P2 e vicini alla Cia".
6 marzo - Silvio Berlusconi, nel corso
della trasmissione “Iceberg” di TeleLombardia, rispondendo alle domande
di Daniele Vimercati, afferma che “essere piduista non e' un titolo di
demerito” e aggiunge che “La P2 fu piu' che altro uno scoop giornalistico.
La magistratura per altro non ha accertato mai mie responsabilita' di alcun
tipo”. “Quando alla mia iscrizione alla P2- ha spiegato Berlusconi - io
ricevetti quella tessera dove si diceva che ero 'apprendista muratore'
ed io, che allora ero il piu' grande costruttore di case, non potei fare
a meno di farmi una grande risata. Dopodiche' la tessera fu immediatamente
rispedita al mittente”.
7 marzo - “Sicuramente stava scherzando”.
E’ questo il commento del presidente di An Gianfranco Fini alle dichiarazioni
di Berlusconi sulla sua appartenenza alla P2. “E' una vicenda - ha osservato
Fini - che appartiene al passato, lasciamola li' e andiamo avanti”. Massimo
D' Alema, parlando a “Radio anch'io”, commenta:“Ma essere stato piduista
vuol dire aver partecipato a un' organizzazione, a una setta segreta che
tramava contro lo Stato, e questo e' stato sancito dal Parlamento. E condivido
questa opinione che si e' formata dopo l'inchiesta della Commissione Anselmi”.
“Vedo che il Cavaliere ha riabilitato anche la P2. Come direbbe uno psichiatra
di rango, e' il grande ritorno del rimosso” commenta il capogruppo Ds alla
Camera dei Ds, Fabio Mussi. Il capogruppo dei senatori dei Ds, Gavino Angius,
ricorda che la P2 “e' stata una centrale di trame oscure e inquietanti
che hanno segnato la vita democratica” dell' Italia. Angius, quindi, commentando
le dichiarazioni di Berlusconi, dice che “c' e' da vergognarsi ed e' impudente
che, dopo le univoche conclusioni della commissione parlamentare d' inchiesta,
che ha definito la P2 una setta segreta che ha tramato contro l' ordinamento
dello Stato, ci sia chi cerca di riabilitarne l' esistenza e la partecipazione
ad essa”. Angius ricorda anche come l' ex presidente della Repubblica Sandro
Pertini defini' la P2 “un' associazione a delinquere”, sostenendo che questa
e' “probabilmente la definizione piu' precisa”. “Mi chiedo perche' - conclude
Angius - proprio ora il capo di Forza Italia abbia difeso, o dovuto difendere,
la sua iscrizione ad essa. Al mio paese, quando accade qualcosa del genere,
si usa dire 'Sei venuto o ti hanno mandato'?”. Marco Rizzo, coordinatore
nazionale dei comunisti italiani commenta invece:“Altro che scoop giornalistici!
Vada a rileggersi le carte della commissione Anselmi, cavaliere!” e invita
Berlusconi, “se non l'ha fatto”, a “rileggersi il piano di rinascita democratica”.
In tal modo “ scoprira' che quelli che per lei sono dei galantuomini tramavano
per la sospensione delle garanzie costituzionali e per l'instaurazione
di un regime autoritario”. “Da una parte Berlusconi ci racconta che la
tessera (n.1816) della P2 a lui graziosamente inviata dal gran maestro
del complotto Licio Gelli, dopo un giro di tavolo e tante risate dei presenti
- ha affermato Rizzo - e' stata prontamente rispedita al mittente; dall'altra
sostiene che alla loggia segreta erano iscritti importanti personaggi della
politica e delle istituzioni. L'appartenenza alla P2 rappresentava, tra
le altre cose, un importante passaporto per essere accolti in quella zona
grigia dove affari e politica si fondevano e confondevano. Ma forse la
risata di cui il cavaliere parla non c'e' stata. Forse Berlusconi non ricorda
bene. In ogni caso riabilitare una organizzazione la cui lunga mano e'
visibile nelle vicende piu' buie e torbide della nostra storia, dallo stragismo
agli attentati, all'omicidio politico, all'economia della corruzione, da'
il senso dell'inaffidabilita' del leader del Polo”.
7 marzo - La procura della Repubblica di
Palermo decide l' archiviazione dell' inchiesta denominata “sistemi criminali”.
I magistrati stanno ultimando la motivazione degli atti da inviare al gip.
Si chiude in questo modo uno dei piu' discussi procedimenti aperti a Palermo
che vedeva indagati, tra gli altri, l' ex capo della P2 Licio Gelli, l'
estremista nero Stefano Delle Chiaie, il capo di Cosa nostra Toto' Riina,
i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio, il commercialista
massone Giuseppe Mandalari, condannato per concorso esterno in associazione
mafiosa ed i boss catanesi Eugenio Galea e Giuseppe Ercolano. L' inchiesta
avviata quattro anni fa ruotava sull' ipotesi di un piano eversivo finalizzato
alla divisione dello Stato condotto dai vertici di Cosa Nostra con la complicita'
di un Sistema Criminale, composto dalla massoneria deviata, da elementi
dell' eversione nera e da spezzoni deviati di servizi segreti. Agli atti
dell' indagine sarebbero stati raccolti numerosi indizi sull' esistenza
di un progetto politico separatista riconducibile a Gelli, ideato nel 1991
e condotto anche attraverso le stragi del 1993. Cosa Nostra avrebbe agito
in “partnership” criminale con un soggetto gia' collaudato in passato,
sostengono i magistrati, negli anni bui della democrazia italiana. Un rapporto
della Dia acquisito agli atti dell' indagine sostiene che la stagione delle
stragi del '92 e del '93 ricalca il modello operativo della strategia della
tensione degli anni '70. Secondo indiscrezioni che hanno trovato conferma
in ambienti giudiziari, le indagini che il sen. Francesco Cossiga aveva
denunciato di avere subito, sarebbero state compiute nell' ambito di questa
inchiesta. Il nome del sen. Cossiga, tuttavia, non e' mai stato iscritto
sul registro degli indagati. L' input dell' avvio dell' inchiesta era stato
fornito dalle dichiarazioni di pentiti, secondo i quali, le basi di questa
strategia sarebbero state poste in alcuni incontri: ad Enna, dove si riuni'
la commissione di Cosa Nostra;nel santuario di Polsi, in Calabria, con
i vertici della 'ndrangheta; in Jugoslavia, un incontro del quale ha parlato
il confidente dei 'servizi', Elio Ciolini, che nel marzo del '92, in una
lettera al giudice bolognese Grassi, preannuncio' la stagione delle stragi.
Dal '96 in poi, i pm hanno raccolto una mole enorme di documenti: atti
processuali, parlamentari, relazioni di servizi segreti, interviste. Eventi
politici ed economici, episodi criminali, sono stati elencati e comparati,
alla ricerca di un' unica chiave di lettura. A partire dall' omicidio Lima
fino alle stragi del '93, sono state analizzate le possibili causali “occulte”
dei delitti mafiosi, patrimonio di conoscenza di un ristrettissimo gruppo
di vertice.
12 marzo - Licio Gelli e' ricoverato nell'
ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, in anticipo rispetto alla prevista
programmazione dei check-up (ogni due mesi) cui deve sottoporsi per verificare
le sue condizioni di salute. Gelli si trova nel reparto di prima medicina
generale diretto dal primario Alfonso Lagi e vi dovrebbe restare fino a
mercoledi' 15. Il motivo del ricovero anticipato, secondo il figlio Maurizio,
e' dovuto all' osteoporosi che provoca al padre forti dolori alla colonna
vertebrale. Gelli ha anche problemi di deambulazione per mancanza di mobilita'
alla gamba destra. L' ex-venerabile e' costretto a portare un busto ed
a camminare con un bastone.”Proprio l' aggravarsi delle condizioni complessive
della colonna dorsale e delle ossa - ha spiegato Maurizio Gelli - ci ha
fatto anticipare il suo ricovero”.
20 marzo - Il giudice bolognese Maurizio
Atzori va in trasferta a Firenze per sentire Gelli, ricoverato, in regime
di arresti domiciliari, all' ospedale di Santa Maria Nuova, per chiarire
la posizione di Ivano Bongiovanni, che e' stata stralciata nell' ambito
del processo ter per la strage dell' Italicus del 1974, ma anche per sentirlo
come parte lesa per calunnie da parte di esponenti dei servizi segreti
in merito al suo presunto ruolo di mandante della strage di Bologna dell'
agosto 1980 e dell' omicidio del giornalista Mino Pecorelli, ma Licio Gelli
si avvale della facolta' di non rispondere essendo gia' stato condannato
in un procedimento connesso.
22 marzo – Il settimanale “Diario” pubblica
un’inchiesta
di Gianni Barbacetto, sull’"uomo più potente d'Italia", Giancarlo
Elia Valori, presidente della Società Autostrade e neo eletto presidente
dell'Unione industriali di Roma.
13 aprile - Francesco Cossiga, parlando
a Cagliari, dice:"Massimo D'Alema ha detto con molta schiettezza che da
quando e' a Palazo Chigi si e' accorto che il Governo e' debole e che abbiamo
un sistema in cui il Parlamento vuole fare tutto e non fa niente. Ha detto
una grande verita'. Scherzando gli ho ricordato che questo era il secondo
punto del programma di governo di Licio Gelli. Se queste cose le avesse
dette Berlusconi chissa' cosa gli sarebbe successo".
14 aprile - Giancarlo Elia Valori e' il
nuovo presidente di Autovie Venete, societa' concessionaria dell' autostrada
A4 Venezia-Trieste con diramazioni per Udine e Pordenone. Valori, che e'
anche presidente della societa' Autostrade, e' stato eletto dall' assemblea
dei soci, che si e' riunita a Trieste. Valori, che e' anche presidente
della Societa' Autostrade, del consorzio per la telefonia mobile Blutel,
e dell' Unione industriali di Roma, e' stato insignito oggi anche del titolo
di 'visiting professor' della facolta' di Economia e Scienze Politiche
dell' Universita' di Sydney. Nel corso di una cerimonia nell' aula magna
dell' ateneo, presente anche l' ambasciatore a Canberra Giovanni Castellaneta,
Valori ha ricevuto il titolo dal rettore dell' Universita' Gavin Brown.
L'universita' di Sydney, fondata nel 1850, e' la piu' antica e una delle
piu' prestigiose in Australia. Valori era giunto ieri a Melbourne e lo
stesso giorno ha ricevuto dalla Global Foundation il 'Global Achievement
Award', come riconoscimento della sua attivita' a favore dello sviluppo
delle relazioni Italia-Australia. La Global Foundation, di cui e' presidente
il governatore del Victoria Sir James Gobbo, e' la piu' autorevole istituzione
privata australiana per le relazioni internazionali.
20 aprile - Giancarlo Elia Valori e' confermato
presidente della nuova societa' Autostrade "privatizzate" dal consiglio
di amministrazione eletto ieri. A Valori, eletto presidente per il triennio
2000-2002, sono stati estesi i poteri gia' attribuitigli negli ultimi cinque
anni. Il consiglio ha quindi nominato Gamberale amministratore delegato,
conferendogli i poteri di gestione, e direttore generale Pierluigi Ceseri.
7 maggio - Licio Gelli e' di nuovo ricoverato
all' ospedale Santa Maria Nuova a Firenze. Il figlio Maurizio Gelli spiega
che il padre deve sottoporsi a coronografia, un esame specifico per il
cuore dopo un malore che lo aveva colto una ventina di giorni fa, sempre
mentre era ricoverato nell' ospedale fiorentino per il periodico check-up.
Secondo quanto riferito da Maurizio Gelli, domani i medici che lo seguono
gli comunicheranno se, considerata l' eta' e le condizioni di salute piuttosto
precarie, l' ex venerabile potra' sottoporsi ad un intervento chirurgico
di angioplastica.
9 maggio – Fonti dell' ospedale Santa Maria
Nuova di Firenze fanno sapere che il nuovo ricovero di Gelli e’ dovuto
ad “accertamenti periodici e programmati” e che la dimissione di Gelli
dovrebbe avvenire entro la settimana in corso.
12 maggio - La Corte di Cassazione conferma
nei confronti di Licio Gelli la sanzione di 13 miliardi e 970 milioni di
lire emessa a suo carico dal Ministero del Tesoro nel luglio 1996 e confermata
dal Pretore di Arezzo nel 1997. In particolare Gelli e' stato multato per
aver effettuato il trasferimento di contanti e titoli al portatore per
25 miliardi e 762 milioni tramite intermediari non abilitati; per aver
acquisito da intermediari non abilitati 17 miliardi e 206 milioni in titoli
al portatore; per aver trasferito e successivamente acquisito un miliardo
e 800 milioni senza il tramite di intermediari abilitati. Questi illeciti
furono accertati - ricorda la Cassazione nella sentenza n. 6109, da indagini
della Digos di Arezzo il 17 luglio del 1992 e della Guardia di Finanza
di Roma il 24 agosto dello stesso anno. Invano la difesa di Gelli ha tentato
di sostenere che non erano stati rispettati i termini di 30 giorni per
la contestazione dei reati all'amministrazione del Tesoro. Per la Cassazione,
visto che le inchieste su Gelli riguardavano anche aspetti penali, finche'
il giudice penale non comunica gli illeciti amministrativi al Ministero
del Tesoro quest'ultimo non e' tenuto a promuovere alcuna contestazione.
Dunque il termine dei 30 giorni inizia a decorrere a partire da quando
il ministero riceve gli atti dall'autorita' giudiziaria e in questo caso
la scandenza e' stata rispettata.
12 maggio - Nell'aula della sesta sezione
del tribunale di Roma, dove i giudici stanno valutando una richiesta della
Questura di Roma relativa alla confisca dei beni del venerabile maestro
e dei suoi familiari, nonche' immediate misure di prevenzione, emerge che
per l'ufficio dei carichi pendenti di Roma Licio Gelli e' un cittadino
incensurato. Il certificato penale di Gelli risulterebbe pulito poiche'
fino ad oggi a causa dei grossi ritardi accumulati dall'ufficio nessuno
ha avuto il tempo di annotare le condanne definitive inflitte al venerabile.
E' stata intanto fissata al 7 luglio l'udienza per la produzione documentale
(di cui si occuperanno l'ufficio del pubblico ministero e l'avvocato difensore
Michele Gentiloni) sulla reale posizione penale di Gelli. La sesta sezione
comunque si sta occupando di una voluminosa relazione, 120 pagine, firmata
dal questore Arnaldo La Barbera in cui viene delineata la posizione del
venerabile e tutti i suoi coinvolgimenti in vicende giudiziarie - a partire
dal Banco Ambrosiano, alla bancarotta di numerose societa' del gruppo Di
Nepi, fino ad un presunto coinvolgimento nella morte del politico svedese
Olof Palme - dopo che il 9 marzo scorso gli stessi giudici avevano respinto
la richiesta di sequestro immediato dei beni rinviando tutto all'esame
delle carte nelle udienze successive.
12 maggio - Licio Gelli e' dimesso dall'
ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova dove era stato ricoverato per
sottoporsi ad alcuni esami.
9 giugno - Il processo per i depistaggi
e i controdepistaggi della indagini sulla strage alla stazione di Bologna
si conclude con la condanna a nove anni di reclusione per Massimo Carminati,
a 4 anni e mezzo ciascuno per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore
del centro Sismi di Firenze, e per Ivano Bongiovanni, delinquente comune
con simpatie di destra. Assoluzione invece per il maggiore del Sios dell'
aeronautica Umberto Nobili. La sentenza e' emessa dopo cinque giorni di
camera di consiglio dalla Corte di Assise di Bologna (presidente Maurizio
Millo). Mannucci Benincasa e Carminati sono stati condannati anche al risarcimento
dei danni alle parti civili da liquidarsi in separata sede. I due dovranno
anche rifondere in solido le spese di costituzione difesa delle parti civili
fissate in 125.000.000. In aula al momento della lettura della sentenza
c' erano Mannucci Benincasa e Nobili. Il primo ha lasciato il Palazzo di
Giustizia di Bologna senza fare commenti:"E' troppo presto per parlare",
ha detto. Nobili, invece, e' scoppiato in un pianto liberatorio ed ha abbracciato
i suoi avvocati difensori. "E' stato un atto di autentica giustizia - ha
detto ai giornalisti - Questa' e' un' assoluzione piena (la formula usata
dalla Corte d' Assise e' 'il fatto non costituisce reato') che rende giustizia
ad una sofferenza durata 20 anni". "Sono stato colpevole - ha aggiunto
Nobili - di aver fatto il mio dovere: io non ho mai sporcato la mia uniforme,
altri pero' - e purtroppo del mio ambiente - hanno gettato fango sulla
mia divisa. Comunque sapere che ci sono giudici come questi e' un fatto
che conforta: vuol dire che la magistratura e' sana. Mi spiace per la condanna
di Mannucci Benincasa: lui e' un galantuomo come me". Il Pm Paolo Giovagnoli
nella sua requisitoria aveva chiesto 12 anni per Carminati, 8 per Mannucci
Benincasa, quattro per Nobili e due per Bongiovanni. Il processo, prima
di ricominciare nell' ottobre scorso e durare 32 udienze, aveva avuto un
iter travagliato: si era aperto a Bologna, poi era stato trasferito a Roma,
quindi era tornato a Bologna dopo che lo aveva deciso la Cassazione. Alla
prima udienza Licio Gelli aveva tentato di costituirsi parte civile come
vittima del reato di calunnia al centro del processo. Gelli infatti e'
stato considerato vittima a sua volta di depistaggi, in quanto diventato
- secondo la costruzione dell' accusa - inviso a settori della massoneria
deviata e dei servizi segreti infedeli.
13 giugno - Processo in Corte d'Assise
a Roma contro sette militari accusati della sparizione e della morte in
Argentina di otto civili di origine italiana durante la dittatura militare.
Il giornalista Italo Moretti, all' epoca inviato speciale della Rai in
Argentina, ha ricostruito il contesto storico del colpo di stato militare
e i collegamenti con la loggia massonica P2 e il Banco Ambrosiano
di Roberto Calvi. Parlando del “piu' lucido e scientifico” dei pianificatori
dei massacri, l' ammiraglio Emilio Masera, Moretti ha sottolineato come
il salto di quest' ultimo ai vertici del governo militare sia stato appoggiato
da Licio Gelli. Per il giornalista, Masera in 48 ore fece ottenere al Banco
Ambrosiano una autorizzazione per la quale occorrevano mesi: l' apertura
di sportelli a Buenos Aires. In cambio avrebbe ricevuto appoggio finanziario
e strategico dal Banco e da Gelli. Proprio il legame Masera-Gelli avrebbe
pilotato l' attenzione del quotidiano finito nella P2, il Corriere della
Sera, che “per anni non utilizzo' il termine 'desaparecidos”'. In Italia
erano al corrente dei massacri ai danni dei cittadini italiani Amintore
Fanfani e Giulio Andreotti che “Masera incontro' all' albergo Excelsior
di Roma e che si interessarono alla vicenda”, come confermato in una intervista
videoregistrata da Moretti per la Rai a Masera, trasmessa durante l' udienza.
23 giugno - La Giunta comunale di Milano,
con una delibera firmata dall'assessore agli Affari Legali, Pierfrancesco
Gamba, intende costituirsi parte civile all'udienza preliminare del 28
giugno prossimo contro l'ex presidente del Consiglio comunale Massimo De
Carolis, per il quale i pubblici ministeri Gherardo Colombo e Ilda Boccassini
hanno chiesto il 20 aprile scorso il rinvio a giudizio per concorso in
corruzione e rivelazione di atti segreti nell' ambito delle indagini sull'appalto
per la costruzione del depuratore Milano Sud. “La vicenda dedotta nei capi
di imputazione - si legge nel documento - riguarda principalmente la promessa
di 200 milioni e la corresponsione di 25 milioni da parte di Alain Maetz
a De Carolis” che li avrebbe ricevuti in qualita' di presidente del Consiglio
comunale “per porre in essere comportamenti contrari ai doveri d'ufficio,
consistenti nel favorire le societa' rappresentate da Maetz nelle prequalifiche
dell'appalto”.
26 giugno - Muore per una crisi cardiaca
all'ospedale Oglio Po di Casalmaggiore, dove era ricoverato da qualche
tempo, Pier Carpi, scrittore, sceneggiatore e regista cinematografico nato
a Scandiano (Reggio Emilia) il 16 gennaio 1940. Da tempo viveva e lavorava
a Viadana, in provincia di Mantova. Pier Carpi aveva vinto il premio Bancarella.
Scrisse anche un libro, "Il venerabile" dedicato a Licio Gelli. Il nome
di Pier Carpi era nelle liste dei presunti iscritti alla P2 trovate a Castiglion
Fibocchi.
28 giugno - Si svolgono a Viadana (Mantova),
nella chiesa di San Pietro, i funerali di Pier Carpi.Tra i messaggi di
cordoglio, quello di Licio Gelli.
20 luglio - Il deputato torinese della
Lega Nord Mario Borghezio, in una lettera al Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi, propone la nomina di Edgardo Sogno a senatore a vita.
Sogno, 85 anni, da Natale e' sofferente per gravi disturbi cardiaci ed
e' attualmente ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale
Molinette; le sue condizioni non sono pero' particolarmente preoccupanti.
"Mi pare incredibile - scrive Borghezio nella lettera - che un uomo di
questa levatura rischi di morire dimenticato e abbandonato dall' Italia
ufficiale. I meriti storici e politici di questo coraggioso combattente
per la liberta' di tutti non vanno dimenticati". Anche Stefania Craxi,
figlia di Bettino Craxi, dichiara:"Vorrei testimoniare solidarieta' ad
Edgardo Sogno perche' la sua sofferenza e la sua solitudine mi ricordano
quella di mio padre, Bettino Craxi, al quale la vicenda Sogno arrecava
profonda indignazione". "Vorrei dire al patriota Sogno - aggiunge Stefania
Craxi - che ha il dovere di continuare a lottare e quello di curarsi, perche'
la sua salute e la sua battaglia per la verita' e la giustizia stanno a
cuore di tutti i patrioti, ai garibaldini braccati e agli incalliti libertari
che ancora ci sono in questo Paese".
25 luglio - Il ministro delle Comunicazioni
Salvatore Cardinale insedia il Forum permanente per le comunicazioni con
il compito di monitorare il settore, previsto dalla legge istitutiva dell'
autorita' per le comunicazioni. A presiederlo Cardinale ha delegato Enrico
Manca, presidente dell' Isimm (Istituto per lo studio dell' innovazione
nei media e per la multimedialita') ed ex presidente Rai. Il Forum e' composto
da dieci rappresentanti del ministero, dieci esperti e dieci rappresentanti
delle imprese, e ha il compito di esprimere pareri, formulare proposte
per iniziative anche legislative e studiare lo sviluppo del settore. Manca,
intervenendo all'insediamento del Forum, ha proposto l'utilizzo di "scuole
guida disseminate nel Paese come tanti multimedia-point, nel quadro di
un grande piano di alfabetizzazione multimediale". Combattere il nuovo
analfabetismo significa, ha detto Manca, "contrastare il rischio di nuove
fratture sociali fra i nuovi 'inforicchi' e i nuovi 'infopoveri'. Penso
- ha aggiunto - ad un ricco e capillare sistema in grado di assicurare,
dopo un corso breve, un alfabetismo multimediale di massa, un uso elementare
e primario del computer e della rete". Il nome di Enrico Manca era nei
presunti elenchi di iscritti alla P2 trovati a Castiglion Fibocchi, ma
l' ex presidente della Rai ha smentito di essersi iscritto e ha detto di
aver solo ricevuto da Maurizio Costanzo un invito ad entrare nella loggia
di Gelli, ma di aver rifiutato. La sua versione e' stata confermata dallo
stesso Maurizio Costanzo e da una sentenza della magistratura.
26 luglio – Muore a Milano Adolfo Beria
D'Argentine, magistrato, 79 anni. Beria D' Argentine era stato procuratore
generale di Milano tra febbraio 1987 e dicembre 1990, quando lascio’ l'
incarico e la magistratura per raggiunti limiti di eta'. Nato a Torino
il 5 dicembre 1920. Laureato in giurisprudenza e filosofia, comincio' il
tirocinio come uditore a Biella e passo' poi attraverso vari incarichi
fino ad assumere, nel 1978, quello di presidente del tribunale dei minori
di Milano. E' stato anche segretario generale del Centro di prevenzione
e difesa sociale, capo di gabinetto del Ministero della Giustizia, componente
del Csm e piu' volte presidente dell' Associazione Nazionale Magistrati.
Beria D’Argentine, durante la resistenza, e’ stato uno dei componenti dell’organizzazione
Franchi, un avventuroso gruppo di partigiani bianchi, guidato da Edgardo
Sogno, in contatto con i servizi segreti della Gran Bretagna e degli Stati
Uniti. Con Sogno, Beria d’ Argentine e’ rimasto legato anche in seguito.
Ecco un brano di un’ audizione del marzo 1999 di Alberto Franceschini in
commissione stragi:
PRESIDENTE - ...A questo proposito c’è
un episodio che la riguarda. Quando foste arrestati, nel 1974, è
vero che avevate un carteggio intercorso tra Edgardo Sogno e il giudice
Adolfo Beria d’Argentine che però non risulta fra il materiale sequestrato
?
FRANCESCHINI - E’ stata un’altra delle cose emerse
al processo di Torino del 1978. Durante il sequestro Sossi compimmo due
azioni: una alla sede del CRD (Comitato di resistenza democratica) a Milano
e un’altra al Centro Sturzo (mi sembra che si chiamasse così) a
Torino. In queste due "perquisizioni", soprattutto in quella a Milano presso
il CRD, portammo via una documentazione, consistente in un elenco di persone
che avevano partecipato ad un convegno sulla riforma dello Stato in senso
gollista che si era tenuto a Firenze credo nel 1973-1974.
PRESIDENTE - Capisco a cosa si riferisce.
FRANCESCHINI - Vi era una serie di relazioni
fatte a questo convegno. A una di tali relazioni (riguardava le modifiche
alla Costituzione eccetera) era allegato questo documento anonimo, una
lettera che ricordo ancora cominciava con: "Caro Eddy". Diceva: "Ti ho
mandato le cose che mi chiedevi, ti prego, leggile tu al convegno: sai,
per la mia posizione non posso venire, non posso espormi". Era Beria d’Argentine
che all’epoca credo fosse procuratore di Milano o una roba del genere.
Quando fummo arrestati io e Curcio, questi documenti li avevamo in macchina,
anche perché volevamo renderli noti pubblicandoli in una specie
di libretto. Questi documenti sono scomparsi. Al processo, nel 1978, parlo
di questi documenti e chiedo alla corte di far venire Edgardo Sogno e Beria
d’Argentine in aula e di svolgere un confronto per vedere se erano vere
queste cose che dicevo io. Vennero in aula e confermarono: Beria d’Argentine
disse che era vero, era amico di Sogno dai tempi della "Franchi", un’organizzazione
in cui erano stati insieme durante la Resistenza, c’era un rapporto di
amicizia, lui aveva scritto questa lettera .
PRESIDENTE - Il punto che mi interessa è
che questa documentazione è scomparsa.
FRANCESCHINI - Sì, scompare. La ricordo
ancora perché l’ho guardata, c’era circa un migliaio di nomi. L’elemento
più interessante era un tabulato con moltissimi nomi (ufficiali,
certamente alte personalità dello Stato). Poi, quando è uscita
la storia della Loggia P2 ho pensato che forse c’entrava qualcosa.
Nella richiesta di autorizzazione a procedere
contro il sen. Giulio Andreotti per l' uccisione di Mino Pecorelli, c'
e' una dichiarazione del gen. Nicolo' Bozzo, stretto collaboratore del
gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, raccolta l' 11 maggio 1993. Bozzo dice:
"Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi
di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a
Savona nel 1974/75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento
operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalita' comune organizzata,
massoneria e settori dei servizi deviati. Successivamente al 1° settembre
1978 e cioe' quando il rapporto di dipendenza divenne diretto, il generale
mi invito', in piu' occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo
parere, si fondava sull'esistenza di una struttura segreta paramilitare,
con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni
illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro intemo. A suo parere
questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza,
attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso
il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza. In particolare
il generale mi segnalo' l'Organizzazione Franchi. Un'occasione di discussione
a tale proposito fu l'indicazione da parte di Viglione del nome del Magistrato
Beria D'argentine, come partecipe delle riunioni delle Br il generale,
infatti, la defini' un'azione di depistaggio ma si interrogava sulla funzione
di questa operazione di depistaggio e se essa potesse essere ricondotta
agli organismi di cui ho parlato. In questo contesto, su indicazione del
generale, mi recai anche a contattare un confidente del quale non intendo
fare il nome, avvalendomi del diritto di non rivelare la fonte - che mi
forni' qualche notizia generica, che confermava il senso dell'ipotesi operativa
manifestatami dal generale. Il confidente apparve pero' terrorizzato e
temeva per la propria vita. Egli mi disse che temeva di essere assassinato
da questa síruttura, che pero' non volle indicare specificamente.
In sostanza egli disse che alcune formazioni comuniste erano state infiltrate
durante la Resistenza al fine di portarle all'annientamento. Si trattava
delle formazioni comuniste, socialiste e azioniste. Non volle pero' parlarne
oltre. L'incontro avvenne nell'autunno 1978. Il generale ed io fummo poi
presi da ben altri impegni immediati, anche per il ritmo incalzante delle
operazioni antiterrorismo. Dai primi mesi del 1979, o meglio da quando
vi fu a Roma il processo Viglione, l'interesse del generale scemo', anche
perche' vi era ormai una pubblicita' sul tema e non era piu' opportuno
svolgere indagini di carattere riservato. Ne' si poteva pensare ad aprire
un'indagine vera e propria con quegli elementi, o meglio con le sole ipotesi
di cui si disponeva."
5 agosto - Edgardo
Sogno Rata del Vallino, 84 anni, muore nella sua casa di Torino, stroncato
da una crisi cardiaca. Secondo alcuni e' stato un golpista e un agente
dei servizi segreti occidentali, secondo altri un eroe della liberta' e
un precursore della seconda repubblica e del bipartitismo. Edgardo Sogno
Rata del Vallino, di famiglia nobile piemontese, nasce nel 1915 a Torino.
Nel 1938 si arruola come volontario franchista nella guerra civile spagnola.
Partecipa alla seconda guerra mondiale come ufficiale del "Nizza cavalleria"
ed entra poi nella resistenza come fondatore dell' Organizzazione Franchi,
da lui comandato con il nome di battaglia di Franco Franchi, un gruppo
di partigiani bianchi (ne fa parte anche Adolfo Beria D'Argentine, morto
pochi giorni fa) collegato con i servizi segreti inglesi e con quelli americani
che gli conferiranno la "Bronze star". L'avventurosa banda di Sogno mette
a segno alcune imprese come la liberazione di Ferruccio Parri. Lo stesso
Sogno e' arrestato quattro volte dai nazisti e quattro volte liberato.
Monarchico convinto, nel dopoguerra entra nel Partito liberale. Nel 1948
comincia la carriera diplomatica. Nell' agosto 1950, mentre e' segretario
d' ambasciata a Parigi, riceve l' invito dal ministro dell' Interno Scelba
di organizzare elementi civili di appoggio alle forze dell' ordine e elabora
il progetto degli "atlantici d' Italia", primo abbozzo della futura Gladio.
Nel 1953, con Luigi Cavallo, fonda il movimento "Pace e liberta", un centro
di attivita' anticomunista. Nel 1971 forma i "comitati di resistenza democratica",
che hanno l'obiettivo, come dira' lui stesso, di "impedire con ogni mezzo"
che il PCI vada "al potere, anche attraverso libere elezioni". La sede
dei Comitati viene "perquisita" nel 1974 dalle Brigate rosse che portano
via alcuni elenchi. Queste liste di nomi erano in mano a Renato Curcio
e Alberto Franceschini quando, poco dopo, saranno arrestati. I due brigatisti
denunceranno la sparizione dei documenti. Il 1974 e' anche l'anno in cui,
per l'agosto, Sogno avrebbe organizzato il cosiddetto "golpe bianco", secondo
l'accusa un piano per rapire il presidente Leone, costringerlo a sciogliere
il Parlamento e nominare un governo di tecnici e militari presieduto da
Pacciardi. Sempre secondo l'accusa il piano prevedeva anche campi di concentramento,
un tribunale speciale, la sospensione dell'immunita' parlamentare e lo
scioglimenti del Msi e dei gruppi extraparlamentari di destra e di sinistra.
Sul presunto golpe apre un'inchiesta l'allora giudice istruttore torinese
Luciano Violante che chiede al Sid i documenti su Sogno, che pero' saranno
quasi tutti coperti da segreto di Stato. Il 5 maggio 1976 Violante ordina
l' arresto di Sogno e Cavallo per cospirazione contro le istituzioni dello
Stato. Sogno, in un primo momento, sfugge all'arresto, ma poi si costituisce.
La Cassazione trasferisce pero' l' inchiesta a Roma, ai giudici che si
occupano del golpe Borghese. Dopo un mese e mezzo Sogno ottiene la liberta'
provvisoria. Il 12 settembre 1978 Sogno, con Cavallo, Randolfo Pacciardi,
Remo Orlandini e altri e' prosciolto perche' il fatto non sussiste. Nel
febbraio 1975 intanto, in un comizio a Roma con Pacciardi, propone una
seconda repubblica, presidenziale, come unica soluzione alla crisi del
regime parlamentare giudicato in stato agonico. Per Pacciardi e Sogno "l'Italia
e' un baccanale orgiastico di delitti e rapine".Tra il 1975 e il 1976 Sogno,
con Licio Gelli, Carmelo Spagnuolo, Anna Bonomi Bolchini e altri, e' uno
dei firmatari degli ''affidavit'' a favore di Michele Sindona, dichiarazioni
giurate rilasciate all' ambasciata Usa e rivolte alla magistratura americana
che sostenevano che Sindona era perseguitato dalla giustizia italiana perche'
anticomunista e prendevano posizione contro la sua estradizione in Italia
per il crack della "Banca privata italiana". Nel 1981 il suo nome compare
negli elenchi dei presunti iscritti alla P2 trovati negli uffici della
Gio.Le. di Gelli a Castiglion Fibocchi. Sogno riprende l'attivita' politica
nel 1986, intervenendo al congresso del Pli, che nel 1988 esorta a "favorire
in ogni modo il successo del progetto politico di Craxi" verso un "sistema
bipolare in cui dialogano e si avvicendano al governo due schieramenti,
uno riformista-innovatore, l'altro tradizionalista e moderato". Alle elezioni
politiche del 1996 e' nelle liste di An, candidato del Polo al seggio senatoriale
di Cuneo, ma non viene eletto. Nel 1997, in un' intervista dichiara che
se la secessione di cui parla Bossi divenisse realta' chiamerebbe a raccolta
"gli uomini della Resistenza, tutti, senza distinzione alcuna in una situazione
del genere. Sono vecchio ma se necessario riprenderei le armi". Nel marzo
del 1999 interrompe la sua collaborazione al quotidiano "Il Giornale" perche'
troppo tiepido nei confronti del "clerico-marxismo". A gennaio di quest'anno
Berlusconi dichiara che "Edgardo Sogno e' uno degli uomini che in Italia
merita maggior rispetto e onsiderazione". Il 20 luglio il deputato leghista
Mario Borghezio chiede al presidente Ciampi la nomina di Sogno a senatore
a vita e lo stesso giorno Stefania Craxi, figlia dell' ex segretario socialista,
dice che "la sua sofferenza e la sua solitudine mi ricordano quella di
mio padre, Bettino Craxi, al quale la vicenda Sogno arrecava profonda indignazione".
Sogno, da Natale del 1999, era sofferente per gravi disturbi cardiaci ed
era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale Molinette.
5 agosto - Per Francesco Cossiga "Con Edgardo
Sogno scompare una figura di grande patriota, un liberale che ha onorato
le tradizioni risorgimentali, un combattente eroico della Resistenza, un
democratico che mai e' venuto meno agli ideali civili e morali dell'antifascismo"
e "una vittima della cultura dietrologica e di una concezione illiberale
della giustizia". Per Silvio Berlusconi "Con Edgardo Sogno scompare un
grande italiano, un vero patriota, un testimone esemplare coraggioso della
liberta' e della democrazia". "Sogno - dice ancora Berlusconi - ha subito
nel corso della sua vita un' atroce ingiustizia ed una vergognosa persecuzione
politica, con l' unica colpa di essere un servitore della patria ed un
combattente della liberta'. La sua vicenda ha dimostrato di quali infamie
e di quali bassezze si e' nutrita anche in Italia l' ideologia comunista.
Il suo ultimo trepidante messaggio per l'affermazione della verita', ancora
calpestata e irrisa dagli epigoni dei comunisti, rappresenta per noi un
lascito morale e politico di cui sapremo essere degni. La battaglia per
la liberta' oggi e' piu' forte e piu' consapevole perche' puo' contare
sull' esempio e sulla testimonianza di uomini come Edgardo Sogno. Spero
- conclude Berlusconi - che l' Italia sappia rendergli oggi il dovuto onore".
6 agosto - In un'intervista al "Corriere
della sera" Giulio Andreotti dice che "Edgardo Sogno tutto era tranne che
un golpista. L'accusa non stava in piedi. Perche' fondata su un carteggio
che e' poi risultato inesistente. Essere stati anticomunisti non significa
aver celato disegni eversivi". "Un uomo che ha dato molto alla Resistenza
- ricorda il senatore a vita - per poi finire al centro delle polemiche
su un pregetto di riforma della Repubblica che andava in senso opposto
al modello che fu poi adottato. Un uomo insomma che aveva conosciuto la
politica senza tuttavia mai rimanerne coinvolto fino in fondo". Andreotti
smentisce ogni rapporto tra Sogno e Gladio: "Conosco la vicenda - sottolinea
- anzi, qualcuno non mi ha mai perdonato per aver rivelato quegli elenchi.
E comunque il nome di Sogno non e' mai comparso".
6 agosto - Il generale Gianalfonso d'Avossa,
dimessosi quattro anni fa dall'Esercito e ora responsabile di una fondazione
culturale a San Pietroburgo chiede "Perche' l'ex presidente della Repubblica
Cossiga, invece di dichiarare oggi con fare gesuitico che Edgardo Sogno
e' stato una vittima della cultura dietrologica, non lo ha nominato a suo
tempo senatore a vita?". "L'ex capo dello Stato - prosegue d'Avossa - sempre
pronto a sottolineare la mancanza di coraggio negli altri, come ha fatto
anche in relazione alle ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio
a proposito della strage di Bologna, avrebbe potuto, lui si', fare un gesto
coraggioso, rendendo un omaggio alla Resistenza nel senso piu' ampio del
termine. Un gesto che sarebbe servito anche da riparazione morale nei confronti
dell'uomo Sogno, perseguitato per le sue idee piu' durante la Repubblica
che nell'epoca fascista".
6 agosto - Edgardo Sogno, in uno scritto
dell' 11 luglio scorso, probabilmente l' ultimo, inviato ad amici e ad
intellettuali, nel segnalare numerosi articoli usciti "contro" di lui,
afferma di "essersi battuto per 50 anni per la distruzione dello Stato"
che i comunisti "con i loro amici e alleati sono riusciti a creare". "Non
c'e' soluzione - scrive Sogno riferendosi in modo particolare ai "comunisti"
- al di fuori della distruzione totale di questa realta' perche' le alternative
sono soltanto la nostra sottomissione o il loro annientamento. Il Pc e'
riuscito a rendere ovvia all' opinione comune delle Sinistre la nozione
storica che io sono un mostro antidemocratico e totalitario". In una altro
passo, Sogno sostiene che "sarebbe ridicolo pensare che i comunisti usino
qualche obiettivita' per me che sono un loro nemico, ma e' ugualmente ridicolo
ed assurdo continuare come voi fate ad illudersi che i comunisti accettino
un qualche compromesso di ragionamento obiettivo quando non serva ad una
loro poltica". Tra i destinatari della lettera vi sono Gianni Baget Bozzo,
Marcello Dell' Utri, Mario Cervi, Giorgio Forattini, Paolo Guzzanti, Marcello
Pera, Maurizio Belpietro, il "Foglio", Radio Radicale.
6 agosto - In una lettera alla famiglia
Sogno, Amedeo di Savoia duca d' Aosta scrive:"Nel momento in cui gli italiani
rivolgono l' estremo saluto ad Edgardo Sogno desidero ricordare il legame
antico della sua famiglia con la mia Casa, il suo rapporto di collaborazione
e amicizia con Sua Maesta' il Re Umberto II. Dalla guerra di Spagna alla
Resistenza - ha aggiunto il duca di Aosta - dal referendum istituzionale
a tutta la sua attivita' di intellettuale, di scrittore, di uomo politico,
la stella polare della sua vita sono stati il bene inseparabile del Re
e della patria e la difesa della liberta'. Il suo esempio ed il suo insegnamento
sono patrimonio della storia d' Italia, monito e guida per noi e per le
future generazioni".
7 agosto - Il presidente del Consiglio
Giuliano Amato annuncia che "Salvo ratifica del Consiglio dei Ministri,
ho deciso di far celebrare funerali di Stato per l'ambasciatore Edgardo
Sogno". "Al di la' delle posizioni controverse che Edgardo Sogno ha adottato
in anni successivi - spiega Amato - davanti alla morte prevale il ruolo
dell' eroico combattente contro il nazi-fascismo. Lo straordinario contributo
da lui dato alla lotta partigiana e alla Resistenza di cui era medaglia
d'oro costituisce un indelebile servizio reso alla Repubblica. Mi confortano
nella mia decisione e nella motivazione che la ispira le opinioni che ho
potuto raccogliere in queste ore fra gli esponenti delle organizzazioni
partigiane".
7 agosto - Per la vedova Anna Sogno e le
figlie Laura e Sofia, i funerali di Stato per Edgardo Sogno "sono un primo,
giusto, segno riparatore". La famiglia "ringrazia il Presidente del Consiglio
per avere voluto ascoltare quanti hanno richiesto i funerali di Stato come
segno di riconoscimento del passato di Edgardo Sogno al servizio dell'
Italia, della liberta', della democrazia. E' un primo segno riparatore
- affermano i familiari di Sogno - che riconosce il valore delle battaglie
del nostro congiunto". Nettamente contrario il leader del Pdci Armando
Cossutta:"Esprimo le mie riserve, anzi la mia contrarieta' ai funerali
di Stato per Edgardo Sogno". "Egli - aggiunge Cossutta riferendosi a Sogno
- e' stato meritatamente medaglia d'oro della Resistenza, ma non a tutte
le medaglie d'oro della Resistenza sono stati concessi i funerali di Stato.
Peraltro, se grandi sono stati i suoi meriti nella guerra di Liberazione,
gravi sono state successivamente le sue responsabilita' nel promuovere
ed organizzare movimenti antidemocratici ed anticostituzionali". "Non condivido
pertanto - conclude il presidente dei Comunisti italiani - l'intenzione
del presidente Amato ed i nostri ministri esprimeranno questa medesima
contrarieta'. Per Marcello Pera, responsabile giustizia di Forza Italia,
"Stupisce che ci si meravigli del silenzio della sinistra sulla morte e
la figura di Edgardo Sogno. E' solo la prova di un dogma che il ministro
Berlinguer intese persino introdurre nelle scuole e cioe' che l'antifascismo
e' un valore, l'anticomunismo un oltraggio alla liberta' e l'atlantismo
una schiavitu"'. commenta cosi' la reazione che la sinistra ha avuto alla
morte di Edgardo Sogno. "Contro questa mistificazione - aggiunge Pera -
Sogno combatte' tutta la vita. Fa solo onore a lui che coloro che ieri
lo perseguitarono oggi continuino muti, imbarazzati e codardi a sgattaiolare
dalla propria storia".
7 agosto - A soli tre giorni dalla sua
morte e ad un giorno dai funerali, nasce a Torino la Fondazione Edgardo
Sogno "affinche' - ha detto Anna Sogno, moglie dell' ambasciatore e presidente
della Fondazione - gli ideali e i valori di mio marito che ha dedicato
l' intera sua vita a liberare l' Italia da suoi fardelli, vengano sviluppati,
soprattutto per i giovani". Ed e' infatti ai giovani che Anna Sogno, le
figlie Laura e Sofia e gli amici che hanno accompagnato l' ambasciatore
nelle sue ultime battaglie, guardano con particolare attenzione. "Le poche
speranze che abbiamo - ha detto Anna Sogno, che nonostante il dolore per
la morte del marito, non ha perso lo spirito battagliero - sono nei giovani
perche' i vecchi di questo paese e di questo governo sono corrotti. Ai
giovani mio marito ha voluto dare un messaggio molto semplice: vivere con
senso di giustizia e di dignita' e credere nei valori occidentali della
nostra societa' di stampo cristiano che sono l' onesta', la rettitudine
e l' amore per la verita'. Una cosa che mi addolora molto - ha aggiunto
la vedova, incontrata dai giornalisti nella sua casa di via Donati, piena
di cimeli, ricordi ma anche di tanti quadri da lei dipinti - e' che a tradire
mio marito non e' stata solo la sinistra bugiarda, ma anche la destra italiana,
cosi' attaccata ai suoi beni materiali, con ben pochi ideali e sempre pronta
a fare affari con la sinistra. Tra chi ha reso omaggio alla salma, anche
l' europarlamentare di Forza Italia, Raffaele Costa che ha definito Sogno
"un liberale appassionato e' un combattente per la liberta" e che ha annunciato
il progetto di intitolargli alcune borse di studio. Hanno espresso il loro
cordoglio anche i familiari di Ferruccio Parri (che Sogno tento' di liberare
durante la Resistenza) e Gad Lerner. "Non mi aspettavo certo un saluto
da Violante - ha detto Anna Sogno - che l' ha perseguitato".In casa Sogno
e' giunta anche la telefonata del giornalista Paolo Guzzanti, che ha gia'
aderito alla Fondazione, promossa da Marco Grandi, Gian Nicola Amoretti,
Luigi Sanseverino e Francesco Gironda, tutti collaboratori di Sogno. Il
coordinatore sara' Francesco Perfetti, direttore di "Nuova Storia Contemporanea".
Domani ai funerali ci sara' anche il Duca d' Aosta. Sulla bara, che verra'
posata su un affusto di cannone, secondo il cerimoniale previsto per gli
onori militari alle Medaglie d' Oro, verra' posta una corona inviata da
Vittorio Emanuele e Maria Gabriella di Savoia. I funerali si terranno
nella chiesa Gran Madre di Dio (dopo un corteo funebre che partita' da
casa). La salma verra' tumulata nella tomba di famiglia a Camandona, nel
biellese.
8 agosto - Centinaia di persone partecipano
ai funerali di Stato di Edgardo Sogno, ambasciatore, medaglia d' oro della
resistenza, morto il 5 agosto. In rappresentanza del governo partecipano
il ministro delle Comunicazioni, Salvatore Cardinale, e il sottosegretario
alla Difesa, Gianni Rivera. Il corteo funebre si e' mosso a piedi poco
dopo le 11 dalla casa della famiglia Sogno, in via Donati, per raggiungere
la chiesa della Gran Madre. Ad aprirlo il picchetto d' onore del Nizza
Cavalleria, reggimento di cui l' ambasciatore fu ufficiale. Dietro, un'
autoblindo della Brigata alpina Taurinense con attaccato l' affusto di
cannone sul quale sono state poste la bara, ricoperta dal tricolore, le
medaglie, la sciabola e l' elmo. Quindi una grande corona di rose rosse
e bianche del Duca Amedeo d' Aosta portata dalle guardie d' onore del Pantheon,
come omaggio alla fede monarchica di Sogno. Tra la folla che seguiva il
feretro, la figlia Sofia (la vedova, Anna, e l' altra figlia, Laura, l'
hanno atteso nella chiesa della Gran Madre, cosi' come molte altre personalita'),
i parlamentari Costa, Pera, Sgarbi, Taradash, i vicepresidenti di Camera
e Senato, Biondi e Contestabile, autorita' militari, locali, amici ed ex
partigiani. La chiesa e’ stata scelta dallo stesso Sogno perche' eretta
quando i Savoia rientrarono a Torino (1815) dopo la dominazione napoleonica
che li aveva costretti alla fuga in Sardegna. Il ministro Cardinale ha
spiegato che i funerali di Stato sono stati "il riconoscimento formale
e solenne" dell' impegno di Sogno nella lotta di liberazione. La bara era
coperta dal tricolore, senza pero' lo stemma sabaudo come avrebbe voluto
Sogno. Il funerale di Stato non lo consentiva. Uno stendardo di quel genere
e' stato dispiegato da quattro Guardie del Pantheon che avevano a loro
volta scortato il feretro. Tra la folla un altro paio di bandiere sabaude.
8 agosto - L' ex sindaco di Torino Diego
Novelli dichiara:"Trovo penoso e semplicemente miserevole che il Governo,
per captatio benevolentiae, abbia deciso di concedere gli onori di un funerale
di Stato ad Edgardo Sogno". "Sogno era un paranoico - continua Novelli
- un esaltato che di notte sognava i comunisti che mangiano i bambini.
Non nego che avesse idee legittime, come lo e' lo stesso anticomunismo,
ma per difenderle ricorse a mezzi illeggitimi". "Lasciamo da parte la Resistenza
- continua Novelli - ma dopo la guerra Edgardo Sogno fu un mascalzone:
con Luigi Cavallo allesti' un' organizzazione terroristica che perseguitava
gli operai e terrorizzava le loro famiglie, se soltanto mostravano di avere
simpatie di sinistra o se appoggiavano le idee dei sindacati. Progetto'
anche un golpe, nel '74, che avrebbe portato l' Italia nella guerra civile".
"Per il personaggio che 'e stato Sogno, quindi - conclude Diego Novelli
- trovo un po' strano che uno stato democratico gli abbia concesso l' onore
di un funerale di Stato". Raffaele Costa (Forza Italia) replica:"Credo
che Diego Novelli, persona equilibrata e civile anche se fortemente di
parte, abbia reagito, in modo emotivo se non isterico, ai consensi che
la figura di Sogno ha raccolto sia pure intorno alla sua bara". "Come si
puo' definire con epiteti ingiuriosi - chiede Costa - la figura di un combattente
aspro ma limpido, romantico e temerario, ma onesto, che ha combattuto il
totalitarismo nelle sue forme acute, con le armi da guerra quando fu necessario,
con quelle della politica dopo il conflitto?". Secondo Costa, "Novelli
si crogiola nuovamente con il falso golpe annullato da sentenze inoppugnabili
di piena assoluzione. Sogno ha perseguitato i comunisti? Ma ad essere incarcerato,
per errore, e' stato proprio Sogno". "La realta' - conclude Costa - e'
che Novelli e' uomo troppo perbene per cambiare casacca in modo disinvolto
come hanno fatto tanti altri: e' stato ed e' coerente con il suo passato
di comunista".
8 agosto - Arrestato con Edgardo Sogno
per attentato all' integrita' dello Stato e attentato al Presidente della
Repubblica e successivamente assolto, Giancarlo Cartocci, membro del comitato
centrale del movimento Fiamma Tricolore, afferma che Luciano Violante,
allora giudice istruttore, dovrebbe chiedere scusa a tutte le persone coinvolte
nell'inchiesta. "L' attuale presidente della Camera dei deputati on. Luciano
Violante - scrive Cartocci in una nota - non dovrebbe chiedere scusa solo
ad Edgardo Sogno ma a tutti coloro che ingiustamente accusati sono stati
poi assolti nel procedimento da lui iniziato quando era giudice istruttore
a Torino".
8 agosto – Jean Rodocanachi, 81 anni, ex
manager industriale di origine greca, compagno di Edgardo Sogno nei Comitati
di resistenza democratica, fra le circa 2 mila persone che hanno partecipato
ai funerali di Sogno, dice:“Non siamo mai stati dei golpisti, e' stato
uno dei piu' clamorosi falsi storici italiani”. Anche lui comandante partigiano,
Rodocanichi, che si professa “repubblicano”, fu, come Sogno, coinvolto
(ma mai indagato) nell' inchiesta del 1976 sul “golpe bianco”. “La sentenza
di assoluzione - ricorda - appuro' senza ombra di dubbio che il fatto non
sussisteva. Sottoscrissi, insieme ad altre persone di sicura fede democratica,
come Edoardo Visconti, fratello del regista Luchino, l' atto costitutivo
dei Crd. Non volevamo certo rovesciare lo Stato, ma cercavamo dei minimi
comuni denominatori fra tutti i democratici dell' arco costituzionale per
aiutare l' Italia a combattere i pericoli di diventare uno Stato totalitario
comunista”. “Sogno era un uomo profondamente democratico – conclude Rodocanachi
- ed e' morto ancora con la disperazione della persecuzione, come dimostra
la lettera che ha inviato a me e ad altri 31 amici fidati pochi giorni
prima di morire”.
26 agosto – In un articolo,
il quotidiano “La Nazione” scrive che le temperature elevate di questi
giorni hanno messo a dura prova anche la capacita' di resistenza degli
agenti di polizia in servizio di vigilanza davanti a Villa Wanda, dove
Licio Gelli sta scontando per motivi di salute la condanna per il crack
del Banco Ambrosiano e cosi' il sindacato di polizia Consap ha chiesto
di poter varcare i cancelli della villa per trovare piu' fresco e l' ex
venerabile della loggia P2 ha fatto sapere che li accontentera'. Anzi mettera'
a loro disposizione anche un casottino del giardino, costruito sotto gli
alberi. La richiesta, secondo il quotidiano, sarebbe stata rivolta dal
Consap dopo che la situazione di servizio davanti a Villa Wanda era stata
fatta presente alla questura aretina, ma senza risultati positivi. A far
sapere che Gelli aveva invece accolto "con piacere e affetto la legittima
richiesta dei poliziotti" e' stato l' avvocato Guido Dieci, uno dei legali
di fiducia dell' ex venerabile. Il casotto nel fresco giardino della villa,
gia' attrezzato con un fornello, potrebbe ospitare anche un piccolo frigorifero.
27 agosto - "Noi operatori dell' VIII reparto
mobile di Firenze – si precisa in una nota - ci dissociamo da quanto dichiarato
dal signor segretario del Consap di Arezzo in quanto offende la dignita'
e l' operativita' dei colleghi i quali mai e poi mai hanno richiesto nessun
aiuto per sopperire alla calura e tantomeno tale richiesta puo' essere
avanzata ad una persona che di fatto e' stata condannata con sentenza definitiva
e sottoposta alla misura restrittiva della propria liberta' personale".
"I poliziotti - prosegue la nota – sono persone serie che hanno sempre
espletato le proprie funzioni a dispetto di qualsiasi condizione climatica
avversa e le temperature elevate di questi ultimi giorni non incidono minimamente
sull' operativita' dei colleghi del reparto mobile di Firenze".
1 settembre - Il sottosegretario all' Interno
Massimo Brutti, parlando di mafia e P2 ad un dibattito alla Festa nazionale
dell' Unita', ha detto di ritenere "una vergogna per l' Italia" che Silvio
Berlusconi, il cui nome "risultava nelle liste di quella Loggia", non l'
abbia mai condannata. "Penso - ha affermato - che sia anche una vergogna
per l' Italia di oggi che il capo dell' opposizione, il cui nome risultava
nelle liste di quella Loggia, non abbia mai sentito in questi anni il bisogno
di affermare pubblicamente la sua condanna per quella associazione segreta
e per tutte le associazioni che in modo occulto cerchino di interferire
nella vita democratica del Paese".
28 settembre - Mirko Tremaglia e' stato
prosciolto dall'accusa di diffamazione mossagli dall' amm. Gino Birindelli,
ex segretario di Democrazia Nazionale (il cui nome era nelle liste dei
presunti iscritti alla P2 trovate a Castiglion Fibocchi) perche' il fatto
non sussiste. La vicenda giudiziaria era iniziata dopo il congresso di
Fiuggi, dove Tremaglia aveva denunciato "il ruolo nefasto dei massoni e
di Gelli in particolare nella scissione di Democrazia nazionale, nel 1976-1977
dall'Msi-Dn, ipotizzando rapporti di collaborazione tra gli appartenenti
al movimento scissionista e le Logge Massoniche". Il deputato di An ha
voluto dedicare la "vittoria giudiziaria al figlio Marzio (morto recentemente)
vero protagonista della battaglia anti-massonica di Fiuggi". Proprio quel
congresso infatti voto' quasi all'unanimita' un emendamento proposto da
Marzio Tremaglia che sanciva "l'incompatibilita' tra An e massoneria".
3 ottobre - Gavino Angius, capogruppo dei
Ds al Senato, commentando, in una conferenza stampa alla Camera la relazione
della Corte dei Conti sui rimborsi elettorali dice che "In Italia c'e'
una grave anomalia democratica che e' quella del partito dell'ex piduista
Silvio Berlusconi". "Quando noi abbiamo il partito dell'ex piduista Silvio
Berlusconi - dice ancora Angius - che e' in grado di spendere circa trenta
miliardi soltanto per l'affissione dei manifesti con il suo volto e con
slogan del tutto vacui e generici, noi abbiamo una grave anomalia perche'
nessun cittadino italiano e' in grado di sostenere una spesa simile. Anzi,
nessuna forza politica. Questa e' un'alterazione senza precedenti della
competizione elettorale. Un'alterazione non formale, ma sostanziale, perche'
si determina una disparita' evidente fra i candidati alla guida del governo.
Una disparita' prodotta solo, non dalla capacita', ma dalla ricchezza di
uno di essi. E' una questione enorme, persino piu' grave del conflitto
d' interessi perche' attiene alle regole della stessa competizione elettorale".
"Siamo in presenza - conclude Angius - di un ritorno all' Ottocento,
quando per potersi candidare si dovevano possedere terreni, palazzi e godere
di redditi elevati". Enrico La Loggia, presidente dei senatori di Forza
Italia ribatte: "Come ben sa Angius, il presidente Berlusconi non e' mai
stato 'piduista'. Angius in mancanza di argomenti continua ad insultare,
come fanno i suoi compagni, il leader della Casa delle liberta', riciclando
accuse dimostrate false piu' volte". Angius replica a sua volta:"Vorrei
ricordare al sen. La Loggia che proprio Berlusconi ha affermato che 'essere
piduista non e' un titolo di demerito' e inoltre 'la P2 non fu altro che
uno scoop giornalistico', in data 6 marzo 2000. Berlusconi, inoltre, ammise
- aggiunge il presidente dei senatori Ds - la sua iscrizione alla P2 e
defini' Gelli 'persona stimata'. Quindi Berlusconi per sua stessa ammissione
e' un ex piduista. Perche' il sen.La Loggia si scalda tanto? Tengo a precisare
che la P2 non fu affatto uno scoop giornalistico su cui indago' una commissione
bicamerale e che l' allora presidente Pertini la defini' una 'associazione
a delinquere'"
3 ottobre - I figli di Licio Gelli, le
rispettive mogli e la compagna rumena dell' ex maestro venerabile della
P2 sono stati rinviati a giudizio per aver favorito l' allontanamento e
la latitanza dell' ex venerabile dopo la sentenza della Cassazione sul
crack del Banco Ambrosiano. Secondo l' accusa i due figli, Maurizio e Raffaello
Gelli, le loro mogli e l' amica rumena Gabriela Vasile, avrebbero favorito
non solo l' allontanamento dalla residenza, ma anche il periodo della latitanza,
conclusosi il 10 settembre 1998 con l' arresto a Cannes nel residence dove
Gelli, sotto altro nome, stava soggiornando. I familiari di Gelli non erano
presenti all' udienza nel corso della quale i legali, gli avvocati Giuseppe
Fanfani e Guido Dieci del foro aretino, Eriberto Rossi e Luca Saldarelli
del foro di Firenze, hanno sollevato la questione dell' inutilizzabilita'
delle intercettazioni telefoniche fatte dagli investigatori nel periodo
della latitanza. Il Gip ha accolto la richiesta, ma ha ritenuto che vi
fossero elementi sufficienti per giustificare il dibattimento. Il processo
a febbraio 2001.
10 ottobre - “L'ex piduista e' nelle mani
di Bossi, l'Italia e' nelle mani di Bossi” e’ il commento del capogruppo
dei Ds Gavino Angius (alludendo a Silvio Berlusconi) sulla nuova chiusura
sulla legge elettorale arrivata dal centrodestra.
12 ottobre - L' avvocato Lidia De Gori
Trombetta, difensore di Francesco Pazienza, auspica la concessione della
grazia per il suo assistito. In una nota il legale ha espresso il proprio
accordo perche' questo atto venga promulgato nei confronti ''dei condannati
per l'omicidio del commissario Calabresi'', sottolineando pero' che ''langue
in galera anche Francesco Pazienza''. L'affarista e' chiuso nel carcere
di Parma perche' condannato, come ha precisato il legale, a dieci anni
di reclusione per il reato di calunnia nell' ambito del processo sulla
strage di Bologna e ad otto anni per il ''crack'' del Banco Ambrosiano.
''Per quanto attiene Bologna - ha scritto - Pazienza si e' sempre dichiarato
innocente ed e' innocente come del resto lo sono anche la signora Francesca
Mambro e Valerio Fioravanti. Pazienza – ha proseguito - si e' costituito
ai carabinieri aspettandoli a casa del padre quando la sentenza felsinea
e' diventata irrevocabile''. Auspicando che non ci sia una clemenza ''a
senso unico'', De Gori Trombetta ha sottolineato che Pazienza ''non ha
mai ucciso ne' fatto uccidere nessuno'', che ha gia' trascorso in carcere
''a rate, circa 9/10 anni di galera'' e che ''non ha chiesto mai nulla
ne' mai chiedera' nulla''. ''La grazia – ha concluso l' avvocato - e' un
motu proprio del presidente della Repubblica, puo' essere concessa senza
sollecitazioni o senza formale richiesta''.
20 ottobre - In un'inchiesta condotta dalla
procura di Napoli e guidata dal procuratore Agostino Cordova su "gruppi
massonici occulti internazionali in grado di condizionare la politica italiana"
e' emessa un' ordinanza di custodia agli arresti domiciliari nei confronti
di Nicola e Salvatore Spinello. Oltre a notificare i due provvedimenti
restrittivi con l'accusa di "costituzione, promozione e organizzazione
di logge massoniche occulte e deviate", la Dia ha eseguito perquisizioni
in tutta Italia e in particolare, oltre che a Napoli, a Roma, Bari, Reggio
Calabria, Firenze e Catania. I due arrestati sarebbero stati "al vertice
di gruppi massonici occulti e deviati operanti a livello nazionale e internazionale",
collegati "con settori della camorra e Cosa Nostra". Tra le cose di cui
l' organizzazione si sarebbe occupata "un progetto finalizzato alla rimozione
del giudice Falcone dall' incarico alla procura di Palermo", la "conoscenza
della dinamica della strage di Ustica", i collegamenti con camorra, mafia,
politica e finanza "per condizionare la vita politica italiana" e infine
"un piano criminoso, rimasto nella fase puramente ideativa", per un attentato
a Umberto Bossi. Il loro obiettivo, secondo l'accusa, era quello di "condizionare
e influenzare la vita politica italiana, con pressioni su singoli esponenti
politici, talvolta consapevoli, talaltra inconsapevoli - precisa l'accusa
- nel contesto di un programma secondo cui per arrivare al grande gioco
politico non sarebbe necessario diventare parlamentare ma pilotare i parlamentari".
Tuttavia, grazie "al grande credito - scrive l'accusa - di cui godevano
in ambienti politici nazionali, nei gruppi finanziari e nella pubblica
amministrazione, gli Spinello erano in grado di orientarne le attivita'
nel senso da loro voluto". Da intercettazioni telefoniche eseguite, e riscontrate
dalle ammissioni di un pentito di mafia che secondo indiscrezioni sarebbe
Angelo Siino, sarebbe emerso che Salvatore e Nicola Spinello "operando
in stretto collegamento con esponenti della camorra si sono adoperati per
far eleggere in Parlamento un esponente politico a loro collegato con vincolo
massonico occulto". Si tratterebbe di un senatore eletto a Napoli nelle
liste della Dc nel 1987, la cui campagna elettorale sarebbe stata "finanziata
con somme a lui direttamente consegnate da un esponente apicale della mafia
siciliana oggi collaboratore di giustizia". Inoltre, sottolinea sempre
l'accusa "gli indagati facevano frequente riferimento a costrizioni provenienti
da oltre oceano per incidere sugli equilibri della politica italiana".
Al momento, secondo quanto risulta, nessuno dei singoli episodi ricostruiti
dall'accusa - oltre la presunta appartenenza degli Spinello a logge massoniche
deviate - e' oggetto di contestazione. Neppure il presunto progetto di
attentato al senatore Umberto Bossi, che risalirebbe al 1994, in quanto
- come specificato dalla stessa procura - "e' rimasto nella fase puramente
ideativa".
24 ottobre - Il coordinatore della Segreteria
dei Ds Pietro Folena afferma che “Colpisce molto il fatto che i presidenti
delle regioni Polo-Lega del Veneto e del Friuli alcuni giorni fa abbiano
indicato Giancarlo Elia Valori alla guida del Consorzio Autovie Venete”.
“Le Regioni in questione hanno la maggioranza in quel Consorzio, quindi
la nomina deve essere solo ratificata” ha spiegato Folena, che ha poi ironizzato:
“Sono certo che in nome del federalismo la Lega avra' indicato Valori,
presidente dell'Unione industriali di Roma nonche' di Autostrade e dunque
anche di Blu. Valori avra' avuto questa onorificenza da Polo e Lega dopo
che quest'ultimo gruppo si e' sfilato dall'asta Umts... E' piuttosto forte
il sospetto di un dolo politico”.
16 novembre - Sara' il Tribunale a giudicare
il 18 gennaio Massimo De Carolis, ex presidente del Consiglio comunale
di Milano e attuale presidente della Commissione stranieri, per corruzione
e rivelazione di segreto d'ufficio nella vicenda dell'appalto del depuratore
Milano Sud. Il Gup di Milano gli ha concesso il giudizio immediato e ha
rinviato a giudizio altri cinque imputati. De Carolis e' accusato di aver
ricevuto 25 milioni di lire (di 200 che gli sarebbero stati promessi) per
favorire la societa' francese Compagnie General des Eaux, e altre ad essa
collegate, nelle "prequalifiche dell'appalto per il depuratore". Secondo
il Pm Gherardo Colombo, a dare quei soldi a De Carolis sarebbe stato il
rappresentante della societa', Alain Maetz, il quale in cambio avrebbe
ottenuto, nel settembre 1998, la lista delle imprese che avevano fatto
domanda per partecipare all'appalto e "continua assistenza". Una lista
che doveva restare segreta. L'accusa di corruzione riguarda anche Luigi
Franconi, Ezio Cartotto e Luigi Sirna: avrebbero messo in contatto De Carolis
e Maetz e facilitato i loro rapporti. Nicola Colicchi (la cui posizione
e' stata stralciata) e Agostino Schiavio, rappresentanti rispettivamente
di Aerimpianti e di Passavant Italiana, sono accusati di concorso con De
Carolis in violazione di segreto d' ufficio in relazione alla lista, come
detto, doveva restare segrete. Le accuse riguardano fatti fino al
marzo 1999. De Carolis si e' sempre difeso sostenendo la sua estraneita'
a qualsiasi irregolarita' e questo perche' non ebbe alcun ruolo nelle procedure
d' appalto. Quando l' inchiesta fini' sulla stampa, De Carolis si dimise
dalla carica di Presidente del Consiglio comunale per assumere, dopo un
po', quella di presidente della commissione stranieri. L' udienza preliminare
si e' svolta nel pomeriggio ed e' cominciata con lo stralcio della posizione
di De Carolis che aveva chiesto il giudizio immediato. Quindi, sara' giudicato
senza che la sua posizione sia passata al vaglio del Gup Tranfa. Non e'
una novita': accadde lo stesso qualche mese fa quando comincio' un' udienza
preliminare che, pero', termino' subito perche' il Gup Enrico Tranfa accolse
la l'istanza dei legali degli altri imputati di annullare la richiesta
di rinvio a giudizio, facendo ricominciare tutto dal deposito degli atti
e dalla richiesta di rinvio a giudizio. Il giudice ha quindi fissato il
processo per De Carolis e per gli altri imputati per lo stesso giorno e
davanti alla stessa sezione, la quarta, del Tribunale penale. Per quanto
riguarda il settimo imputato, Nicola Colicchi, lo stralcio della sua posizione
e' dipeso da un legittimo impedimento. Per lui l' udienza preliminare dovra'
proseguire.
29 novembre – Il quotidiano La Stampa”
pubblica un lungo articolo in cui presenta il libro che uscira’ il 5 dicembre,
pubblicato da Mondadori, Dalla Resistenza al golpe bianco. Testamento di
un anti-comunista”, libro di colloqui tra Edgardo Sogno e Aldo Cazzullo.
Le conversazioni sono avvenute lungo l'arco di un anno e mezzo, dalla primavera
del 1999 fino alla morte di Sogno, avvenuta il 5 agosto scorso. La parte
sul Golpe bianco fu messa per iscritto dallo stesso Sogno. La Stampa pubblica
numerosi brani tratti dal libro:
Aldo Cazzullo NEL '76 lei pubblico' un
pamphlet, Il golpe bianco, nel quale da una parte denunciava una persecuzione
giudiziaria nei suoi confronti, dall'altra teorizzava la necessita' di
soluzioni che non rientrano nel calcolo e nel dosaggio politico ordinario”.
Credo che una delle ragioni di questo libro sia chiarire se questo intento
sia rimasto a livello di enunciazione verbale, o sia stato invece accompagnato
da preparativi concreti. Anch'io credo sia arrivato il momento di non tacere
piu' nulla. Quando, come ha previsto Giorgio Galli, la storia d'Italia
del secolo appena concluso sara' riscritta al di fuori della contingenza
politica, mi sara' riconosciuto il merito di aver contribuito alla lotta
per sottrarre lo Stato alla morsa mortale del clerico-marxismo. Un obiettivo
per il quale ritenevo fosse necessario uno strappo da operare non nella
coscienza degli italiani, che in maggioranza l'avrebbero approvato, ma
contro la coalizione moderata, gli intellettuali, le maggiori forze economico-finanziarie
e la Chiesa di sinistra”. Cosa intende per strappo”? Occorreva in sostanza
un fatto compiuto al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale,
in una triplice alleanza di laici occidentali, come Pacciardi, di cattolici
liberali, come Cossiga, e di socialisti antimarxisti, come Craxi. (...)
Occorreva in sostanza ottenere dal presidente Leone lo strappo che De Gaulle
era riuscito a ottenere da Coty. (...) Randolfo Pacciardi, che era su questa
linea da tempo, e che nel tentativo di realizzarla aveva gia' preso contatto
con gruppi politici assai piu' a destra di me, come gli agrari di Ruspoli
e i nazionalisti di Borghese, mi propose di unire al suo progetto di rottura
le iniziative parallele che svolgevo in quel momento”. (...) Qual e' il
momento in cui lei passa dai convegni agli incontri riservati? All'apparire
sulla scena delle Brigate rosse, ebbi la sensazione di un precipitare degli
eventi. Nella primavera del '74 le Br catturano il giudice Sossi e fanno
irruzione nel mio ufficio di Milano, con lo scopo di catturare anche me
(...) Iniziando l'organizzazione militare per lo strappo al vertice sul
modello gollista, io non avevo dubbi, come non ne aveva Pacciardi, di compiere
un atto dovuto, nella difesa della liberta' democratica”.(...) Sta dicendo
di aver intrapreso un'azione con l'appoggio dei militari? Certamente, ma
non solo. Si trattava di un'operazione politica e militare, largamente
rappresentativa sul piano politico, e della massima efficienza sul piano
militare. Nell'esecutivo, che avrebbe dovuto essere guidato da Pacciardi,
erano autorevolmente rappresentate tutte le forze politiche, ad eccezione
dei comunisti, con personalita' liberali, repubblicane, cattoliche, socialista,
ex fasciste ed ex comuniste. Tra loro c'erano cinque medaglie d'oro al
valor militare: due della guerra 1940-43, Luigi de la Penne e Giulio Cesare
Graziani, e tre della guerra di Liberazione: Alberto Li Gobbi, Aldo Cucchi
e io”. Lei parla di organizzazione militare. Su quali forze riteneva di
contare? Le diro' i principali reparti pronti a operare, con i loro comandanti,
che avevo tutti contattati personalmente. La Regione Militare Sud, il comandante;
la Regione Militare centrale, il vicecomandante e il capo di Stato maggiore;
l'Arma dei carabinieri, il vicecomandante; la Divisione carabinieri Pastrengo,
il comandante; la Legione carabinieri di Roma, il comandante; la Brigata
paracadutisti a Livorno, il comandante; la Divisione Folgore, il comandante;
la Marina, il capo di Stato maggiore generale; l'Aeronautica, il capo di
Stato maggiore generale; la guardia di Finanza, il generale comandante;
la Scuola di Guerra, il generale comandante.” (...) . Ci sara' pure stato
qualche alto ufficiale che si sarebbe decisamente opposto. Sapevate anche
di questi? Si', ma non erano molti. Sapevamo ad esempio che il comandante
e il capo di Stato maggiore dell'Arma dei carabinieri dovevano essere neutralizzati.
Ma sapevamo anche che il piu' alto magistrato della Repubblica era con
noi”. A chi si riferisce? Intendo semplicemente dire che Giovanni Colli,
per noi Nino, mio amico personale fin dalla gioventu', che ricopriva negli
Anni Settanta la massima carica della magistratura italiana - era il procuratore
generale presso la Corte di Cassazione - era totalmente d'accordo con me
sulla necessita' di rovesciare il regime cattocomunista con qualsiasi mezzo.(...)
Fu nello studio romano di Pacciardi, nell'ufficio che usava personalmente,
in fondo al corridoio a sinistra, che stendemmo insieme la lista del governo.
(...) ''E per te cosa vuoi?'', mi chiese a un certo punto. Non ebbi esitazioni
e risposi: ''Il ministero della difesa''. Ricordavo le parole di Colli:
''Ma le forze? Le forze?''. E le forze erano li'.Chi le disse si', chi
no, chi ne' si' ne' no. Cominciamo con Eugenio Reale, che avrebbe dovuto
essere il ministro degli Interni (...)lo avvicinai io, e mi disse che avrebbe
acconsentito a prendere parte a qualsiasi azione per abbattere il regime.
Trovai in lui il comunista libero dalle finte remore democratiche, quando
la politica lo esige. Accetto' di essere incluso nel progettato governo
Pacciardi, purche' non ci fossero tra di noi dei tiepidi e degli indecisi
(...) Pensai che fosse importante la sua presenza, come quella di Aldo
Cucchi, per il suo passato e forse per il suo presente comunista, che,
mi auguravo, la democrazia raggiunta avrebbe contribuito a temperare. (...)
Con lui ero in contatto nel Gruppo Medaglie d'oro, e in sintonia politica
da tempo. Il discorso sulla sua adesione era scontato. Quanto a Manlio
Brosio, che sarebbe andato agli Esteri... In sostanza Brosio mi lascio'
intendere che, pur non volendo esporsi nell'azione, a cose fatte avrebbe
aderito. Ricordo una sua frase: ''I colpi di Stato si fanno, non se ne
parla''. Brosio ebbe un suo scambio di idee anche con Pacciardi, organizzato
da me. Non ho pero' notizie sui contenuti”. (...) E i militari? Tra le
alte cariche c'era in primo luogo il generale Liuzzi, gia' capo di Stato
maggiore generale quando Pacciardi era ministro della Difesa. Pacciardi
mi incoraggio' ad andarlo a trovare nella sua casa di Milano. Lo trovai
disponibile (...) Un altro generale che collaboro' con me ai preparativi
e' Alberto Li Gobbi, medaglia d'oro della Resistenza, al mio fianco nella
Franchi, un uomo straordinario. Attraverso di lui ottenemmo l'adesione
ai piani del colonnello Gambarotta, che comandava il reparto paracadutisti
di Livorno. (...) Tra gli ufficiali di Marina era gia' stata avviata un'organizzazione:
quella degli ammiragli Rosselli Lorenzini e Pighini, entrambi miei amici
personali, visto che eravamo stati insieme all'ambasciata a Parigi. Un
settore in cui avevo trovato degli amici pronti a collaborare era l'ambiente
degli ufficiali di cavalleria. Il piu' alto ufficiale che avvicinai in
questo settore e' il mio amico Giorgio Barbasetti, allora a Roma allo Stato
maggiore generale. Il maggior tessitore del piano militare, pero', era
il generale Ricci, che era al comando della Regione militare Sud a Caserta,
e aveva una rete sua di alti ufficiali consenzienti. Lo incontrai piu'
volte a Roma e al casello di Caserta dell'autostrada. Ma era Pacciardi
a tenere il rapporto con lui, e non entrai mai nel dettaglio del piano
preparato e organizzato da Ricci. Dopo aver assunto opportune informazioni,
feci anche qualche reclutamento isolato. Vidi il generale Santovito, che
comandava la divisione Ariete in Veneto, e l'incontro fu totalmente positivo.
Un altro incontro importante, per suggerimento del vice capo dell'Arma
dei carabinieri, generale Picchiotti, lo ebbi a Milano con il comandante
della divisione Pastrengo, generale Palumbo. Questi ando' al di la' del
segno, chiedendomi di ottenere dalla Marina il lancio di missili contro
il carcere di Alessandria dove, a suo dire, erano detenuti molti comunisti
pericolosi”. Un moderato... Palumbo assicurava il concorso di tutti i carabinieri
dell'Italia settentrionale, ma, quando le cose volsero in senso a noi contrario,
si butto' dall'altra parte, e, invece di tacere, per proteggere se stesso
se ne usci' rinnegandomi e insultandomi. Contattai anche qualche alto ufficiale
su cui avevo informazioni positive, come Borsi di Parma, generale della
guardia di finanza, tramite Augusto De Angelis, il finanziere che aveva
accompagnato Cadorna nel lancio con il paracadute. La sua risposta fu sostanzialmente
positiva. Contattai inoltre il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica,
generale di squadra aerea Giulio Cesare Graziani, medaglia d'oro, che aderi'
entusiasticamente. E' interessante notare che nell'inchiesta di Violante
non e' affiorato neppure uno di questi contatti, tanto che si puo' dire
che l'apparato militare abbia tenuto un comportamento irreprensibile”.
Qualcuno le avra' pur risposto di no. Nessuno tra gli uomini che contattai
mi disse di no, anche perche' ero molto cauto nel selezionare gli interlocutori.
C'e' piuttosto un'altra categoria di cui occorre parlare: coloro di cui
tutto mi faceva ritenere che, di fronte al fatto compiuto, non avrebbero
avuto esitazioni, ma che sarebbe stato difficile inserire nell'operazione
fin dagli inizi. Rientrano in questa categoria i democristiani gollisti
del gruppo di Ciccardini e Zamberletti, che avevano elaborato progetti
analoghi e che non dubitavo avrebbero aderito a cose fatte. Una posizione
particolare era quella del mio amico Sergio Ricossa, che ci accompagno'
in tutta la fase preparatoria dei Comitati, chiedendomi talvolta lumi sulla
strada da prendere, ma che negli ultimi tempi aveva dichiarato di voler
rimanere fuori da ogni trama. Ricossa presentava sempre, nell'indipendenza
della sua genialita', una buona dose di imprevedibilita' (...) Il cerchio
dei preparativi si chiuse con il mio contatto con il generale Liuzzi a
Milano e con il generale Ricci nei pressi di Caserta. Il 2 maggio ci fu
l'irruzione delle Br in via Guicciardini. Come ultimo atto, il 2 agosto
tenemmo al Grand Hotel di Roma una riunione politica dei maggiori esponenti
non militari”. E i suoi amici americani, non li avverti'? Nel luglio del
'74 chiesi all'ambasciata americana un colloquio riservato per importanti
comunicazioni. Un funzionario dell'ambasciata venne con un autista al Grand
Hotel e mi accompagno' in una palazzina, all'interno di una vasta proprieta'
recintata appartenente a una comunita' religiosa, sulla via Aurelia, quasi
di fronte all'hotel Holiday Inn. Era la residenza del capo dei servizi
americani per l'Italia, mister Brown. Mi introdusse nel suo studio e dopo
qualche preliminare alzo' al massimo il volume della radio: a quei tempi
era una precauzione contro i microfoni spia. Gli esposi nel dettaglio le
nostre intenzioni e il nostro piano d'azione. Precisai che facevo questa
comunicazione esclusivamente come alleato nella lotta per la liberta' dell'Occidente,
e chiesi quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo americano. Mi
rispose quel che gia' sapevo: gli Stati Uniti avrebbero appoggiato qualsiasi
iniziativa tendente a tenere lontani o ad allontanare i comunisti dal governo.
E aggiunse che se, come sembrava, la situazione italiana avesse preso nei
mesi successivi una piega cilena - accenno' ai cortei di protesta delle
donne di Santiago, che l'anno prima battevano le pentole per strada per
protestare contro Allende - il suo governo avrebbe approvato l'attuazione
del nostro progetto”. Nell'estate del '74 a Washington avevano anche altre
preoccupazioni: si consumavano gli ultimi atti della tragedia vietnamita
e del Watergate. Nixon cadde nell'agosto, proprio nel momento critico.
Lo scenario politico cambio' radicalmente. E il 27 agosto 1974 Violante
apri' le ostilita' pubbliche contro di me, ordinando una perquisizione
in casa mia, a Torino”(...) Di un potenziale oppositore lei prima ha detto
che andava neutralizzato”. Che cosa intendeva? Noi volevamo fare una cosa
pulita, senza versare sangue, se si riferisce a questo. Da cui doveva nascere
una Repubblica presidenziale, non un sistema totalitario”.(...) Ho sempre
amato l'espressione ''golpe liberale''. Suona come un ossimoro, a cui attribuisco
una valenza paradossale, provocatoria, utopistica. Il golpe democratico,
accettato anche da chi resta tagliato fuori, fu un miracolo che riusci'
solo a De Gaulle. Ma il quadro internazionale degli Anni '70 offre altri
esempi di un colpo di forza da cui un Paese usci' piu' equilibrato: penso
alla caduta di Caetano in Portogallo, o, in un primo tempo, a quella dei
peronisti in Argentina”. (...) Lei mi ha detto chiaramente di aver preparato
un colpo di Stato, al quale non mancava che il segnale finale. E di fatto
da' ragione a Luciano Violante che la incrimino' e si adopero' per farla
condannare. La magistratura invece l'ha prosciolta perche' il fatto non
sussiste”. Come lo spiega? Se guardiamo soltanto all'aspetto giuridico-formale,
e' vero che il colpo di Stato non sussiste, perche' non e' mai avvenuto.
Certo, il codice contempla e punisce anche la preparazione di iniziative
eversive, ma il magistrato che la vuole reprimere deve provarla: non basta
raccogliere indizi o maturare una convinzione, smentita dal mio proscioglimento.
Violante falli' totalmente nel provare giudiziariamente la nostra organizzazione,
anche se la sua azione di demolizione della mia figura e della mia posizione
fu senza dubbio un successo per i comunisti, e mi escluse senza riserve
dalla vita politica. Per me le conseguenze negative non furono soltanto
politiche, ma anche economiche, di carriera, di relazioni sociali, con
perdite di occasioni di lavoro giornalistico e culturale, con umiliazioni
ed esclusioni, con danno irreparabile alla carriera diplomatica e a ogni
forma di relazione ufficiale con lo Stato. Lei teme che queste pagine vengano
liquidate come parole vane. Neppure io me me stupirei. Vede, tra noi, da
una parte, e Violante, il suo partito e i suoi alleati dall'altra, c'e'
tuttora uno scontro da guerra civile. E la guerra civile e' una prova non
soggetta ad altra legge che non sia quella della forza. Noi occidentali
abbiamo perso un round, ma la partita si sta ancora giocando”.
E’ evidente che le anticipazioni della Stampa
provocheranno una serie di polemiche. Va pero’ ricordato che le dichiarazioni
di Sogno erano gia’ in buona parte conosciute, compreso l’ elenco dei ministri
del governo golpista che si sarebbe dovuto insediare. Lo stesso Sogno aveva
parlato di questa lista in una trasmissione radiofonica nel 1997 e l'elenco
dei ministri” , informati o no di questo loro incarico, era stato pubblicato
nel libro Lo Stato parallelo” di Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannuli ed
anche nella contestata proposta di relazione dei Ds per la Commissione
stragi. Del golpe liberale” predisposto nel 1974 per contrastare un' eventuale
andata al potere delle sinistre, l' ex ambasciatore aveva parlato ripetutamente
in modo abbastanza ampio. Nel 1990, una sua intervista al settimanale Panorama”
aveva provocato diverse richieste di riaprire il caso. Nello stesso anno,
in una lettera al giudice veneziano Felice Casson, Sogno dice tra l' altro
che il giuramento degli ufficiali suoi seguaci e' depositato presso un
notaio milanese. Nel marzo 1997 Sogno rende noto l' elenco di quello che
avrebbe dovuto essere il governo da instaurare dopo il golpe: Presidente
del Consiglio Randolfo Pacciardi; sottosegretari alla presidenza del consiglio:
Antonio de Martini e Celso De Stefanis; ministro degli Esteri: Manlio Brosio;
Interni: Eugenio Reale; Difesa: Edgardo Sogno; Finanze: Ivan Matteo Lombardo;
Tesoro e Bilancio: Sergio Ricossa; Giustizia: Giovanni Colli; Pubblica
Istruzione: Giano Accame; Informazione: Mauro Mita; Industria: Giuseppe
Zamberletti; Lavoro: Bartolo Ciccardini; Sanita': Aldo Cucchi; Marina Mercantile:
Luigi Durand de la Penne. Tra questi, Ricossa, Accame, Mita, Ciccardini,
Zamberletti e Cucchi sarebbero stati inseriti nell’ elenco senza essere
stati preventivamente consultati. Sulla vicenda Sogno aveva gia' pubblicato
il libro Il golpe bianco” nel 1978, pubblicato dalle Edizioni dello Scorpione.
1 dicembre - Massimo Donelli e’ designato
direttore responsabile di “24 Ore.tv”, la nuova televisione satellitare
del Sole 24 Ore, che dovrebbe cominciare le trasmissioni in aprile del
2001. Donelli lascia CiaoWeb, il portale Internet di cui e' stato responsabile
dei contenuti dal primo febbraio.
1 dicembre – Il settimanale L’ Espresso”
pubblica un articolo, firmato Peter Gomez e intitolato E il cavaliere giocava
con la Palina”, su un rapporto del centro operativo Dia di Palermo, consegnato
il 15 novembre ai pm del processo per concorso esterno in associazione
mafiosa contro Marcello Dell'Utri.
Gli uomini della Direzione investigativa antimafia
– scrive L’ Espresso - non sembrano avere dubbi. Anche per loro, così
come avevano già evidenziato gli esperti di Bankitalia in una relazione
del marzo del 1999, alla base dell'impero multimediale di Silvio Berlusconi
ci sono capitali «provenienti da canali non ufficiali del credito».
Circa 100 miliardi transitati nelle casse delle 22 Holding Italiana, le
società che tenevano in mano l'azionariato Fininvest, dei quali
non è possibile conoscere l'origine. È questa la conclusione
di un rapporto del centro operativo Dia di Palermo, consegnato il 15 novembre
ai pm del processo per concorso esterno in associazione mafiosa contro
il deputato di Forza Italia Marcello Dell'Utri. Poco meno di 600 pagine
nelle quali si ricostruiscono i passi salienti di un'indagine durata quasi
tre anni. Un'inchiesta che, in gran segreto, ha portato gli investigatori
ad ascoltare come testimoni decine e decine di persone. Dai vertici della
Banca Rasini, l'istituto presso il quale lavorava Luigi Berlusconi, il
padre del Cavaliere, a quelli della Bnl. Dai commercialisti di fiducia
della Fininvest ai prestanome che, negli ultimi anni Settanta, misero in
piedi il reticolo societario attraverso il quale i miliardi misteriosi
confluirono nelle casse del Biscione. Le sorprese maggiori arrivano dalla
documentazione ritrovata alla Saf, una fiduciaria della Bnl che per conto
di Silvio Berlusconi controllava buona parte del capitale delle 22 Holding
e di altre società del gruppo. Tra il 1977 e il 1980 è la
Saf, insieme alla "gemella" Servizi Italia, a occuparsi degli aumenti di
capitale del gruppo Fininvest. Quasi tutte le operazioni avvengono "franco
valuta", ovvero sono concluse dai fiducianti (Berlusconi e famiglia) senza
che le fiduciarie pretendano copia dei bonifici e degli assegni utilizzati
per gli aumenti di capitale. Si tratta di una pratica considerata anomala
soprattutto alla luce degli appunti di lavoro ritrovati alla Saf. Almeno
in un caso - l'aumento di capitale dell'Immobiliare Coriasco da 200 milioni
a due miliardi e 200 milioni - la Saf riceve dagli uomini del Biscione
denaro in contante (due miliardi) e poi provvede essa stessa a trasformare
le banconote in assegni circolari. A trasportare materialmente le borse
con i soldi fino agli uffici della fiduciaria è, nel marzo del 1979,
Giovanni Dal Santo, un commercialista prestanome di Berlusconi. L'operazione
viene però falsamente classificata come «franco valuta»
in virtù di una lettera inviata da Luigi Foscale, lo zio di Berlusconi,
alla Saf, nella quale si sostiene che i fiducianti avrebbero provveduto
a versare direttamente l'aumento di capitale nelle casse della Coriasco.
Sempre negli uffici delle due fiduciarie Bnl, è stato ritrovato
uno schema nel quale sono riassunti tutti i flussi finanziari fatti pervenire
alla Fininvest tra il 1977 e il 1978 per un totale di circa 17 miliardi.
La cosa sorprendente è che i versamenti avvengono spesso a un giorno
di distanza l'uno dall'altro, anche per importi molto piccoli. Così
a metà maggio del '77 nelle casse Fininvest arrivano ogni 24 ore
versamenti da 700 milioni, 740 milioni, 116 milioni, 383 milioni, 913 mila
lire. E lo stesso accade nei mesi successivi. Da qui il sospetto della
Dia che almeno parte di questo denaro fosse in contanti. Del resto, come
ha raccontato agli investigatori Francesco Bignardi, il direttore generale
della Bnl che nel 1981 dovette ripulire la banca dai dirigenti iscritti
alla P2, a quell'epoca circolava con insistenza una voce: il denaro utilizzato
dal Cavaliere per costruire il suo impero era probabilmente costituito
da capitali italiani esportati illegalmente all'estero durante il terrorismo
e poi fatti rientrare nel nostro paese. A questo punto solo Berlusconi,
quando sarà interrogato, potrà spiegare come sono andate
realmente le cose. È però un fatto che la Bnl era allora
profondamente contaminata dagli uomini della loggia di Gelli. E che, come
Berlusconi, era iscritto alla P2 anche Gianfranco Graziadei, il numero
uno di Servizi Italia. Una circostanza sottolineata nei loro interrogatori
sia da Bignardi che dall'attuale ministro dei Lavori pubblici Nerio Nesi,
dal '78 all'89 presidente della Banca Nazionale del Lavoro. Ma se in questi
casi ci si trova davanti a denaro d'ignota provenienza, in altri casi gli
investigatori si sono trovati davanti a soldi apparentemente virtuali.
Giampietro Peveraro, direttore negli anni Settanta della filiale di Segrate
della Banca popolare di Abbiategrasso, ha spiegato agli uomini della Dia
di aver avallato operazioni di girofondi «che partendo da società
del gruppo transi-tavano per altre società e poi tornavano alla
società iniziale». L'episodio più clamoroso è
quello della Palina srl, una società utilizzata da Berlusconi il
19 dicembre del 1979 per aumentare (attraverso le Holding) il capitale
Fininvest di ben 27,68 miliardi. Nel giro di un giorno Palina versa i soldi
alla Saf che a sua volta li gira alle Holding, che li versano alla Fininvest,
la quale bonifica il tutto alla Milano 3 srl. Il malloppo però non
resta apparentemente fermo neanche un minuto. Milano 3 srl, infatti, stando
alla documentazione bancaria pare restituire i soldi a Palina. Ma Peveraro
fornisce alla Dia un'altra spiegazione: «Ritengo», dice in
burocratese stretto, «che non si sia trattato di un effettivo movimento
di denaro, bensì di operazioni che riflettendo la contabilità
delle società menzionate, rappresentavano la giustificazione contabile
di operazioni di aumento di capitale. Operazioni che non comportavano costi
né alle società né alla banca». Ovvero: il movimento
di denaro non c'è mai stato, le operazioni erano solo contabili”.
2 dicembre - La procura della Repubblica
di Perugia presenta appello contro la sentenza con la quale Giulio Andreotti
ed altri cinque imputati sono stati assolti dall' accusa di avere fatto
uccidere Mino Pecorelli. Le motivazioni dell' appello sono state depositate
nella cancelleria del tribunale di Perugia pochi minuti prima che questa
chiudesse al pubblico. Era l' ultimo giorno utile per la formalizzazione
del ricorso. Il provvedimento riguarda Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano
Badalamenti e Giuseppe Calo', i presunti mandanti dell' omicidio; Michelangelo
La Barbera e Massimo Carminati, ritenuti dall' accusa i killer del giornalista.
Tutti, il 24 settembre 1999, sono stati assolti dalla Corte d' assise di
Perugia con la formula perche' il fatto non sussiste”. I pm ne avevano
invece chiesto la condanna all' ergastolo. L' appello e' stato firmato
dal procuratore capo di Perugia, Nicola Miriano, dall' aggiunto Silvia
Della Monica, e dai sostituti Alessandro Cannevale, Sergio Sottani e Mario
Palazzi. E vabbe' Giulia, vorra' dire che sara' un' occasione per rivederci”:
e' stato ironico come al suo solito il senatore a vita Giulio Andreotti
quando ha ricevuto la notizia dell' appello dei pm di Perugia da uno dei
suoi difensori, l' avvocato Giulia Bongiorno. Ma non era l' ultimo giorno
utile?” ha poi chiesto l' ex presidente del Consiglio al suo legale che
gli aveva annunciato una brutta notizia”. Si - e' stata la risposta dell'
avvocato Bongiorno - l' ultima ora dell' ultimo giorno...”. Fisiologicamente
- ha sottolineato Bongiorno - Andreotti e' quello che soffre piu' di tutti
di questa situazione, ma non vuole farlo pesare. Ora ci si pone un duplice
problema: i tempi che si allungano e dovremo combattere su due fronti”.
I difensori di Andreotti visto il prolungarsi dei tempi per il deposito
dell' appello perugino erano ormai quasi convinti che non ci sarebbe stato
un processo di secondo grado. A Palermo si era subito diffusa la voce che
ci sarebbe stata un' impugnazione - ha detto il legale - a Perugia credevamo
invece in un esito diverso”. Bongiorno ha quindi svelato un retroscena
della giornata. Verso mezzogiorno e mezzo - ha spiegato - visto che non
si sapeva nulla, stavo per chiamare il presidente Andreotti per annunciargli
che non ci sarebbe stato appello. Per fortuna la prudenza mi ha bloccato”.
E' un' iniziativa, pur legittima, traboccante di protervia antistorica
- e' il primo commento dell' avvocato Giovanni Bellini, componente del
collegio difensivo di Giulio Andreotti - La storia non solo ha assolto
il senatore Andreotti, ma ne sta onorando i meriti. Credo, purtroppo, condannera'
senza appello quanti lo stanno invece perseguitando”. Anche nella difesa
di Claudio Vitalone sembra esserci soddisfazione per la decisione della
procura di Perugia. Se non avessero impugnato i pm - ha detto l' avvocato
Carlo Taormina - eravamo pronti noi a ricorrere in Cassazione. A parte
le ultime 30 pagine della motivazione, le uniche che si interessano della
vicenda omicidiaria, tutto il resto e' una serie di incredibili alterazioni
dei fatti processuali attraverso i quali, per utilizzare la formula dell'
estensore, solo schizzi di fango potevano essere gettati in faccia a Claudio
Vitalone”. Il legale ha detto che accoglie di buon grado l' iniziativa
della procura di Perugia perche' sara' la Corte d' assise di appello a
fare giustizia anche di insinuazioni spesso tradotte in vere falsificazioni
delle risultanza processuali”.
2 dicembre – Il quotidiano La Repubblica”
pubblica un lungo editoriale di Eugenio Scalfari sul libro di Sogno:
“La rivelazione – scrive Scalfari - per certi
versi è ovvia, per altri del tutto inattesa: in un libro-intervista
di Aldo Cazzullo che sta per uscire nelle librerie e che fu approvato dall'intervistato
e anzi per le parti più importanti scritto direttamente da lui (Testamento
di un anti-comunista, Mondadori), Edgardo Sogno racconta con dovizia di
particolari che nel luglio-agosto del '74 stava per lanciare un vero e
proprio "golpe" che egli paradossalmente (l'avverbio è suo) definisce
liberale perché aveva come fine di "rovesciare il regime catto-comunista".
Quale fosse questo regime chiarisce con esattezza da quale livello di furore
ideologico fossero posseduti gli organizzatori di quell'operazione: il
governo in carica era infatti presieduto da Mariano Rumor, un democristiano
doroteo di centrodestra, al Quirinale c'era Leone, certo non sospetto di
simpatie comuniste e anti-atlantiche, alla Difesa Andreotti, agli Interni
Taviani. Eppure, nella distorta e ossessiva immaginazione dei golpisti,
questo era un regime liberticida di tale pericolosità da giustificare
un colpo di forza per insediare un governo con pieni poteri sospendendo
le garanzie costituzionali e mettendo la sinistra politica e sindacale
definitivamente fuori gioco. Non si trattava di una "intentona", come era
stato esattamente dieci anni prima il "tintinnio di sciabole" del generale
De Lorenzo. L'"intentona" è infatti una sorta di golpe virtuale,
un' esibizione muscolare capace però di divenire operativa ma soltanto
nel caso che il suo primo obiettivo sia mancato e il primo obiettivo è
quello di realizzare uno spostamento a destra dell'asse politico nazionale.
L'"intentona" di De Lorenzo, voluta dall'allora capo dello Stato Antonio
Segni e accettata dal presidente del Consiglio Aldo Moro, ottenne gli sperati
effetti politici e non dové quindi passare alla fase esecutiva.
Niente di simile però per quanto riguarda la cospirazione rivelata
ora da Edgardo Sogno: i congiurati avevano di mira la presa del potere,
era già stato deciso l'organigramma del nuovo governo, le alleanze
erano state stipulate, i tempi e i modi dell'operazione decisi. Quando
il piano è ormai pronto per scattare siamo nell'agosto 1974, la
strage di Brescia è avvenuta appena tre mesi prima, le Br hanno
da poco fatto la loro comparsa, la grande stagione referendaria dei diritti
civili è in pieno corso, il Pci di Enrico Berlinguer sta guadagnando
per la prima volta il consenso di vasti settori di ceto medio e borghese.
Ma Sogno (e Pacciardi che è il vero capo dell'operazione) sono pronti
e non si tratta certo di un "golpe da operetta", come del resto non lo
era stato quello di Junio Borghese tentato quattro anni prima. Il gruppo
dei congiurati (non si può che chiamarli così) coinvolge
gran parte dell'apparato militare, si avvale del consenso attivo o "attendista"
di importanti settori politici ed economici, ha ottenuto il "via libera"
dal responsabile in Italia dei Servizi americani. Questo è il quadro,
questo il contesto. Sogno lo definisce così: "Occorreva uno "strappo",
un fatto compiuto al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale
in una triplice alleanza di laici occidentali come Pacciardi, di cattolici
liberali come Cossiga e di socialisti antimarxisti come Craxi". Per arrivare
al risultato occorreva in sostanza "sospendere" la democrazia e scatenare
la guerra civile. Pazienza, il fine giustifica i mezzi, avvenga quel che
può e non si guardi troppo al sottile. Il racconto della congiura
fatto da Sogno, con i nomi e i ruoli dei comandanti militari coinvolti
nell'operazione, è impressionante. Ne erano parte attiva: il comandante
della Regione militare Sud, generale di corpo d'armata Ugo Ricci che -
dice Sogno - era la vera mente militare dell'operazione; il vicecomandante
della Regione militare Centrale, generale Salatiello; il capo di Stato
maggiore della Regione Centrale, generale Barbasetti; il vicecomandante
dei carabinieri, generale Picchiotti, già capo di Stato maggiore
dell'Arma all'epoca di De Lorenzo e del "Piano Solo", iscritto alla Loggia
P2; il comandante della divisione dei carabinieri Pastrengo, generale Palumbo
(Loggia P2); il comandante della legione dei carabinieri di Roma; il comandante
della divisione Folgore, generale Santovito (poi capo del Sismi con Cossiga
ministro dell'Interno ai tempi del rapimento Moro) affiliato alla Loggia
P2; il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Rosselli Lorenzini;
l' ammiraglio Gino De Giorgi, suo successore nella carica; il capo di Stato
maggiore dell'Aeronautica, generale Lucentini; il comandante della Seconda
Regione Aerea generale Graziani; il comandante della Guardia di Finanza
generale Borsi; il comandante della Scuola di Guerra, generale Zavattaro
Ardizzi; il generale dell'Esercito Alberto Li Gobbi. Erano invece considerati
avversari "da neutralizzare" il comandante generale dei carabinieri Enrico
Mino e il suo capo di Stato maggiore Arnaldo Ferrara. Altre adesioni militari
e politiche importanti erano quelle di Luigi de la Penne, medaglia d'oro
al valor militare; Aldo Cucchi, comunista titoista espulso dal Pci; Eugenio
Reale, ex comunista designato a ministro dell'Interno nel governo golpista
presieduto da Pacciardi. Manlio Brosio era stato designato ministro degli
Esteri ma si era riservato di accettare. Alla Difesa sarebbe andato lo
stesso Sogno, alle Finanze l' economista Ricossa. Anche il generale Liuzzi,
già capo di Stato maggiore della Difesa e il Procuratore generale
della Corte di Cassazione, Giovanni Colli, erano della partita. I lettori
troveranno in altre pagine del giornale le parti più significative
del racconto fatto da Sogno al suo intervistatore, il quale alla fine dell'intervista
gli pone due domande d'importanza capitale. La prima: queste rivelazioni,
una volta conosciute dal pubblico, saranno credute vere o verranno considerate
frutto d'una mente narcisistica e mitomane? La seconda: aveva dunque ragione
l'allora giudice istruttore Luciano Violante che mise Sogno sotto inchiesta
e lo fece arrestare ma poi dovette liberarlo perché la Corte lo
assolse con formula piena "perché il fatto non sussiste"? Alla seconda
domanda Sogno risponde: sì, Violante aveva ragione poiché
anche se il golpe non scattò i preparativi erano in una fase molto
avanzata e il Codice penale prevede che simili predisposizioni configurino
un reato di sovversione. L'errore di Violante fu di non aver raccolto prove
sufficienti a convincere la magistratura giudicante. Alla prima domanda
Sogno ammette che il suo raccontopossa esser giudicato fantasioso dall'opinione
pubblica, ma lui sa com'erano andati i fatti e ritiene che a questo punto
sia necessario rivelarli nella loro pienezza, se non altro per tenere accesa
la fiamma dell'anticomunismo contro un pericolo che egli giudica ancora
terribilmente attuale. Un fatto comunque è certo: le affermazioni
e il racconto di Sogno sono assistite da un'esauriente documentazione che
il capo della Franchi ha mostrato ad alcuni suoi amici ma di cui la magistratura
inquirente non riuscì a suo tempo a entrare in possesso. Comunque
la vera prova della pericolosità del "golpe liberale" è nelle
mani e nella memoria d'un uomo che non parlerà mai ma che ebbe il
merito d'averlo fatto fallire insieme ad altre due persone: quest'uomo
è Giulio Andreotti, gli altri due sono Paolo Emilio Taviani e, per
l'appunto, l'allora giudice istruttore di Torino Luciano Violante. Andreotti
era allora ministro della Difesa dopo essere stato per due anni presidente
del Consiglio. Il contesto internazionale era profondamente cambiato dopo
le dimissioni di Nixon per lo scandalo Watergate e il tramonto politico
di Henry Kissinger. Delle ripercussioni delle vicende americane sulla politica
interna di alcuni paesi della Nato parla diffusamente Giovanni Pellegrino,
presidente della Commissione Stragi, nel suo libro-intervista intitolato
"Segreto di Stato". Pellegrino sostiene che il '74 fu un anno di svolta
nella politica estera americana nel senso che - fermo restando il tradizionale
anticomunismo di una guerra fredda appena appena intiepidita, furono abbandonati
i metodi di sostegno alle trame, alla strategia della tensione e a regimi
conservatori o francamente reazionari in Europa. Caddero infatti, poco
dopo le dimissioni di Nixon e il ritorno dei democratici alla Casa Bianca,
il regime portoghese e quello dei colonnelli greci. In Italia - scrive
Pellegrino - fu spezzata la connivenza che fin lì era stata stretta
e continua, tra organismi istituzionali e apparati di forza italiani e
Nato da un lato e manovalanza neofascista dall'altro. In questo nuovo contesto
accaddero nei palazzi del Potere alcuni fatti di notevole rilievo.
1. Il ministro della Difesa, Andreotti, licenziò
il capo del servizio segreto militare, generale Miceli e mise al suo posto
il generale Maletti, già capo della sezione controspionaggio del
Sid. L'8 luglio del '74 Maletti inviò un rapporto ad Andreotti nel
quale parlava estesamente dei preparativi golpisti del gruppo Pacciardi-Sogno
e segnalava i nomi dei militari più compromessi in quell'operazione.
A seguito di quel rapporto Andreotti dispose immediatamente il trasferimento
ad altri incarichi dei generali Zavattaro Ardizzi (Scuola di Guerra), Santovito
(Folgore), Salatiello (Regione militare Centrale). Pochi giorni dopo anche
il comandante della Guardia di Finanza abbandonava l'incarico. Questi movimenti
repentini disarticolarono il piano della congiura e suscitarono grande
timore negli altri ufficiali più compromessi. Il comandante della
divisione Pastrengo, generale Palumbo, che fin lì era stato uno
dei punti di forza del piano poiché da lui dipendevano tutte le
legioni dei carabinieri dislocate nella Valle Padana, "tradì" (così
si esprime Sogno) e passò dalla parte del governo rivelando gran
parte delle intenzioni dei congiurati. (È fantastico assistere al
passaggio dalla parte del governo del comandante d'una divisione di carabinieri;
ma del resto non era la prima volta che ciò accadeva).
2. Taviani, all'epoca ministro dell'Interno,
portò a conclusione lo sganciamento tra gli apparati istituzionali
di forza e la manovalanza fascista. Fece arrestare il capo del Mar (Movimento
di azione rivoluzionaria) Carlo Fumagalli che era in stretto contatto con
Sogno e Pacciardi, e sciolse le organizzazioni neofasciste Ordine Nuovo
e Avanguardia Nazionale. In agosto (è Sogno ad affermarlo) Taviani
allertò su di lui l' attenzione del giudice istruttore Violante.
3. Violante mise Sogno sotto sorveglianza, aprì
un'inchiesta su di lui e sulla sua organizzazione e infine lo arrestò.
Così fallì il "golpe liberale" che segnò il culmine
delle tante trame che avevano avvelenato la politica italiana nei precedenti
dieci anni con radici ancora più remote risalenti alla Resistenza,
all'immediato dopoguerra, alla fondazione di Gladio e delle altre organizzazioni
segrete anticomuniste, all'organizzazione paramilitare del Pci poi denominata
Gladio Rossa. Continuarono ancora le bombe stragiste e prese sciaguratamente
quota il terrorismo delle Br. La tesi di Giangiacomo Feltrinelli, che fu
uno dei "proto-brigatisti" agli inizi degli anni Settanta, addossava alle
trame eversive della destra la responsabilità dell'appello ai vecchi
partigiani affinché riprendessero le armi in difesa della democrazia
in pericolo. La tesi di Sogno è simmetricamente opposta: appello
ai partigiani anticomunisti affinché difendessero la patria e la
libertà. Difficile stabilire quale parte attaccò per prima
producendo la reazione difensiva dell'altra. Dal punto di vista del calendario
un fatto è certo: la strage di piazza Fontana con le sue vittime
e i suoi loschi depistaggi avvenne il 12 dicembre del '69. Il sangue cominciò
a scorrere da quel momento in poi.
Ha scritto ieri sul "Foglio" Giuliano Ferrara
che l'"Eroe Sogno" forse si è lasciato andare a una "intenzione
testimoniata per i posteri, una follia idealistica che era tipica di un
grande visionario e ardente combattente". Comunque, prosegue Ferrara, "il
furibondo anticomunismo atlantico di Sogno doveva esser combattuto sul
piano politico non su quello giudiziario". Par di capire che, dopo le rivelazioni
di Sogno, tocchi a Luciano Violante di chiedere scusa dopo che il suo imputato
del '74 gli ha fornito prove e riscontri di quanto la Procura di Torino
avesse visto giusto. Evidentemente questi personaggi d' avventura considerano
che la legge, il codice, la giurisdizione, l'azione penale obbligatoria,
siano carta da cesso con la quale pulirsi i piedi quando scomoda. Quanto
a Edgardo Sogno e a tutta la variegata compagnia che, con assai minor follia
visionaria di lui, gli tenne bordone e rappresentò per trent'anni
il sistema delle istituzioni illegali, di lui si può dire soltanto
che visse per l'avventura perché soltanto in essa trovava realizzazione
e gratificazione. In nome della libertà la sua "follia visionaria"
lo portò a concepire e concretamente a tentare di strangolare la
libertà. Per fortuna fu fermato in tempo.
5 dicembre – L’Ansa scrive che resteranno
ancora in custodia alla Banca d' Italia, anche se non hanno a che fare
con presunte attivita' usurarie attribuite a Licio Gelli, i 168 chili d'
oro in lingotti trovati nei vasi di gerani di Villa Wanda e sequestrati
nel 1998. Lo si e' appreso da ambienti vicini alla procura di Arezzo, che
proprio nell' ambito di un procedimento penale ha disposto il dissequestro
dei lingotti in quanto non ritenuti connessi a presunte attivita' usuraria
da parte dell' ex venerabile della P2. Dagli stessi ambienti e' stato tuttavia
precisato che i lingotti non saranno restituiti a Gelli fintanto che non
sara' esclusa l' esistenza di altri vincoli che impedirebbero la riconsegna
dell' oro all' ex capo della loggia P2. L' ex Venerabile si trova ancora
agli arresti domiciliare nella sua villa di Castiglion Fibocchi per la
sentenza definitiva relativa al crack del banco Ambrosiano.
6 dicembre - Presentazione del libro "Valdesi
e massoneria, due minoranze a confronto" di Augusto Comba (ed. Claudiana):
sono presenti l'autore, storico valdese e massone, il pastore Paolo Ricca
e il gran maestro della Massoneria Gustavo Raffi. Il libro ricostruisce
anche come il carattere massonico della loggia P2 di Gelli "fosse in gran
parte fasullo". "Si trattava in realta' - scrive l'autore - del mascheramento
massonico di un progetto spionistico concepito dai servizi segreti". "Credo
che gran parte della cattiva stampa che perseguita ancora oggi la massoneria
- ha detto Comba - sia indubbiamente dovuta a Licio Gelli, che aveva creato
un organismo che non aveva nulla a che vedere con la massoneria.
6 dicembre - Licio Gelli sarebbe stato
operato d' urgenza all' ospedale Santa Maria Annunziata a Firenze per una
grave forma di ulcera allo stomaco. L' intervento chirurgico, durato oltre
cinque ore, e' stato eseguito dall' equipe medica del professor Fabbrucci.
"Si e' trattato di un intervento a rischio - ha spiegato Maurizio Gelli
- per le precarie condizioni di salute in cui versa da tempo mio padre,
in particolare per lo stato del suo cuore. Un cardiologo infatti ha seguito
tutte le fasi dell' operazione tenendo sotto controllo l' andamento del
cuore". "L' intervento e' riuscito - ha aggiunto Maurizio Gelli -, ma i
medici scioglieranno la prognosi solo tra 48 ore". Sempre secondo quanto
riferito dai familiari di Gelli, l' intervento chirurgico si e' reso necessario
per la grave forma di ulcera che i sanitari fiorentini hanno riscontrato
durante gli accertamenti clinici ai quali l' ex Venerabile della P2 si
sottopone periodicamente.
7 dicembre - Per Angela "Lita" Boitano,
la responsabile dell' associazione dei desaparecidos italo-argentini, la
"P2" avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella scarcerazione dell' ex maggiore
argentino Jorge Olivera, arrestato a Roma nell' agosto scorso. "Questa
vicenda di Olivera - ha detto la donna - e' un debito che la giustizia
italiana ha nei nostri confronti. La sua scarcerazione - ha proseguito
- sono sicura che e' opera della P2 italiana, argentina e francese, perche'
la P2 ha ancora tanto potere". Piu' volte nel corso del processo si e'
parlato di un importante ruolo di sostegno della loggia massonica alla
dittatura militare.
8 dicembre - Il capogruppo Ds al Senato
Gavino Angius dice che "se l'on.Berlusconi parlasse davanti ai giudici
per un centesimo di quanto parla con stampa e televisioni, forse gli italiani
si sentirebbero piu' tranquilli". "Poiche' davanti ai giudici tace - sottolinea
il presidente dei senatori Ds, - si puo' tranquillamente affermare che
se c'e' uno che sta prendendo in giro gli italiani, senza alcun pudore,
e' l'ex piduista alleato con i fascisti di Rauti che gli hanno dato l'appoggio
determinante per vincere le elezioni regionali in Abruzzo e in Calabria.
Per non parlare poi dell'alleanza con la Lega, forza xenofoba e razzista".
9 dicembre - La Procura di Roma ha detto
di non essere a conoscenza di indagini in Gran Bretagna che avrebbero
portato alla conclusione che il banchiere Roberto Calvi fu assassinato.
“Non si e' a conoscenza di indagini condotte da autorita' britanniche”,
ha precisato la Procura in relazione a un articolo che sara' pubblicato
domani dal quotidiano britannico 'Sunday Time', del quale sono state date
anticipazioni a alcuni organi di stampa. “Pertanto - sottolinea la Procura
- si ritiene che la notizia sia destituita di fondamento. Per quanto concerne
gli accertamenti condotti in Italia, occorrera' attendere l'esito della
perizia disposta dal gip il cui deposito e' previsto nei prossimi mesi”.
Gli accertamenti di natura medico legale per stabilire le cause della morte
del banchiere trovato impiccato nel giugno 1982 sotto il ponte dei Frati
Neri, a Londra, erano stati disposti dal gip Otello Lupacchini nell'ambito
di un incidente probatorio sollevato dai legali degli indagati. Il “sunday
Times” scrive che tre periti, che hanno eseguiti modernissimi esami sul
cadavere di Calvi, esumato dal cimitero di Drezzo, sono arrivati alla conclusione
che Calvi fu assassinato. Il rapporto dovrebbe essere consegnato in gennaio
alla magistratura di Roma.
12 dicembre – Il settimanale “Diario”,
per la rubrica “L'Inchiesta Vecchio Stile”, pubblica l’ articolo “Castello
con vista (su stragi)” del direttore Enrico Deaglio:
“Nel Dizionario dei sinonimi del Gabrielli, "anacronistico"
risulta strettamente legato, anche se non identico, a "inopportuno". Ma
i due aggettivi, nella storia che stiamo per raccontarvi, si rafforzano.
Perché, davvero, le vicende del Castello Utveggio e dei suoi servizi
segreti sono di altri tempi (oggi, una storia sull'onda del tempo dovrebbe
occuparsi piuttosto dell'emergenza pedofilia, dell'emergenza discoteche)
e risultano disturbanti, nel bel mezzo del rito che tutti aspettavamo da
tempo: la celebrazione della fine della mafia. Con stato d'animo, dunque,
perplesso, vi propongo ugualmente questa storia. Di un castello color rosa
bon bon costruito sul monte Pellegrino, che ha sulla città di Palermo
una vista simile all'occhio di Dio. Di un castellano che aveva il vezzo
di farsi cambiare i numeri telefonici, perché ne voleva sempre uno
che contenesse il 333; o perlomeno il 33. E poi di altri telefoni e telefonini,
piccoli aggeggi che non muoiono mai, ma che lasciano imperitura memoria
- bave elettroniche, date, orari - anche quando sono stati ormai buttati
o sostituiti con modelli più moderni. I telefonini sono oggi la
cosa più simile al Dna: come questo, attraverso catene di aminoacidi,
racconta la biografia del genere umano, i telefonini lasciano sempre scritta
la loro autobiografia. La storia ha uno spunto dieci giorni fa, quando
il TG3 Rai siciliano e il Giornale di Sicilia (il quotidiano di Palermo)
diffondono una breve notizia dal titolo: "Quando i boss telefonavano ai
Servizi". Vi si parla di tabulati agli atti di due inchieste - quella della
procura di Caltanissetta sui "mandanti occulti" degli attentati contro
i giudici Falcone e Borsellino e quella della procura di Palermo nota come
"sistemi criminali" e relativa ai presunti intrecci tra Cosa Nostra, uomini
delle istituzioni e massoneria deviata. Lì, nella monumentale massa
di documenti, sono custodite le tracce delle telefonate di due importanti
mafiosi, Giovanni Scaduto e Gaetano Scotto. Chi avevano chiamato, tra i
numerosissimi contatti conservati nell'Empireo dalla sovrana Sip ora Telecom?
Avevano chiamato, il primo alla fine del 1991 e il secondo nell'estate
del 1992, due utenze mobili intestate al Cerisdi, un Ente regionale (Centro
ricerche e studi direzionali). Le utenze mobili, però - scrive il
quotidiano - "erano in effetti estranee al Cerisdi e sarebbero state relative
a un nucleo dei servizi segreti, operante in quegli anni presso il Centro
e successivamente disciolto". La notizia, benché breve, era di quelle
succose. Ma, stranamente, nessuno l'ha ripresa: né altri giornali
per saperne di più, né i magistrati per confermarla o per
smentirla. Ci sono molte e solide ragioni per questo disinteresse: la prima
è che le due inchieste, in anni di indagini non hanno portato a
nulla, se non a vaghe indicazioni non provate; la seconda è che
il tempo dei sospetti - dei Mandanti, dei Grandi Vecchi, dei Terzi Livelli,
dei Pupi e dei Pupari, della Piovra - sembra davvero essere passato. In
questi giorni Palermo ospita la conferenza mondiale dell'Onu sulla criminalità,
alla presenza di Kofi Annan, di decine di capi stato e di ministri della
giustizia da tutto il mondo e gigantografie affisse dal Comune dichiarano
perentorie: "Il mondo ha un sogno: imitare Palermo". Può apparire
bizzarro, ma in fin dei conti, anche questa tesi è sostenibile.
La città che si era trasformata in mattatoio; la città "irredimibile",
secondo la sentenza di Leonardo Sciascia, la matrigna che aveva ucciso
uno dopo l'altro i vertici della polizia, della politica, dei carabinieri,
della magistratura, oggi ha cambiato volto. Si uccide molto poco, sicuramente
meno che in molte altre città italiane; lo spettrale centro storico
distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale e mai ricostruito -
il brodo di cultura in cui la miseria creava delinquenza e la delinquenza
creava mafia - oggi comincia a vedere alcune strade ingentilite. Persino
piazza Magione - la lugubre piazza d'armi simbolo dell'indicibile abbandono
- oggi è coperta da un (provvisorio) manto d'erba tagliata all'inglese.
Per cui, i funzionari che da tutto il mondo sono venuti qui per parlare
di strategie globali antimafia, possono ben sognare di imitare Palermo
e paragonarla, per esempio alle sempre più infernali Medellin o
Bogotá in Colombia. Sette anni fa, qui a Palermo ancora si decideva
chi uccidere e dove fare stragi; oggi tutti i colpevoli stanno all'ergastolo:
la loro intima bestialità e ignoranza li aveva portati a uccidere
e a poter pensare di dare l'attacco allo Stato, ma lo Stato li ha fermati
e puniti. Restava il dubbio che quegli uomini di così basso livello
culturale avessero potuto farla franca per così tanto tempo. Ma
la procura di Caltanissetta oggi, e quella di Palermo domani, hanno messo
il loro sigillo: hanno fatto tutto da soli. È la stessa storia di
cinquant'anni fa: migliaia di persone si sono rotte le corna per cercare
i mandanti di quel Salvatore Giuliano che, armato di fucili e della seconda
elementare aveva pensato di poter trattare addirittura con gli Stati Uniti
d'America. E non hanno trovato niente: Turiddu evidentemente aveva fatto
tutto da solo. Per questi motivi - "anacronismo" e "inopportunità"
- nessuno ha dato importanza a quei tabulati telefonici. Avranno sbagliato
numero: a chi non capita?
ILGESUITAROSSO. Ma mi restavano alcune
curiosità. La prima era: che cos'è il Cerisdi? Questa è
stata facile da appagare: basta andare sul sito www.cerisdi.it. Qui mi
appare il volto di padre Ennio Pintacuda, il suo nuovo presidente. Siciliano
originario di Prizzi, gesuita, professore con formazione americana, Ennio
Pintacuda è uno degli uomini che hanno fatto la storia recente di
Palermo a partire dagli anni Ottanta, quando insieme a padre Bartolomeo
Sorge animava il centro "Pedro Arrupe" della Compagnia di Gesù,
il cui Generale aveva scelto di intervenire a Palermo allo scopo dichiarato
di formare una nuova classe dirigente, ma soprattutto di combattere la
mafia. Pintacuda divenne un bersaglio e gli venne assegnata un'agguerritissima
scorta: fu il primo uomo in clergyman in Italia a salire in macchina e
a camminare per la strada scansando i mitra dei suoi angeli custodi. Decisamente
votato alla politica, Pintacuda ha sempre avuto ruoli importanti di consigliere,
e anche litigi con i suoi consigliati. Un tempo "prete rosso", oggi "in
quota Polo", Pintacuda dirige il Cerisdi, "scuola di eccellenza" votata
alla formazione di competenti amministratori e a coltivare rapporti tra
la Sicilia e il Mediterraneo: corsi di specializzazione, borse di studio
(una è intitolata a Giuseppe Bonsignore, il funzionario della Regione
ucciso dalla mafia), conferenze e dibattiti costituiscono l'attività
del Centro. Detta così, il centro non sembra discostarsi troppo
dalle decine di enti e istituzioni regionali che si prefiggono gli stessi
fini e che alimentano i mastodontici bilanci della Regione Sicilia. Ma
quello che fa la differenza, o meglio l'eccellenza, del Cerisdi, è
la sua sede: uno dei luoghi più belli di Palermo, il castello Utveggio
in cima al monte Pellegrino. Erano gli anni Venti e Palermo assaporava
ancora qualcosa del suo periodo di splendore; il cavalier Michele Utveggio,
grande costruttore nativo di Calatafimi si innamorò dell'idea di
costruire un grande albergo ristorante nel punto più panoramico
della città, il Primo Pizzo del monte Pellegrino, a 346 metri a
strapiombo sul mare, poco distante dal santuario di santa Rosalia. Era
un'impresa abbastanza temeraria, ma l'uomo, che aveva anche costruito un
cinema teatro in piazza Politeama e lo stadio della Favorita, mise sul
tavolo i propri soldi e lo fece, in soli cinque anni: utilizzò il
moderno calcestruzzo per una costruzione di tre piani di improbabile color
rosa confetto, chiamò i migliori architetti per un sontuoso arredamento
liberty, dotò il castello di propri serbatoi d'acqua e di una strada
privata d'accesso e inagurò i locali a metà degli anni Trenta.
Ma tutto andò a ramengo allo scoppio della guerra: il castello,
requisito dalle autorità militari, divenne la sede della contraerea
prima fascista, poi tedesca (dopo lo sbarco del 1943) e uno degli obiettivi
prediletti dei devastanti bombardamenti alleati. Caduto e abbandonato,
Castello Utveggio venne saccheggiato dai palermitani che vi portarono via
tutto quello che poterono. Povero scheletro, così rimase per trent'anni
dopo, quando se lo comprò la Regione Sicilia. Se lo prese per primo,
alla fine degli anni Ottanta, il prefetto Riccardo Boccia, uno degli ultimi
Alti Commissari, a mezzadria con il ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno.
Poi venne nominato presidente il prefetto Vincenzo Verga, anche lui ex
Alto Commissario e poi seguirono altri notabili siciliani, tra cui l'ex
segretario della Camera del Lavoro Luciano Piccolo. Nel 1987 Bettino Craxi,
in occasione del congresso socialista, vi fece illuminare un enorme garofano
visibile da tutta la città; nel 1995 vi dormì Giovanni Paolo
II, e da allora la sua suite non venne più toccata. Il Cerisdi organizzava
ricerche sulla buona amministrazione, ospitava convegni, vagheggiava l'informatizzazione
della pubblica amministrazione. Ma fin dall'inizio si installò anche
qualcun altro. Un piccolo nucleo del Sisde, il servizio segreto civile,
assolutamente riservato e dotato delle migliori attrezzature per osservare
e ascoltare, dall'alto del monte, la città che sotto, intanto, si
stava scannando. Erano uomini di fiducia degli ex Alti Commissari, un misto
di civili, carabinieri e poliziotti. Avevano ponti radio, apparecchiature
molto sofisticate di controllo delle comunicazioni e un sistema telefonico
predisposto per centinaia di circuiti fissi, una specie di mega centralino
in grado di smistare le chiamate di una piccola città. La riservatezza
del luogo, i controlli effettuati sull'unica strada di accesso, la eccezionale
panoramica fecero di Castello Utveggio un posto tanto sconosciuto quanto
importante nella vita della città. Poi successero le stragi del
1992, il questore di Palermo Arnaldo La Barbera provò a vederci
chiaro e in una notte i tecnici della ditta Ericsson, che avevano montato
il tutto, smontarono altrettanto velocemente il tutto. (Sembra un film,
vero? I tre giorni del Condor. E come nel film, anche qua ci sono un po'
di omicidi sparsi, che però non fanno l'oggetto di questa storia).
PIACERE, PROFESSOR MUSCO. Ma non avete
ancora conosciuto il vicepresidente del Cerisdi, dal 1988 al 1992. E vi
siete persi molto. Il professor Alessandro Musco, cinquantenne di Siracusa,
cattedratico di storia medievale presso l'Università di Palermo,
animatore di vari centri studi dai nomi esoterici, ha diverse caratteristiche.
Molto intelligente, a detta di tutti. Gran massone, a detta di tutti. Uomo
di snodo tra il mondo degli affari, la mafia e la politica secondo altri.
Come capo di gabinetto dell'ex presidente della Regione Sicilia, Rino Nicolosi,
messo sotto accusa nelle indagini sugli appalti, la mafia e le spartizioni
tra i partiti al tempo delle grandi torte di dieci anni fa (allora non
si diceva: il mondo ha un sogno: imitare Palermo, ma molti lo praticavano),
il professor Musco ha aperto le chiuse di fronte ai diversi giudici che
l'hanno interrogato. Ha spiegato che, come il Cerisdi, c'erano decine di
enti inutili, dai bilanci inesistenti, da cui lucravano tutte le forze
politiche. Ha raccontato come gli ambientalisti siano stati tacitati con
consulenze, i sindacati con benefici, tutte le varie correnti e sottocorrenti
dei partiti abbiano avuto il proprio tornaconto, presentando se stesso
come un vero mediatore tra diversi equilibri. In centinaia di pagine di
verbali, tutto il mondo politico viene sapientemente vivisezionato, dal
professor Alessandro Musco, che manda messaggi a tutti. È probabile
che ne sentiremo ancora parlare, perché è oggi ancora attivissimo
in politica, la politica nuova: Ccd, con occhio all'Udeur e comunque porta
sempre aperta a tutti. Di lui si può raccontare un vezzo: ci tiene
molto a che le sue utenze telefoniche comprendano le cifre 333 o 33, numeri
importanti per la massoneria. E riesce a smuovere mezzo mondo perché
il suo desiderio sia esaudito. Finora c'è riuscito.
I DUE MAFIOSI TELEFONISTI. E Giovanni Scaduto,
chi è? Citato dal Giornale di Sicilia come uno dei due boss mafiosi
che telefonarono al Cerisdi, sta in questo momento scontando una condanna
all'ergastolo. Membro fin da ragazzo del Gotha di Cosa Nostra, rispettabile
bancario di Bagheria, è stato arrestato sette anni fa per una strage
di mafia nel suo paese e condannato per l'omicidio di Ignazio Salvo. Faceva
parte, secondo la sentenza di un gruppetto che si appostò nel giardino
della sua villa e lo freddò mentre si apprestava a uscire a bordo
della sua Mercedes 190. Era il 17 settembre 1992. Prima di lui, quell'anno
a Palermo erano caduti Salvo Lima, il proconsole di Andreotti in Sicilia,
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: Cosa Nostra, sotto la direzione di
Salvatore Riina, si era così vendicata dei giudici che la avevano
messa alle corde e dei politici che, secondo loro, l'avevano tradita. Appena
finita l'estate venne il turno di Ignazio Salvo, che dei quattro era il
meno conosciuto, ma sicuramente il più ricco e potente. Grande supporter
della corrente andreottiana, governava da decenni le riscossioni delle
tasse in tutta la Sicilia, funzione che aveva fatto di lui una specie di
ministro del Tesoro e delle Finanze della Regione. Era un mafioso, naturalmente,
e di lombi mafiosi, proveniente dal piccolo paese di Salemi, ma talmente
potente che nel 1982, quando il governo di Roma si permise di mettere in
discussione il meccanismo di riscossione delle tasse nell'isola, provocò
una crisi di governo. La sua azione fu efficace: in 48 ore ebbe soddisfazione.
Si scoprì (una buona parte dei membri della banda spifferò
tutto) che le chiavi per entrare in giardino le aveva fornite il genero,
uno stimato medico di Palermo, Tani Sangiorgi, che così contava
di prendersi un po' di eredità e che gli altri erano componenti
della migliore squadra di killer agli ordini dello zio Totò. Una
buona parte del lavoro investigativo venne fatta sui loro telefonini; ne
avevano parecchi e diversi erano "clonati", cioè più difficili
da intercettare. Giovanni Scaduto, poi, dal suo 0337.891773 chiamava anche
dei telefonini supersegreti forniti a sconosciuti direttamente dalla Sip
di Roma e si scoprì che un giorno, più o meno un anno prima
dell'omicidio, aveva chiamato il Castello. Una sbadataggine, probabilmente,
ma che messa insieme al "traffico telefonico" del ricevente portava ad
altri numeri, ad altre persone, ad altre date. E il ricevente era uno di
quelli che, per conto del Sisde, dal Castello teneva occhi e orecchie aperte
sulla città. L'altro telefonino che chiamò al Castello, questa
volta nell'estate del 1992, apparteneva invece a Gaetano Scotto, mafioso
pure lui, ma poco conosciuto. Si occupava molto degli affari di Cosa Nostra
in Emilia Romagna e nella sua veste di emissario era venuto in contatto,
oltre che con i numerosi referenti dell'organizzazione in Regione, anche
con personaggi dell'eversione nera. Più conosciuto di lui, alle
cronache, suo fratello Pietro. Era un operaio della Elte, una ditta degli
appalti Sip. Venne accusato, per la strage in cui morirono Paolo Borsellino
e la sua scorta, di aver fornito agli attentatori la notizia che aspettavano:
il magistrato stava arrivando, quel 19 luglio 1992, dalla sua villetta
di Villagrazia di Carini in via D'Amelio, a trovare l'anziana madre. Come
aveva fatto a scoprirlo? Secondo l'accusa, in virtù delle sue competenze
professionali, era riuscito a deviare le comunicazioni della casa palermitana
dei Borsellino a un'altra utenza, in un appartamento del palazzo di fronte.
I giudici non ritennero però sufficienti le prove a suo carico e
lo condannarono solo per associazione mafiosa. Il fratello Gaetano, invece,
per la strage di via D'Amelio venne condannato all'ergastolo. Ma da quell'estate
aveva fatto perdere traccia di sé.
K. NON C'ENTRA. Dovrei ora citare Franz
Kafka: "Era sera quando K. arrivò. Il villaggio era sommerso dalla
neve. Non si vedeva nulla della collina del Castello". Ma non ne vale la
pena, perché il Castello di Kafka era luogo e non luogo insieme,
aspirazione del viandante e scoperta, sempre più dolorosa, della
sua inesistenza. Sopra, dove non c'era la neve, c'era lo stesso villaggio,
il castello si scopriva non essere un castello, ma una cittadina, senza
monumenti e senza importanza. Il Castello Utveggio, col suo riposante colore
rosa, non si presta alla filosofia. Era un luogo di affari riservati non
differente dai luoghi che stavano al livello della terra palermitana, dove
ogni carabiniere aveva il suo confidente mafioso e ogni mafioso sapeva
in anticipo se sarebbero venuti i carabinieri a casa sua. E in quell'andirivieni
di notizie, di cacciatori cacciati, di dissimulazioni ognuno portava a
casa i piccioli. Ogni tanto qualcuno restava sul terreno... Ma mi sono
rimasti dei dubbi: perché due capimafia telefonarono al Castello?
Allora, da detective dilettante, ho fatto delle supposizioni, partendo
dalla strage di Capaci. C'era una montagnola, vi ricordate? su cui stavano
i killer. Furono avvertiti che passava Giovanni Falcone e azionarono il
telecomando per far esplodere i cento chili di tritolo depositati sotto
l'autostrada. Il telecomando agisce con impulsi radio e viaggia alla velocità
della luce, la deflagrazione è immediata, l'onda d'urto si propaga
in basso. Chi sta in alto non viene colpito. La montagnola era a molte
centinaia di distanza dall'autostrada. Poi ho guardato le carte giudiziarie
della strage di via D'Amelio, per cui quel Gaetano Scotto è stato
condannato all'ergastolo ed è latitante. Nessuno ha saputo spiegare
da dove potesse essere stato azionato il telecomando. Poi ho guardato il
Castello a strapiombo su Palermo e in particolare la sua torretta posta
nel giardino, una sorta di belvedere. Di qui a via D'Amelio, circa cinquecento
metri sotto, non ci sono ostacoli alla vista. E un buon binocolo può
vedere il momento in cui Paolo Borsellino scende dalla macchina e va a
suonare il citofono della madre. Se un telecomando avesse agito dal Castello,
non un'onda d'urto, ma neppure una brezza sarebbe arrivata fin lassù.
Fantasie, naturalmente: anacronistiche e inopportune”.
12 dicembre – Il settimanale “Diario” pubblica
l’ articolo “DIARIO DI UN GOLPE CONFESSATO - Doppio Sogno? Strana attualità
di uno soldato giapponese” di Gianni Barbacetto:
“Dunque, ha confessato. Edgardo Sogno Rata del
Vallino ha rivendicato con orgoglio di aver costituito un'organizzazione
militare segreta; di aver progettato un'"azione" volta ad abbattere il
regime parlamentare; di aver messo in conto le esecuzioni capitali di esponenti
politici dei partiti democratici. Insomma: di aver preparato un golpe.
Lo ha ammesso in un libro-intervista appena uscito (Testamento di un anticomunista,
raccolto da Aldo Cazzullo, Mondadori). Sogno ha confessato e altri - politici
e militari - hanno confermato: nel 1974 era pronto il piano per attuare
uno "strappo" costituzionale, un colpo di Stato. Pronte le armi, pronti
i generali, pronti i ministri della "nuova repubblica presidenziale". Solo
un anno prima, il generale Augusto Pinochet Ugarte aveva realizzato il
suo golpe in Cile: il contesto era certamente diverso, ma anche nella situazione
italiana, vista la forte conflittualità di quegli anni e il vasto
radicamento di movimenti, gruppi e organizzazioni politiche, un colpo eversivo
era destinato a trasformarsi quasi sicuramente in un bagno di sangue.
Sogno golpista. Sogno come Pinochet. Eppure solo pochi mesi fa il conte-diplomatico
aveva ricevuto, durante l'ultima malattia e poi subito dopo la morte, innumerevoli
attestazioni di stima e di sostegno, che finivano per arrivare sempre lì:
all'attacco sguaiato contro i suoi "persecutori" - complottologi, comunisti
e toghe rosse - colpevoli di aver vessato e tormentato un liberale, un
coraggioso combattente per la libertà. Sogno era stato infine onorato
con solenni funerali di Stato, la sua bara posta su un affusto di cannone,
coperta dalla bandiera tricolore. E Paolo Guzzanti, Valerio Riva, Vittorio
Sgarbi, Giuliano Ferrara, Francesco Gironda (il pr di Gladio), e tanti
altri, tutti a elogiare Sogno, ma soprattutto ad attaccare Luciano Violante,
il giudice istruttore che nel 1974 lo aveva fatto arrestare. Quanto ai
pochi che avevano ricordato la storia eversiva di Sogno, erano stati respinti
come visionari, complottisti, inguaribili sostenitori della teoria del
"doppio Stato". Si era mosso addirittura Silvio Berlusconi in persona,
con un commento pubblicato in prima pagina sul Giornale di famiglia: "Per
aver combattuto il comunismo in tempo di pace e con le armi della parola
e degli scritti egli è stato incarcerato, accusato di crimini inesistenti
da parte di una magistratura più ligia ai principi dell'ideologia
comunista che non a quelli dello Stato di diritto. Le vicende giudiziarie
di Sogno sono state una delle pagine più tristi dell'Italia repubblicana,
e continua ad essere un vulnus della nostra storia civile il fatto che
coloro che ne furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio personale
e la saggezza politica di riconoscere che non si trattò di un umanissimo
errore giudiziario, ma di una persecuzione frutto, forse anche inconsapevole,
dell'odio ideologico". Ma di che persecuzione vanno parlando? - avrebbe
detto Eddy, che delle sue azioni si è sempre vantato. E ora Sogno
ha inequivocabilmente rivendicato il suo "strappo", il suo colpo di Stato,
il suo "golpe liberale". Ma un liberale organizza colpi di Stato? No, ha
risposto oggi, dopo la rivendicazione, anche Ernesto Galli Della Loggia,
rompendo così il fronte dei neo-revisionisti italiani. No, "aveva
ragione Violante". No, un liberale non attenta alla democrazia, non progetta
"strappi" costituzionali, non pianifica le esecuzioni degli avversari.
"RIVELAZIONI" CONOSCIUTE. Ma è veramente
strano, il caso della rivendicazione postuma di Edgardo Sogno Rata del
Vallino. Certo, il libro di Cazzullo fa impressione, perché enumera
fatti e persone e progetti eversivi con ordine e cura meticolosa; perché
fa nomi e cognomi; perché è la rivendicazione in presa diretta
di una vita che è stata tutt'uno con l'ossessione anticomunista,
dalla guerra di Spagna dalla parte dei fascisti all'organizzazione dei
gruppi semilegali di Pace e Libertà, dal golpe degli anni Settanta
fino agli ultimi appelli contro i "comunisti" prima della morte. Ma davvero
i suoi amici e sostenitori non sapevano, già prima, la verità?
Difficile crederlo, perché non c'è una sola delle "rivelazioni"
contenute nel libro di Cazzullo che non fosse stata almeno anticipata da
dichiarazioni dello stesso Sogno o scritta in libri, articoli, documenti
giudiziari, ricerche. Difficile crederlo, dal momento che il conte non
aveva perso occasione, in vita, per ribadire con puntiglio la sua ossessione
e rivendicare i suoi "meriti". Edgardo Sogno, "uomo dalla voce femminea,
dal coraggio grandissimo e dalla debole intelligenza politica", come ha
scritto Giorgio Bocca, ha sempre fatto di tutto per non passare per vittima.
Non gli è mai piaciuto essere dipinto come un perseguitato. Non
è doppio, Sogno: la rivendicazione aperta e orgogliosa delle sue
scelte è stata una costante della sua vita. Non avrebbe dunque amato,
Eddy, le difese che i suoi amici gli hanno dedicato in morte. Nel 1990
- dieci anni fa! - dichiarò apertamente: "Avevamo assunto l'impegno
di sparare contro i traditori pronti a fare il governo con i comunisti",
di "impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso
libere elezioni". (Attenzione: Sogno disse qualcosa di più che di
essere stato pronto, con i suoi, a sparare contro i comunisti; disse di
essersi preparato a "sparare contro i traditori pronti a fare il governo
con i comunisti"). E svelò - dieci anni fa! - i nomi dei componenti
del suo governo golpista. Ma aveva cominciato ancor prima a parlar chiaro,
a esprimere apertamente la sua concezione della lotta politica: una energetica
voglia di menare le mani. Nel dopoguerra, appena smessi i panni del comandante
partigiano, cominciò col dire che era necessario che gli anticomunisti
attivassero "uno squadrismo risoluto e attaccabrighe, capace di prendere
l'iniziativa e non di servire da semplice reazione". Sostenne che "il primo
squadrismo fascista del '19 e del '20" fosse "degno di encomio, in quanto
fu capace di rintuzzare la tracotanza rossa". Nel settembre 1973, all'indomani
del golpe di Pinochet, commentò: "Nel caso del Cile è ingiusto
e disonesto accusare i militari di aver ucciso la democrazia". Nel 1995
ribadì sul Giornale (in risposta a chi scrive) che la sinistra postcomunista
continua a essere animata da "ripugnante cinismo e intollerabile aggressività
totalitaria che continuano a imporci una risposta di totale rottura". Non
risparmiò critiche neppure alla destra, colpevole (scrisse sul Foglio
nel novembre 1998) di non opporsi con sufficiente energia al comunismo,
di non lavorare per quella "paralisi totale del sistema" auspicabile per
"approdare, dopo trent'anni, a un chiarimento se non col mitra, almeno
britannicamente coi guantoni". Perfino il nazismo non lo inorridiva
troppo, tanto che nel 1999 Sogno si presentò come testimone della
difesa nel processo di Torino contro Theo Saevecke, l'ufficiale tedesco
responsabile dell'eccidio dei martiri di piazzale Loreto a Milano e di
tanti altri crimini contro partigiani, civili, ebrei. E nella sua ultima
lettera, estremo messaggio inviato a un gruppo di amici e sostenitori il
13 luglio 2000 (morirà poco dopo, il 5 agosto), scrisse: "La difesa
sul piano del pensiero e della logica non esiste al di fuori della distruzione
fisica, ossia della guerra civile. Per cinquant'anni mi sono battuto per
la distruzione dello Stato. Non c'è soluzione al di fuori della
distruzione totale di questa realtà". Questo era Eddy Sogno, e i
suoi sostenitori ben lo sapevano. Lo sapeva certamente Sergio Ricossa,
a cui Sogno chiese di fare il ministro dell'Economia del governo golpista.
Ricossa lo ha ammesso in un recente articolo sul Giornale: "Era un gioco
di società o parlava sul serio? Dissi di sì, assai divertito".
Chissà se si sarebbero divertiti altrettanto gli arrestati, i censurati,
i feriti, i giustiziati. E chissà che fine avrebbero fatto, nel
1974, alcuni comunisti diventati poi grandi sostenitori di Sogno, quel
Giuliano Ferrara che lo ha ospitato e glorificato sul Foglio, quel Ferdinando
Adornato che ha pubblicato un suo libretto nelle edizioni di Liberal, quel
Valerio Riva che oggi lo candida al Nobel. Ma ora si può dire, per
stessa ammissione di Sogno, che Violante aveva ragione. Aveva ragione Giuseppe
De Lutiis, che nelle sua Storia dei servizi segreti (Editori Riuniti) la
vicenda del "golpe bianco" la racconta tutta. Avevano ragione i "visionari",
i complottisti, i teorici del doppio Stato. E aveva ragione perfino il
supervituperato (ricordate le polemiche?) documento dei Ds sulle stragi
che, confrontato con la "confessione" di Sogno, ne esce confermato.
L'ITALIA DEI RICATTI. Proprio perché
non fascista, Sogno è il personaggio-tipo della "guerra non ortodossa"
combattuta in Italia: volonteroso funzionario del doppio Stato, egli non
è un cavaliere solitario, fa parte di quella nutrita schiera di
soldati dell'armata segreta che si era posta il compito d'impedire la vittoria
del mostro comunista - a ogni costo, anche andando oltre e contro le leggi
dello Stato costituzionale. Nella guerra sotterranea che insieme a tanti
altri ha combattuto, le vittime alla fine sono state, per una sorta di
eterogenesi dei fini, non comunisti mostruosi ma ignari cittadini in banca,
in piazza, sui treni, nelle stazioni. E le stragi, di cui Sogno non è
personalmente responsabile, non sono però altro dalla sua guerra.
Sono il frutto più drammatico del suo stesso anticomunismo ossessivo,
che identificava il nemico con la "distensione" e riteneva ogni arma legittima.
Così, per esempio, durante la rivolta d'Ungheria del 1956, il piano
di Sogno (bloccato per fortuna dal ministro Paolo Emilio Taviani e dalla
Dc) era di alimentare in ogni modo la resistenza ungherese, con il risultato
di moltiplicare i morti: a Sogno non interessava la sorte degli ungheresi,
importava dimostrare, sulla loro pelle, che il comunismo è cattivo.
Il "liberale" Sogno era insomma molto più simile ai comunisti di
quanto non sospettasse: le leggi, le istituzioni, la Costituzione, la democrazia
- ma anche l'umanità e la verità - erano per lui solo strumenti,
mezzi e non fini. Come per i comunisti suoi nemici giurati. Alla fine,
Sogno è (finora) l'unico combattente del doppio Stato che si è
compiutamente svelato; gli altri, militari o civili, uomini dei servizi
di sicurezza o politici, continuano a negare, o a distinguere, o a minimizzare.
Tace anche l'altra ala del doppio Stato, quella meno oltranzista, non golpista,
che ha ambiguamente utilizzato Sogno e tanti altri "soldati politici" buoni
per fare i lavori sporchi, da scaricare dopo l'uso ma da salvare, ieri,
dalle curiosità di qualche giudice; e da coprire, oggi, con il silenzio.
È l'Italia dei ricatti. Ma oggi, dieci anni dopo la fine del blocco
comunista, la morte di Sogno sarebbe stata archiviata, in un Paese normale,
come una faccenda del secolo scorso, la fine di un soldato giapponese a
cui non avevano detto che la guerra era finita. Invece, in questo strano
Paese che è l'Italia, la partita è ancora aperta. Neppure
le ammissioni di Sogno sono sufficienti. Giuliano Ferrara, possibile sopravvissuto
al suo golpe, dopo aver riabilitato perfino Pinochet, afferma (sul Foglio
del 4 dicembre 2000) che comunque Violante aveva torto, perché lo
aveva arrestato senza prove (falso: il giudice istruttore Luciano Violante
fece arrestare Sogno su richiesta del pubblico ministero di Torino Vincenzo
Pochettino, di Unicost, la corrente più a destra della magistratura,
il quale valutò che gli indizi di colpevolezza e i pericoli d'inquinamento
delle prove erano tali da rendere l'arresto obbligatorio per legge). Gli
amici di Sogno continuano a fargli torto: gli danno del sognatore, del
dandy, del progettista di "golpe virtuali" (mentre gli altri, i comunisti,
erano un mostro vero). I più spregiudicati si spingono fino ad ammettere
che sì, la voglia di golpe c'era, ma era un controgolpe preventivo
per salvare la libertà... In nome di quella strana libertà,
troppe cose sono permesse: andare oltre la Costituzione; utilizzare i bombaroli
neonazisti; stringere patti con bande criminali; diventare il banchiere
della mafia (a Michele Sindona, fratello di loggia P2, Sogno inviò
negli Usa uno degli affidavit che il finanziere usò per tentare
di difendersi). Tutto ciò oggi in Italia è non passato, ma
presente. Mentre gli uomini della P2 si apprestano a diventare governo,
è saltato l'orizzonte politico-culturale comune, la cultura antifascista
(che restò invece saldo, senza alcuna tentazione revisionista, nella
Francia di quel De Gaulle tanto ammirato, a parole, da Sogno). Il liberalismo
è ridotto a slogan, e un anticomunismo senza comunismo continua
a essere sbandierato per far dimenticare vecchie colpe eversive e nuovi
interessi di potere e d'azienda spacciati per libertà”.
12 dicembre - Davanti alla sezione civile
del tribunale di Arezzo viene discussa una richiesta di pignoramento presentata
dal ministero delle Finaze nei confronti di Licio Gelli per sei miliardi
di lire in contropartita di presunti illeciti valutari. Secondo il quotidiano
“La Nazione” si è trattato di un'udienza interlocutoria. Sulla sostanza
i giudici decideranno fra qualche settimana, più probabilmente fra
qualche mese. “Ma partiamo dal principio – scrive “La Nazione” - da quando
nell'estate del 1998 i sei miliardi furono sequestrati in un appartamento
di lusso di via XXV Aprile, in una delle zone residenziali più «in»
di Arezzo. L'alloggio risultava allora nella disponibilità del figlio
di Gelli, Maurizio, e secondo la Digos la grossa cifra doveva servire alla
latitanza del «Venerabile», che era scappato da qualche settimana
per sfuggire alla sentenza di condanna definitiva sul crack Ambrosiano.
Una fuga clamorosa, quasi sotto gli occhi della polizia, che aveva da poco
interrotto la sorveglianza sulla collina di Santa Maria delle Grazie dove
sorge la villa di Gelli. E quando gli agenti entrarono a Villa Wanda muniti
del mandato di cattura della magistratura milanese, trovarono soltanto
i domestici. L'ex capo massonico, che si era nascosto in Francia dopo un'ultima
cena con parenti e amici nel noto ristorante »Acquamatta» di
Capolona, fu rintracciato e arrestato a Nizza soltanto nell'autunno del
'98. Da allora, mentre il «Venerabile» veniva rimesso in libertà
per motivi di salute, i sei miliardi sono rimasti in una sorta di limbo,
in attesa che i giudici decidessero se restituirli o meno alla famiglia
Gelli. Senonchè adesso si fa avanti lo Stato che sostiene: il tesoro
spetta a noi, a copertura degli illeciti valutari commessi nel frattempo
dall'ex capo della P2. Una tesi che in tribunale è stata duramente
contestata dall'avvocato di Licio Gelli, Raffaello Giorgetti, e dal legale
del figlio, Roberto Alboni. In primo luogo, sostengono, gli illeciti non
sono mai avvenuti, ma se anche irregolarità ci fossero state, le
leggi di sanatoria intervenute negli ultimi tempi le hanno rese nulle.
E poi, dicono ancora gli avvocati, Gelli non c'entra niente, i sei miliardi
appartengono al figlio Maurizio. Insomma, un altro guazzabuglio, uno dei
tanti nei quali è coinvolto il «venerabile». Miliardi
come noccioline che passano dalle casse dello stato a quelle di Gelli e
viceversa. Ma, dicono ad Arezzo i più maligni, comunque decidano
i giudici, l'ex capo della P2 non andrà in rovina, visto che i tesori
di Villa Wanda sembrano inestinguibili. Ben sorvegliati, perdipiù,
dalla polizia, che di fronte alla splendida abitazione del «Venerabile»
mantiere una sorta di presidio permanente, contestato da una parte degli
stessi agenti. Alcuni sindacati di polizia ritengono infatti che il personale
utilizzato a Villa Wanda sia sottratto a più efficaci controlli
di ordine pubblico ad Arezzo. Ma, si sa, quando c'è di mezzo Gelli,
le polemiche sono sempre garantite”.
13 dicembre - Il ministro delle finanze
Ottaviano Del Turco annuncia, con una nota, che a Gelli sono stati pignorati
126 chilogrammi di lingotti d'oro grezzo depositati presso la sede di Roma
della Banca d'Italia. Cinque miliardi e mezzo, inoltre, sono stati recuperati
alla Banca nazionale del lavoro tra valuta estera e lire italiane. Il pignoramento
e' stato eseguito dal concessionario per la riscossione della Provincia
di Roma, Monte dei Paschi di Siena, e dal concessionario della Provincia
di Arezzo, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio. Licio Gelli paga il
conto con lo Stato per infrazioni in materia di antiriciclaggio e illeciti
valutari valutabili in oltre 30 miliardi di lire. Secondo l' avvocato Raffaello
Giorgetti, legale storico di Gelli, i conti “sono tutti da rifare” e non
e' chiuso con il pignoramento dei lingotti d' oro il rapporto di Licio
Gelli con il fisco. L' oro potrebbe non essere suo e all' ex venerabile
della loggia P2 sono state pignorate anche somme in denaro intestate a
suoi familiari. L' udienza della causa civile che oppone Gelli allo Stato
per illeciti valutari per circa 30 miliardi di lire e' fissata per il 27
febbraio prossimo. “Dimostreremo che gran parte del denaro sequestrato
non e' di Gelli e anche l' oro potrebbe non essere suo”, afferma Giorgetti,
secondo il quale dei 30 miliardi contestati a Gelli almeno 16 sono non
dovuti, poiche' riguardano violazioni valutarie non piu' sanzionabili,
spiega il legale, dopo l' entrata in vigore della cosiddetta amnistia valutaria
del 26 novembre scorso. A Gelli, oltre ai lingotti d' oro trovati nelle
fioriere di Villa Wanda due anni fa, sono stati anche sequestrati cinque
miliardi e mezzo in diverse valute trovati nel 1998 in un appartamento
nella disponibilita' del figlio, Maurizio Gelli, il quale ha sempre detto
che si trattava di denaro suo, ma anche, ha aggiunto Giorgetti, libretti
di deposito intestati ai nipoti di Gelli e alla sua compagna, Gabriela
Vasile. Anche Maurizio Gelli, figlio dell' ex Maestro venerabile della
loggia P2 reagisce alle iniziative di pignoramento di 30 miliardi da parte
dello Stato. “E' un errore madornale. – dice il figlio di Gelli – Quei
soldi sono miei non di mio padre”, riferendosi ai cinque miliardi e mezzo
trovati due anni fa in un appartamento ad Arezzo. “Ho dimostrato che non
hanno provenienza illecita e per questo - ha spiegato - recentemente la
procura aveva revocato il sequestro penale”.
15 dicembre – “La Repubblica” scrive che
nell’ inchiesta per le tangenti milamesi che hanno portato all’ arresto
dell’ assessore Milena Bertani, comparirebbe un personaggio della P2:
“Gli facevano la guerra in Regione. Volevano
soffiargli il posto, tanto che avevano già pronto il suo sostituto.
Per questo Mario Giovanni Sfondrini, direttore del settore opere Pubbliche
del Pirellone - arrestato insieme con l'assessore Milena Bertani - avrebbe
suggerito alle ditte di Guarischi i ribassi con cui vincere le gare. Sarebbe
questa una delle prime ammissioni fatte da Sfondrini ieri sera, durante
il suo secondo interrogatorio in due giorni davanti al pm Fabio Napoleone,
titolare dell'inchiesta sugli appalti per la ristrutturazione idrogeologica
della Lombardia dopo l'alluvione del '97. A proposito di alcuni lavori
di pronto intervento nel Lodigiano, per un totale di circa 120 milioni,
Sfondrini avrebbe anche ammesso di aver suggerito a un funzionario del
Genio civile di Milano di rivolgersi alla ditta di Cogni (del gruppo Guarischi)
aggiungendo: "Ne sarebbe contenta l'assessore". Un capitolo a parte, le
perquisizioni. Per tutta la giornata di ieri, il pm Claudio Gittardi, cointestatario
del fascicolo, ha continuato a studiare la montagna di documenti sequestrata
dagli uomini del nucleo provinciale della Guardia di Finanza che hanno
setacciato in particolare due uffici: quello di un funzionario molto vicino
alla Bertani, e quello di un avvocato milanese, dipinto come "notabile
della vecchia Dc" già noto per essere stato iscritto alla P2. Continua
intanto la polemica intorno agli arresti di mercoledì. Ieri sera,
al grido di "è tutta una congiura", Aldo Brandirali uno dei consiglieri
comunali più vicini a Formigoni, ha chiesto che il Consiglio venisse
sospeso per solidarizzare con la giunta regionale. La richiesta, che è
stata respinta, ha comunque contribuito a mantenere molto caldi i toni
del dibattito. Da registrare, intanto, la prima spaccatura di rilievo nel
muro compatto della destra contro l'operato dei magistrati. Protagonista
Carlo Borsani, assessore di An alla Sanità: "Sono sicuro che l'assessore
Bertani uscirà pulita da questa storia. Ma i magistrati debbono
fare il proprio lavoro e la Bertani dovrà dimostrare davanti ai
giudici la propria estraneità ai fatti che le vengono contestati"”.
16 dicembre – Il “Corriere della sera”
ricorda che in un’ audizione del 16 novembre 1992 in commissione antimafia,
Tommaso Buscetta parlo’ del «golpe bianco» di Edgardo Sogno.
Buscetta era tornato dagli Usa e l’Antimafia lo aveva convocato. Il pentito
parla di Sindona, del tentato colpo di Stato di Valerio Borghese (anche
lì coprotagonista Cosa Nostra), poi nasce una sorta di equivoco
e Violante crede che Buscetta parli della storia del golpe separatista,
del 1979, di Michele Sindona. Buscetta, quasi riluttante, dice: «Stiamo
parlando di un altro. Però non se ne fece niente». «Come
di un altro», insiste Violante. E Buscetta: «Lei vuole sapere
quello di mezzo, del 1974»?
A quel punto, nasce il seguente dialogo:
Presidente: «Qual è quello di mezzo?».
Buscetta: «Nel 1974 ce n’era un altro preparato».
Presidente: «Vuole spiegarsi?».
Buscetta : «Ho ricevuto dal mio direttore
del carcere, dott. De Cesare, la notizia che dopo pochi giorni sarebbe
successo un colpo di Stato e io sarei passato, attraverso un brigadiere
della matricola, per un cunicolo, sarei entrato in casa sua e sarei stato
liberato. Sapevo che c’erano anche dei militari. Ma non vorrei dire queste
cose, sennò diventa uno scandalo, per l’amor di Dio».
Presidente: «Credo lo sia già stato.
Nel 1974 qualcuno le disse che ci sarebbe potuto essere un tentativo di
colpo di Stato - in cui lei sarebbe stato liberato - in cui c’entravano
i militari. Questo le dissero?»
Buscetta: «Sì».
Presidente: «Lo disse il dottor Di Cesare,
direttore dell’Ucciardone?»
Buscetta: «Di massoni e militari».
Presidente: «Quanto ai rapporti tra uomini
d’onore e massoni, abbiamo parlato delle vicende del 1970. Successivamente,
nel 1974, la mafia aveva un ruolo?».
Buscetta: «Sì, è logico.
Come faceva a conoscermi Di Cesare per dirmi che mi avrebbe portato a casa
sua?»
Presidente: «Di Cesare era uomo d’onore?
Buscetta: «No, perciò dico che era
stata la mafia a dirglielo».
Dal clima di quel faccia a faccia traspare tutta
la sorpresa di Luciano Violante che casualmente si imbatte in una indiretta
conferma alle convinzioni che si era fatto quando indagava su Edgardo Sogno.
L’ambasciatore - tuttavia - nella ricostruzione affidata a Cazzullo, non
parla di mafia. Ammette i contatti con la «P2», ammette di
aver ricevuto soldi da Michele Sindona, ma inquadra quelle frequentazioni
nell’ambito della mai rinnegata «attività anticomunista».
E precisa di essere stato indirizzato in quegli ambienti da McCoffery,
capo della «Special Forces» britannica. Secondo un altro collaboratore
di giustizia, invece, Sogno sarebbe stato al corrente dei collegamenti
golpisti tra Cosa Nostra e la massoneria. Anzi dà per certa la partecipazione
dell’ambasciatore al «golpe» caldeggiato anche da Sindona.
Ne ha parlato Angelo Siino, conosciuto come l’ex ministro dei lavori pubblici
di Cosa Nostra, poi diventato pentito alquanto controverso. Testimoniando
al processo Andreotti, nelle udienze del 18 e 19 dicembre del 1997, racconta
di aver saputo da Michele Sindona che «una nave era pronta, incrociava
al largo di Palermo una portaerei americana e c’era una nave carica di
uomini che dovevano intervenire per aiutare militarmente questo golpe.
Questi uomini erano al comando di Sogno, mi disse di quel grande massone,
grande fratello che è Sogno. Questo disse e questo so».
24 dicembre – “La Repubblica”, in un articolo
intitolato “Così la Cia spiava i futuri leader - In un elenco del
'67 i 26 torinesi destinati a fare carriera Politici, giornalisti, sindacalisti,
uomini di affari e della cultura nel mirino dei servizi Usa:’Saranno potenti’",
di Paolo Griseri, scrive:
“Tutto sommato ci avevano azzeccato. Gli uomini
della Cia che nel '67 segnalavano al governo statunitense i personaggi
emergenti della politica e della cultura italiane avevano un fiuto da talent
scout, almeno a giudicare, oltre trent'anni dopo, dalle carriere dei loro
sorvegliati speciali. La "Potential leader biografic reporting list" è
stata redatta nel maggio del '67 dall'ambasciata statunitense di Roma sulla
base delle segnalazioni che giungevano dai consolati e dalle altre rappresentanze
di Washington sparse sul territorio nazionale. Un lungo elenco di nomi,
solo in alcuni casi corredato da schede, che segnalava oltreoceano coloro
che promettevano di fare faville negli anni successivi. Solo nei mesi scorsi
Gianni Cipriani, un consulente della Commissione stragi, ha potuto ottenere
dal governo americano le liste redatte 33 anni fa. Non era necessario avere
particolari informazioni riservate per sapere che Gianni Agnelli aveva
buone probabilità di diventare uno dei personaggi emergenti del
panorama italiano. Ma era più difficile prevedere i destini degli
altri 25 torinesi finiti nella lista. Il lavoro meticoloso degli uomini
dell'intelligence americana aveva diviso l'elenco dei "saranno famosi"
in cinque diversi capitoli: gli uomini politici, i leader nel campo della
cultura, i giornalisti, gli uomini d'affari e i sindacalisti. In politica
venivano segnalati Carlo Donat Cattin, futuro ministro del lavoro e leader
della sinistra democristiana. Anche in questo caso non si trattava di una
previsione molto difficile. Meno semplice era affermare, nel 1967, che
avrebbe fatto carriera un giovane come Franco Froio, allora segretario
regionale del Partito socialista unitario della Valle d'Aosta. Anche se
nemmeno la Cia poteva prevedere che Froio sarebbe diventato negli anni
'80 uno dei capicorrente più influenti nel Psi di Bettino Craxi
e che avrebbe attraversato non poche disavventure giudiziarie. Nella Torino
di 33 anni fa appartenevano al Psu anche Terenzio Magliano, Salvatore Paonni
e Pier Luigi Romita. Romita, che poi divenne ministro, e Magliano, che
sarebbe rientrato in consiglio comunale dopo una legislatura da senatore,
confluirono successivamente nel Psdi. Paonni invece approdò al Pri.
Nessun agente della Cia avrebbe invece previsto che la promettente carriera
di Giuseppe Gatti, nel '67 segretario dei giovani democristiani torinesi,
sarebbe stata stroncata, sedici anni dopo, dalle accuse di un faccendiere
di nome Adriano Zampini. Alla politica si sarebbero dati, negli anni successivi,
anche alcuni dei personaggi segnalati tra i potenziali "cultural leaders":
il futuro ministro socialista Francesco Forte e l'allora ventiquattrenne
Guido Brosio, allora ventiquattrenne. Brosio sarebbe diventato, ventisei
anni dopo, assessore nella prima giunta Castellani. Se, tra i giornalisti,
era facile prevedere un radioso futuro per Piero Ostellino e don Giuseppe
Zilli (direttore di "Famiglia cristiana"), meno scontato era il successo
del "giovane reporter" della Gazzetta del Popolo Vito Napoli. Napoli però
non avrebbe fatto carriera nel giornalismo preferendo diventare uno dei
personaggi di spicco della Dc. Iscritto alla P2 oggi è confluito
nelle file del Polo. Tra gli uomini d'affari segnalati nell'elenco, il
manager della Fiat Nicolò Goia, Enrico Salza (erroneamente indicato
con il cognome di Salsa) e il futuro direttore della Fiat Allis Ferdinando
Palazzo. Nell'elenco dei sindacalisti compare solo il segretario provinciale
della Fim Cisl Alberto Tridente. Certo, con il senno di poi è facile
indicare le previsioni azzeccate e quelle clamorosamente sbagliate. Non
hanno fatto particolare carriera, ad esempio, il sindaco di Alessandria,
Emanuele Abbiati e il segretario cittadino del Pli, Velio Farci. Non tutte
le previsioni riescono col buco.
26 dicembre – Muore a Parigi Bruno Tassan
Tin, amministratore delegato e direttore generale della Rizzoli-Corriere
della Sera negli anni '70-80. Tassan Din fu uno dei protagonisti
delle vicende della Rizzoli-Corriere della Sera di Angelo Rizzoli negli
anni della P2, e del crack che ne segui', Tassan Din era stato fra l'altro
condannato nel 1993 a 6 anni e 4 mesi di reclusione per la bancarotta della
casa editrice, e nel 1996 aveva patteggiato in appello una condanna a 8
anni e due mesi (14 anni in primo grado) per il crack Banco Ambrosiano
di Roberto Calvi. Il suo nome era nella lista dei presunti iscritti alla
P2 trovata a Castiglion Fibocchi. La morte e' avvenuta per emorragia cerebrale
nella casa della figlia Micole a Parigi. Da giugno Tassan Din era malato
di sclerosi multipla. Il nome di Bruno Tassan Din rievoca gli anni del
Corriere della sera della gestione Angelo Rizzoli jr. e della loggia P2
di Licio Gelli. Magrissimo, lunghi capelli d'argento e occhiali da miope,
Tassan Din a via Solferino aveva fama di gran lavoratore, uno dei pochi
esperti di finanza del gruppo a quell' epoca. Laureato alla Bocconi e con
un'esperienza in grandi societa' alle spalle, la sua ascesa comincia nel
'77, portandolo in poco tempo a diventare direttore generale e amministratore
delegato. Sono passati pochi anni da quando Andrea Rizzoli, e' il '74,
ha comprato il gruppo Corriere della sera dalla famiglia Crespi. Andrea
Rizzoli ne assume la presidenza, ma fin dall'inizio appare chiaro che a
tenerne le redini e' il figlio Angelo. La prima decisione dei Rizzoli e'
quella di confermare Piero Ottone alla direzione del quotidiano di via
Solferino. Nel '77, con l'aiuto del finanziere Umberto Ortolani e del Banco
Ambrosiano di Roberto Calvi, viene varato un cospicuo aumento di capitale
per fronteggiare la grave situazione di deficit del gruppo. Ed e' a questo
punto che Tassan Din comincia a ricoprire incarichi sempre piu' importanti
nella gestione dell'azienda. Ottone, anticipando le voci che parlano di
un suo siluramento, si dimette il 22 ottobre 1977. Lo sostituisce Franco
Di Bella, cresciuto al Corriere e da pochi mesi direttore del Resto del
Carlino. I conti del gruppo peggiorano, anche in seguito a operazioni non
riuscite, come quella tentata nel '79 con l'Occhio, esperimento di tabloid
popolare a basso prezzo. La situazione precipita con l'arresto di Calvi,
accusato di esportazione di capitali, il 20 maggio 1981. La sera stessa
Arnaldo Forlani, allora presidente del Consiglio, decide di rendere pubblico
l'elenco degli iscritti alla P2 trovato nell'archivio di Licio Gelli e
sul quale gia' circolavano numerose indiscrezioni. Tra gli iscritti, oltre
a quello di Tassan Din, i nomi di Angelo Rizzoli e di Franco Di Bella.
A sostituire quest'ultimo, costretto a lasciare il giornale, viene chiamato
Alberto Cavallari. Lo scandalo e' enorme, e le vendite vanno in caduta
libera. Chiudono L'Occhio e il Corriere d'Informazione, e vengono ceduti
Il Piccolo, l'Alto Adige e Il Lavoro, ma non basta. Per il salvataggio
e' necessaria l'amministrazione controllata, accordata nel 1982 per due
anni dal Tribunale di Milano. Tassan Din e Rizzoli conoscono anche il carcere.
Nel 1993 Tassan Din viene condannato a 6 anni e 4 mesi di reclusione per
la bancarotta della casa editrice. Nel 1996 patteggia in appello una condanna
a 8 anni e due mesi (14 anni in primo grado) per il crack Banco Ambrosiano
di Calvi. Per quella bancarotta era stato condannato a 14 anni in primo
grado nel 1994, assieme a molti esponenti del mondo economico-finanziario
milanese.
29 dicembre - "La Repubblica" pubblica
un articolo di Giuseppe Turani sulla morte di Tassan Din, dal titolo "Quel
'manager-diavolo' finito nell'orbita di Gelli. Fu chiamato da Angelo Rizzoli
al capezzale della casa editrice. Inutilmente". Turani scrive: "Bruno Tassan
Din, che è morto a Parigi per una grave malattia di cui soffriva
da tempo, era magrissimo, alto, con una testa piena di capelli bianchi
nonostante l'età relativamente giovane. L'insieme gli dava un'aria
spiritata, che lo faceva sembrare un po' un diavolo. Laureato alla Bocconi,
gran lavoratore, dicono che a parlargli fosse un uomo simpatico e pieno
di buone intenzioni. Manager di professione, anche se non certo fra i primi
e i più sperimentati, fu chiamato da Angelo Rizzoli negli anni Settanta
per cercare di sistemare la casa editrice omonima, che aveva rilevato il
"Corriere della Sera" (vecchio sogno della dinastia), e che per questo
era finita nei guai. Per alcuni anni Bruno Tassan Din e Angelo Rizzoli
hanno remato contro la crisi che attanagliava il quotidiano di via Solferino
cercando una via d'uscita che invece non c'era già più. Dei
due, il più attivo era ovviamente il manager che sembrava un diavolo.
Se Angelo Rizzoli era infatti il presidente, Bruno Tassan Din era l'amministratore
delegato e il direttore generale del gruppo editoriale. In realtà,
nessuno dei due aveva una grande esperienza in campo editoriale. Più
che altro improvvisavano, in un mestiere che si andava facendo sempre più
difficile. Soprattutto nel loro caso, afflitti com'erano dai debiti da
una parte e dalla mancanza di soldi freschi dall'altra. Nel disperato tentativo
di trovare una scialuppa di salvataggio su cui imbarcare la Rizzoli, tutti
e due finirono in giri non proprio trasparenti. Finirono, insomma, nella
P2 di Licio Gelli e di Umberto Ortolani, e da lì finirono nell'anticamera
di Roberto Calvi, il padrone-presidente del Banco Ambrosiano, potentissimo
allora a Milano, e finito poi morto appeso al ponte dei Frati Neri a Londra.
Grazie ai soldi dell'Ambrosiano (che servirono nel 1977 a finanziare un
forte aumento di capitale della casa editrice, e che erano arrivati grazie
all'interessamento di Umberto Ortolani e di Calvi), Tassan Din e Rizzoli
si convinsero di averla scampata e il direttore generale della Rizzoli
per alcuni anni fu uno degli uomini più potenti di Milano. Fu l'uomo
a cui telefonavano politici di prima e di seconda categoria per avere uno
spazio sulle colonne del "Corriere della sera" o degli altri giornali del
gruppo. Fu anche l'uomo che accettò le dimissioni di Piero Ottone
dalla direzione del "Corriere della Sera" e che lo sostituì con
Franco Di Bella (costretto qualche tempo dopo a dimettersi perché
iscritto anche lui alla P2). E fu anche l'uomo che tentò di allargare
la casa editrice lanciando, nel 1979 un quotidiano popolare, l'Occhio,
diretto da Maurizio Costanzo (altro iscritto P2), e che sparì dalle
edicole nel giro di pochi mesi, portandosi via un bel po' di miliardi e
di speranze dei due manager sempre più con l'acqua alla gola. Naturalmente,
il peso delle nuove amicizie e della P2 si sentiva e nemmeno la lunga tradizione
di via Solferino riusciva a mascherare il fatto che il giornale stava in
piedi grazie a denari di origine non proprio limpidissima. La Rizzoli,
come forse si poteva immaginare, non riuscirono mai a salvarla. Dopo qualche
periodo di relativa tranquillità, fu inevitabile gettare la spugna.
E questo nonostante nel frattempo avessero venduto molti dei beni del gruppo,
fra cui i giornali Il Lavoro, l'Alto Adige e il Piccolo. E i due, pur non
essendo cattive persone, finirono entrambi in guai molto grossi per i finanziamenti
avuti da Roberto Calvi e riportarono danni quasi irrimediabili alla propria
immagine perché avevano di fatto messo la Rizzoli nelle mani della
P2 di Gelli e Ortolani. Al tramonto della sua carriera di manager, Tassan
Din fu chiamato a pagare per due crack: quello della Rizzoli (che aveva
tentato con tutti i mezzi di salvare, non essendone capace) e quello del
Banco Ambrosiano. Per il primo fallimento riportò una condanna di
sei anni, per il secondo patteggiò una condanna a otto anni. Da
allora, dall'inizio degli anni Novanta, di Tassan Din non si è più
sentito parlare, se non in occasione di qualche scadenza giudiziaria. Rotto
il sodalizio con Angelo Rizzoli, venduta la bella casa di via Cervia a
Milano, si era ritirato dalla scena pubblica. Ieri l'annuncio della sua
morte avvenuta a Parigi".
30 dicembre - Si svolgono alla presenza
di pochi intimi, nella chiesa San Lorenzo di Marsure di Aviano (Pordenone),
i funerali di Bruno Tassan Din. Il feretro di Tassan Din e' stato accompagnato
dalla moglie Marisa, dai figli Daniele e Tommaso, dalla sorella Augusta
e dagli zii Angelo e Giovanni.