13 gennaio - Il plenum del Consiglio
superiore della magistratura ha deciso all'unanimita' di respingere le
richieste di trasferimento del magistrato Claudio Vitalone, tornato in
servizio dopo l'assoluzione a Perugia nel processo Pecorelli. Vitalone
aveva chiesto, anche a titolo di riparazione, di essere mandato in Cassazione,
come sostituto procuratore generale o come consigliere,anche se i termini
dei relativi concorsi erano scaduti, ma deve invece restare alla corte
d'appello di Firenze. Due mesi fa, durante un'audizione al Csm, aveva tra
l'altro fatto presente che restando in servizio a Firenze era in una posizione
“imbarazzante”, visto che quella sede giudiziaria e' competente per i procedimenti
a carico dei magistrati di Perugia. Il plenum gli ha risposto che, anche
tenendo conto delle “rilevanti dimensioni” della Corte d'appello di Firenze:
proprio la grandezza dell'ufficio giudiziario consentirebbe di “ovviare
ai problemi di opportunita' che potrebbero sorgere in relazione a eventuali
procedimenti a carico di magistrati che a Perugia si sono occupati dei
procedimenti a carico del dott Vitalone”.
20 marzo - Licio Gelli si avvale della
facolta' di non rispondere e rende cosi' inutile la trasferta a Firenze
del giudice bolognese a latere Maurizio Atzori. Gelli e’ ricoverato, in
regime di arresti domiciliari, all' ospedale di Santa Maria Nuova, dove
il magistrato si e' recato per chiarire la posizione di Ivano Bongiovanni,
che e' stata stralciata nell' ambito del processo ter per la strage dell'
Italicus del 1974. Il magistrato voleva sentire Gelli anche come parte
lesa per calunnie da parte di esponenti dei servizi segreti in merito al
suo presunto ruolo di mandante della strage di Bologna e dell' omicidio
del giornalista Mino Pecorelli. L' ex capo della loggia P2 si e' avvalso
della facolta' di non rispondere essendo gia' stato condannato in un procedimento
connesso.
2 aprile – Muore negli Stati Uniti Tommaso
Buscetta, il primo grande pentito di mafia, da anni malato di cancro. Buscetta
aveva accusato il sen. Giulio Andreotti per l’uccisione di Pecorelli e
aveva testimoniato, gia’ malato, al processo di Perugia. Ai giudici perugini
Buscetta mostro' anche una fotografia che lo ritraeva con Badalamenti ed
un cervo appena ucciso durante una battuta di caccia nel Mato Grosso, in
Brasile. “Fu allora - affermo' don Masino a Perugia – che Badalamenti mi
disse: 'quell' omicidio lu facimmu nuantru, io e Stefanu’”. Buscetta parlo'
per due giorni, il 9 ed il 10 settembre, 16 ore complessive.
5 aprile - Secondo indiscrezioni trapelate
dal palazzo di giustizia di Perugia, scrive l’Ansa, potrebbero allungarsi
di molto i tempi per il deposito della motivazione della sentenza del processo
per l' omicidio di Mino Pecorelli, conclusosi il 24 settembre e non si
esclude infatti che il provvedimento possa essere messo a disposizione
delle parti anche dopo l' estate.
18 maggio - E' stato condannato a due anni
di reclusione (pena sospesa), l'ex direttore del carcere di Rebibbia, Maurizio
Barbera, accusato di aver mentito ai giudici del tribunale di Perugia che
lo avevano sentito come testimone nel processo ai tre funzionari del Sisde
imputati di false dichiarazioni al pm, nell' ambito dell' inchiesta sull'
omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Barbera era accusato di falsa
testimonianza perche' nella sua deposizione del 2 marzo 1996 davanti al
tribunale del capoluogo umbro "negava il vero, sostenendo di non aver mai
favorito colloqui di personale del centro Roma 2 del Sisde con i detenuti
Danilo Abbruciati, Ettore Romagnoli e Renato De Pedis". Inoltre - sempre
secondo il capo d' imputazione - "affermava il falso, sostenendo di aver
mentito al pm di Perugia il 9 marzo 1995 perche' psicologicamente condizionato
dalla presenza del colonnello Enrico Cataldi". Barbera avrebbe infatti
- secondo l' accusa - prima negato e poi ammesso gli incontri ai pm della
procura per poi ritrattare tutto in aula perche' "condizionato" dalla presenza
dell' ufficiale dell' Arma. Il pm, Alessandro Cannevale, aveva chiesto
una condanna a tre anni di reclusione per l'ex direttore, che era difeso
dall' avvocato Alessandro Gaeta.
26 luglio – La terza commissione del Consiglio
superiore della magistratura da’ parere favorevole al trasferimento di
Claudio Vitalone alla Corte di Cassazione con funzioni di consigliere.
Claudio Vitalone e’ ora in servizio alla corte d'appello di Firenze. La
decisione finale spetta pero' al plenum, che tornera' a riunirsi a settembre.
Era dall'anno scorso che Vitalone aveva chiesto di andare alla Suprema
Corte, dopo l'assoluzione a Perugia nel processo per l'omicidio Pecorelli.
Il magistrato aveva sollecitato questa destinazione anche a titolo risarcitorio,
per essere stato sospeso per quattro anni dalle funzioni e dallo stipendio
proprio per la vicenda giudiziaria di Perugia.
28 luglio - L' indagine condotta dalla
procura della Repubblica di Perugia sul furto al caveau della banca interna
al palazzo di giustizia di Roma punta anche ad accertare i motivi per i
quali i carabinieri del comando provinciale di Roma avrebbero tenuto nascoste
alcune carte contenenti informazioni. Negli ultimi tempi i pm perugini
hanno impresso un forte impulso all' inchiesta, facendo eseguire 20 ordinanze
di custodia cautelare. Hanno quindi iscritto nel registro degli indagati
il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, colonnello Baldassarre
Favara; il tenente colonnello Vittorio Tomasone, comandante del Reparto
operativo; il comandante del Nucleo operativo, ten.col.Sergio Pascali;
ed i tenenti Giovanni Fichera ed Angelo Lano. I militari sono accusati
di non avere tempestivamente fornito alla procura della Repubblica di Perugia
notizie confidenziali avute sul furto. Informazioni che - sostengono gli
inquirenti - potevano portare al recupero della refurtiva e, in particolare,
dei documenti che sarebbero stati prelevati dalle cassette di sicurezza
svaligiate, gran parte delle quali appartenenti a magistrati ed avvocati
della capitale. I pm del capoluogo umbro intendono ora scoprire il motivo
per il quale non siano stati informati delle confidenze raccolte a Roma
dai carabinieri. Gia' il gip perugino Nicla Restivo aveva parlato - nell'
ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere firmata all'
inizio di questo mese - di una “parallela attivita' investigativa,
non delegata dall' autorita' giudiziaria divenuta competente a procedere,
che in alcuni casi si e' sovrapposta a quella ufficiale comportando intralci
e ritardi nella prosecuzione delle indagini, con particolare riferimento
al rintraccio dei beni, dei documenti e di quant' altro risultava sottratto
dal caveau”. L' attenzione dei magistrati perugini si e' soffermata fin
dall' inizio sulle carte che potrebbero essere state sottratte dalle cassette
di sicurezza. In particolare gli inquirenti hanno concentrato fin dall'
inizio la loro attenzione sulla contemporaneita' tra il furto al caveau,
che sarebbe stato compiuto tra gli altri da Massimo Carminati, e le ultime
fasi del processo per l' omicidio di Mino Pecorelli, nel quale era imputato,
poi assolto, lo stesso estremista di destra. Fino a questo momento, comunque,
i pm di Perugia non hanno raccolto alcun elemento che possa collegare i
due fatti.
1 agosto - Sono depositate le motivazioni
della sentenza
del processo per l' omicidio di Mino Pecorelli. Per quel delitto, il 24
settembre 1999, la Corte d' assise di Perugia ha assolto “per non avere
commesso il fatto” Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti
e Pippo Calo' dall' accusa di essere i mandanti dell' uccisione del giornalista;
Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera da quella di avere eliminato
materialmente il direttore di “Op”. Per tutti, il 30 aprile 1999, i pm
Fausto Cardella ed Alessandro Cannevale avevano chiesto la condanna all'
ergastolo. Le motivazioni delle sei assoluzioni sono contenute in 508 pagine.
Secondo i giudici non c’e’ nessun coinvolgimento di Cosa nostra nell' organizzazione
del delitto, “ne' alcun elemento probatorio, al di la' della sussistenza
di un valido movente, che colleghi Giulio Andreotti alla banda della Magliana
e all' omicidio di Carmine Pecorelli” e per questo la Corte d' assise di
Perugia ha assolto Andreotti dall’ accusa di essere mandante dell' eliminazione
del giornalista. Dal processo per l' omicidio di Mino Pecorelli emerge
“la prova di rapporti tra Claudio Vitalone e la banda della Magliana in
persona di Enrico De Pedis”, ma “gli elementi probatori non sono univoci
e non permettono di ritenere riscontrata la chiamata in correita' fatta
nei suoi confronti”. Per i giudici pero’ i rapporti tra Claudio Vitalone
ed Enrico De Pedis, boss della banda della Magliana, sono “uno schizzo
di fango che rimarra' attaccato alla persona” del magistrato. Secondo la
Corte d' assise tali rapporti “non trovano alcuna giustificazione” se non
in “rapporti a dir poco non chiari che un magistrato Repubblica italiana,
un senatore che ha rappresentato l' Italia all' estero”, avrebbe intrattenuto
con esponenti di spicco della malavita organizzata romana. Sono stati “ritenuti
attendibili” Tommaso Buscetta ed i pentiti di mafia che hanno testimoniato
nel processo per l' omicidio di Mino Pecorelli. Il giudizio di attendibilita'
- si legge nella motivazione della sentenza - riguarda, oltreche' Buscetta,
anche Gaspare Mutolo, Francesco Marino Mannoia, Giuseppe Marchese e Baldassarre
Di Maggio. Secondo i giudici nel corso del processo di Perugia non sono
sorti elementi tali da inficiare “quel giudizio di attendibilita' intrinseca”
espresso in altre sentenze ormai definitive. La Corte ha ritenuto che “piccole
discordanze, su uno stesso particolare, ben possono verificarsi, anzi sono
fisiologiche e segno di genuinita' delle dichiarazioni, quando la persona
e' sottoposta ad innumerevoli interrogatori da parte di una pluralita'
di autorita' giudiziarie e di difensori che pongono l' accento piu' su
alcuni aspetti che su altri; quando l' esame diventa estenuante per la
sua durata la lucidita' nelle risposte viene a volte meno”. Nella motivazione
si afferma che l' attendibilita' “non viene meno neppure quando le versioni
su punti anche qualificanti sono parzialmente diverse da dichiarante a
dichiarante”. “Certo - si legge ancora nel capitolo dedicato all' attendibilita'
dei pentiti - delle piccole discrepanze o delle diversita' di versioni
deve tenersi conto ma non per il giudizio generale di attendibilita', ma
per l' affermazione o la negazione di quella determinata circostanza sulla
quale sono state riscontrate le discordanze. Quello che invece e' da accertare
rigorosamente e' il disinteresse a rendere dichiarazioni nei confronti
degli imputati in questo processo”. “Le confidenze fatte da Gaetano Badalamenti
e Stefano Bontate a Tommaso Buscetta di un loro ruolo di mandanti nell'
omicidio Pecorelli “sono da considerarsi inattendibili in assenza di elementi
che provino un collegamento con la banda della Magliana, coinvolta nell'
omicidio”: e' questo il motivo per il quale la Corte d' assise di Perugia
ha assolto Badalamenti dall' accusa di avere fatto uccidere il direttore
di “Op”. Mancanza di prove a carico dei sei imputati vengono evidenziate
nelle tre pagine (508 in totale) nelle quali sono condensate le conclusioni
delle motivazioni della sentenza del processo per l' omicidio di Mino Pecorelli.
Secondo i giudici per Giuseppe Calo' e' venuto meno il collegamento, all'
epoca del delitto, con Danilo Abbruciati. “Di conseguenza e' venuta meno
- scrivono - la prova del ruolo di collegamento a lui attribuito tra Cosa
nostra e la banda della Magliana e non vi e' altro elemento probatorio
che lo indichi come partecipe in qualunque modo all' omicidio”. Riguardo
a Massimo Carminati nella motivazione si afferma che sussistono “elementi
probatori che riconducono l' omicidio nell' ambito della banda della Magliana
e sono indicativi di rapporti all' epoca dei fatti” tra l' estremista nero
e il gruppo criminale”. Secondo la Corte d' assise, tuttavia, “essi non
sono indicativi della sussistenza di un suo collegamento, a quel tempo,
con Danilo Abbruciati”. Viene poi evidenziata “la mancanza di idonei e
concreti elementi probatori che comprovino l' esistenza di intermediari
tra i due”. Tutto cio' “impedisce di ritenere riscontrata la chiamata in
correita' nei suoi confronti”. Per Michelangelo La Barbera secondo i giudici
non sono stati provati la sua presenza a Roma all' epoca del delitto ed
il collegamento con la banda della Magliana. “Perplessita' derivanti dalla
strana coincidenza che i due tronconi probatori presentano” restano alla
Corte d' assise di Perugia al termine del processo per l' omicidio di Mino
Pecorelli. Nelle righe che concludono la motivazione i giudici evidenziano
“l' identita' del movente, indicato sia per la parte facente capo a Cosa
a nostra che a quella facente capo alla banda della Magliana, al pericolo
che la pubblicazione di notizie poteva comportare per lo stesso gruppo
di persone”. Parlano poi dell' “identita' del gruppo di potere che avrebbe
commissionato l' omicidio”, della “fitta rete di rapporti, politici, sociali
ed economici, palesi ed occulti (loggia P2, massoneria segreta) che legano
i vari personaggi coinvolti nella vicenda”. “Perplessita' - conclude la
motivazione - che non consentono di colmare, neppure con criteri logici,
le lacune probatorie”. I giudici escludono anche “l' esistenza di
un complotto” nei confronti di alcuni imputati. “Non e' emerso - e' detto
nella parte della motivazione della sentenza dedicata ai collaboratori
di giustizia - che costoro sono stati animati da spirito calunnioso, proprio
o di altri, allorche' hanno riferito fatti e circostanze sugli attuali
imputati, cosi' non e' emerso che gli stessi avessero motivi di rancore,
sentimenti di vendetta nei confronti degli imputati”. I giudici si soffermano
poi sulla messa in discussione di Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia
per il ritardo con il quale hanno parlato dei rapporti tra Cosa nostra
e politica. La Corte ritiene pero' “plausibile” anche se “non moralmente
condivisibile” la spiegazione fornita dai due che hanno giustificato la
loro scelta con le reazioni che avrebbe avuto la mafia. Nella motivazione
si esclude poi che “il coinvolgimento di Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti
sia dovuto al rancore ed all' astio di Buscetta nei loro confronti in quanto
riteneva il primo responsabile della sua estradizione dal Brasile ed il
secondo dell' uccisione dei suoi familiari nella seconda guerra di mafia”.
Secondo i giudici “se effettivamente Buscetta avesse voluto calunniare
Badalamenti, e con lui Andreotti, il momento piu' opportuno era proprio
quello del processo negli Stati Uniti d' America anche perche' a quel momento
aveva gia' parlato di Badalamenti ed aveva accennato a rapporti tra Cosa
nostra e politica italiana facendo proprio il nome di Andreotti”. Per la
Corte tra Giulio Andreotti ed i cugini Nino ed Ignazio Salvo esisteva un
rapporto "non solo di conoscenza occasionale, ma piu' intenso ed amicale.
"Tale conoscenza - scrivono i giudici - permetteva, in via ipotetica, al
primo di chiedere ai secondi l' uccisione del giornalista Carmine Pecorelli".
I giudici si soffermano sul vassoio d' argento che l' ex presidente del
Consiglio avrebbe fatto a Gaetano Sangiorgi in occasione del suo matrimonio
con la figlia di Nino Salvo. Una circostanza provata secondo il collegio
giudicante perugino. "Il regalo - e' detto nelle motivazioni - non e' stato
fatto per la personalita' dello sposo, un professionista medico analista
di Palermo come ve ne sono tanti, ma perche' diventava marito della figlia
di Nino Salvo, facente parte di una delle famiglie economicamente piu'
potenti della Sicilia, in stretto rapporto con Salvo Lima e grande elettore
dell' esponente di spicco della corrette alla cui testa era proprio Andreotti".
Secondo i giudici del capoluogo umbro l' episodio indica anche che tra
la famiglia dei cugini Salvo ed il senatore a vita "vi erano rapporti tali
da giustificare da un lato la spedizione della partecipazione ad Andreotti
del celebrando matrimonio e dall' altro il piacere di quest' ultimo di
ricambiare con un regalo". Nelle righe che concludono la motivazione i
giudici evidenziano "Perplessita' derivanti dalla strana coincidenza che
i due tronconi probatori presentano" e "l' identita' del movente, indicato
sia per la parte facente capo a Cosa a nostra che a quella facente capo
alla banda della Magliana, al pericolo che la pubblicazione di notizie
poteva comportare per lo stesso gruppo di persone". Parlano poi dell' "identita'
del gruppo di potere che avrebbe commissionato l' omicidio", della "fitta
rete di rapporti, politici, sociali ed economici, palesi ed occulti (loggia
P2, massoneria segreta) che legano i vari personaggi coinvolti nella vicenda".
"Perplessita' - conclude la motivazione - che non consentono di colmare,
neppure con criteri logici, le lacune probatorie". Nessun commento finora
da parte della procura della Repubblica di Perugia alle motivazioni della
sentenza del processo per l' omicidio di Mino Pecorelli. Stiamo leggendo
le carte” si e' limitato a dire all' Ansa il sostituto procuratore Alessandro
Cannevale. Il magistrato e' ora chiuso nel suo ufficio insieme ai propri
collaboratori per valutare le carte. In ferie invece il procuratore capo,
Nicola Miriano, e l' aggiunto Silvia Della Monica. Quasi tre anni e mezzo
di processo, 162 udienze e 102 ore di camera di consiglio: condensano tutto
questo le motivazioni della sentenza del processo per l' omicidio di Mino
Pecorelli. Un procedimento formalmente cominciato il 20 luglio 1995 con
la Corte d' assise di Perugia presieduta da Paolo Nannarone. Quest' ultimo
risulta pero' incompatibile in base alla decisione della Corte costituzionale
sul doppio ruolo dei giudici. Il 6 giugno '96 a Nannarone subentra Giancarlo
Orzella, 65 anni, originario di Arsoli, allora presidente della sezione
civile del tribunale di Perugia. Giudice a latere e' Nicola Rotunno, 58
anni, originario di Matera, in magistratura dal 1963. E' stato lui a scrivere
materialmente le motivazioni della sentenza. A decidere l' assoluzione
degli imputati sono stati anche sei giudici popolari: due donne, un avvocato
e un' operaia, e quattro uomini, un operaio, un carrozziere, un pensionato
e un imprenditore. Davanti a loro si sono dati battaglia tre pm e 21 avvocati,
quattro dei quali di parte civile. La pubblica accusa e' stata infatti
inizialmente rappresentata da Alessandro Cannevale e Fausto Cardella. Quest'
ultimo e' pero' passato, dopo le richieste di condanna, alla guida della
procura di Tortona sostituito da Silvia Della Monica. A Perugia e' invece
rimasto Cannevale. Tra gli imputati il piu' presente in aula e' stato Claudio
Vitalone, che ha mancato a pochissime udienze. Quasi lo stesso ha fatto
Pippo Calo', il presunto cassiere della mafia in carcere per altre vicende.
Piuttosto presente, in particolare all' inizio del processo, Giulio Andreotti,
mentre rare apparizioni hanno fatto Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati,
a lungo sottoposto alla carcerazione preventiva per il processo Pecorelli.
Non si e' invece mai visto Gaetano Badalamenti, detenuto negli Usa, il
quale ha pero' piu' volte scritto alla Corte perugina per far sapere di
essere “totalmente estraneo alle accuse”. Don Tano si e' ripetutamente
detto pronto “al confronto con il bugiardo Tommaso Buscetta”. Anche Andreotti,
Vitalone e Calo' hanno professato la loro innocenza. I tre hanno tra l'
altro accettato di essere interrogati nel processo perugino ribadendo la
loro estraneita' alle accuse. Vitalone ha anche preso la parola per delle
dichiarazioni spontanee nelle quali ha attaccato i suoi accusatori, in
particolare quella Fabiola Moretti, per la quale i giudici perugini hanno
disposto la trasmissione degli atti al pm ipotizzando una sua falsa testimonianza.
In silenzio sono rimasti Carminati e La Barbera che hanno invece affidato
ai loro difensori il compito di respingere tutte le accuse.
1 agosto - Dopo il deposito delle motivazioni
della sentenza di Perugia, il procuratore aggiunto di Palermo Guido Lo
Forte, pm nel processo di Palermo al termine del quale Giulio Andreotti
e' stato assolto dall' accusa di complicita' con la mafia, non ha ritenuto
di dire nulla. “Nessun commento. Cosi' com' e' stato fatto per la sentenza
di Palermo, a maggior ragione ora per quella di una diversa autorita' giudiziaria”.
1 agosto - Le motivazioni della sentenza
sull'omicidio Pecorelli lasciano perplesso Carlo Taormina, legale di Claudio
Vitalone, laddove parlano di rapporti del suo assistito con la banda della
Magliana. “E' una ricostruzione esasperatamente tecnica dal punto di vista
delle conclusioni che vengono tratte- dice l'avvocato sulla base delle
informazioni giornalistiche ricevute, visto che non ha ancora letto la
sentenza- Non solo c'e' stato un riscontro negativo alle dichiarazioni
di questi rapporti tra Vitalone e De Pedis, che provenivano da Fabiola
Moretti, ma sarebbe stato logico e corretto affermare nella sentenza che
quelle stesse dichiarazioni erano state ritrattate”. “Moretti - spiega
Taormina- aveva parlato di un incontro tra Vitalone e De Pedis avvenuto
in un ristorante romano tra l'84 e l'85; ma si e' poi accertato che quel
locale era stato distrutto nell'80 da un incendio e non aveva mai piu'
riaperto. Oltretutto la stessa Moretti ha poi ritrattato tutto. Tant'e'
che per quella deposizione ora e' imputata di calunnia a Perugia e indagata
per lo stesso reato a Roma. Ed e' stata la stessa Corte d'Assise di Perugia
- sottolinea ancora Taormina - a trasmettere gli atti al pubblico ministero
perche' procedesse nei confronti della donna per falsa testimonianza.
2 agosto - Dopo il deposito delle motivazioni
della sentenza sull'omicidio Pecorelli, il Csm potrebbe ripensarci sulla
proposta di trasferimento di Claudio Vitalone alla Corte di Cassazione
come consigliere. A far intravedere la possibilita' di una nuova riflessione
e forse di una marcia indietro e' il relatore della proposta, il diessino
Gianni Di Cagno, che oggi replica all'affermazione fatta in un'intervista
dal difensore di Vitalone, Carlo Taormina, secondo cui il suo assistito
e' stato processato ingiustamente e lo dimostrerebbe proprio la decisione
del Csm di chiamarlo a ricoprire l'incarico di "presidente di sezione della
Cassazione". Una tesi respinta in blocco da Di Cagno che innanzitutto precisa
che il posto per il quale Vitalone e' stato proposto e' di consigliere,
non di presidente di sezione e che dunque nessun premio e' stato dato dal
Consiglio al magistrato:"la proposta non riveste alcun valore premiale
visto che il dottor Vitalone gia' ricopre la qualifica di magistrato di
Cassazione". Inoltre "e' stata formulata prima del deposito delle motivazioni
della sentenza di Perugia , che saranno ora doverosamente valutate dal
plenum del Csm - sottolinea Di Cagno - per verificarne l'eventuale incidenza
sul trasferimento del dottor Vitalone".
3 agosto - Sara' probabilmente necessario
attendere fino alla fine del prossimo ottobre per sapere ufficialmente
se i pm di Perugia faranno appello contro la sentenza che ha assolto i
sei imputati nel processo per l' omicidio di Mino Pecorelli. Le motivazioni
sono state infatti depositate martedi' scorso, quando per l' attivita'
giudiziaria era gia' cominciata la sospensione dei termini feriali. Dal
giorno della ripresa, il 16 settembre, i magistrati avranno 45 giorni di
tempo per depositare un eventuale appello. Le 508 pagine nelle quali sono
spiegati i perche' delle assoluzioni sono ora attentamente vagliati dal
pubblico ministero Alessandro Cannevale, l' unico che ha seguito il processo
dall' inizio alla fine, e dai suoi collaboratori. Anche il procuratore
capo Nicola Miriano valutera' le motivazioni non appena tornato dalle ferie.
Sulla possibilita' di appellare la sentenza i magistrati non si sono finora
pronunciati, rifiutandosi anche di commentare in qualsiasi modo quanto
scritto dal giudice a latere della Corte d' assise, Nicola Rotunno, e dal
presidente del collegio, Giancarlo Orzella. Anche gli imputati - Giulio
Andreotti, Claudio Vitalone, Giuseppe Calo’, Gaetano Badalamenti, Massimo
Carminati e Michelangelo La Barbera - ed i loro difensori stanno ora valutando
le motivazioni.
13 settembre - Il plenum del Consiglio
superiore della magistratura accoglie la richiesta di Claudio Vitalone
di essere trasferito alla Corte di Cassazione, con le funzioni di consigliere,
ma la decisione spacca l'assemblea ed alla fine di un dibattito acceso,
e dopo che era stata bocciata la proposta di una candidatura alternativa,
e' passata con 17 voti a favore e 13 contrari. A favore della delibera
hanno votato i laici del Polo, la maggioranza del gruppo di centro-sinistra,i
togati di Magistratura Indipendente e numerosi consiglieri di Unicost.
Unicost. Contro Magistratura democratica, il Movimento per la Giustizia,
e i rimanenti consiglieri del centro-sinistra e di Unicost. Vitalone aveva
chiesto di passare alla Suprema Corte, dopo l' assoluzione a Perugia
nel processo per l'omicidio Pecorelli.
3 ottobre - Magistratura democratica, la
corrente di sinistra dell'Associazione nazionale magistrati, polemizza
con il Csm per la decisione di nominare Claudio Vitalone consigliere di
Cassazione, visto che la Corte d'appello di Perugia, nell'assolvere il
magistrato al processo per l'omicidio Pecorelli, "ha affermato tuttavia
che sussiste la prova di rapporti intercorsi tra Vitalone ed elementi di
spicco della malavita organizzata romana". "Quei giudici non poterono esimersi
dall'esprimere in motivazione la propria desolante amarezza per i contatti
tenuti da un magistrato della Repubblica italiana con esponenti, definiti
di spicco, della malavita organizzata romana - sottolinea il Consiglio
nazionale di Md in un documento -. Ben diverso e' stato, sorprendentemente,
l'atteggiamento di larghe componenti del Csm, del tutto indifferenti alla
circostanza accertata e deplorata dalla Corte d'assise: evidentemente per
molti consiglieri e' un fatto trascurabile che un magistrato abbia tal
genere di frequentazioni, al punto che gli possono essere affidate le funzioni
di legittimita"'. Md si chiede polemicamente cosa sia cambiato nella magistratura,
visto che "poche voci si sono levate per esprimere dissenso" sulla nomina
e che la stessa "Anm a tutt'oggi non ha trovato nulla da ridire".
4 ottobre - Il componente laico del Csm
Gianni Di Cagno (Ds), replica cosi' a Md, la corrente di sinistra dell'Anm,
che aveva attaccato l'organo di autogoverno per aver nominato Claudio Vitalone
a consigliere della Cassazione, nonostante le considerazioni contenute
sul conto del magistrato nella sentenza del processo Pecorelli. "La magistratura
associata, e segnatamente Magistratura democratica - dice Di Cagno - dovrebbe
ben conoscere le norme che regolano le nomine dei magistrati in Cassazione.
Sono norme che si possono cambiare, ma finche' sono vigenti non si puo'
chiedere ai consiglieri del Csm di applicarle o meno a seconda delle convenzienze
del momento. Il punteggio attribuito dalla Commissione del Csm al
dottor Vitalone non e' stato contestato da alcuno, neppure dai consiglieri
di Md - sottolinea il consigliere, che era stato relatore della proposta
- a conferma dell'impossibilita' di procedere diversamente nel quadro della
normativa vigente e stanti i precenti in materia. Quanto alle considerazioni
contenute nella sentenza Pecorelli, davvero non riesco a capire come si
possa ritenerle incompatibili con le future funzioni in un collegio di
Cassazione da parte del dott. Vitalone, ma non con le funzioni attualmente
svolte dallo stesso di presidenza di un collegio penale della Corte d'appello
di Firenze; sede peraltro competente a giudicare i magistrati di Perugia
contro cui Vitalone ha presentato denuncia". Anche il legale di Claudio
Vitalone, Carlo Taormina, replica alle di Magistratura democratica:"Finalmente
Magistratura democratica esce allo scoperto. Sospettavamo da tempo che
i guai giudiziari di Claudio Vitalone derivassero dall'astio di quella
parte della magistratura che lui ha sempre combattuto usando le armi della
legalita' e dell'onesta'". "Vitalone e' stato assolto con formula piena,
quella che giuridicamente possiamo definire con la formula 'senza ombra
di dubbio'", dice Taormina che tuttavia sottolinea come la sentenza Pecorelli
fosse "infarcita di centinaia di pagine assolutamente inutili ai fini processuali.
Pagine che lo stesso Vitalone in una dichiarazione spontanea ha definito
'schizzi di fango' e che anche basandosi sulle stesse affermazioni contenute
nella sentenza sono da considerarsi assolutamente false". "Le pregiudiziali
su Vitalone Magistratura democratica farebbe meglio ad esprimerle nei confronti
degli inquirenti, che sono ancora sotto indagine e che, come il Pm Cardella
alla procura di Tortona, svolgono tranquillamente le loro funzioni di magistrati"
conclude Taormina, che si riserva di valutare se le "insinuazioni" della
corrente possano configurare il reato di diffamazione nei confronti di
Vitalone.
4 ottobre - In tribunale di Perugia, al
processo contro il medico Gaetano Sangiorgi, accusato di calunnia per avere
affermato di essere stato "costretto a collaborare" con i magistrati siciliani
e ad accusare Giulio Andreotti, sono citati tra i testimoni il procuratore
aggiunto di Palermo, Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli, ex sostituto nel
capoluogo siciliano ed ora membro del Csm, e l' ex procuratore capo Giancarlo
Caselli, che non si e' pero' presentato. Presenti invece Lo Forte e Natoli.
Con loro Sangiorgi, attualmente sottoposto al 'carcere duro' perche' accusato
di concorso nell'omicidio di Nino Salvo e indagato per appartenenza a Cosa
Nostra. A Perugia viene processato in relazione alle accuse mosse ai pm
palermitani il 28 febbraio 1998, quando testimonio' nel processo per l'
omicidio di Mino Pecorelli sostenendo di essere stato "costretto" ad una
"collaborazione forzata" con la procura di Palermo e che, nel corso del
suo interrogatorio svoltosi il 21 luglio 1993 davanti a Lo Forte ed a Natoli,
sarebbe stato indotto a dire cose "non vere" sui rapporti tra il senatore
Andreotti e i cugini Salvo ed a firmare il relativo verbale "alterato"
dai pm. Oggi Natoli, rispondendo ai pm perugini Silvia Della Monica e Dario
Razzi, ha ribadito la correttezza del proprio operato.
4 ottobre - Alessandro D' Ortenzi, detto
"er Zanzarone", gia' esponente di spicco della Banda della Magliana, e'
rinviato a giudizio dal gip Otello Lupacchini per tentata estorsione per
una lettera scritta all' avv. Franco Coppi dicendosi pronto a testimoniare
in favore di Giulio Andreotti nel processo per l' omicidio Pecorelli in
cambio di denaro o altro. Il processo si aprira' il 29 gennaio 2001 davanti
alla settima sezione del tribunale di Roma. D'Ortenzi si e' detto innocente
e ha sostenuto che la sua intenzione era stata solo quella di testimoniare
a favore di Andreotti e Vitalone. Per dimostrare la sua buona fede, ha
anche detto di voler essere messo a confronto con Coppi e Andreotti. La
lettera scritta da Zanzarone a Coppi risale al 1996: "Egregio professore,
nella strategia difensiva per il 'suo' cliente Lei ha utilizzato il mio
nome e la mia futura testimonianza che le era stata resa disponibile. Tale
disponibilita' emergeva da un accordo, che, fino ad oggi, non e' stato
concluso con l'adempimento proposto ed accettato. Le saro' grato se Lei
e il suo cliente vorranno trarne conclusioni". Il difensore di Andreotti
consegno' la lettera alla Corte d'Assise di Perugia davanti alla quale
si teneva il processo Pecorelli. D' Ortenzi non riusci' a fornire giustificazioni
sufficienti per escludere la tentata estorsione ma chiese spontaneamente
di essere sentito come testimone nel processo.
2 dicembre - La procura della Repubblica
di Perugia presenta appello contro la sentenza con la quale Giulio Andreotti
ed altri cinque imputati sono stati assolti dall' accusa di avere fatto
uccidere Mino Pecorelli. Le motivazioni dell' appello sono state depositate
nella cancelleria del tribunale di Perugia pochi minuti prima che questa
chiudesse al pubblico. Era l' ultimo giorno utile per la formalizzazione
del ricorso. Il provvedimento riguarda Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano
Badalamenti e Giuseppe Calo', i presunti mandanti dell' omicidio; Michelangelo
La Barbera e Massimo Carminati, ritenuti dall' accusa i killer del giornalista.
Tutti, il 24 settembre 1999, sono stati assolti dalla Corte d' assise di
Perugia con la formula perche' il fatto non sussiste”. I pm ne avevano
invece chiesto la condanna all' ergastolo. L' appello e' stato firmato
dal procuratore capo di Perugia, Nicola Miriano, dall' aggiunto Silvia
Della Monica, e dai sostituti Alessandro Cannevale, Sergio Sottani e Mario
Palazzi. E vabbe' Giulia, vorra' dire che sara' un' occasione per rivederci”:
e' stato ironico come al suo solito il senatore a vita Giulio Andreotti
quando ha ricevuto la notizia dell' appello dei pm di Perugia da uno dei
suoi difensori, l' avvocato Giulia Bongiorno. Ma non era l' ultimo giorno
utile?” ha poi chiesto l' ex presidente del Consiglio al suo legale che
gli aveva annunciato una brutta notizia”. Si - e' stata la risposta dell'
avvocato Bongiorno - l' ultima ora dell' ultimo giorno...”. Fisiologicamente
- ha sottolineato Bongiorno - Andreotti e' quello che soffre piu' di tutti
di questa situazione, ma non vuole farlo pesare. Ora ci si pone un duplice
problema: i tempi che si allungano e dovremo combattere su due fronti”.
I difensori di Andreotti visto il prolungarsi dei tempi per il deposito
dell' appello perugino erano ormai quasi convinti che non ci sarebbe stato
un processo di secondo grado. A Palermo si era subito diffusa la voce che
ci sarebbe stata un' impugnazione - ha detto il legale - a Perugia credevamo
invece in un esito diverso”. Bongiorno ha quindi svelato un retroscena
della giornata. Verso mezzogiorno e mezzo - ha spiegato - visto che non
si sapeva nulla, stavo per chiamare il presidente Andreotti per annunciargli
che non ci sarebbe stato appello. Per fortuna la prudenza mi ha bloccato”.
E' un' iniziativa, pur legittima, traboccante di protervia antistorica
- e' il primo commento dell' avvocato Giovanni Bellini, componente del
collegio difensivo di Giulio Andreotti - La storia non solo ha assolto
il senatore Andreotti, ma ne sta onorando i meriti. Credo, purtroppo, condannera'
senza appello quanti lo stanno invece perseguitando”. Anche nella difesa
di Claudio Vitalone sembra esserci soddisfazione per la decisione della
procura di Perugia. Se non avessero impugnato i pm - ha detto l' avvocato
Carlo Taormina - eravamo pronti noi a ricorrere in Cassazione. A parte
le ultime 30 pagine della motivazione, le uniche che si interessano della
vicenda omicidiaria, tutto il resto e' una serie di incredibili alterazioni
dei fatti processuali attraverso i quali, per utilizzare la formula dell'
estensore, solo schizzi di fango potevano essere gettati in faccia a Claudio
Vitalone”. Il legale ha detto che accoglie di buon grado l' iniziativa
della procura di Perugia perche' sara' la Corte d' assise di appello a
fare giustizia anche di insinuazioni spesso tradotte in vere falsificazioni
delle risultanza processuali”.
4 dicembre - Il magistrato Claudio Vitalone
e' stato assegnato, con apposito decreto, al ramo penale della Cassazione
dove lo ha trasferito - su sua richiesta - il Csm lo scorso 13 settembre.
4 dicembre - Un numero telefonico in codice
"Ntmntrl", due
parole chiave "lunga morte" e "piombatura" che
portano alla
stessa utenza, un'identica annotazione trovata
nelle agende di Danilo Abbruciati e, criptato, di Pippo Calo', che non
potevano non conoscersi: e' questo l' elemento nuovo sul quale puntano
i pm di Perugia per ribaltare la sentenza con la quale, in primo grado,
Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Calo', Gaetano Badalamenti, Michelangelo
La Barbera e Massimo Carminati sono stati assolti dall' accusa di avere
fatto uccidere Mino Pecorelli. Nelle motivazioni di quella sentenza, infatti,
si sosteneva che la mancanza di un elemento di collegamento tra Calo' ed
Abbruciati all' epoca del delitto minava l' intero quadro accusatorio.
I pm, pero', su questo punto chiederanno alla Corte d' assise d' appello
di riaprire il dibattimento per acquisire nuovi elementi raccolti dal gruppo
di lavoro del Servizio centrale operativo della polizia presso la procura
della Repubblica di Perugia. Nelle 58 pagine dei motivi di appello, firmato
dal procuratore Nicola Miriano, dall'aggiunto Silvia Della Monica e dai
sostituti Alessandro Cannevale, Sergio Sottani e Mario Palazzi, i magistrati
perugini spiegano che nell' agenda sequestrata ad Abbruciati al momento
del suo arresto, il 28 novembre del 1975, figura un numero telefonico relativo
ad un' utenza della quale disponeva Franco Di Agostino, coimputato di Calo'
in processi di criminalita' organizzata. Lo stesso numero venne trovato
su appunti criptati sequestrati a Calo', bloccato il 29 marzo del 1985
dalla squadra mobile della questura di Roma. I numeri telefonici sequestrati
a Calo' vennero poi decodificati utilizzando la parola chiave “Lunga morte”.
Tra le utenze ne fu trovata una intestata alla moglie di Di Agostino. Acquisendo
questi nuovi elementi i magistrati puntano, quindi, a provare quel collegamento
Calo'-Abbruciati, cioe' mafia-banda della Magliana precedente all' omicidio
Pecorelli. I pm perugini ricordano comunque che all' epoca del delitto
Calo' era latitante e Abbruciati detenuto. L' ipotesi degli inquirenti
e' quella che il mandato omicidiario sia passato attraverso un intermediario,
comunque non ancora ben individuato. “Ci sembra - si legge nei motivi di
appello - che, anche se non siamo in grado di provare che Calo' e Abbruciati
si fossero personalmente incontrati, possiamo provare qualcosa di piu':
che Abbruciati aveva gia' acquistato un' identita' criminale tale da renderlo
l' interlocutore ideale di Cosa nostra per l' organizzazione di un delitto
da consumare a Roma e che poteva essere l' occasione per un ulteriore consolidamento
dei rapporti gia' avviati”. Secondo i pm, inoltre, gli interessi comuni
dei due sono un “abbraccio affaristico e criminale che vale piu' di una
stretta di mano o di un pranzo allo stesso tavolo e, per alcuni aspetti,
in rotta di collisione con l' attivita' giornalistica di Carmine Pecorelli”.
Nelle motivazioni del ricorso in appello, i giudici di perugia affermano
anche che bisogna credere a Tommaso Buscetta quando afferma che l' omicidio
di Mino Pecorelli venne organizzato da uomini di Cosa nostra "nell' interesse"
di Giulio Andreotti. I magistrati sottolineano che Buscetta e' stato considerato
"pienamente credibile" dalla Corte d' assise, secondo la quale e' pero'
possibile che a lui abbiano mentito Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti.
Furono loro infatti a parlargli di un coinvolgimento di Cosa nostra nel
delitto. I pm sottolineano che le due confidenze furono convergenti, ma
arrivarono a due anni di distanza l' una dall' altra. Riguardo alla possibilita'
che Badalamenti possa avere mentito a Buscetta "per accreditarsi ai suoi
occhi come persona legata ad Andreotti" con l' obiettivo di convincerlo
a tornare a Palermo ed appoggiarlo nella guerra con i Corleonesi, per la
procura perugina sarebbe bastato "il noto racconto del suo incontro personale
con il senatore". Un simile movente - ritengono i pubblici ministeri -
non e' poi estensibile a Bontate. "Resta dunque l' ipotesi - e' scritto
nei motivi di appello - di un Badalamenti che si sia agganciato ad una
precedente menzogna, immotivata, di Bontate, della quale doveva essere
a conoscenza per chissa' quali vie, traendone spunto per vantare la propria
'potenza' a Buscetta. Un' ipotesi tortuosa e di scarsa praticabilita' logica,
ma soprattutto contraddetta dai dati probatori. Badalamenti non avrebbe
potuto ripetere la falsa confessione di Bontate rivelando a Buscetta, in
aggiunta, il vero movente dell' omicidio, a meno di averlo appreso a sua
volta per altra via". Secondo i pm e' "inevitabile affermare dunque che
se si dimostra vero il movente riferito da Badalamenti a Buscetta, si dimostra
vera anche la confessione".