Fisiologia
dell'alta quota
La
diminuzione della pressione atmosferica con l'aumentare della quota
comporta una proporzionale riduzione della pressione dell'ossigeno,
condizione comunemente riferita come ipossia.
In pratica, l'aria che si respira consente di veicolare meno ossigeno
al sangue ed ai tessuti, effetto che diventa particolarmente evidente
al di sopra dei 3000m e rende sicuramente difficoltosa la vita ad
altezze estreme.
La risposta dell'organismo all'ipossia è complessa ma finalizzata
a garantire ai tessuti un miglior apporto di ossigeno. Le due principali
ed immediate risposte sono:
- l'aumento
della ventilazione polmonare
- l'aumento
della gettata cardiaca.
Una
risposta che si sviluppa e si completa più lentamente per permanenze
superiori ai 15 giorni oltre i 3500m è l'aumento del numero dei
globuli rossi e di conseguenza l'aumento della concentrazione nel
sangue dell'emoglobina, il pigmento che fissa l'ossigeno.
In ipossia il lavoro fisico diventa più faticoso, inoltre si verifica
una limitazione nella massima potenza che i muscoli sono in grado
di erogare e la limitazione è tanto maggiore quanto più ci si eleva
in quota. Ad esempio, ad un'altezza di 6000m, la massima potenza
aerobica può ridursi al 60% del valore a livello del mare. Sulla
vetta dell'Everest il consumo di ossigeno necessario a sopravvivere
è praticamente uguale al massimo consumo di ossigeno che l'organismo
è in grado di sostenere
Il tessuto che maggiormente risente dell'ipossia è il sistema nervoso
centrale; la tolleranza nei confronti dello stimolo ipossico è però
molto variabile tra gli individui. Un altro effetto dell'ipossia
è l'aumento della permeabilità vasale il che comporta fuoriuscita
di liquido dal circolo verso i tessuti con possibile formazione
di edema. Gli organi più delicati da questo punto di vista sono
il cervello ed i polmoni ed infatti l'edema cerebrale e polmonare
rappresentano gravi complicazioni dell'esposizione all'alta quota.
Il mal di testa e la nausea rappresentano sintomi molto comuni che
rivelano sofferenza del tessuto nervoso centrale. Il lavoro dei
muscolo differisce grandemente tra la salita e la discesa.
In salita i muscoli lavorano in contrazione-accorciamento, condizione
che implica lo sviluppo di forze relativamente basse. In discesa
invece i muscoli lavorano in contrazione-allungamento; provate a
porre una mano sulla coscia quando scendete le scale, noterete che
il quadricipite si contrae quando flettete la gamba ed alzate il
piede controlaterale per scendere di un gradino. La condizione di
contrazione-allungamento genera forze molto elevate e può portare
a microlesioni del tessuto muscolare.
E' riconducibile a questo inconveniente il mal di gambe che frequentemente
si accusa nei giorni seguenti una lunga discesa. L'esercizio della
marcia in montagna è uno dei più fisiologici e dei più allenanti:
in salita l'impegno è principalmente aerobico e cardiovascolare,
in discesa domina invece l'aspetto del controllo neuromotorio, quindi
la precisione e la coordinazione nell'esecuzione del movimento.