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Un po' di storia

Il cimento pone inevitabilmente il problema della competizione, dell'anelito alla "prima ascensione". La storia dell'alpinismo include quindi questi vari aspetti. Certo, agli albori, ha dominato l'aspetto esplorativo, mentre oggi essendo stato quasi tutto esplorato il nostro pianeta, prevale un atteggiamento di ricerca di difficoltà. Ma naturalmente è sempre possibile andare in montagna per il semplice piacere di farlo, scegliendo i percorsi che più si addicono alle proprie propensioni, con animo equilibrato e pronto ad accogliere alcuni elementi essenziali di questo sport e cioè: una notevole frugalità di costumi, tolleranza nei confronti di una serie di inevitabili scomodità, una saggia distribuzione delle proprie forze, sopportazione della fatica, una buona condizione fisica.
Con questo animo De Saussure, osservando il Monte Bianco dalla sua casa di Ginevra, sognava di raggiungerne la cima; egli era uno scienziato, buon camminatore, appassionato di alpinismo, ma non buon alpinista per via della sua stazza. I suoi approcci nella vallata di Chamonix furono numerosi e si fece spesso accompagnare da un folto gruppo di guide in esplorazioni sulle lingue di ghiacciaio che scendono sui fianchi del Monte Bianco. Molte belle litografie lo ritraggono con una redingote rossa impegnato nella lunga fila di guide che si snoda tra guglie di ghiaccio molto fantasiose. Le prime litografie lo presentano possente nel fisico, diciamo un po' pesante, mentre nelle successive la sua silouette si fa più sottile e qualcuno sostenne che fu lui stesso a richiedere meno realismo. Come si sa, De Saussure non ebbe la grande soddisfazione di scalare per primo il Monte Bianco: l'impresa richiedeva grande ardimento, determinazione, forza fisica e soprattutto idee chiare sul percorso da scegliere e sulla strategia da seguire per condurre a termine l'impresa. Proprio questo ultimo punto mi fa attribuire il maggior merito dell'impresa a Balmat, cercatore di cristalli di Chamonix che il 7 giugno 1786 effettuò una ricognizione insieme allo zio del medico di Chamonix di nome Paccard.
Venne riferito che, nel corso della ricognizione, Balmat si perse nella nebbia e fu costretto a pernottare in quota rientrando la mattina successiva a Chamonix tra lo stupore di tutti in quanto non si riteneva possibile che si potesse sopravvivere ad un bivacco in quota. Il 7 agosto dello stesso anno Balmat partì alla conquista del Monte Bianco scegliendo come compagno il medico di Chamonix, Paccard appunto, buon alpinista, buon camminatore, laureato a Torino, interessato a sperimentaziomi scientifiche . I due pernottarono a circa 2300m: questa decisione logica non poteva che prenderla Balmat in quanto conosceva la lunghezza del percorso. Il mattino successivo scattarono alle 4:15, alle 13:50 sono sul grande ghiacciaio che sta proprio sotto il massiccio sommitale del Bianco denominato Gran Plateau e qui andava presa la decisione alpinistica difficile: che percorso scegliere? Solo Balmat, che aveva esplorato la zona due mesi prima, poteva lanciarsi con decisione su un pendio abbastanza ripido che si apriva tra due poderosi contrafforti denominati Rochers Rouges.
La via, denominata "ancien passage inférieur", li fece sbucare sulla cresta sommitale da cui, per un facile pendio, raggiunsero la vetta alle 18:30. Paccard fece le sue osservazioni scientifiche e poi i due rientrarono per la stessa strada ed affrontarono un altro bivacco nello stesso posto della salita. Pianificazione perfetta nella distribuzione dell'impegno. Fu proprio Balmat che poi condusse il pesante De Saussure nell'anno successivo sulla vetta del Bianco, approntando addirittura una specie di accampamento per il pernottamento. Chamonix ha reso onore al grande Balmat dedicandogli uno splendido monumento che lo ritrae mentre indica a De Saussure la vetta del Bianco. Altra grande pagina di storia dell'alpinismo è la conquista dell'Everest, ritornata prepotentemente di attualità successivamente al ritrovamento del corpo dello scalatore inglese Mallory che nel 1924 scomparve insieme al suo compagno Irvine nell'attacco finale al tetto del mondo. Mallory era un intellettuale, letterato, appassionato di alpinismo, ed aveva partecipato alla ricognizione effettuata nel 1921 per individuare una via di accesso all'Everest. Dal 1865, vi era l'indicazione dell'esistenza di questo alto picco, così nominato in onore di Sir John Everest, sovrintendente generale del gruppo di rilevamento trigonometrico in India.
Il nome tibetano della montagna era Chomolungma, che significa, ben più poeticamente, Dea Madre, e quello nepalese Sagarmata, ancora più poetico: Alto nel cielo. Mallory sosteneva che l'Everest andava scalato "by fair means" senza cioè ricorrere all'ausilio delle bombole di ossigeno. Nella spedizione del 1924 la cordata di punta era costituita da Somervell e Norton, sicuramente due tipi in gamba: il primo si arrese a 8150 m, il secondo continuò da solo sino a circa 8573m e poi prese la decisione logica di rientrare a causa della grande fatica fisica e delle difficoltà alpinistiche. Fallita la cordata di punta ecco entrare in scena Mallory il quale scelse come compagno Irvine, buon canottiere, mediocre alpinista, ma grande esperto in bombole di ossigeno. I due, allontanatisi dall'ultimo campo con forte ritardo, presumibilmente per problemi alle valvole delle bombole, lasciarono un biglietto un po' confuso dove confondevano le ore del pomeriggio con quelle del mattino, e, abbandonato il criterio dei "fair means", si lanciarono all'attacco. Di loro rimane qualche secondo di immagini cinematografiche, riprese da un altro membro della spedizione, che li ritrae in uno squarcio di nebbia come puntini sulla cresta sommitale dell'Everest, molto, ma molto lontani dalla vetta e in grave ritardo rispetto ad una ragionevole tabella di marcia. Il ritrovamento del corpo di Mallory ha senza ombra di dubbio indicato lesioni compatibili con una caduta. Rimane l'interrogativo sul fatto che Mallory e il suo compagno abbiano o meno raggiunto la vetta, e cioè sul fatto che la caduta si sia verificata durante la salita o la discesa dalla vetta. Molte considerazioni alpinistiche escludono ragionevolmente che i due possano avere raggiunto la vetta, in particolare le grandi difficoltà tecniche del superamento di un punto della cresta indicato come "secondo salto". Ha stupito inoltre l'equipaggiamento leggero, del tutto inadeguato alle condizioni climatiche.

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