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LA CAPPELLA DI ROBARONZINO

Quella di Robaronzino é, tra le numerose cascine sorte nei secoli scorsi nelle campagne che circondano il centro abitato di Devesi, una delle piú antiche e delle piú belle. La struttura originale del complesso, che ancora oggi é circondata su tre lati dall'antico muro di cinta in pietra e mattoni, risale al XVII secolo.

Purtroppo a Cirié non si trovano documenti che ne attestino l'anno di edificazione; tuttavia, dalla pulitura del portone originale della cappella è emersa l'incisione della data "1661 ADI' 22 AGOSTO". Secondo le testimonianze dei vecchi esisteva, negli scantinati adiacenti l'ingresso alla cascina posto di fianco alla chiesa, una lunga fila di inginocchiatoi 'a muro'; inoltre, il porticato, ancor oggi esistente nel vicino cortile, forse costituiva una parte del chiostro. Questi dati confermerebbero la tradizione secondo la quale il complesso edilizio sarebbe stato in origine un convento. Fatto che comunque appare piuttosto strano, perché non ci sono casi analoghi nella zona, é l'esistenza in un territorio relativamente circoscritto, quale quello che da Robaronzino va verso la periferia di Cirié, di ben tre cascine, Robaronzino, La Patría ed il Gili, che distano tra loro poche centinaia di metri. Si tratta di tre complessi che presentano ognuno le caratteristiche comuni a tutte le cascine della zona, formati da una parte civile ed una rurale, circondati da mura e dotati di cappella.

I piú antichi documenti che citano Robaronzino risalgono al 1741 e riguardano la costituzione di una dote alla cappellania presso la chiesa della cascina, di cui risultava giá cappellano un certo don Perrero. "Il 10 gennaio 1741 il banchiere Antonio Faccio assegnava in dote alla Cappellania dedicata alla Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, in Robaronzino (frazione Devesi di Cirié) da lui istituita un annuo censo di lire 500 di Piemonte, pari a lire 550 attuali, costituito con atto 5 dicembre 1740, a rogito del notaio Frincheri o Trincheri, riservandosi il fondatore la nomina del cappellano, e determinando i doveri e le funzioni incombenti al medesimo (residenza nell'abitazione, messa quotidiana, ascoltare le confessioni, spiegare l'Evangelo, fare il catechismo)". Cosí recita un corposo "Atto di transizione" redatto nel 1921 dal notaio Angelo Oberto e stipulato tra la cappellania di Robaronzino, il parroco di San Martino di Cirié ed i "particolari", cioé i privati cittadini dei "Devesi Superiori", a conclusione di una ormai annosa controversia determinata dal mancato rispetto degli oneri stabiliti con l'istituzione del censo annuale. Il banchiere Faccio morí nel 1743 lasciando come erede il notaio Giuseppe Sebastiano Trincheri che, nel 1745, vendeva all'avvocato Brunone Falletti la cascina del Robaronzino. La cappellania venne soppressa per legge nel 1867 ed il Demanio prese possesso dei beni. Intanto il proprietario della cascina, avvocato Lorenzo Falletti era venuto a mancare lasciando eredi i poveri di Torino e di Cirié. In seguito alle successive alienazioni ed alla soppressione della cappellania, in alcuni periodi non furono adempiuti gli oneri di culto e di censo originariamente stabiliti. Nella transazione i borghigiani, rappresentati dal parroco, accettavano la somma di lire settemila per il periodo in cui non erano state pagate le annualità.

 La cappella, ricca di stucchi e decorata originariamente a "finto marmo" secondo lo stile barocco, fu, negli ultimi decenni, restaurata all'interno e ridipinta secondo le indicazioni della Soprintendenza. Il tetto fu completamente rifatto perché le infiltrazioni di umiditá avrebbero altrimenti compromesso non solo le pareti ridipinte ma anche le belle e grandi tele che decorano l'interno, purtroppo giá assai rovinate. L'umidità proveniva anche dalle pareti e dalla copertura ormai fatiscenti della casa annessa alla chiesa e collegata con la stessa attraverso la sacrestia, dove fino agli anni '20 risiedeva stabilmente un sacerdote. L'ultimo fu il teologo Enrico Giachetti. La casa é poi stata venduta dalla Curia a privati ed é stata oggetto di completa ristrutturazione.Le quattro grandi tele che si trovano sulle pareti laterali della cappella sono di ottima fattura ed ora dopo il loro restauro, riportate all'antico splendore. Sono dipinti ad olio su tela e rappresentano rispettivamente:

l'Annunciazione

Nascita Vergine Maria

Pres.di Gesù al Tempio

Pres.di Maria al Tempio

C'è inoltre una bella pala d'altare, anch'essa di buona fattura, raffigurante l'Immacolata Concezione.
Le dimensioni e la qualità di queste opere, oltre a tutto l'insieme degli stucchi e decorazioni che abbelliscono la cappella, sembrano quasi "sproporzionate" per una chiesetta di campagna. L'intervento del banchiere Faccio, personaggio di notevole rilievo all'epoca, deve aver avuto un'influenza determinante sulla storia dell'edificio . Antonio Faccio, data la sua attività, doveva essere assai ricco e probabilmente nutriva anche una certa passione per l'arte . La sua area di influenza ed i suoi interessi economici erano di notevoli dimensioni, s
e da Carignano, luogo di residenza del banchiere, le sue proprietá si estendevano anche nella zona ciriacese. A conferma della sua passione per l'arte, a Carignano esiste, sulla strada per Vigone, il Santuario di Vallinotto edificato, proprio per volere del banchiere Faccio in una villa di sua proprietà, nel 1738-39. L'edificio é dovuto ad un vivace progetto di Bernardo Antonio Vittone che realizzò qui, sembra, il suo primo lavoro architettonico.
Tutto ciò fa pensare ad un magnate che amava "lasciare la sua impronta" commissionando lavori a professionisti magari non ancora famosi , come nel caso del Vittone, ma di una certa qualitá.
Anche la chiesa di Robaronzino fu oggetto della magnanimità del banchiere Faccio: le tele sono state attribuite dalla Soprintendenza ai beni artistici e storici al pittore Pier Francesco Guala.
Gli stucchi che ornano le pareti e l'abside sono di ottima fattura e paiono molto simili a quelli del palazzo D'Oria e quindi probabilmente attribuibili ai maestri luganesi; l'altare barocco ricoperto di marmo policromo ricorda, nella struttura e nei colori, l'altare della chiesa di Montanaro, nei pressi di Chivasso, attribuito al Vittone.

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