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Autostabilità
AUTOSTABILITÀ,
CHIUSURE ED ASSETTI INUSUALI
Ci occuperemo,
in questa ultima sezione dedicata al parapendio, ad esaminare alcuni
aspetti peculiari di questo mezzo, fornendo un'interpretazione aerodinamica
di ciò che accade.
Iniziamo proprio dall'analisi delle principali differenze tra l'ala
"molle" e le ali rigide per quanto riguarda l'immissione ed il mantenimento
delle virate.
Vedremo poi i meccanismi preposti al mantenimento dell'autostabilità
del mezzo (condizione indispensabile perchè un velivolo possa librarsi
in sicurezza) per concludere con una rassegna di quegli assetti che,
un tempo, venivano semplicemente definiti chiusure e che hanno, invece,
ricevuto sufficiente attenzione ed analisi da poter essere, in qualche
modo, standardizzati.
COME
VARIANO LE FORZE IN VIRATA?
La prima,
evidente, differenza che si riscontra tra il parapendio e gli altri
veleggiatori è la notevole distanza che esiste tra il baricentro dell'insieme
ala+pilota (che coincide, in pratica con il pilota stesso) ed il centro
di spinta, situato nella zona centrale dell'ala stessa: tale distanza
è superiore alla lunghezza totale del mezzo!
Come vedremo, proprio questa caratteristica, che fornisce la principale
base per l'autostabilità, influenza anche le forze in virata; cerchiamo
di immaginare come.
Durante il volo rettilineo le quattro forze fondamentali si oppongono
a due a due, e la distanza esistente tra baricentro e centro di spinta
è responsabile della tendenza al pendolamento longitudinale.
Azionando un freno la semiala interna rallenta (l'ala tende ad imbardare)
e nel frattempo si inclina: siamo in quella condizione che, senza
una cabrata, dovrebbe determinare la scivolata d'ala. Invece accade
qualcos'altro (visto che, con rarissime eccezioni, nessuno cabra e
pochi scivolano): verosimilmente accade che il brusco rallentamento
della semiala, determina un rallentamento della velocità media dell'intiera
ala mentre il pilota (appeso 4 o 5 metri più sotto e dotato di inerzia
assai maggiore, perchè più pesante) tende a proseguire dritto per
la sua strada. I cavi si tendono e la "deviazione" di traiettoria
che impongono al pilota non innesca un pendolamento longitudinale,
perchè l'ala stessa è inclinata: la deviazione genera invece una forza
centrifuga, che viene notevolmente amplificata dalla distanza.
Semplicemente mantenendo la stessa posizione dei freni (e anche questo
è molto anomalo in aeronautica dove, in virata, i timoni sono perfettamente
centrati e simmetrici) la maggior resistenza che la semiala interna
continua ad opporre alimenta la forza centrifuga e mantiene "coordinata"
la virata stessa.
Al momento di riprendere una traiettoria rettilinea il riallineamento
dei freni, facendo cessare la maggior resistenza dell'ala interna,
determina un'imbardata "raddrizzante", e conferendo ugual portanza
ad entrambi le semiali determina la orizzontalizzazione. Senza la
necessità di compiere alcuna manovra particolare il pilota (sul quale
ha smesso di agire la forza "deviatrice" e quella centrifuga) ritorna
sotto la verticale dell'ala, obbedendo alla legge di gravità.
AUTOSTABILITÀ
Con il
termine AUTOSTABILITÀ si intende la capacità dell'apparecchio di riacquistare
autonomamente (e mantenere) un assetto di volo rettilineo (in
condizioni di aria calma), nonchè la capacità di opporsi a manovre
tendenti a turbare tale assetto, in maniera tanto più forte quanto
più esasperata è la manovra.
Anche il concetto di stabilità ruota intorno ai tre assi che individuano
i possibili movimento nello spazio.
STABILITÀ
LONGITUDINALE (SULL'ASSE TRASVERSALE):
Un ala
stabile longitudinalmente è un ala che reagisce alle picchiate "tentando"
di cabrare, ed alle cabrate "tentando" di picchiare.
Se si considera che, nel parapendio, la velocità di trim (cioè la
velocità che l'ala assume in assenza di interventi da parte del pilota)
coincide con quella di massima velocità (nessuna azione sui freni)
allora l'apparecchio risulta longitudinalmente stabile, ma soltanto
entro limiti ben definiti.
Infatti, partendo dalla posizione di trim e frenando, si deve esercitare
uno sforzo tanto maggiore quanto più si frena (chiaro segno dell'opposizione
autostabilizzante dell'ala). Questo fatto, però, è progressivo ma
non continuo: ad un certo punto, superata la posizione di stallo,
la vela si chiude e non si oppone più alla nostra trazione sui freni.
È stato superato un limite di autostabilità.
Anche la manovra opposta dà risultati simili, ma con un'escursione
molto minore: partendo dalla velocità di trim ed esercitando una trazione
sugli elevatori anteriori, si osserva una ulteriore accelerazione
e, contemporaneamente, una forte opposizione alla trazione stessa.
Aumentando ulteriormente la trazione il bordo di attacco, si chiude
(collasso simmetrico) e gli elevatori non offrono più alcuna resistenza.
È stato superato l'altro limite di autostabilità.
In pratica, quindi, il parapendio è longitudinalmente autostabile
in una gamma ben precisa di assetti e di velocità, gamma che non deve
mai esser essere superata (mai trazionare gli elevatori anteriori,
mai portare i freni al sellino durante il volo).
Bene, con quale meccanismo viene garantita questa, sia pur limitata,
autostabilità?
Con il meccanismo del bilanciere.
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In primo
luogo bisogna dire che vela e pilota (i due elementi in gioco) hanno
caratteristiche cosi differenti (uno tozzo e pesante, l'altra ampia
e leggerissima) che tendono a disporsi in posizione verticale (allineati,
cioè, alla forza di gravità e con i cavi in trazione) anche con la
vela collassata: è questa la realtà fisica che stà alla base dell'apertura
dei paracadute da lancio e d'emergenza; il pilota libera la vela che,
ancora accartocciata, tende comunque a cadere più lentamente, dandogli
l'impressione che si allontani celermente verso l'alto; man mano che
il tessuto si dispiega offre una resistenza sempre maggiore e, se
non vi erano errori di ripiegamento, si apre con un gran botto, consolidando
definitivamente la verticalità tra ala e pilota.
Questo fenomeno da solo non può essere propriamente definito "autostabilità
longitudinale", ma costituisce la base, il requisito preliminare,
di quest'ultima, perchè permette di considerare il pilota come se
fosse semplicemente appeso ad un corpo posto sopra di esso.
A questo punto interviene il meccanismo del bilanciere. L'angolo di
incidenza dell'ala in volo (a freni rilasciati) dipende infatti dalla
lunghezza relativa dei cavi anteriori e di quelli posteriori, nonchè
dal disegno del profilo alare: nel parapendio tali lunghezze sono
calcolate in modo che circa il 70% del peso del pilota gravi sugli
elevatori anteriori ed il restante 30% su quelli posteriori.
In assenza di sollecitazioni questa distribuzione determina l'angolo
di massima velocità.
Esercitare una trazione sugli elevatori posteriori, a questo punto,
ha l'effetto di ridistribuire il peso del pilota fra cavi anteriori
e posteriori a favore di questi ultimi: l'unico modo di spostare il
carico, tuttavia, è quello di "appendersi" con le braccia agli elevatori
ed il numero di chili "spostati" dipende esattamente dalla forza con
cui ci "appendiamo". Qualche chilo di trazione corrisponde a qualche
chilo "spostato" dai cavi anteriori ai posteriori; è quindi abbastanza
evidente che esiste una proporzionalità tra entità dello sforzo da
compiere ed effetto: maggiore l'effetto maggiore lo sforzo, il principio
dell'autostabilità.
Il discorso non cambia considerando l'ipotesi di "appendersi" agli
elevatori anteriori ma, visto che questi portano già il 70% del carico,
non possiamo attenderci di caricarli ulteriormente senza che la vela
chiuda; al contrario è possibile caricare parecchio quelli posteriori
e anche questo fatto è coerente con la normale tecnica di guida: tutte
le manovre, nel parapendio, si riducono ad una maggiore o minore azione
sui freni.
A proposito di freni ... nel nostro esempio abbiamo parlato di elevatori
posteriori per semplificare la già complessa situazione ma, se è vero
che si può pilotare un parapendio utilizzando questi ultimi, è anche
vero che di solito si usano i freni.
STABILITÀ
LATERALE (SULL'ASSE LONGITUDINALE):
Lo stesso
ragionamento esposto prima vale anche per la stabilità laterale, con
la differenza che, in questo caso, la lunghezza dei cavi è perfettamente
identica e simmetrica: il risultato, ovvio, è che il pilota-peso si
stabilizza al centro, con scarse possibilità di oscillare rispetto
alla vela, dati i numerosi punti di aggancio. L'insieme vela-pilota
può invece pendolare lateralmente ma, ancora una volta il peso-tutto-in-basso
tende col tempo a smorzare le oscillazioni (proprio come accade a
quel pupazzo gonfiabile detto "Bobo-sempre-in piedi" con cui molti
hanno giocato da piccoli): si tratta dunque di una condizione tendente
alla stabilità.
È invece totalmente impossibile (oltre che privo di senso), cercare
la ragione della autostabilità laterale del parapendio considerando
solo la vela e non il pilota: la sua campanatura, grossomodo assimilabile
ad un diedro negativo, ne fa un'ala instabile per eccellenza; per
questo, a differenza di quanto accade a volte con i deltaplani, non
vedrete mai un parapendio "prendere il volo" senza pilota.
STABILITÀ
ROTATORIA (SULL'ASSE VERTICALE):
La stabilità
orizzontale deriva dal fatto che la linea di avanzamento "normale"
è anche quella che offre di gran lunga meno resistenza: gli stabilizzatori
e la campanatura, infatti creano immediatamente una notevole resistenza
se l'ala tende ad imbardare. Inoltre, proprio per la presenza della
campanatura, il vento relativo che giunge di traverso (come avviene,
appunto, durante un'imbardata) investe il bordo d'attacco con angoli
di incidenza diversi: questo rende differente il contributo dato dalle
due semiali alla portanza con un effetto "raddrizzante". In alcune
ali, infine, è evidente una certa "freccia" che contribuisce anch'essa
alla stabilità rotatoria, come per altri veleggiatori.
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